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USQUE TANDEM? I LIQUIDATORI "ZELOTI" RUNNIN' ON EMPTY

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Usque tandem?
Questa domanda è probabilmente la più frequente che si pongono i lettori consapevoli dei vari blog che analizzano la crisi senza le formule preconfezionate e ripetute, sostanzialmente, da oltre 20 anni, che mugugnano su concorrenza globale, competitività, inflazione (monetaria), e, di conseguenza, attenzione esclusiva ed ossessiva al "debitopubblicobrutto".
Questo, a sua volta, viene visto, arbitrariamente, come fenomeno la cui rilevanza è compressa nella dinamica degli ultimi 4-5 anni, e quindi accomunata a quella degli spread, come se fosse da questi ultimi, improvvisamente, che ne sarebbe derivato il problema della insostenibilità.

Ora, l'elemento più macroscopico di questa mistificazione, tutta incentrata sull'occultamento del conflitto sociale, cioè della compressione della quota salari (in generale delle retribuzioni di ogni forma di lavoro), rispetto alla quota profitti e rendite finanziarie, in rapporto al reddito delle varie realtà statali coinvolte, anzitutto in Europa, ha il nome di "euro".
L'euro è certamente un sistema monetario pensato ed applicato per "disciplinare" le dinamiche salariali e riorientare il profitto verso una crescita fondata essenzialmente sulla "competitività", cioè sulle esportazioni, e lo fa in contrapposizione allo Stato, visto come l'inefficiente alimentatore della domanda interna.
Allo Stato, con il solo fatto di articolare le previsioni del Trattato di Maastricht (correttamente inteso), "l'Europa del sogno" imputa di alterare essenzialmente, con il suo intervento di spesa pubblica, il mercato del lavoro; sia appunto sostenendo la domanda interna di beni e servizi presso le imprese private, sia come erogatore di funzioni pubbliche e servizi di interesse generale -che andrebbero nel complesso a costituire il "salario sociale"-, sia come datore di lavoro e calmieratore della disoccupazione, (cioè come disattivatore della leva al contenimento salariale denominabile come "esercito industriale di riserva dei disoccupati").

Ci verrebbe allora più facile dare la risposta alla domanda "fino a quando?" se, e solo se, tenessimo ben focalizzato questo contesto: gli eventi economici "mondiali" cui stiamo assistendo in realtà lo confermano, facendo riemergere la realtà del c.d. "conflitto sociale", che è poi una considerazione naturale, cioè bio-antropologica, del fenomeno dell'essere umano e dei livelli di abbrutimento, vogliamo dire di "non benessere" elementare, che possono essergli imposti. Ed imposti in nome della "competitività" ricercata da controllori del capitale che non possono tollerare una flessione dei profitti programmati.

Tutto quanto sta accadendo conferma questa tensione
, trascurata e rimossa nel tentativo di affermare una competizione mondiale che non tollera ostacoli e obiezioni "culturali": così l'arretramento della crescita della Cina, sull'orlo di una bolla immobiliare, rimodulata in diminuzione su una riconsiderazione della domanda interna, l'atteggiamento giapponese che privilegia nuovamente un obiettivo inflazionistico e la stessa domanda interna, per stimolare investimenti effettivi al di là delle alchimie finanziarie, conducendo all'effetto del deprezzamento della propria valuta, la stessa battuta d'arresto di paesi come India e Brasile, alle prese con crisi fisiologiche da "crescita" del rispettivo modello di capitalismo.

L'Europa, in questa realtà antropologica (e in progressivo rafforzamento) si segnala per la sua distonica ostinazione.
Abbiamo spesso ribadito come la patologia del debito pubblico, in specie quello italiano, abbia una "origine" chiaramente imputabile al "divorzio" tesoro-bankitalia, applicato in spregio di un sistema legislativo al tempo vigente, che, nonostante i "pareri" legali resi ad Andreatta, non avrebbe consentito di realizzarlo: almeno senza una legge parlamentare, di cui si potesse vagliare, oltretutto, la legittimità costituzionale alla luce dell'art.47 Cost. e del complessivo sistema delineato, in materia creditizia, dalla legge bancaria del 1936,. Questa, infatti, prevedeva un indirizzo politico-governativo in materia, di fatto disattivato (nei suoi residui di una prassi a dir poco ambigua), dalle letterine scambiatesi tra Ciampi ed Andreatta.
Ora, nonostante la stucchevole grancassa "€urota" cominciata col divorzio stesso (che si premurava di completare il "vincolo" dello SME, con accenti assolutamente identici a quelli utilizzati oggi per stigmatizzare rivendicazioni salariali e un immaginario "eccesso" di spesa pubblica), in assenza del divorzio, e scontando il calo dell'inflazione che certamente non fu dovuto alle politiche monetariste (come ammisero gli stessi Friedman e Greenspan, che fruirono solo di "good luck" nella simultaneità con un calo dei prezzi delle materie prime), l'Italia di sarebbe probabilmente presentata all'appuntamento di Maastricht con un debito prossimo al 60%.

Basti dire che tra il 1981 e il 1984 l'onere del debito pubblico per interessi raddoppiò dal 4% all'8% (eppure, ribadiamo, l'inflazione stava autonomamente calando), portando il debito dal 58% al 120 nel fatidico 1993 (quello della mega-manovra di Ciampi, post Maastricht, succeduta alla super-manovra di Amato del 1992).

Questo riassuntino ci fa capire che ben poco, da allora, dalla realizzazione di questa grande truffa politico-finanziaria a precise basi ideologiche, è cambiato.

Le parole d'ordine dei governi, specie illuminati e "di €uro-sinistra" sono sempre le stesse: diminuire il costo del servizio del debito pubblico per reperire risorse per fare "investimenti" (supply side) e attenuare il costo del lavoro: ora si riparla degli oneri sociali sullo stesso. E questo, dimenticando che la "fiscalizzazione" fu realizzata, negli anni '70, con successo proprio sulla scorta delle entrate fiscali sospinte dal fiscal-drag su salari indicizzati, mentre la competitività, raggiunta agevolmente col cambio flessibile, consentiva in realtà investimenti produttivi molto più sostanziali e rapidi che nei paesi che, come l'Inghilterra thatcheriana, (e poi la Francia del "secondo" Mitterand), si erano affidati alla ottusa ridda di licenziamenti in massa, deflazione salariale e oscene privatizzazioni in danno dei consumatori ma a vantaggio dei nuovi monopolisti privati, certissimamente lontani dall'idea di erodere le proprie rendite-bancomat con nuovi investimenti in innovazione tecnologica che non sarebbero comunque stati imposti dal progresso anche al gestore pubblico.

Allora: "fino a quando?"
Se la realtà di questo contesto storico (e ideologicamente crepuscolare) non riemergerà nelle coscienze dei cittadini la risposta sarà necessariamente inquietante.
E lo sarà tanto più quanto questa realtà storio-ideologica, causativa dell'attuale disastro, continuerà ad essere celata dai media e, invece, proseguirà la diffusione delle parole d'ordine assolutamente date per scontate da un'opinione pubblica assuefatta e scissa tra questa pseudo-spiegazione truffaldina e gli effetti che trova davanti agli occhi e nelle proprie tasche
.
La apparente irrisolvibilità dei "problemi" seguendo queste ricette, unita alla mancanza di dubbio così diffusa, sulla loro "bontà", causa angoscia ai cittadini (non consapevoli, oltre che naturalmente ai pochi consapevoli, ma a questi, per ragioni opposte); e l'angoscia causa rabbia. Ma molto mal diretta: l'effetto generale è il parossismo giacobino su ruberie e sprechi, fenomeni collaterali determinati dal grande potere che i gestori a designazione politica si vedono assicurare dal sistema normativo "€uropeo".

Lo scopo di quest'ultimo è "affamare la bestia", cioè lo Stato demonizzato e portare compattamente l'opinione pubblica al rigetto per ogni sua manifestazione, fino a che essa stessa non invocherà a gran voce lo smantellamento di questo baraccone, "improduttivo", nefasto e invariabilmente e acriticamente visto come "eccessivo".
Noi sappiamo che questa strategia, proseguita in questi giorni con pervicacia assoluta, porta all'autodistruzione della stessa realtà economica del Paese, in una corsa irresponsabile in cui i suoi fautori continueranno ad accelerare fino a che il "punto di non ritorno", innescherà la reazione del corpo sociale.

Questa appare ancora lontana, in Italia, perchè esiste un paradosso: i disoccupati si appoggiano alle famiglie che intaccano lo stock di risparmio per sopravvivere quasi "comunitariamente, le PMI esportatrici possono in parte fruire della deflazione interna, le PMI di servizi e nel settore della distribuzione si avviano a una lenta dissoluzione. Senza però poter reagire contro le cause efficienti della propria distruzione, avvinte come sono nelle maglie del "vecchio" sistema fatto di evasione fiscale e contributiva, di norme obsolete che garantiscono rendite sempre più affievolite (il caso dei tassisti, ormai asserragliati nelle ridotte di un benessere che "fu", o dei gestori di stabilimenti balneari, che autogestiscono beni demaniali come fossero usucapiti per ab aeterno, categorie semiaffondate, ma ancora galleggianti, come notai e altri professionisti, ancora lontani dal senso di spossessamento della pregressa posizione economico-sociale, e così via).

Quindi, se si guarda ai grandi numeri, che queste commistioni di risparmio da "riserva" e di rendita e illegalità di cabotaggio, ancora in parte consentono, la reazione che renda di fatto non più effettivo il sistema di potere "€uro-liberista" è ancora lontana.
La sicurezza, però, è che, esso stesso, questo €urosistema, ormai preconizza la finale e irreversibile distruzione delle stesse residue valvole di sicurezza che ne hanno, almeno in Italia, consentito la prosecuzione.
Cioè quel minimo di stabilità sociale che non rendeva bisognosa e miserabile la schiacciante maggioranza della popolazione.

Perciò liberalizzazioni...Bolkenstein, privatizzazioni del patrimonio pubblico, abolizioni ulteriori di determinati meccanismi normativi "corporativi", inasprimenti fiscali sulle rendite catastali, ampliamento della disoccupazione sul versante del pubblico impiego, riduzione dei programmi di spesa pubblica conseguenti ad apparenti misure di allentamento dei vincoli di bilancio (tipo pagamenti crediti alle imprese, ripagati con rientri della spesa su investimenti e servizi sociali, a livello locale ma anche centrale), ci portano invece a questa certezza di miseria e insicurezza pandemiche.
In tempi relativamente brevi. Parliamo di mesi, ormai.
Gli attuali zeloti sono ormai convinti che possono durare fino al 2015, potendo giocare sulla stessa impopolarità della crisi politica che fatti giudiziari, del tutto estemporanei, rispetto alla realtà della crisi, potrebbero innescare.
E però ogni giorno in più che gli "zeloti" permarranno al governo, determinerà un avvicinamento all'attuazione delle misure che distruggeranno il suo labile consenso propagandistico (oggi di una compattezza tanto forte da rammentare proprio il "prima della fine" di molte dittature).

I prossimi due anni saranno perciò una corsa verso il baratro, in cui una classe politica cementificata negli slogan della fine degli anni '80, condurrà l'intera Nazione, sbandierando, prima di affondare, presunte richieste all'UEM di allentare l'austerità: ma solo perchè quella che loro considerano praticabile e "misurata" è più che sufficiente alla definitiva degradazione sociale ed economica, mentre far apparire Olli Rehn o Schauble come formalmente "arginati" allunga di qualche mese la presunta legittimazione dei "liquidatori finali".



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