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POPPER, LE CATASTROFI EUROPEE E LA FIDUCIA DEI LAVORATORI

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Karl Popper si dedicò, tra l'altro, alla confutazione della teoria marxista; in modo analitico e accurato.
Ma non si rese conto che la stessa accusa mossa a Marx, - quella cioè di rappresentare, come realtà empirica osservata a sostegno della sua tesi, la delimitata situazione storico sociale del suo tempo-, sia applicabile anche alla obiezione demolitoria dello stesso Popper.
Come vedremo, questa debolezza di contesto storico della versione di Popper, ci consente di anticipare alcune conclusioni:
a) se Popper avesse potuto assistere agli attuali esiti ultimi delle teorie politico-economiche liberiste che aveva contribuito ad avallare (senza una  concreta conoscenza dei loro presupposti e motivazioni politiche), avrebbe sicuramente cambiato idea e aderito alla validità "a certe condizioni" delle teorie di Marx: o meglio sarebbe stato più semplicemente Keynesiano. La contrapposizione tra liberisti e keynesiani, all'interno del "possibile" democratico, pare sfuggirgli;
b) di fronte alla realtà attuale, inoltre, avrebbe riconsiderato, almeno in parte, l'idea demolitoria dello "storicismo marxista", formulata osservando che esso si fonda su una concezione erronea della natura delle leggi e delle previsioni scientifiche.  E ciò proprio dal momento che se la crescita della conoscenza umanaè un fattore causale nella evoluzione della storia e "nessuna società può predire scientificamente il proprio futuro livello di conoscenza", non può esistere una teoria predittiva della storia umana neanche supponendo, come finisce per fare Popper, una fallace definitività e irreversibilità delle soluzioni "ragionevoli" apprestate dalla democrazia aperta.

 
Ma veniamo ad alcuni passaggi del suo pensiero che ci consentono di richiamare idee e ragionamenti svolti su questo blog in relazione all'attuale situazione socio-economica, in particolare europea, e di ipotizzare che la parte "valida" del suo pensiero lo avrebbe condotto a rivedere in buona parte le sue stesse conclusioni.
Nel capitolo XX (vol.II) de "La società aperta e i suoi nemici", Popper critica sistematicamente la dottrina marxista. Rinviamo ovviamente a quella sede (non unica, tra l'altro, in questo versante del suo pensiero), per l'integrale analisi che egli compie.
Qui ci soffermiamo alcuni passaggi.
Egli ammette, e gli attribuisce persino un valore morale, la correttezza del rilievo di Marx circa la "funzione dei disoccupati" nel provocare la crescente miseria e il connesso sfruttamento della popolazione contrapposto ai capitalisti.
In sostanza, senza menzionare Keynes e Philips, si ammette la stessa relazione inversa (disoccupazione-inflazione) descritta nellafamosa "curva", non constestando l'intuizione di Marx sotto questo profilo (aspetto che risulta essere stato oggetto di considerazione da parte dello stesso Keynes, Philips e Kaldor). 
Popper così riassume questo aspetto:
"...la funzione dei disoccupati, in questo processo, è di esercitare pressione sui lavoratori occupati, appoggiando così i capitalisti negli sforzi intesi a trarre profitto dai lavoratori occupati...<<L'esercito industriale di riserva disponibile- scrive Marx- appartiene al capitale in maniera così completa come se quest'ultimo fosse stato allevato a sue spese, e crea mutevoli bisogni di valorizzazione di esso il materiale umano sfruttabile sempre pronto...L'esercito industriale di riserva preme durante i periodi di stagnazione e di prosperità media sull'esercito operaio attivo e ne frena durante il periodo della sovrappopolazione de la parossismo le rivendicazioni".
Infine aggiunge sul punto: "...si può sostenere che la disoccupazione conferma la teoria di Marx soltanto se si verifica in concomitanza con un accresciuto sfruttamento dei lavoratori occupati, cioè lunghe ore di lavoro e con più bassi salari reali".

Confutata come "superflua" la teoria del "valore" di Marx, al fine di descrivere il meccanismo dello sfruttamento, - ritenendo sufficiente la teoria ricardiana della domanda e dell'offerta in situazione di "cronicamente eccedentaria offerta di lavoro"-, Popper svolge poi un ragonamento molto interessante in termini di attualità:
"...la tendenza (profetizzata da Marx ndr.) verso la crescente miseria opera...soltanto in un sistema nel quale il mercato del lavoro sia libero, cioè in un capitalismo assolutamente sfrenato.
Ma una volta che riteniamo possibile l'esistenza dei sindacati, di contrattazione collettiva, di scioperi, evidentemente i presupposti dell'analisi non sono più applicabili e l'intera costruzione profetica crolla.
Secondo la stessa analisi di Marx, noi dovremmo aspettarci o che uno sviluppo del genere sia completamente soffocato o che equivalga a una rivoluzione sociale.
Infatti la contrattazione collettiva (NON IL SALARIO MINIMO STABILITO EX AUCTORITATE DA LEGGI DETTATE DA CONTINGENTI MAGGIORANZE "IDEOLOGICHE" ndr.) può contrapporsi al capitale instaurando una specie di monopolio del lavoro; essa può impedire al capitalista di usare l'esercito industriale di riserva (ALL'OPPOSTO DEL SALARIO MINIMO E A MAGGIOR RAGIONE DEL SALARIO DI CITTADINANZA ndr.)  per tenere bassi i salari: e in questo modo può costringere i capitalisti ad accontentarsi di minori profitti. Noi di rendiamo conto del perchè il grido "lavoratori unitevi!" fosse dal punto di vista marxiano la sola replica possibile a un capitalismo sfrenato.
Ma ci rendiamo anche conto del perchè questo grido debba aprire tutto il problema dell'INTERVENTO DELLO STATO e perchè debba verosimilmente portare alla fine del sistema sfrenato e alla creazione di un NUOVO SISTEMA: L'INTERVENTISMO, che può svilupparsi in diversissime direzioni.
Infatti, è quasi inevitabile che i capitalisti contestino ai lavoratori il diritto di unirsi, sostenendo che i sindacati finiscono per mettere in pericolo la libertà di competizione sul mercato del lavoro.
Il non-interventismo si trova così di fronte al problema...: quale libertà deve proteggere lo Stato? La libertà del mercato del lavoro o la libertà dei poveri di unirsi?
Qualunque decisione sia presa, essa porta all'intervento dello Stato, all'uso del potere politico oranizzato, sia dello Stato che dei sindacati, nel campo delle condizoni economiche. Esso porta in qualsiasi circostanza, a un'estensione della responsabilità economica dello Stato, sia non sia questa responsabilità coscientemente accettata. E ciò significa che vengono necessariamente meno i presupposti sui quali si fonda l'analisi di Marx.

Tralasciando ulteriori argomentazioni di confutazione di Marx sviluppate da Popper nella stessa sede, è interessante questo ulteriore passaggio:
"Il capitalismo sfrenato è finito. Dal tempo di Marx l'intervento democratico ha fatto immensi progressi e la migliorata produttività del lavoro - conseguenza dell'accumulazione del capitale (che consente progressi tecnologici ndr.)- ha reso possibile l'eliminazione virtuale della miseria. Ciò conferma che molto è stato ottenuto nonoostante errori indubbiamente gravi e dovrebbe incoraggiarci a credere che molto di più si può fare...L'interventismo democrativo può soltanto rendere possibile tutto ciò. Il farlo effettivamente dipende da noi".

Circa il "come e perchè" gli ex partiti socialisti e marxisti, nell'ambito della "costruzione europea",  siano stati in prima fila nel guidare la distruzione dell'interventismo, mediante la demonizzazione dello Stato democratico in quanto inefficiente e di ostacolo al libero mercato, Popper ci suggerisce una soluzione di cui abbiamo qui già parlato.
Cioè ci dà una indicazione che affonda nella forma mentis marxista  e nella prassi di conquista del potere che, tali partiti, avevano interiorizzato, negli individui componenti le loro classi dirigenti, mentalità che avrebbero trovato molto difficile abbandonare pur di fronte al raggiungimento del potere (di governo) medesimo:
"I comunisti...si rendono conto che qualcosa si deve fare per rendere operante la legge della miseria crescente (proprio perchè riconoscono la sua fallibilità in presenza dell'intervento dello Stato nell'economia, ndr.).
Per esempio, si devono scatenare agitazioni coloniali (anche dove non c'è alcuna prospettiva di successo di  una rivoluzione) e, al fine generale di contrastare l'imborghesimento dei lavoratori, si deve adottare una linea politica che fomenti catastrofi d'ogni genere.
Ma questa nuova politica fa venir meno la fiducia dei lavoratori. I comunisti perdono i loro membri, ad eccezione di quelli che non hanno esperienza di reali lotTe politiche. essi perdono precisamente quelli che amano definire "l'avanguardia della classe lavoratrice"; il principio che questa linea politica implica tacitamente, e cioè <<tanto peggio, tanto meglio, dato che la miseria deve affrettare la rivoluzione>>, rende sospettosi i lavoratori: e quanto migliore è l'applicazione di tale principio tanto più gravi sono i sospetti che alignano in seno ai lavoratori. Infatti essi sono realisti: per ottenere la loro fiducia, bisogna lavorare per migliorare la loro sorte".
Il che ci dice come, questa profonda forma mentis, portata avanti forse inconsciamente, oforse nell'illusione di poter sempre attribuire ad "altri" il peggioramento delle condizioni del lavoro - operazione in parte riuscita in Italia, ricorrendo alla demonizzazione propagandistica di Berlusconi, pur avendo proprio i partiti ex marxisti adottato coi loro governi le scelte decisive di "anti-interventismo" statale sfavorevole ai lavoratori stessi, prima l'entrata nell'euro-, sia tutt'ora alla base del crescente "fallimento di fiducia" nei sedicenti partiti della sinistra.

Ma il discorso e le intuizioni di Popper ci illustrano una serie di interessanti corollari:
a) il liberismo che considera il lavoro come una merce alla stregua delle altre, e che consente la immaginifica "riforma strutturale" di un prezzo del lavoro lasciato alla libera composizione di domanda e offerta, è la vera essenza del capitalismo "sfrenato";
b) l'unico vero limite-argine a tale tipo di capitalismo, riconosciuto dallo stesso Popper, massimo teorico del liberismo e delle libertà, è l'intervento dello Stato nell'economia;
c) questo intervento statale, imperniato sul valore cardine del lavoro, (giammai riducibile a merce e alla legge del puro mercato), prescelto dalla nostra Costituzione repubblicana, non è un'opzione politica reversibile, ma risulta da tutta la Costituzione stessa; e porta a respingere non solo la nullificazione della diretta tutela lavoristica (sindacati come veri attori della contrattazione collettiva), ma la stessa ostilità alla spesa pubblica in sè e al sostegno pubblico alle famiglie insito nella dottrina delle banche centrali indipendenti.

In conclusione, è l'Europa che non solo è alla base dei meccanismi economici inutilmente distruttivi che hanno provocato la recessione in Italia, ma che, nelle sue stesse norme di principio, il cui vero significato è oscuro ai cittadini,  e perciò insidiosamente e occultamente vincolante, dissolve il vincolo solidaristico tra istituzioni democratiche e popolo sovrano,imposto invece dalla Costituzione.
La dimostrazione di quanto questa dissoluzione (dello stesso senso profondo dell'intervento pubblico come argine al capitalismo sfrenato e alla sofferenza-povertà del popolo sovrano) sia andata oltre ogni limite tollerabile, la si può avere nel colloquio in "streaming" per la formazione del governo svoltosi tra i rappresentanti dei due maggiori partiti presenti oggi in parlamento.
Non una parola è stata riferita a questi problemi, a questa inevitabile esigenza di recupero del dettato costituzionale per arginare, senza indugio e senza ulteriore aggravamento, l'Europa del capitalismo sfrenato anti-lavoro, mercificante quest'ultimo e volto alla effettiva e sempre più tangibile propagazione della miseria.
Nel nuovo avveramento di quella ipotesi (capitalismo sfrenato e esercito industriale di riserva), che non tanto Marx, ma lo stesso Popper  risulta condividere in pieno, dando per scontata quella irreversibilità dell'intervento pubblico nell'economia che, da Maastricht in poi, è divenuto invece il nemico da abbattere. E con esso la nostra democrazia.
Tanto che la presunta reazione a questo capitalismo sfrenato viene proposta in termini di "salario di cittadinanza" e "lotta alla casta" estesa a tutta la spesa pubblica (che viene vista solo come oggetto di possibile riduzione e mai di suo ampliamento anticiclico).



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