Donne, forza donne, questi scritti sono per voi!
Qua ci sono troppi uomini che paiono troppo "prevalenti" nel prendersi a cuore questo turno della "resistenza": abbiamo bisogno soprattutto di voi. Perchè siete le più interessate sulla vostra stessa pelle. Diffondete queste riflessioni tra le altre donne: "loro" non potranno dire che siate portatrici di "violenza eversiva" se sarete voi, madri e lavoratrici, a essere le più attive. Il riscatto della democrazia costituzionale passa principalmente per voi! E la guerra dell'euro è principalmente contro di voi!
Avrei voluto farne un mero addendum, ma mentre lo scrivevo mi sono reso conto che, per richiamare l'attenzione sul tema, così fondativo del nostro Stato democratico, occorreva un apposito post. Ovviamente, per la sua evidente connessione col post di ieri, questo va letto congiuntamente.
Qua ci sono troppi uomini che paiono troppo "prevalenti" nel prendersi a cuore questo turno della "resistenza": abbiamo bisogno soprattutto di voi. Perchè siete le più interessate sulla vostra stessa pelle. Diffondete queste riflessioni tra le altre donne: "loro" non potranno dire che siate portatrici di "violenza eversiva" se sarete voi, madri e lavoratrici, a essere le più attive. Il riscatto della democrazia costituzionale passa principalmente per voi! E la guerra dell'euro è principalmente contro di voi!
Avrei voluto farne un mero addendum, ma mentre lo scrivevo mi sono reso conto che, per richiamare l'attenzione sul tema, così fondativo del nostro Stato democratico, occorreva un apposito post. Ovviamente, per la sua evidente connessione col post di ieri, questo va letto congiuntamente.
ADDENDUM DEL 7 MAGGIO: la Costituzione italiana all'art.3, comma 2, dice (lo ripeto perchè dovrebbe essere stampato a caratteri cubitali sopra le fotografie dei Presidenti della Repubblica e sopra i crocifissi nelle varie scuole):
"E' compito della Repubblica (cioè è il suo compito primario ed essenziale, come Stato, che DEVE LEGITTIMARE OGNI azione dei pubblici poteri ndr.) rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, LIMITANDO DI FATTO, la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
Partiamo dal tema di ieri.
La Costituzione ammette che gli esseri umani dovrebbero essere tutti di pari dignità sociale ed "eguali di fronte alla legge": che è il comma 1, dell'art.3.
Ma SA, senza false ipocrisie tipiche dell'età liberista (di nuovo oggi in auge, se riferita all'ossessione contra constitutionem che il lavoro sia l'unica merce soltanto soggetta alla legge della domanda e dell'offerta), che NON E' COSI' NEI FATTI.
Ed allora precisa, senza ombra di dubbio, che la nostra forma di Stato, cioè quella Repubblica democratica che non si può mutare (art.139 Cost.) ha un dovere primario, uno scopo irrinunciabile e che giustifica ogni suo altro compito. Il quale può dunque giustificarsi solo se è raccordato a questo. E cioè che occorre attivarsi, con l'insieme di tutte le istituzioni costituzionali, per rimuovere gli ostacoli che impediscono una effettiva eguaglianza.
Di questi ostacoli il primo evidenziato, sempre per scalzare l'ipocrisia dei precedenti ordinamenti, si evidenzia quello "economico" e, lo si correla alla "persona umana" nel suo sviluppo e alla "partecipazione di tutti i lavoratori" a quello che è, riassumibile, nella formula di "governo del Paese".
Allora, per rimanere in tema, l'ipocrisia riaffiorante in questi tempi, si appunta proprio sulla condizione della donna, coessenzialmente vista anche come "lavoratrice" (il che ci rinvia anche a chi lavoratrice non è, ma non "può" esserlo nonostante la sua volontà). La nuova idea di parità, nascente dal politically correct e trasfusa a piene mani nei diritti cosmetici europei, è frutto di questa ipocrita "rimozione" delle differenti condizioni economiche e sociali di partenza delle persone umane.
Non ogni donna può richiamarsi allo stesso modo alla parità, cioè alla eguaglianza sostanziale, perchè la Costituzione, è ben conscia della realtà che non si può celare se non per ipocrisia manipolatrice: lo possono fare, prima di tutte, le donne che si trovino nelle condizioni di "ostacolo economico e sociale" che ne impediscono il pieno sviluppo della persona umana, concetto che include anche quello dei figli di cui come madri hanno la cura, e di "lavoratrici".
Le altre, perciò, non possono invocare una generica condizione unificante di "donna", per reclamare lo stesso livello di rivendicazione e, prima ancora, di tutela prioritaria della loro condizione.
E questo un vizio estremamente comune tra le "notabili" che compaiono in televisione e, hanno come privilegiate prima ancora che come donne, la notorietà e la "voce" sproporzionata che gli conferisce il far parte nelle istituzioni o l' essere (molto) ben remunerate esponenti politiche e del mondo dell'informazione.
Queste donne, hanno senza grandi problemi l'accesso al settore di mercato costituito dai servizi all'infanzia, ove siano madri, e sono garantite da posizioni professionali dirigenziali o comunque molto ben guarnite di tutele legislative e contrattuali. Al più hanno dovuto combattere ostacoli culturali e psicologici, al cui superamento ha provveduto essenzialmente l'evoluzione del costume e la cui forza deterrente è stata spesso deteminante per condizioni di (privilegiata) pigrizia personale.
Quando udite richiamare la sua condizione di donna, con un certo che di allusivo e furbesco sorriso non disgiunto da una soddisfatta aggressività, da parte di una "privilegiata", specialmente in TV, ricordate che la previsione costituzionale non è proprio per loro, almeno allo stesso modo con cui lo è per chi effettivamente subisce gli ostacoli "economici e sociali" sopra detti.
Non è perciò proprio per quelle poche donne che, per condizione familiare o di matrimonio, e frequentazioni che fin dall'infanzia, a questa condizione si accompagnano, siano sempre state in grado di scegliere il proprio destino professionale e di qualità della vita.
Andate sempre a controllare il curriculum di queste donne e la storia di "classe" che, se questi curricula sono completi e non astutamente tagliati di parti determinanti dei loro autoproclamati "meriti", i loro percorsi normalmente illustrano. La omogeneità in questo senso è impressionante (di figlie o mogli o compagne di...). In Italia e in Europa.
E non vi fate ingannare dalle politiche cosmetiche lanciate in forma propagandistica per tutelare "le pari opportunità": queste sono intenzionalmente affidate a risorse fantasmatiche, che servono solo a nutrire uno stuolo di consulenti e di studiose (nella migliore delle ipotesi) che alimentano discorsi senza fine, norme senza o con ridicola copertura, e autoreferenziali e autoperpetuanti "giri" di intellettualoidi al soldo del "sogno europeo".
Quella stessa UE che al qui "ben noto" art.3, par.3, secondo alinea, del Trattato sull'Unione, dice di promuovere (non di "assumersi il compito di agire per", cosa che accomuna ciò alla presunta promozione dell'"alto livello di occupazione"), "la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra generazioni e la tutela dei diritti del minore".
Questa UE-UEM ha fallito, senza alcuno scrupolo, di far rispettare ed applicare le, ben più regolate, politiche comuni sulla tutela del lavoro, sulle politiche fiscali e di coordinamento commerciale.
E dunque certo non si preoccupa, se non con la consueta logica di qualche "fondo" irrisorio e alimentante il "giro" delle agit prop UE, che sono le uniche che sopra vi prosperano, di definire e attuare le sue politiche (cioè tutte trasversalmente) contro le discriminazioni "fondate sul sesso, la razza (c'è scritto così!) e l'origine etnica", come predicano gli artt. 9 e, ancor, più 10 del Trattato sul funzionamento UE. Che questa sia una mera aspirazione cosmetica senza alcun effetto reale nella vita delle popolazione europee, donne e bambini su tutti, colpite dalla crisi determinata dalla demenziale austerity è sotto gli occhi, anzi "sulla pelle" di tutti.
E d'altra parte, come dissero gli Andreatta e i Padoa Schioppa, e come ripete ogni volta che può ogni rappresentante della trojka europea, a cominciare da Draghi, lo Stato sociale è esattamente, per loro, il nemico da combattere. "A prescindere" da cosa diavolo risulti scritto nei trattati (che credo che ben pochi siano in grado di leggere, ammesso che li abbiano mai letti integralmente, compito che, programmaticamente, come ammettono gli Amato e gli Attali, doveva essere reso praticamente impossibile...e, ormai, di fatto completamente inutile, data la desuetudo irreversibile delle immaginarie politiche sociali UEM).
E, nel fare questa puntualizzazione, poi non mi sto nemmeno riferendo, in prima battuta, alle donne emigrate in Italia: queste, per lo più, vengono da realtà politico-sociali dove il solo trasferimento fisico nel nostro ordinamento implica un rilevante progresso della loro condizione (teorica, ma non del tutto), anche solo in virtù del primo comma dell'art.3, cioè della tradizionale enunciazione di eguaglianza formale, spesso assente, nei paesi di provenienza, nei termini inequivocabili della nostra Costituzione e della legislazione che, negli scorsi decenni (mica negli ultimi), gli ha dato attuazione.
Mi riferisco alle donne italiane non abbienti e senza voce, le "invisibili" lavoratrici, disoccupate e madri,sempre più private del minimo dei diritti fondamentali che la Costituzione, sopra ad ogni cosa, riconosce loro, appunto come lavoratrici e come doverose "partecipanti" alla organizzazione economica e sociale del paese.
E il primo che obietti che questa posizione sarebbe nazionalista e razzista è un demente, affetto da "cosmetologia" del diritto (e della logica) in forma molto grave: perchè non gli viene in mente che se non si riesce a garantire alle cittadine quel minimo irrinunciabile di dovuta azione attiva, nel senso della eguaglianza sostanziale, è del tutto, ancora una volta, ipocrita e velleitario far finta di impegnarsi per garantirlo alle donne immigrate.
Di cui spesso le più solerti sostenitrici sono infatti le donne privilegiate, "figlie, mogli e compagne di...". Ma questa, attenzione, è la logica della "carità", ideologicamente antitetica a quella dell'azione pubblica di welfare, come ben evidenziarono i massimi studiosi di scienza delle finanze, Musgrave e Samuelson.
E ciò per una questione ovvia (avendo neuroni in funzione, però) di deficit dell'intervento pubblico, cioè di spesa pubblica (tanto per non incorrere in equivoci) che legittimamente prende in esame la condizione di cittadina ma anche di "residente" (cioè "regolare") e che quindi coinvolge sempre e comunque tutte le donne.
Con la non trascurabile differenza che la spinta alla immigrazione svolge un ruolo molto evidente nelle tecniche di deflazione salariale e di tutela del lavoro della condizione femminile. E, peraltro, non solo femminile.
Questo, a sua volta è un terreno cosparso di equivoci che fanno molto comodo al PUD€: nasce prima il fatto che le donne italiane "non accettano più di svolgere certi lavori" o piuttosto che "non accettano di svolgerli DOPO che il mercato del lavoro relativo ha raggiunto, per via dell'ignobile sfruttamento del lavoro emigrato e della caduta dei redditi familiari, in 30 anni di tagli spesa pubblica per le famiglie, gli attuali livelli"?
Insomma, le donne italiane, le madri e lavoratrici che la Costituzione sapeva benissimo quanto fossero in condizione di minorazione, non hanno bisogno dei diritti cosmetici europei e del politically correct: hanno solo il diritto (da non negare più) a che si ritorni alla Costituzione del '48.