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LA DOTTRINA DELLE BANCHE CENTRALI. LA SOLUZIONE FINALE ALLE PORTE

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I. Per capire cosa stia succedendo con la farsesca storia dei "crediti alle imprese", dobbiamo partire dalla dottrina delle banche centrali indipendenti, quale fissata nei trattati UE-UEM in un modo che non ha paralleli al mondo.
Ribadiamo alcuni passaggi essenziali illustrati nel post sopra linkato, relativamente al vero significato di tale "dottrina":
In realtà la neutralità della politica monetaria (affidata alla BC indipendente) non svolge gli EFFETTI DIRETTI DICHIARATI nel contenere-ridurre l’inflazione.
Questo perché la sottesa teoria quantitativa della moneta (eccesso di offerta come causa dell’inflazione, abbracciata da Bundesbank e imposta a BCE), ovvero la teoria della presunta rigidità della curva LM (rispetto a al tasso di interesse) nei fatti E’ SMENTITA DALLA NATURA ENDOGENA DELLA MONETA. Cioè, empiricamente tutto conferma che la quantità di moneta complessiva dipende dalla formazione e dal livello dei prezzi e non viceversa.
Piuttosto il vero obiettivo di tale dottrina è L’EFFETTO COLLATERALE, FINANZIARIO PUBBLICO, ritenuto capace di AGIRE SULL’INFLAZIONE nel modo redistributivo voluto. Più specificamente è l’effetto sul contenimento salariale e quindi sulla crescita, vista come obiettivo recessivo in favore della “stabilità finanziaria e dei prezzi”. Cioè:
1)        la BCnon finanzia-monetizza il deficit pubblico, il che comprime naturalmente il risparmio privato perché
2)        rende più costoso l’onere del debito ed induce a comprimere la spesa pubblica primaria (il che riafferma il valore ideologico del crowding-out, cioè della ipotizzata maggior efficienza dell’allocazione delle risorse ai privati, derivata dalla presunta elasticità degli investimenti rispetto al tasso di interesse);
3)        si ottiene così di sterilizzare progressivamente l’intervento pubblico e di avere una crescente disoccupazione, (non correggibile con espansione fiscale)
4)        la quale disoccupazione crescente (intesa come naturale) diminuisce come tale il livello salariale e quindi l’inflazione.
DA NOTARE: tutti gli effetti così perseguiti confermano implicitamente la Curva di Philips keynesiana, che di facciata tale teoria intende confutare.
Inoltre, si disattivano ex post, cioè come imposizione istituzionale (self-fulfilling prophecy) e non come tendenza empiricamente verificabile, 2 casi su 3 di validità (ammessa) della teoria keynesiana:
1)        curva IS rigida: cioè investimenti poco sensibili al variare del tasso di interesse. “Sensibili” lo ridiventerebbero in quanto rafforzate le aspettative razionali di nulla o negativa variazione dell’inflazione. Ciò sebbene la crescita dovuta al “ripiazzamento” di risorse per investimenti privati non si sia ancora vista, cioè registrata in differenziali di crescita superiori a quelli in precedenza realizzati: le serie storiche del PIL, successive alla progressiva applicazione di tali teorie, indicano invece il contrario;
2)        rigidità verso il basso dei salari (neutralizzando le resistenze del calcolo inflattivo per l’accrescita disoccupazione).

ORA TUTTO SI IMPERNIA SU QUESTO ASPETTO COMPLEMENTARE-ISTITUZIONALE della politica monetaria “credibile” (cioè solo anti-inflattiva in funzione delle aspettative razionali “esatte”).
E, in termini pratici, SUL DIVIETO DI FINANZIAMENTO AGLI STATI DA PARTE DELLE BC. Finanziamento diretto che non descrive la funzione di “Lender of last resort”, che è, invece, una valvola di sicurezza residuale per il caso di grave crisi di liquidità e, inoltre, riguarda anzitutto il sistema bancario (e non lo Stato).
E’ INVECE UN “DIVIETO DELLA FUNZIONE DI TESORIERE DEL GOVERNO”, naturale quando questo sia titolare della politica monetaria.

EBBENE: SOLO L’UEM HA REALIZZATO IL MODELLO PURO DI BC INDIPENDENTE (MONETARISTA E NEO-MACROECONOMICO CLASSICO). PERCHE’ L’HA FATTO MEDIANTE UNA PREVISIONE SUPER-NORMATIVA, PARACOSTITUZIONALE.
Quindi solo l’UEM crede che le aspettative razionali governino effettivamente l’equilibrio economico, garantiscano la piena occupazione, intesa come “disoccupazione naturale” (multi equilibrio); e solo l’UEM crede che sia senza conseguenze per la crescita perseguire incondizionatamente la deflazione per via salariale; come pure che lo spostamento delle risorse dalla spesa pubblica al sistema privato sia garanzia incontestabile di efficiente allocazione delle risorse (e di crescita).
Nel resto del mondo ciò non vige ad un equiparabile livello normativo, con tale rigidità –se non come conseguenza dell’esportazione politica del modello UEM (paesi est europeo)- ed è stato sostanzialmente applicato come criterio di opportunità politica suscettibile di rivedibilità altrettanto politica (cioè al più cambiando una mera legge e non una fonte superprimaria).

II. Sempre dal post citato possiamo trarre questa conclusione: la restaurazione del modello neo-classico, imposta dai trattati UE-UEM, si realizza tramite questa funzione di contro-distribuzione del rischio delle ricorrenti crisi economiche e in generale della ricchezza, nonchè di profonda revisione del ruolo dello Stato (in quanto questo ostacoli, con le sue proposizioni costituzionali, questa restaurazione).
In altri termini: la teoria neo-classica nelle versioni recepite in UE-UEM, non nega i fallimenti del mercato e le crisi cicliche che ne conseguono, ma esclude radicalmente di assumerli come "criticità" da risolvere, predisponendo un sistema che mira a farne sopportare stabilmente il costo a lavoratori e piccole e medie imprese, cioè ai debitori strutturali del sistema bancario-finanziario.
Quest'ultimo deve essere assolutamente salvaguardato nel suo livello di profitti-ricchezza, al punto che se anche il PIL scendesse, ciò deve comportare che salga la quota dei profitti stessi (espliciti ed impliciti, cioè retribuzioni e benefits per gli a.d. bancari) sul reddito nazionale.

III. Di questo sistema, si ha conferma dalle recenti parole di Draghi (all'ultimo Consiglio europeo del 14-15 marzo 2013): egli riafferma la assoluta esigenza che i salari non debbano crescere, neppure nominalmente, se non in corrispondenza dell'aumento della produttività. Produttività contrabbandata come un fatto tecnico, cioè dipendente dall'impegno quantitativo e dalla qualità professionale nell'applicazione del lavoro, ma in realtà dipendente dal livello della domanda e, in concreto, da quella estera, generandosi, in questa visione delirante, un inseguimento della competitività mediante abbassamento del CLUP, che amplifica la caduta della domanda simultaneamente in tutti i paesi interessati e rende impraticabile lo stesso incremento delle esportazioni che dovrebbe risolvere il tutto.
L'ostinazione in questa teoria, i cui effetti si continuano a rivelare fallimentari (la disoccupazione aumenta, la recessione si diffonde, ma la competitività predicata è irraggiungibile simultaneamente da tutti i paesi coinvolti nel diktat), parte non a caso dalla Banca centrale europea, la più "pura" tra le "indipendenti".
Il che dimostra che l'indipendenza è solo uno strumento per mascherare la più pesante delle dipendenze: quella dal sistema bancario, con la finalità programmatica di preservarne il livello di redditività e, quindi, di incrementarne la quota profitti sul PIL nel caso in cui tale preservazione sia alla base di una deliberata creazione di recessione da compressione deflattiva della domanda.

IV. Veniamo alla vicenda dei crediti alle imprese e cerchiamo di esprimere in pochi concetti (sicuramente non sarò all'altezza :-)), perchè è improbabilissimo che questi pagamenti si risolvano in un intervento a favore di imprese e occupazione.
E' una questione ideologica che può essere ritratta come corollario dalle ragioni della dottrina delle BC indipendenti.
Vediamo in cosa consiste la "manovra" messa sul piatto dal rilegittimato governo Monti: circostanza che già ci da' la sicurezza che ci muoviamo all'interno della cornice deflazionista del lavoro, e contraria all'intervento pubblico, imperniata sulla capture bancaria delle banche centrali, assunte come massima e inappellabile autorità ideologica nel campo delle politiche economiche.
Grosso modo, in base a quanto trapela dai giornali, il pagamento alle imprese è impostato così:
- regioni ed enti locali che procedano ai pagamenti debbono garantire un flusso di entrate o di risparmi equivalenti per il futuro (nel medio periodo).
Ciò, alternativamente, in un processo di definizione della copertura che non è certamente terminato, e che non terminerebbe certo col decreto attualmente in fase di elaborazione: 
- sia attraverso un possibile innalzamento dell'aliquota della sovraimposta regionale sul reddito (di 0,6 punti);
- sia attraverso incrementi di tassazione locale, attuali o futuri (v. Tares, che, comunque entrerà in vigore entro l'anno con le sue maggiorazioni, solo rinviate a fine anno, considerata, si noti, l'incombenza di nuove elezioni prima di dicembre);
- sia, ancora, attraverso il blocco degli investimenti di regioni ed enti locali nei successivi 5 anni.
Ulteriore aspetto della questione, alquanto dimenticato nell'informazione mediatica e nei proclami delle associazioni delle imprese: l'accorciamento dei tempi di pagamento, adeguandolo ai termini imposti dalla disciplina europea, dovrebbe valere anche per il futuro, cioè a regime, e quindi determinare una maggior intensità di spesa e quindi un'accelerazione dell'esaurimento delle provviste finanziarie che condurrebbe gli enti ad una stabile riduzione della capacità di spesa, in tutti i settori diversi da quelli che originino l'obbligo del pagamento dei crediti maturati e maturandi coi fornitori.
In ciò va considerato che il nuovo art.97 Cost., impone a tutte la pubbliche amministrazione di assicurare l'equilibrio dei bilanci e che  il nuovo art.119, primo comma, prevede che l'autonomia finanziaria delle regioni sia esercitata "nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci" e concorrendo "ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea".
Questo nei nuovi testi introdotti insieme col pareggio di bilancio statale (nuovo art.81 Cost.) dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n.1.
Votata praticamente all'unanimità da parte degli stessi partiti che adesso dicono al governo Monti, privo di fiducia attuale, di "fare presto".

V. Ora, due sono le cose da sottolineare:
1) il fiscal compact-pareggio di bilancio, in tutti i suoi corollari che devastano la Costituzione nelle sue norme sui compiti sostanziali delle istituzioni di governo, non è uno scherzo ma si manifesta brutalmente e da subito: l'intervento pubblico quale in precedenza previsto dalla Costituzione (originaria, non quella revisonata) è meramente eventuale.
Se non ci sono entrate di copertura aggiuntiva rispetto a spese comunque (già) tagliate, tagli che già danno luogo a caduta della domanda e conseguentemente, delle precedenti entrate, l'intervento pubblico semplicemente non si fa. Punto.
Quali che siano gli obblighi costituzionali e legislativi di attivare un certo livello "essenziale" di funzioni (art.97 Cost., primo comma infine) e di prestazioni pubbliche concernenti "i diritti civili e sociali"  (art.120 Cost., secondo comma);
2) considerare l'onere di pagamento delle prestazioni in precedenza eseguite a favore delle p.a. come una spesa pubblica da garantire in costante pareggio di bilancio, significa considerare le funzioni e prestazioni pubbliche a cui queste prestazioni delle imprese private (di forniture e servizi) erano funzionali come un debito "a esaurimento" e comunque immediatamente ridotto nel suo ammontare, non più riproducibile. Mai più.
Se ad es; per pagare forniture già eseguite nel campo del servizio sanitario occorra garantire per il futuro risparmi di spesa in conto capitale, vuol dire che opere e lavori pubblici, eventualmente programmati dallo stesso ente, non si faranno più per un corrispondente ammontare.
E viceversa: se si ammette l'esecuzione di un'opera pubblica regionale o locale, si dovrà rinunziare a forniture nel campo sanitario; comprese medicine di ogni genere e materiali per le sale operatorie.
Da qui non si scampa. 
Vi ricorda la Grecia? Aspettate e vedrete.

VI. Qui, in definitiva, lo scopo ultimo della dottrina delle banche centrali è stato raggiunto: tanto diviene costoso (finanziariamente prima e socialmente poi) il sistema di finanziamento del deficit pubblico che l'intervento dello Stato è drasticamente ridotto, e in modo accelerato, con una progressione geometrica, che segna la vittoria finale del processo iniziato col divorzio bankitalia del 1981, e la fine della "resistenza" inerziale del sistema dell'odiato welfare.   
Il venire meno della spesa pubblica, ormai svincolata nella sua obbligatorietà dalle norme costituzionali che prevedono i compiti che la Repubblica, a tutti i livelli territoriali di governo deve perseguire,  si accompagna alla validità operativa delle sole norme costituzionali sui limiti contabili della finanza pubblica. 
Cioè la Costituzione vede ribaltati i più elementari principi sulla gerarchia di valori (artt. 1-4 Cost., almeno) in essa originariamente stabiliti, sostituita dalla prevalenza di una neo-gerarchia finanziario-contabile stabilita in sede di revisione e che segna la fine della "forma repubblicana" di democrazia fondata sul lavoro, di cui l'art.139 Cost. prevede, invano, la immodificabilità ("revisione").  
Il risultato non è solo il "lieve" disagio a cui nei prossimi anni andranno incontro i cittadini come titolari dei diritti civili e sociali cui dovrebbe essere accompagnato un "livello essenziale" di prestazioni, ma l'ulteriore calo della domanda, l'incremento dei fallimenti delle imprese, private ormai strutturalmente dell'intervento pubblico, e scopo finale, l'aumento della disoccupazione.
Quest'ultimo non solo diminuisce in sè la capacità di resistenza dei lavoratori all'abbassamento dei livelli salariali nominali, (perchè di questo ormai si parla); tale resistenza, infatti, è ulteriormente minata dal venir meno del livello essenziale delle prestazioni sanitarie, scolastiche, di pubblico trasporto e di ogni altro genere in precedenza erogato da Stato ed enti locali, in modo tale che ai corrispondenti bisogni gli stessi cittadini provvedano solo attraverso il ricorso al reddito e al risparmio privati. Ovvero, ove tale reddito non vi sia (stato di disoccupazione) e non sia sufficiente (salario nominale drasticamente ridotto), i diritti civili e sociali (compresi quelli all'abitazione e alla formazione della famiglia) siano in stato di sospensione senza termine finale.
E quindi, la deflazione salariale, il controllo dei prezzi nel senso del loro costante abbassamento, saranno realtà vivente e irreversibile, con la corrispondente rivalutazione dei capitali e dei rendimenti dei creditori bancari.
Il disegno BCE sarà finalmente realizzato - anche in caso di uscita dall'euro, se invariate queste norme costituzionali, - e l'ordine nuovo nato dalla dottrina delle banche centrali indipendenti regnerà sovrano..sulle macerie della Costituzione del 48.



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