Sempre attento e intuitivo, Lorenzo Carnimeo, nei commenti del precedente post, mi segnala un Krugman in grande spolvero che ci spiega l'arrivo al capolinea del modello economico cinese basato su un incredibile livello di investimenti e senza un coerente sostegno ai consumi. Che è poi una rivincita del ruolo della domanda interna, rispetto all'ossessivo mito (tedesco-euroitaliota) della "competitività", nel dar luogo ad una crescita stabile e, in definitiva, alla stessa "stabilità finanziaria" (concetto sfuggente, ma che alla fine, in UEM più che mai, si risolve nei cittadini che pagano le tasse, o, peggio, si vedono tosare i depositi, per sostenere i vacillanti patrimoni bancari).
Lorenzo mi chiede: "Vado a intuito: che i fattori esogeni siano qui?", cioè nell'irrompere del fattore "C", come Cina.
Risposta: "La "versione" di Krugman è interessantissima.
Riguardo ai "tempi" dei fattori esogeni, dalla situazione Cina possiamo sperare in un'accelerazione.
In particolare, quanto questo possa influire su cruccoland, che, a scapito degli USA, voleva integrarsi in una maxieconomia, con divisione delle lavorazioni, con la Cina.
Paradossalmente, la crisi cinese, proprio per la legge dei rendimenti decrescente indicata da K., favorirebbe l'Italia e la competitività relativa delle sue produzioni. E metterebbe ancor più in ginocchio i crukki ove riavessero il marco: traduzione, la situazione cinese aumenta vertiginosamente la (teorica) forza negoziale italiana in UEM.
Ma non se rimane nell'euro ancora a lungo.
Ma alla luce di quanto riportato nel post, cioè delle differenti forme di irrealismo italico, (dal Cavaliere a Piga, che "teme" la dissoluzione dell'euro ma poi, contraddittoriamente, lamenta che continuiamo a seguire le politiche fiscali imposteci dall'europa...per conservare l'euro!), la concreta ed effettiva speranza rimane che l'interesse italiano, che la classe dirigente italiana ignora, coincida con quello USA ad un atterraggio morbido della nuova crisi che si prospetta a livello mondiale..."
Il problema, però, è che la posizione USA non appare sempre coerente e concreta, nel manifestare il proprio "interesse". Almeno nei passi intrapresi "ufficialmente", incluso il G20.
Noi abbiamo visto come la logica dello "sbarco in Sicilia" appaia come una sorta di elemento catalitico (se non catartico), capace di sbloccare proprio l'incapacità della nostra classe politica a sfruttare quella "forza negoziale" che, di per sé, prescinderebbe da un diretto intervento USA (basterebbe svolgerci un dialogo chiaro e serio per assicurarsene l'appoggio: anche perchè la nostra riappropriata competitività, fuori dal vincolo valutario, investirebbe anche la loro stessa economia).
Stando così le cose, può essere interessante questo intervento del ministro del tesoro USA, Jack Lew, in esito alla sua visita in Grecia. Cosa ci suggerisce? Che certamente gli USA si rendono conto del "blocco" economico globale imposto dalla "fortezza Bastiani-Europa" a tutto il mondo, in termini di austerity.
Una presa di posizione che, come abbiamo visto, è assunta compattamente, anche nei paesi "debitori", al di fuori quindi della interessata Germania, non tanto per ragioni esclusive di ricerca della competitività (cioè il mito dell'intera UEM che esporta come la Germania, una fandonia che serve a mettere la carota, sotto il naso delle masse che si illudono della praticabilità di tale modello, laddove la "carota", in realtà, finisce ben lontano dal naso...), quanto per una ragione "sentimentale". Cioè fare dell'UEM il luogo idealizzato del "meraviglioso mondo di von Hayek". E vivere per sempre felici e libero scambisti con uno Stato minimo e un bel salario di cittadinanza.
Ma torniamo a Jack Lew. Da un lato, egli appare ben consapevole della "congiuntura" che si incardina nel mondo partendo dall'Europa, dall'altro, però, non pare voler smuovere le acque con frontali contrapposizioni con la governance euro-crucca; forse anche perchè il confronto di svolge tutto nella sotterranea frizione sulle questioni bancarie "tedesche" negli USA.
Sia come sia, il punto di emersione di un certo "cerchiobottismo" all'americana, viene proprio dal tenore di questa dichiarazione:
"Engagement with Europe remains at the top of my agenda, because US jobs and growth are inextricably linked to Europe achieving growth and prosperity.” He also added that expansion and job creation will be a “key focus for the road ahead".
In Athens, Lew met Greek Prime Minister Antonis Samaras and Finance Minister Yannis Stournaras in order to discuss economic recovery and job creation. Following the meetings, the US Treasury Secretary said about Greece: "We recognize the difficult decisions and sheer sacrifices made by Greece in the past few years, as well as the challenges that remain. Continued reform will be essential to laying the foundations for future growth”.
Ma Lew, crede veramente che "la crescita e la creazione di lavoro USA siano inestricabilmente connesse con il raggiungimento della crescita e della prosperità in Europa"?
No, perchè se così fosse, prendendo atto delle impostazioni nettamente diverse intraprese dalla sua Amministrazione per il rilancio dell'economia USA rispetto alla inflessibile "austerity" UEM, qualche conclusione la potrebbe trarre. Non dico che dovrebbe creare un incidente diplomatico, con i difficili interlocutori euro-germanici: ma almeno NON DIRE che la "prosecuzione delle "riforme" ("all'europea") sarà essenziale per gettare le fondamenta della futura crescita".
E non solo non dirlo ai greci, ma a tutti gli europei.
Di fondo, c'è sempre il pregiudizio americano sul mercato del lavoro europeo; troppo vincolato, troppo sindacalizzato, e troppo "rischioso" agli occhi di chi è, però, abituato a tutta un'altra tendenza (e che non conosce, neppure nella crisi, i livelli di disoccupazione registrati in Europa).
Ma non disperiamo: la buona notizia, almeno, è che segnalare, ora, e proprio in concomitanza con la situazione di forte raffreddamento cinese, la interconnessione dell'economia USA e di quella europea, lascia pensare che altre più esplicite mosse possano presto essere intraprese.
Anche perchè il neo-reflazionismo giapponese, ampiamente vincitore alle recenti elezioni, non pare dispiacergli. Almeno, loro, la crescita ci stanno provando veramente a perseguirla. E Jack Lew lo dovrebbe sapere fin troppo bene.
Certo, per gli USA, l'Italia rimane una sorta di "mistero buffo": speriamo solo che non puntino a ritenere che, in questa situazione, la "cura" possano essere gli attuali protagonisti della fase di svendita e deindustrializzazione, proni all'Europa.
Se così fosse, rischiano, anche gli stessi USA, un brusco risveglio sulle aspettative che l'Europa possa mai raggiungere una ripresa, in tempi utili a scongiurare nuovi shock mondiali. Piuttosto, l'Europa, ben lungi dal pensare a rimediare alle cause della sua crisi, si sta inventando idee sempre nuove per il caro vecchio colonialismo, in salsa privata (in fondo nel XVII secolo è nato proprio così), ripetendo, nella stessa formula, ma saltando le banche, il "gioco dell'OCA".
Lorenzo mi chiede: "Vado a intuito: che i fattori esogeni siano qui?", cioè nell'irrompere del fattore "C", come Cina.
Risposta: "La "versione" di Krugman è interessantissima.
Riguardo ai "tempi" dei fattori esogeni, dalla situazione Cina possiamo sperare in un'accelerazione.
In particolare, quanto questo possa influire su cruccoland, che, a scapito degli USA, voleva integrarsi in una maxieconomia, con divisione delle lavorazioni, con la Cina.
Paradossalmente, la crisi cinese, proprio per la legge dei rendimenti decrescente indicata da K., favorirebbe l'Italia e la competitività relativa delle sue produzioni. E metterebbe ancor più in ginocchio i crukki ove riavessero il marco: traduzione, la situazione cinese aumenta vertiginosamente la (teorica) forza negoziale italiana in UEM.
Ma non se rimane nell'euro ancora a lungo.
Ma alla luce di quanto riportato nel post, cioè delle differenti forme di irrealismo italico, (dal Cavaliere a Piga, che "teme" la dissoluzione dell'euro ma poi, contraddittoriamente, lamenta che continuiamo a seguire le politiche fiscali imposteci dall'europa...per conservare l'euro!), la concreta ed effettiva speranza rimane che l'interesse italiano, che la classe dirigente italiana ignora, coincida con quello USA ad un atterraggio morbido della nuova crisi che si prospetta a livello mondiale..."
Il problema, però, è che la posizione USA non appare sempre coerente e concreta, nel manifestare il proprio "interesse". Almeno nei passi intrapresi "ufficialmente", incluso il G20.
Noi abbiamo visto come la logica dello "sbarco in Sicilia" appaia come una sorta di elemento catalitico (se non catartico), capace di sbloccare proprio l'incapacità della nostra classe politica a sfruttare quella "forza negoziale" che, di per sé, prescinderebbe da un diretto intervento USA (basterebbe svolgerci un dialogo chiaro e serio per assicurarsene l'appoggio: anche perchè la nostra riappropriata competitività, fuori dal vincolo valutario, investirebbe anche la loro stessa economia).
Stando così le cose, può essere interessante questo intervento del ministro del tesoro USA, Jack Lew, in esito alla sua visita in Grecia. Cosa ci suggerisce? Che certamente gli USA si rendono conto del "blocco" economico globale imposto dalla "fortezza Bastiani-Europa" a tutto il mondo, in termini di austerity.
Una presa di posizione che, come abbiamo visto, è assunta compattamente, anche nei paesi "debitori", al di fuori quindi della interessata Germania, non tanto per ragioni esclusive di ricerca della competitività (cioè il mito dell'intera UEM che esporta come la Germania, una fandonia che serve a mettere la carota, sotto il naso delle masse che si illudono della praticabilità di tale modello, laddove la "carota", in realtà, finisce ben lontano dal naso...), quanto per una ragione "sentimentale". Cioè fare dell'UEM il luogo idealizzato del "meraviglioso mondo di von Hayek". E vivere per sempre felici e libero scambisti con uno Stato minimo e un bel salario di cittadinanza.
Ma torniamo a Jack Lew. Da un lato, egli appare ben consapevole della "congiuntura" che si incardina nel mondo partendo dall'Europa, dall'altro, però, non pare voler smuovere le acque con frontali contrapposizioni con la governance euro-crucca; forse anche perchè il confronto di svolge tutto nella sotterranea frizione sulle questioni bancarie "tedesche" negli USA.
Sia come sia, il punto di emersione di un certo "cerchiobottismo" all'americana, viene proprio dal tenore di questa dichiarazione:
"Engagement with Europe remains at the top of my agenda, because US jobs and growth are inextricably linked to Europe achieving growth and prosperity.” He also added that expansion and job creation will be a “key focus for the road ahead".
In Athens, Lew met Greek Prime Minister Antonis Samaras and Finance Minister Yannis Stournaras in order to discuss economic recovery and job creation. Following the meetings, the US Treasury Secretary said about Greece: "We recognize the difficult decisions and sheer sacrifices made by Greece in the past few years, as well as the challenges that remain. Continued reform will be essential to laying the foundations for future growth”.
Ma Lew, crede veramente che "la crescita e la creazione di lavoro USA siano inestricabilmente connesse con il raggiungimento della crescita e della prosperità in Europa"?
No, perchè se così fosse, prendendo atto delle impostazioni nettamente diverse intraprese dalla sua Amministrazione per il rilancio dell'economia USA rispetto alla inflessibile "austerity" UEM, qualche conclusione la potrebbe trarre. Non dico che dovrebbe creare un incidente diplomatico, con i difficili interlocutori euro-germanici: ma almeno NON DIRE che la "prosecuzione delle "riforme" ("all'europea") sarà essenziale per gettare le fondamenta della futura crescita".
E non solo non dirlo ai greci, ma a tutti gli europei.
Di fondo, c'è sempre il pregiudizio americano sul mercato del lavoro europeo; troppo vincolato, troppo sindacalizzato, e troppo "rischioso" agli occhi di chi è, però, abituato a tutta un'altra tendenza (e che non conosce, neppure nella crisi, i livelli di disoccupazione registrati in Europa).
Ma non disperiamo: la buona notizia, almeno, è che segnalare, ora, e proprio in concomitanza con la situazione di forte raffreddamento cinese, la interconnessione dell'economia USA e di quella europea, lascia pensare che altre più esplicite mosse possano presto essere intraprese.
Anche perchè il neo-reflazionismo giapponese, ampiamente vincitore alle recenti elezioni, non pare dispiacergli. Almeno, loro, la crescita ci stanno provando veramente a perseguirla. E Jack Lew lo dovrebbe sapere fin troppo bene.
Certo, per gli USA, l'Italia rimane una sorta di "mistero buffo": speriamo solo che non puntino a ritenere che, in questa situazione, la "cura" possano essere gli attuali protagonisti della fase di svendita e deindustrializzazione, proni all'Europa.
Se così fosse, rischiano, anche gli stessi USA, un brusco risveglio sulle aspettative che l'Europa possa mai raggiungere una ripresa, in tempi utili a scongiurare nuovi shock mondiali. Piuttosto, l'Europa, ben lungi dal pensare a rimediare alle cause della sua crisi, si sta inventando idee sempre nuove per il caro vecchio colonialismo, in salsa privata (in fondo nel XVII secolo è nato proprio così), ripetendo, nella stessa formula, ma saltando le banche, il "gioco dell'OCA".