In margine al 1° maggio e al ruolo dei sindacati che, se si ha una "grande moneta", avrebbero dovuto essere un grande sindacato "europeo" (no?), per una tutela dell'occupazione di "grande respiro", riceviamo e pubblichiamo questo bel post di Sofia.
Enunciata cosmeticamente, come vedrete, proprio dall'Europa, la tutela di "grande respiro" qualcuno l'ha vista? Il "grande respiro" manca all'appello (salvo intenderlo come la naturale preparazione a un "grande dolore", che non è mancato).
Il PRIMA, DURANTE E 1 MAGGIO 2013 DEI SINDACATI.
Un contributo non indifferente allaliberalizzazione degli scambi fu dato, a partire dagli anni Cinquanta, dalla Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL) e comunque dai responsabili di quelleorganizzazioni che proprio agli inizi del decennio si costituirono nelleforme proprie del sindacalismo democratico, secondo il modello occidentale. Tale è il caso dellaCISL che venne fondata il30 aprile 1950, nel quadro delprocesso che aveva condotto, dopo la rottura della Federazione Sindacale Mondiale, ormai asservita alla Russia, alla costituzione nel dicembre del 1949 dellaConfederazione Internazionale dei Sindacati Liberi (International Confederation of Free Trade Unions – detta anche CISL Internazionale).
Sono in molti a pensare che i sindacati non abbiano avuto allora e non abbiano oggi come obiettivo la liberalizzazione degli scambi e l'unificazione dei mercati, ma anzi l'abbiano fortemente avversato (in passato soprattutto a causa della loro mentalità difensiva che li portava ad aver paura di ogni mutamento che potesse creare problemi per l'occupazione esistente). Ciò in parte è vero, ma solo per quanto attiene al sindacalismo a guida comunista di quegli anni che si oppose, pregiudizialmente, tra l'altro, sia al piano Marshall, che presupponeva tale liberalizzazione e la promuoveva, sia al piano Schumann.
Ma se pensiamo alla Confederazione Internazionale del Sindacati Liberi e alla CISL in Italia la conclusione è assolutamente diversa e per dimostrarlo basta fare riferimento a due avvenimenti.
Il primoè la decisione, da parte del Consiglio generale della CISL, che si riunisce in Roma il 24 giugno 1954, di includere nel documento programmatico della nuova confederazione una dichiarazione a favore della liberalizzazione degli scambi; il secondo è la discussione alla Camera (1uglio 1957) sulla ratifica del Trattato di Roma, istitutivo del Mercato Comune Europeo (MEC), nel corso della quale intervenne in rappresentanza della CISL, in quanto membro del Parlamento, Giulio Pastore.
La presa di posizione a favore della liberalizzazione degli scambi si realizza nella parte della mozione programmatica approvata dal Consiglio generale che si riferisce all'avvenire del sindacalismo, ove si dice che l'associazione sindacale deve riconsiderare la sua natura e la sua azione "alla luce dei nuovi rapporti, economici e politici, che sono maturati nel processo di trasformazione del sistema capitalistico".
Sostanzialmente si agisce sull’allargamento della sfera d'azione del movimento sindacale. Una delle direzioni di questo progressivo allargamento avviene nella società internazionale nella quale il movimento sindacale si sente chiamato ad agire "sviluppando un processo di unificazione mondiale attraverso la solidarietà operaia, che si manifesta nella lotta contro le strutture economiche e politiche che impediscono una migliore ripartizione della ricchezza e nell'azione di solidarietà attiva che deve essere la pietra angolare del movimento sindacale".
Segue, nel documento, la riflessione sui "nuovi problemi" che il sindacato è chiamato a risolvere, e sui nuovi compiti, quindi, che il sindacato è chiamato ad assolvere. Fra questi problemi vi sono, con grande evidenza, "l'unificazione economica dei mercati" e la "liberalizzazione del commercio mondiale".
Ed è per risolvere questi problemi che il Consiglio generale della CISL, da poco costituita, prende posizione sulla liberalizzazione degli scambi, dichiarando che "essa intende affermare il proprio convincimento che i processi di liberalizzazione e di unificazione dei mercati possono attuarsi con un minimo disagio per i lavoratori, ove siano accompagnati da tempestive provvidenze internazionali e che, in ogni caso, il mantenimento dell'attuale struttura dei mercati non rappresenta, per i lavoratori, un sacrificio meno grave di qualunque altro relativo al loro allargamento".
Comunque la CISL ritiene che "i movimenti sindacali dei vari paesi sono in grado, mediante un' azione solidale sul piano interno e sul piano internazionale, di controllare il processo di unificazione dei mercati, in modo da evitare i riflessi dannosi per il tenore di vita dei lavoratori".
Nelsecondo avvenimento, la questione della liberalizzazione degli scambi e della unificazione dei mercati è inserita nel discorso che Pastore fa in Parlamento, nel dibattito sulla ratifica del Trattato di Roma, sui vantaggi che l'economia italiana trarrà dalla realizzazione di un mercato unico europeo.
Pastore risponde alle obiezioni di coloro che criticano il Trattato e non vorrebbero ratificarlo accusandolo di "trionfo dell'automatismo del mercato". Gli accordi di Roma, invece, - secondo Pastore- rappresentano un nuovo punto di partenza nel continuo sviluppo di quelle esperienze di economia mista che ormai da parecchi decenni caratterizzano il mondo libero. Naturalmente occorre che contemporaneamente "leattese della classe lavoratrice italiana siano tenute nel massimo conto". Pastore non minimizza le previsioni meno positive formulate in ordine all'attuazione del Trattato, ma riduce tutto alle possibili problematiche legate all’adeguamento della nostra politica generale.
E quindi se da un lato ritiene che i lavoratori sono i soggetti più disponibili ad assumere le nuove responsabilità che derivano dai processi di liberalizzazione e di privatizzazione in atto in Europa e in Italia, dall’altro avverte che i sindacati saranno molto attenti a considerare le responsabilità politiche del processo in corso[1].
Dopo Maastricht cosa succede a livello di politica sociale?
Già nel 1992, i governi che avevano approvato la Carta sociale (11 per l’esattezza) decisero di annettere al Trattato di Maastricht un "Protocollo sociale" al fine di consolidare nel Trattato le iniziative di politica sociale. Con il Trattato di Amsterdam (giugno 1997) i paesi aderenti si impegnano a rafforzare l'azione sociale dell'Unione individuando nell'occupazione un impegno prioritario.
Con il vertice straordinario di Lussemburgo, del 20 e 21 novembre 1997, per la prima volta il Consiglio europeo si dedica esplicitamente al problema dell'occupazione dando avvio ad una strategia europea coordinata a favore dell'occupazione, che poggia su tre elementi: una serie di linee direttrici per la creazione di posti di lavoro, un metodo ispirato a quello utilizzato per la convergenza economica e un rafforzamento della cooperazione con le parti sociali europee.
Viene ribadita, inoltre, l'importanza del dialogo sociale nel tentativo di far sedere intorno ad un tavolo, per condurre trattative a respiro europeo volte a raggiungere posizioni comuni, tutte le parti sociali e cioè la Confederazione europea dei sindacati (CES- o ETUC - European Trade Union Confederationnasce nel 1973 e attualmente ne fanno parte 85 Confederazioni sindacali nazionali provenienti da 36 Paesi europei, e 10 Federazioni industriali europee, per un totale di circa 60 milioni di tesserati), l'Unione delle confederazioni dell'industria europea (Unice - Organizzazione, fondata nel 1959, cui aderiscono le associazioni dei datori di lavoro degli Stati membri dell’Unione europea e dell’EFTA), il Centro europeo delle imprese a partecipazione statale (Ceep- associazione a carattere multinazionale che riunisce le imprese pubbliche e a “partecipazione pubblica”, nonché le organizzazioni da esse create, dei Paesi della Comunità europea, si configura più come un punto di riferimento culturale di tali imprese che come una organizzazione rappresentativa degli interessi dei propri associati), e infine, a livello ultraeuropeo, CSI- Confederazione Internazionale dei Sindacati o ITUC- International Trade Union Confederation costituita nel 2006 rappresenta 175 milioni di lavoratori di 311 organizzazioni affiliate di 155 paesi del mondo.
Tanto che nel trattato di Amsterdam (art. 139) la consultazione dei partner sociali ha acquisito un carattere obbligatorio. Se si esaminano le varie materie o problematiche sulle quali il Consiglio deve esprimersi, emerge subito che il problema disoccupazione è solo accennato. Si stabilisce infatti che il Consiglio decide all'unanimità (!) sui contributi finanziari che mirano alla promozione dell'occupazione e alla creazione di posti di lavoro: ovviamente si tratta di fondi al di fuori del (cosmetico) Fondo sociale.
E già solo questo è sufficiente a dimostrare come solo le politiche cosmetiche che ruotano intorno al lavoro sono e possono essere oggetto di attenzione da parte della UE, non certo le politiche dell’occupazione.
E d’altra parte come si concilierebbero politiche dell’occupazione con la drastica riduzione dei salari, le nuove tasse, la riduzione delle pensioni, l'ulteriore smantellamento dei sistemi di sicurezza sociale che sono state promosse con il pretesto della crisi ma che invece sono state decise sulla base dei trattati europei?
Si tratta del "consueto" abbandono della Curva di Philips da parte dei soggetti che avrebbero più di tutti interesse a difenderne la versione keynesiana, quella su cui non incide la fandonia delle aspettative razionali.
E come non vedere che a queste misure (c.d. di austerità), solo per (dis)onor di firma fingono di opporsi i movimenti sindacali, quando invece questi:
-hanno avviato un dialogo ufficiale con l'Unione Europea e le altre organizzazioni commercial-imperialiste da decenni;
- hanno collaborato e concordato con i monopoli le misure antipopolari da adottare in ciascun paese;
- hanno siglato accordi, accuratamente separati in ciascuna realtà nazionale, accentuando la non cooperazione e la concorrenza tra lavoratori dei vari paesi UEM, per ridurre salari e pensioni, consentendo licenziamenti e agevolazioni fiscali per il capitale;
- hanno proposto rivendicazioni funzionali al profitto dei padroni, sposando la linea della redditività del capitale e della competitività, sposando la teoria delle "aspettative razionali", in luogo del legame tra disoccupazione crescente e deflazione che si sta tragicamente confermando;
- hanno smorzato le lotte dei lavoratori, accentuato forme di collaborazione con cessioni negoziali unilaterali dell’autonomia collettiva ed hanno avuto quale scopo principale quello di controllare la reazione dei lavoratori e, ancor più, di manipolare i loro convincimenti.
Come siano andate le cose in Italia è sotto gli occhi di tutti. Nonostante le parole di Pastore, “i riflessi dannosi per il tenore di vita dei lavoratori" ci sono stati eccome (!), e il grande impegno e la lotta dei sindacati per impedirli non lo ha visto nessuno. Solo parole di circostanza, slogan e manifesti, propaganda e lucidatura di diritti cosmetici. Ed il silenzio sulla natura della crisi: debito privato da squilibri commerciali e calo della domanda, outputgap e mancati investimenti dovuti al "vero" dividendo dell'euro.
Su tutto: dove è stato il controllo o l’azione dei sindacati associati a livello europeo sull’operato politico, affinchè fossero rispettate le aspettative dei lavoratori conseguenti al trattato di Maastricht (quale prospettato da Pastore)? E tanto per limitarsi al periodo più recente, dove sono stati i sindacati nel periodo del governo Monti, quando è stata emanata la riforma Fornero che adesso il neoministro del Welfare Enrico Giovannini annuncia di voler cambiare perché coerente per una economia in crescita, ma non adatta ad una economia in recessione?
E dove sono stati in tutto il periodo di stallo fino alle recenti elezioni e dopo, alla formazione del Governo Letta?
E adesso?
Ci voleva giusto la festa del 1 maggio per riesumarli. Una festa anch’essa piena di contraddizioni, una festa per i lavoratori, ma che, nell’ottica di favorire il consumismo anziché privilegiare il diritto al lavoro, non impedisce ai centri commerciali di chiudere.
E cosa sentiamo dire ai maggiori rappresentanti dei gruppi sindacali riuniti a Perugia il 1 maggio? I soliti slogan e le solite promesse (nonché mere critiche alle forze politiche, senza menzionare mai l'€uro-pa) contro la crisi economica, le politiche di austerità, la disoccupazione, senza alcuna connessione alle ragioni storico-economiche, per prima la mitologia dell’euro e della deflazione, che hanno determinato la situazione in cui ci troviamo, nonchè alle responsabilità connesse all’ostinato silenzio su questi aspetti, di cui si sono accorti, fuori dall'Italia, tutti ma proprio tutti: e fin dall’inizio della vicenda .
E quindi sentiamo la Camusso ribadire che occorre aumentare la lotta all'evasione fiscale e che le risorse disponibili recuperate devono essere utilizzate per la creazione di lavoro. Così come le sentiamo dire anche che: “Gli anni che abbiamo alle spalle sono stati caratterizzati da una folle rincorsa alla svalorizzazione del lavoro. Una rincorsa miope che ha contribuito non poco ad aggravare la crisi in cui siamo precipitati. La preferenza a speculare in borsa piuttosto che a investire, una competizione basata sulla riduzione dei costi invece che sulla ricerca e l’innovazione, il ricorso costante e perverso alla precarietà e ai bassi salari, sono le facce di un’idea sbagliata di economia e di un’idea mercificata del lavoro, che hanno fatto sparire dal gergo comune parole come dignità, sicurezza, identità delle persone”: ma dove erano i sindacati quando avvenivano le politiche di deflazione salariale e l’abnorme ricorso al precariato? E soprattuto, perchè non ne hanno MAI INDIVIDUATO le vere cause, mentre agivano sotto i loro occhi?
E non poteva mancare Bonanni, il più capace a non dire niente: Occorre un impegno "straordinario" e da parte di tutti per difendere l'occupazione e frenare la disoccupazione. Sì, col "pareggio di bilancio" in Costituzione e il credit crunch, figli dell'euro, che attanagliano intervento pubblico e il minimo di ossigeno alle imprese.
Insiste sulla necessità di abbassare le tasse sui lavoratori dipendenti, i pensionati e le imprese che investono ed assumono. E chiama tutti i lavoratori a raccolta per affrontare con coraggio una situazione che non si affronta con scaricabarili (da che pulpito!). “Senza lavoro una persona non ha dignità, non ha libertà”. Ma si guarda bene dal menzionare Maastricht e la folle rincorsa al saldo primario pubblico, impostaci per ripagare gli interessi sul debito dilatatosi a seguito del divorzio tesoro-bankitalia.
Luigi Angelettidella Uil la dice ancora più grossa: "I tre milioni di disoccupati che oggi si contano in Italia sono frutto non di una generica crisi internazionale. Su questi pesa la responsabilità delle scelte di politica economica fatte in questo Paese". In questo paese? Perché non riescono a pronunziare la parola Maastricht e la contrarietà alla Costituzione di tutta la sua impalcatura, aggravata dall’inadempienza della tutela sindacale, ove mai concertata compattamente a livello europeo?
E Giovanni Centrella, segretario generale dell'Ugl: "Tutti dobbiamo fare la nostra parte, dal sindacato alle imprese, dalla politica alle istituzioni, ma lo dobbiamo fare avendo scelto e condiviso lo stesso obiettivo".
Appunto! L’ obiettivo, loro, ce l’hanno ed è pure condiviso………………
[1] Vincenzo Saba, presidente della Fondazione Pastore, “Il ruolo dei sindacati nella costruzione europea” in “un secolo difficile – riflessioni sul 900 – Avagliano editore 2000