Ormai scrivere di quel che sta accadendo possiamo farlo col "montaggio" di quanto già detto. Lo potreste fare persino voi, da soli, ma vi facilito il compito.
Nel post "Osservatorio PUD€-5", abbiamo esordito con questo incipit:
"L'introduzione a questo quinto capitolo dell'Osservatorio PUD€ la lasciamo tutta a queste recenti parole di Krugman:
"Ciò che l'élite Europea non riesce a cogliere è che la percezione pubblica del loro diritto di governare dipende dalla loro capacità di raggiungere almeno alcuni risultati effettivi.
"Ciò che l'élite Europea non riesce a cogliere è che la percezione pubblica del loro diritto di governare dipende dalla loro capacità di raggiungere almeno alcuni risultati effettivi.
Quel che hanno consegnato in realtà, tuttavia, sono anni di sofferenze incredibili accompagnate da ripetute promesse che la ripresa era proprio dietro l'angolo - e ora si stupiscono che molti elettori non si fidano più del loro giudizio, e si rivolgono a qualcuno, chiunque, che offra un'alternativa.
Vorrei poter credere che le elezioni italiane siano servite da campanello d'allarme - una ragione, ad esempio, per dare alla BCE il via libera per una maggiore espansione, una ragione per la Germania di fare un po' di politica espansiva e per la Francia di sospendere il suo non necessario stringere la cinghia.
La mia ipotesi, tuttavia, è che avremo soltanto altre lezioni per gli italiani e per tutti gli altri su come non stanno dandoci abbastanza dentro."
Inutile dire che tutto questo diverrebbe attualissimo nel caso in cui si interpretasse il voto, da parte delle forze politiche tradizionali, solo come un fatto di "volti nuovi", e cioè che, in pieno delirio "cosmetico" (non a caso), pescassero qualche Jolly "inedito" rispetto alle stanze dei governi post-Maastricht, e ritirassero fuori le solite vecchie politiche...mentre i grandi gruppi finanziari e industriali esteri "mettono nel mirino" le imprese italiane, pubbliche e private, da acquisire a prezzi di saldo."
Inutile dire che tutto questo diverrebbe attualissimo nel caso in cui si interpretasse il voto, da parte delle forze politiche tradizionali, solo come un fatto di "volti nuovi", e cioè che, in pieno delirio "cosmetico" (non a caso), pescassero qualche Jolly "inedito" rispetto alle stanze dei governi post-Maastricht, e ritirassero fuori le solite vecchie politiche...mentre i grandi gruppi finanziari e industriali esteri "mettono nel mirino" le imprese italiane, pubbliche e private, da acquisire a prezzi di saldo."
Ora come volto "sempre-nuovo" (una caratteristica che è "ontologica" nel personaggio in questione, come la verginità della Madre di Dio) pescano la Bonino, ministro degli esteri, destinata a farsi valere in Europa per un futuro radioso.
La Bonino, per capirci subito sulle prospettive che offre, ha scritto un libro con Marco de Andreis ("già consigliere del Ministro per le politiche comunitarie (2005-2006) e funzionario della Commissione europea (1995-2000), dirige l'ufficio studi economici dell’Agenzia delle Dogane"), “Making the case for a ‘federation lite'”.
Cioè gli Stati Uniti d'Europa "leggeri", che dovrebbero "gestire la crisi economica in maniera più efficace e puntuale". Come?
Questa l'essenza dell'idea:
"Per fare questo - sostiene il saggio - è necessario ripensare il bilancio europeo. Proprio quel bilancio che - nell’ultima stesura riguardante il settennato 2014-2020 - è rimasto per il momento bloccato senza l’approvazione del Parlamento europeo. Il bilancio europeo è costituito quasi esclusivamente da trasferimenti da parte degli Stati membri (l’Ue non ha il potere di tassare direttamente i cittadini) e pesa circa l’1% del Pil europeo; non viene utilizzato per funzioni fondamentali di governo e - quasi per la metà - va a finanziare il settore agricolo.
Il trasferimento di alcune funzioni di governo dal livello nazionale e quello europeo - spiega il saggio - come la difesa, la politica estera e la ricerca, non dovrebbe comportare un aumento della spesa pubblica, ma al contrario potrebbe determinare un risparmio grazie alle economie di scala. Basterebbe così un bilancio pari al 5% del Pil europeo (laddove le percentuali, in Stati veramente federali come gli Usa, sono molto più alte) per dare sostanza a questa maggiore integrazione. Bilancio che andrebbe a coprire i seguenti capitoli di spesa: l’1% per la difesa, l’1% per la diplomazia(inclusi gli aiuti umanitari), l’1% per la ricerca e lo sviluppo, lo 0,7% per le politiche di redistribuzione sociale e regionale, lo 0,5% per il controllo delle frontiere, lo 0,5% per le Reti Trans-Europee (TEN) e lo 0,3 per l’amministrazione. Una proposta ‘leggera’ ma incisiva che potrebbe costituire il motore di quella nuova politica comunitaria verso cui il Governo Letta sembra voler tendere".
Come primo commento generale, riportiamo quanto detto sempre in Osservatorio PUD€-5:
"...in USA i trasferimenti arrivano al 33% (20% agli Stati, 13% alle municipalità) delle entrate fiscali del bilancio federale e il sostegno finanziario conseguente oscilla tra i 9 e i 30 punti di PIL per i singoli Stati. Anche negli USA i singoli Stati si noti, sono vincolati al "pareggio di bilancio", ma sempre sulla predetta condizione di trasferimenti differenziati in un range che sarebbe impensabile in Europa. E questo perchè politicamente inaccettabile nelle chiarissime e "vibranti" posizioni espresse dalla Germania.
Il bilancio federale USA, invece, è in deficit eccome: solo che ricorre alla politica monetaria "concertata" con la FED, che acquista il debito connesso al deficit-fabbisogno con vari sistemi coordinati a banche operatrici su mandato. Non bisogna poi dimenticare che negli USA il tutto si basa sulla unità di regime fiscale delle imposte a maggior gettito (altro punto inaccettabile non solo per i tedeschi, ma anche per paesi "creditori" come Olanda e Lussemburgo che fanno del dumping fiscale un punto di forza e che fuggirebbero rapidamente dall'euro zona in caso di "federalismo"-OCA "US-pattern"), nonchè su una forte mobilità della forza lavoro, e quindi, non dimentichiamolo, della stessa base imponibile".
Premettiamo che l'1% del PIL euro-zona per la difesa, supponendo una contribuzione equamente proporzionale dell'1% a carico di ciascun Stato-membro, è un decremento delle spese militari; ma non per l'Italia, peraltro, che sta allo 0,9 del PIL,("in rapporto al PIL la Gran Bretagna si posiziona al 2,3%, la Francia al 1,7%, la Germania al 1,8%, l'Italia al 0,9%, la Spagna al 0,7%...").
Decremento dunque significativo che incontrerebbe il dissenso USA per la asimmetria a suo carico evidenziata in sede NATO: il che non è un problema politico da poco. Sempre che non si vogliano acuire le tensioni con gli importanti alleati d'oltreoceano, già messe a dura prova dal deflazionismo e dalla compressione della domanda dell'eurozona. E si vorrebbe una gestione della crisi "più efficace e puntuale".
Ma su tutto il resto lasciamo la parola a Sapir, che ha seriamente calcolato il "costo del federalismo in Europa" (trad. Vocidall'estero):
I trasferimenti che si calcolano qui riguardano solo quattro paesi (Grecia, Portogallo, Spagna e Italia), e non includono gli aiuti comunitari già esistenti. Il primo punto consiste nel calcolare lo scarto accumulato in 10 anni nel campo della R&S. Questo divario ammonta, in percentuale del PIL, per ciascun paese, a:
Spagna | |
Italia | |
Portogallo | |
Grecia |
Spagna | |
Italia | |
Portogallo | |
Grecia |
Se calcoliamo un recupero su 10 anni, questo implica un trasferimento annuale dai paesi del "nord", calcolato in punti percentuali del PIL di ciascun paese, per recuperare lo scarto accumulato in spesa per R&S:
Spagna | |
Italia | |
Portogallo | |
Grecia |
Il secondo punto importante consiste nel permettere a questi paesi direcuperare nei loro sistemi di istruzione. Le spese necessarie per ridurre il numero di giovani che abbandonano la scuola con un livello più basso del 2 °ciclo di istruzione secondaria, sono stimate, ancora in punti di PIL del paese, a:
Spagna | |
Italia | |
Portogallo | |
Grecia |
Il terzo punto è quello di stabilizzare la domanda in questi paesi, perché altrimenti gli sforzi nel campo della R&S e nel campo dell'educazione non serviranno a nulla.Questa stabilizzazione della domanda può passare attraverso la ristrutturazione o costruzione di infrastrutture, ma anche sostenendo la domanda di alcune categorie della popolazione. Calcolate in punti percentuali del PIL di ciascun paese, queste spese ammontano annualmente, per un periodo di dieci anni, a :
Spagna | |
Italia | |
Portogallo | |
Grecia |
Se sommiamo queste spese, da finanziare mediante trasferimenti di bilancio dai paesi del "nord" della Zona Euro, si arriva al totale seguente, che ricordiamo è la cifra annuale calcolata sulla base di un recupero in 10 anni degli scarti di questi diversi paesi:
PIL2011 per ogni paese in Mlrd euro | ||||||
Spagna | ||||||
Italia | ||||||
Portogallo | ||||||
Grecia |
Il totale ammonta quindi a € 257,71 miliardi di euro all'anno. Questo non è il totale di tutti i trasferimenti (vi sono le esigenze di altri paesi), e non comprende il contributo comunitario (che è un costo netto per paesi come la Germania e la Francia), ma copre solo i bisogni necessari perché la zona euro possa sopravvivere,al di fuori dei bisogni finanziari immediati, che già implicano un significativo contributo di Germania e Francia."
Va quindi considerato che il bilancio ipotizzato nel citato libro non si riferisce ai trasferimenti, ma proprio alle funzioni, cioè all'ammontare globale della spesa che continuerebbero pro-quota (proporzionale) a sostenere tutti i paesi; tale bilancio, in tal modo, include anche quanto, in proporzione esatta del PIL, verrebbe ovviamente speso in Germania.
Ed allora le cifre non tornano neache un pò. Solo per recuperare il ritardo nella ricerca all'Italia e alla Spagna dovrebbero essere attribuiti oltre 3 punti del rispettivo PIL a titolo di trasferimenti, evidentemente aggiuntivi rispetto alla contribuzione. E a carico prevalentemente della Germania. E sugli altri settori le cifre sono altrettanto eloquenti.
La Bonino, invece, ipotizza 0,7 punti di PIL (europeo? eurozona? Parrebbe la prima ipotesi) per le politiche di redistribuzione sociale e regionale, cifra cui pare logico sottrarre l'attuale ammontare dei fondi UE per lo sviluppo, pari a circa 0,5 punti di PIL-UE. Il che porta l'ammontare (UE, non UEM) dei trasferimentiaddizionali appunto al rimanente 0,2%: si tratterebbe di circa...28 miliardi di intervento "puntuale ed efficace" per risolvere la crisi, e riferito a tutta l'UE!
Rimanendo nella zona UEM, più pragmaticamente, perchè questa è la posta di sopravvivenza in gioco, va detto che il relativo PIL si aggira sui 10.000 miliardi e qualchecosa.
La cifra indicata da Sapir, che include solo i calcoli su Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, e solo i trasferimenti "minimi di sopravvivenza", e, come precisa, esclude appunto i fondi europei attualmente sorretti da contribuzione, corrisponde (per i soli paesi indicati e per il limitato range di intervento ipotizzato), a oltre 2,5 punti di PIL dell'eurozona, cioè ben oltre 12 volte quanto ipotizzato dalla Bonino nel suo libro, (in quanto operato con riferimento all'intero PIL UE, che si aggira sui 14.00 miliardi di euro).
Insomma, il federalismo "leggero" (per una gestione della crisi "più puntuale ed efficace") non solo non risolve nulla, ma, permanendo le asimmetrie(di sviluppo, di fattori socio-economici, quindi di crescita) nella enorme forbice attuale, li perpetuerebbe. Fino all'inevitabile collasso.