Massimo Mucchetti è uno di quei giornalisti che ci hanno per anni proposto le loro analisi sull'economia e la politica del paese, indicando modi di salvare l'euro dalla speculazione dei mercati "cattivi" e per conservarlo "in modo costruttivo" aggredendo il "debito insostenibile"...per colpa nostra.
Uno di quelli che, però, aveva già cominciato a dare segni di "ravvedimento". Sentite questa intervista riportata dal Manifesto e data a "Italia Oggi" nel 2011, e ripresa da Roberto Ciccarelli:
"Stella&Rizzo hanno fallito
Questa è la tesi dell’ex vice direttore del Corriere della Sera Massimo Mucchetti esposta in un’intervista a italia oggi. I due giornalisti del Corriere, autori di un fortunato libro-denuncia contro la “Casta” dei politici e dei dipendenti, mostrarono gli sprechi intollerabili della pubblica amministrazione, prodotti da privilegi oggettivi di una élite. Quella denuncia diede la stura all’immenso risentimento popolare contro una determinata categoria della classe dirigente, scatenando un duplice processo. Il primo è politico:...Fu, quella,un’intuizione giornalistica penetrante dell’allora direttore, Paolo Mieli. Ma lo stesso Corriere e il sistema dei media nel suo complesso non sono riusciti a sfidare realmente la classe politica sul piano delle soluzioni.Quelle inchieste si accompagnavano a una campagna politica che, mettendo in luce le debolezze reali del governo Prodi, puntava sui tecnici che avrebbero dovuto avere alla loro testa Montezemolo. Una grande idea giornalistica, una piccola idea politica. E alla fine, complice una politica cieca, la guerra alla Casta senza la capacità di proporre alternative reali ha generato il Movimento 5 Stelle. Che ora attacca politici e giornalisti.
Il secondo è sociale e ha investito un aspetto particolare, e ancora misconosciuto, del grillismo e in generale dell’organizzazione del lavoro in Italia. L’odio per la “Casta” ha generato il disprezzo contro chi lavora nel pubblico impiego. Se fa il medico, lavora all’università o nella scuola, in un ufficio avrà senz’altro truccato un concorso, vanterà una raccomandazione, ha truccato le carte penalizzando i “meritevoli”. Fa schifo, insomma.
Quando lo Stato è il più grande sfruttatore di precari
Come dimostrano i dati dell’Aran, la crescita del precariato nella pubblica amministrazione, e in particolare nei settori sensibili del Welfare, scuola e sanità, è avvenuta proprio negli anni in cui iniziava la campagna anti-casta. Insieme a questa crescita è avvenuta la contemporanea espulsione (dovuta principalmente ai pensionamenti) di oltre 200 mila persone. Il blocco del turnover non permetterà l’assunzione di nuovo personale, compresi i precari che attendono nel limbo una stabilizzazione impossibile.
Come dimostrano i dati dell’Aran, la crescita del precariato nella pubblica amministrazione, e in particolare nei settori sensibili del Welfare, scuola e sanità, è avvenuta proprio negli anni in cui iniziava la campagna anti-casta. Insieme a questa crescita è avvenuta la contemporanea espulsione (dovuta principalmente ai pensionamenti) di oltre 200 mila persone. Il blocco del turnover non permetterà l’assunzione di nuovo personale, compresi i precari che attendono nel limbo una stabilizzazione impossibile.
Non solo dunque la virulenta campagna antiKasta si è ritorta contro i suoi autori, ma ha nascosto il processo di ridimensionamento del lavoro pubblico, in particolare nei settori che assicurano la riproduzione intellettuale, e la cura della persona. Insomma, direttamente o indirettamente, la guerra alla “Kasta” (cioè contro la discriminazione dei peggiori contro i migliori) ha alimentato il problema che voleva denunciare: il diritto e la libertà responsabile all’accesso ad un lavoro, nel pubblico o nel privato, in un mercato che è stato spogliato di ogni regola. A partire dallo Stato, il più grande sfruttatore di precari.
Sorpresa: l’Italia ha pochi dipendenti pubblici
Contrariamente a una delle leggende diffuse dai sostenitori dello «stato minimo», questi numeri dimostrano che l’Italia è sotto la media Ocse per numero di occupati nella pubblica amministrazione. Sono meno di quelli francesi, e lo si può capire, considerata le tradizioni dei nostri vicini d’Oltralpe. Ma, sorpresa, l’Italia si classifica sotto i paesi presi ad esempio dai sostenitori del neo-liberismo scatenato: gli Stati Uniti e la patria dell’Iron Lady Margaret Thatcher. Sotto di noi ci sono solo i «Pigs» Spagna e Portogallo e il nuovo «faro» della Germania.
Contrariamente a una delle leggende diffuse dai sostenitori dello «stato minimo», questi numeri dimostrano che l’Italia è sotto la media Ocse per numero di occupati nella pubblica amministrazione. Sono meno di quelli francesi, e lo si può capire, considerata le tradizioni dei nostri vicini d’Oltralpe. Ma, sorpresa, l’Italia si classifica sotto i paesi presi ad esempio dai sostenitori del neo-liberismo scatenato: gli Stati Uniti e la patria dell’Iron Lady Margaret Thatcher. Sotto di noi ci sono solo i «Pigs» Spagna e Portogallo e il nuovo «faro» della Germania.
Nessun problema, l’Italia la raggiungerà presto, anche grazie al rinvio dei pensionamenti voluti dalla riforma Fornero, il blocco delle nuove assunzioni e al mancato rinnovo degli interinali, tempi determinati e flessibili, già in atto da tempo. Secondo la Ragioneria generale dello Stato sono diminuiti di oltre il 26% negli ultimi 5 anni. Per l’Aran nel 2012 il calo sarà del 2,3% e continuerà nel 2013. Il risparmio sugli stipendi sarà notevole: nel 2011 la spesa è stata di 170 miliardi (-1,6% sul 2010). Nel 2012 è calata a 165,36 miliardi (-2,3%).
Siamo tornati al 1979
Anche nelle retribuzioni lo stato italiano viaggia a ritroso nel tempo. Oggi è tornato al 1979. E, purtroppo, non si fermerà.
Anche nelle retribuzioni lo stato italiano viaggia a ritroso nel tempo. Oggi è tornato al 1979. E, purtroppo, non si fermerà.
I settori dove i tagli si sono fatti sentire di più sono quelli che garantiscono il Welfare, scuola e sanità, e poi gli enti locali e i ministeri.
Il processo è iniziato con l’ultimo governo Prodi, ma l’onda si è ingrossata rovesciando qualsiasi cosa davanti a sé quando Giulio Tremonti è tornato ad occupare la scrivania di Quinto Sella al ministero dell’Economia, spalleggiato da Renato Brunetta alla funzione pubblica e da Maria Stella Gelmini all’istruzione. Un concerto che ha posto le basi per i tagli del futuro che colpiranno in Lombardia (dove lavora il 25% dei dipendenti pubblici), il Trentino e il Lazio con il 19% e il 18% di dipendenti in eccesso. In Calabria gli uffici sono invece sotto organico del 23%.
Una controprova che l’austerità di Stato continuerà la offre il «rapporto Giarda» sulla spending review(a noi ben noto, ndr.).
Ci attendono nuovi tagli da 135,6 miliardi di euro sui beni e i servizi, 122,1 miliardi di retribuzioni nel pubblico, e un altro 5,2% a scuola e università che dal 2009 hanno già perso quasi 10 miliardi di euro. Sono previsti tagli del 33,1% alla spesa sanitaria, oltre a un’altra sforbiciata del 24,1% agli enti locali, già taglieggiati dal patto di stabilità interno.
Che fine fanno queste risorse finanziarie? Dovrebbero ripianare il debito, che però è aumentato nell’ultimo anno di 19 miliardi. È probabile che anche i prossimi tagli sulla pubblica amministrazione avranno lo stesso effetto. Questa è la regola dell’austerità: più tagli il debito (Monti l’ha fatto per 21 miliardi in 400 giorni), più il debito cresce a causa degli interessi pagati dallo Stato, mentre l’«efficienza» della spesa pubblica tagliata non migliora, deprimendo gli stipendi dei dipendenti (fermi al 2000 e in diminuzione dello 0,8% rispetto al 2011 e di un altro 0,5 e l’1% nel 2012). Nel privato, invece, sono aumentate del 2,1% negli ultimi 11 anni dove però l’Aran registra un calo dell’occupazione.
L’austerità è un circolo vizioso, anche se c’è chi ancora pensa di reinvestire i «risparmi» fatti sui ministeri e gli enti locali per finanziare il debito che la P.A. ha con le imprese".
Si tratta di cose qui ben note, che abbiamo aggiornato, proprio in risposta a livorosi interventi "grillini", sia coi dati della Corte dei conti sull'andamento del costo del pubblico impiego, sia con l'analisi del contenuto del famoso studio Giarda.
Ovviamente, l'attacco all'austerity sia di Mucchetti che del "Manifesto", non menziona la parola "euro",: meno che mai in termini di "causa del problema".
Ma il ravvedimento di Mucchetti si sta sviluppando. Sentite qui:
"Non avendo fatto i conti con la propria storia, ex comunisti ed ex democristiani hanno accettato l'Europa di Maastricht che si andava costruendo attorno alla Germania. Hanno fatto propria la teoria del vincolo esterno che Guido Carli considerava essenziale, ma per costringerci alla virtù di Quintino Sella, non di Giuseppe Di Vittorio. Il divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia, che ha favorito l'esplosione del debito pubblico anziché contrastarla, si è ossificata nei Trattati europei sui quali si fonda la Bce, ma non se ne parla come si dovrebbe: con competenza e libertà di pensiero.
Shinzo Abeè oggettivamente più a sinistra della Cgil, ma nel Pd ancora ci si scontra pro e contro Blair.
L'Italia ha bisogno di una destra onestamente liberale e di una sinistra modernamente keynesiana - non importa ex di che cosa, meglio se nuova - che sappia leggere e far di conto, che conosca il mondo per esperienza diretta e non limiti le sue fonti ai giornali e ai blog, che sappia reinterpretare il debito pubblico e il debito privato, la monetizzazione e l`inflazione, le liberalizzazioni e la politica industriale, il Pil folle e quello sostenibile..."
Ora, il punto non è tanto che tutte queste belle cose, anche Mucchetti, poteva dirle prima: e neppure che a questo punto rischia di essere inascoltato dallo stesso PD che non focalizza questi problemi, proprio per la mancanza di "competenza e libertà di pensiero" che affligge, per la verità tutto il resto dell'attuale classe politica di ogni collocazione e, gravemente, lo stesso M5s, a trazione livoroso-antikasta.
Il punto, piuttosto, è che si opera ancora la scissione tra "vincolo esterno-austerità-tedeschi "prepotenti" (cosa che fino a ieri si negava), e €uro-costruzione in sè e per sè, chiarendo come essa sia stata la facciata "bella" della politica "brutta" che ora, e solo ora, si denuncia come tale.
Manca, per il ripensamento de "il debito pubblico e il debito privato, la monetizzazione e l`inflazione, le liberalizzazioni e la politica industriale, il Pil folle e quello sostenibile", proprio l'idea stessa dello Stato costituzionale, nazionale, redistributivo e pluriclasse, negata a partire dal divorzio, e ultimo baluardo agli attacchi "Von Hayek" delle oligarchie, manovrone e incorreggibili, (che hanno giocato la carta "Stella e Rizzo").
Il paradosso è che voci come quella di Rodotàa questo stesso baluardo costituzionale si richiamano: ma non sanno collegarlo all'€uro(pa) in sè, originaria, non quella "cattiva" del fiscal compact/pareggio di bilancio, ma quella dello SME, del divorzio, dell'Atto Unico e di Maastricht e della efficienza, delle privatizzazioni e liberalizzazioni, bancaria per prima.
E, ignorando Rodotà, a quanto pare, tutti gli annessi e connessi della "dottrina delle banche centrali indipendenti", finisce, per altra via, a fare la stessa scissione di Mucchetti.
Magari se giuristi e filosofi che sanno di economia come Mucchetti sapessero comunicare tra loro, forse si avrebbe una visione unitaria del problema: i diritti sociali e i principi fondamentali della Costituzione non sono scindibili dalla tutela del lavoro e questa non è scindibile dalla sovranità monetaria delle istituzioni democratiche.
Forse è un problema di rispettive forme di "precomprensione", cioè di approcci che anticipano, in base a erronei pregiudizi, il senso dei fatti e delle norme europee che dovrebbero interpretare. Ma allora basterebbe che si leggessero entrambi questo post e specialmente si vedessero i relativi links. E lo dico per fare un esempio di procedimento di "sblocco" della incompiutezza delle loro visioni: quello che importa, come momento ormai indispensabile, è la comunicazione tra pensiero economico e pensiero giuricico.
Ma temo che non sia così semplice: temo che il problema sia "politico". Il "loro".
Cioè: come facciamo ad ammettere che abbiamo sbagliato e appoggiato teorie politico-economiche di obiettiva restaurazione oligarchica, liberista e anti-lavoro, senza contestare i Ciampi, gli Amato, i Draghi, e tutto il direttorio di Bankitalia? Che abbiamo continuato a porgere l'€uropa all'opinione pubblica come una meravigliosa soluzione ai problemi che invece aveva irreversibilmente creato e che continua a creare?
Mi sa proprio che non si può.
Ne vedremo delle belle, perchè in qualche modo, comunque la mettano, dovranno cercare di uscirsene. E siamo solo all'inizio...