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BANCHE, CONCORRENZA E...ULLALA', "AIUTI DI STATO"

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I monopoli non piacciono all'UE? La questione è di quelle che lascia perplessi, ma in sostanza si riduce a osteggiare quelli "pubblici", cioè quelli che, nella sostanza che li aveva giustificati, rispondevano all'interesse pubblico di consentire controllo tariffario (in funzione di politiche sociali, mica per abusare della rendita, art.43 Cost.) e condizioni di universalità e parità di accesso al servizio. E abbiamo visto, nonostante le obiezioni dei "teorici", quali siano le origini ideologiche di questa concezione UE del "monopolio". (Cfr; punto 6).

Gli oligopoli, invece, sono quelli che corrispondono, in varie graduazioni, a posizione "dominanti": questi sono malvisti dal diritto concorrenziale UE in quanto diano luogo ad "abuso" (art.102 TFUE).
Anche qui, non sono proibiti in sè (pur ammettendosi l''esistenza di una rendita), ma in quanto alterino la concorrenza, cioè in quanto l'interesse violato sia quello degli altri concorrenti del settore considerato, che vedrebbero "troppo" ristretto l'accesso al mercato ovvero compresse le loro potenziali quote nello stesso.
Il "troppo" è un concetto assai lato: dipende, in effetti, dalla forza finanziaria del competitore che si lamenta.
Il concetto è quello di "workable competition": in tutto il mondo (a cominciare dagli USA, dove questo concetto è nato nella giurisprudenza della Corte Suprema) coloro che, come volevano i neo-classici, fanno "regolazione sul mercato", ritengono che l'interesse da privilegiare sia quello dell'offerta, dato che si ritiene che la grande dimensione dell'impresa consenta risparmi di scala nei costi e innovazione tecnologica, presumendosi che l'innovazione di prodotto e di processo siano proprie essenzialmente degli "incumbents" in ciascun settore. Gli altri operatori, in specie le PMI, non sarebbero "all'altezza", per presunzione assoluta. Da qui la leggera difficoltà in cui incorrono le PMI, schiacciate sempre più dalla "regolazione" UE, volta a privlegiare la "qualificazione" dell'operatore di dimensioni, organizzative e finanziarie, più consistenti.

Ma sopra ad ogni cosa, la concorrenza viene tutelata contro il grande "mostro" dell'era UE, post Maastricht: lo Stato.
Gli "aiuti di Stato" sono indubbiamente l'aspetto concorrenziale di cui maggiormente si tiene conto a livello di Commissione: quest'ultima è l'organo antitrust e di tutela della concorrenza "europeo", niente affatto caratterizzato dalla mitica "indipendenza" (dall'Esecutivo, secondo lo schema USA), ma la distinzione, rispetto a un organo con ruolo governativo parapolitico, ma politicamente irresponsabile e legittimato da un preteso tecnicismo, è chiaramente di "lana caprina".

Abbiamo visto come il concetto di "aiuto di Stato, non sia affatto mutato, nella mentalità della Commissione e della pedissequa Corte di giustizia (....) europea, dopo l'introduzione della moneta unica: pur essendo, tale miope mancanza adeguamento, portatrice di distorsioni che danno il via libera a ogni atteggiamento della Germania in violazione della "causa" cooperativa dei trattati.
L'inghippo sta nel requisito, per considerare indebito l'aiuto di Stato, della c.d. "settorialità". Riproponiamo la nostra analisi del punto (che riguarda le politiche generali della Germania):
"La settorialità, infatti, e quindi la violazione del divieto di aiuto di Stato, può considerarsi decisiva solo se si prosegua a considerare i meccanismi monetari precedenti alla moneta unica, fingendone la attuale operatività.
E quindi, per converso, risulta essere proprio la "generalità" dell'"aiuto" ad essere superata come ragione di sua giustificabilità, nel meccanismo di interdipendenza commerciale di una moneta unica.
Questo stesso carattere "generale" giustificatore, tenuto in piedi come un simulacro del tutto anacronistico, viene in effetti ancora oggi legittimato non scorgendo un disegno di alterazione della concorrenza che può emergere, cosa che la Corte vuole ignorare, solo esaminando l'andamento generale dei mercati, non settore per settore.

In una area valutaria, l'esame va necessariamente compiuto in base al "complesso" degli squilibri commerciali effettivamente imputabili a quella misura fiscale.
E ciò specialmente quando, in modo significativo, come nel caso della Germania, una misura si debba ritenere, per il suo obiettivo effetto sui tassi di cambio reale, intenzionalmente non coordinata con gli altri Stati aderenti all'UEM e dannosa per essi, in quanto non giustificata da alcuna situazione congiunturale considerata proprio dal par.2 dell'art.107, (cioè, anzitutto dal grave turbamento dell'economia).

E infatti, in concreto, un governo è perfettamente in grado di preventivare e orientare verso l'export, anche attraverso politiche apparentemente generali di fiscalità, proprio i settori complessivi che ne fanno esplicita richiesta, componendo un quadro di contatti politici che non può non essergli noto in anticipo e che tengono conto, appunto, in anticipo, del funzionamento dei tassi di cambio reale in un'area a moneta unica.

Analoghe considerazioni valgono per i fenomeno del credito alla esportazione, quando esso raggiunga livelli di valore quali quelli tedeschi, e, ancora una volta, si collochi nelle dinamiche della moneta unica, che non potevano e non dovevano essere ignorate nè nel comportamento di "buona fede" nell'esecuzione dei trattati che doveva seguire la Germania, nè dall'esame concretamente devoluto alla (inutile) Corte di Giustizia, che non pare obiettivamente avere le competenze per gestire con la dovuta oculatezza le difficoltà già insite nella voluta imperfezione della disciplina UEM".
Le alterazioni "Hartz" e del credito all'esportazione sono state assunte sotto la plastica categoria (che non piace ai teorici, ma descrive una inevitabile "realtà") di "von Hayek per fessi". Dove i "fessi", a scanso di equivoci, sono gli italioti convinti assertori del "vincolo esterno".


Il settore bancario, poi, è quello che, essendo affidata la vigilanza di settore alle banche centrali nazionali, e non essendo completato il passaggio alla BCE della vigilanza "strategica" su tutto il sistema bancario UEM, soffre della maggior disattenzione possibile da parte della Commissione quanto al colpire posizioni di mercato abusive, "intese" restrittive della concorrenza (sanzionate in termini ridicoli),e oligopoli che si allargano in funzione della, talvolta misteriosa, capacità di espansione di certi istituti.
Ma gli "aiuti di Stato", quelli no: quelli la Commissione, anche rispetto al sistema bancario, non li può tollerare.
La dimostrazione?
Almunia, il commisssario UE alla concorrenza, subito se la prende con l'aiuto italiano, dato dal governo Monti, al Monte dei Paschi di Siena.
"Per Bruxelles il piano di ristrutturazione di Mps e' troppo morbido sul fronte dei compensi dei manager, il taglio dei costi e il trattamento dei creditori'' e senza modifiche ''urgenti'' il commissario alla concorrenza, Joaquin Almunia, aprira' una procedura di infrazione della durata di sei mesi che potrebbe portare a sanzioni o al rimborso forzato dei 3,9 miliardi di Monti bond. Lo scrive il Financial Times dando notizia di una lettera di Almunia al ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni datata 16 luglio."

Tutto regolare, allora?
Mica tanto. L'Italia si ritrova, ancora una volta, nella posizione di Fantozzi: "subisce ancora". Sempre e comunque.

Tralasciamo, per carità di Patria (è proprio il caso di dirlo), il caso dei salvataggi tedeschi alla propria industria bancaria: ne abbiamo parlato molte volte.
E' interessante il secondo "lato" del "von Hayek per fessi", quello francese.
L'Italia è sotto procedura di infrazione per 3,9 miliardi di "Monti bond", cioè per il soccorso finanziario (che incrementa il debito pubblico, sia chiaro) dato a MPS.
E' "divertente", vedere il diverso atteggiamento della Commissione sui salvataggi bancari francesi, per dimensioni incomparabilmente superiori al caso MPS; e non certo meno recenti, cioè non considerabili sotto l'occhio post-Cipro ora usato dalla Commissione.
Facciamo un piccolo elenco dei "via libera" della Commissione rispetto alle operazioni di Hollande e, soprattutto, Banque de France (quella che "certifica", nel sistema STEP, il francesissimo mercato Euroclear, senza che la BCe si disturbi a "vigilare" troppo):
- per Credit Immobilier de France, nel febbraio 2013, la Commissione ha avallato un salvataggio sotto forma di garanzie pubbliche (equivalenti in teoria a debito pubblico, come gli stessi Monti bonds), per 16 miliardi;
- per Banque PSA, banca aziendale del realtivo gruppo automobilistico, sono state fornite analoghe garanzie per 7 miliardi. La Commissione, sempre a febbraio, ha fornito il suo consenso anche a questa operazione (che finanzia in sostanza la ristrutturazione anche del gruppo automobilistico e ha ridato "accesso ai mercati" all'istituto bancario);
- il gruppo franco-belga Dexia ha utilizzato garanzie pubbliche per 72 miliardi, che nell'anno in corso dovrebbero scendere (non si sa come) a 33 miliardi, mentre lo Stato francese ha finora fornito garanzie per, pensa tu, 39 miliardi (il che porta il tutto, pur sempre, a 10 volte il volume di intervento italiano su MPS). Che fa la Commissione? All'inizio del 2013 ha autorizzato la terza tranche di salvataggio, che dà allo Stato francese la qualità di azionista (obbligato a sostenere il previsto aumento di capitale di 5,5 miliardi), al 50,02%.

L'Eliseo cosa fa? "Minimizza e smentisce", ma i tre salvataggi (limitandosi a questi), fino ad ora, gli sono costati circa 65 miliardi (miliardo più miliardo meno; tanto c'è Euroclear a tenere in piedi la baracca con liquidità nuova, in euro, della BCE).

Insomma, Commissione "inflessibile" con l'Italia: tanto in effetti, l'euro pare che ce l'abbiamo solo noi, mica più la Francia. E siamo pure euro-entusiasti.

ADDENDUM: la questione si fa quasi esilarante.
Secondo questa fonte, Almunia ritiene censurabili 6 punti del piano di ristrutturazione. Non la decisione di predisporlo in sè. Tra questi 6 punti sono menzionati: la mancata rideterminazione dei compensi del management, che avrebbero dovuto essere contenuti nel limite di 15 volte "il salario medio nazionale", e la misura dai tagli al personale, ritenendosi "gonfiata" l'indicazione di 5000 unità a fronte di una perdita "di introiti" di 320 milioni.
Aspettiamo a vedere gli altri 4 punti: ma il problema è che questa improvvisa sensibilità per il livello occupazionale, pur di addivenire alla minaccia di sottoposizione a procedura di infrazione, fa sconfinare il tutto in un paradosso ancora più "strano"...

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