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PUD€ NEL TRILEMMA "COMPETITIVO". CREDIT CRUNCH, DEFLAZIONE SALARIALE, DEVASTAZIONE DEL TERRITORIO

1. Come sapete, nello schema "everyone MUST beggar thy neigbour" che traccia la via €uropea (sarebbe meglio dire "pan-germanica) alla "ricrescita fenice", è previsto che si debba esportare e che, perciò si debba perseguire la "competitività" come orientamento produttivo nazionale. Cioè, alla faccia dell'art.11 Cost., che ammette la stipula di trattati di adesione alle organizzazioni internazionali purchè finalizzati ad assicurare "la pace e la giustizia tra le Nazioni", l'UE-UEM, ci impone una bella guerra commerciale contro i nostri vicini e contro il resto del mondo. Sotto le bandiere crucche azzurro-orostellate.
Mentre la Merkel, robbachenuncisicrede, si becca pure il "premio Ghandi" per la pace!!!

Dell'altra condizione alla limitazione (giammai "cessione") della sovranità posta dall'art.11 Cost, cioè la condizione di parità con gli altri Stati, abbiamo già detto; e questo diverso aspetto della violazione dell'art.11 Cost. perpetrato con la ratifica di Maastricht, ha molto a che fare con l'originario e protratto diverso livello dell'onere degli interessi sul debito pubblico, rispetto agli altri paesi "principali" dell'Unione, una volta che lo si connetta alla demenziale idea (come tale ormai ammessa anche da Prodi) di un tetto fisso al deficit dello Stato.

2. Notare che l'art.11 Cost., norma inserita tra i principi fondamentali, inviolabili e non soggetti a revisione (almeno in teoria) parla di "parità", appunto, con gli "Stati", ponendo con ciò una condizione "politico-internazionale", ma anche, e sullo stesso piano di priorità, di giustizia e pace tra le "Nazioni", implicando con ciò, di necessità, il riconoscimento consapevole delle stesse come punto di riferimento della PROPRIA E ALTRUI DEMOCRAZIA (quindi al di là della forma di Stato che esse assumono)!
Mi pare un pò difficilotto, allora, sostenere non solo la legittimità costituzionale del "vincolo esterno", ma proprio della stessa idea, fondamentalmente totalitaria, che la "sovranità nazionale" sia quella cosa cosa brutta che i turbo-financial sostenitori dell'attuale r€gim€ vorrebbero contrabbandare in nome dell'internazionalismo, rigorosamente liberista, a caccia di POPOLI da spolpare.

3. E a proposito di "internazionalismo" liberista selvaggio e sempre più "inselvatichito", abbiamo la conferma dello schemino "esporta-esporta e deflaziona il lavoro più che puoi" in nome della competitività di sistema (nazionale: ma questo lo nascondono accuratamente) da una nostra vecchia conoscenza: l'OCSE.
Che non pare ancora appagato di premere sull'acceleratore consueto, ed ormai in "fuori giri", della deflazione salariale chiamata tartufescamente "riforme".
Il tutto condito dal consueto invito alla riduzione della burocrazia, nel caso applicato agli eccessivi formalismi che le povere banche devono sopportare per erogare il credito, in un suggestivo accostamento che darebbe ai controlli pubblici sul loro operato la colpa del credit crunch. E chiamando a testimonial di ciò...la voce del chief-executive, udite! udite!, del Monte de Paschi di Siena ('nziamai, troppi controlli!).
Non una parola dall'OCSE, invece, sulla crisi da domanda che porta a macinare "sofferenze" record.
Ma no: confidando che le supply sides (cioè abbassare i costi dell'offerta, tracurando del tutto il lato della domanda) siano le uniche politiche immaginabili e consentite all'inutile Stato, mai troppo veloce a smantellare il welfare: e in questa rigida linea, nel consueto stile apodittico di prescrizioni "macroeconomiche-neoclassiche", l'OCSE esorta le banche a fare "più credito".
E' così semplice, perchè non ci avevano penZato prima! Ennesima manifestazione della Sindrome del barone di Munchausen, che si tirava fuori dai flutti tirandosi per i capelli, di cui abbiamo già visto i recenti prodromi in salsa BCE.

4. Dunque si chiarisce il quadro: quando dicono che agganceremo la ripresa nel 2014 (aho': stavolta è sicuro, non voglio sentire storie!), nonostante la disoccupazione che sfonderà il 12,5% (quella ufficiale, of course), contano su una crescita dell'export che sia superiore al calo di consumi ed a quello della domanda pubblica. Unito ad una fantomatica ripresa degli investimenti privati.
Migliorare di più di 3 punti di PIL, in due anni, il saldo delle partite correnti con l'estero, ci è costato all'incirca 4 punti di PIL di riduzione dei consumi. Dunque, il consolidamento fiscale "leggero" (e infatti già "redarguito" a Bruxelles) per 0,8 punti di PIL, determinato dalla "legge di stabilità" - calcolo provvisorio, effettuato senza conteggiare la immaginifica spending review, con ulteriori tagli della spesa ed eventuali, ma probabili, altre manovre di correzione dei conti pubblici-, porterà a una flessione minima del PIL di 0,9 punti.
Ma allora di quanto deve crescere il saldo CAB (e con esso la deflazione salariale) per portarci in segno positivo nella crescita del PIL?
5. Ebbene, dando ("loro") per scontato che ciò sia realizzabile senza ulteriori effetti negativi sulla spesa pubblica e sui consumi della continuativa flessione della occupazione (ma neanche "loro" paiono crederci), la crescita del saldo CAB dovrebbe attestarsi su un ragguardevole range di +1-2 punti di PIL (a seconda se si dà credito alle previsioni di crescita €uropee od a quelle governative).
Ma siamo sicuri che ciò sia minimamente verosimile? E, sopratutto, quand'anche realizzabile, si riveli sufficiente?

Infatti, abbiamo applicato il moltiplicatore "vero" alla manovretta ed è pur sempre un dato "ottimistico" rispetto alla politica fiscale in corso. Tuttavia, non sappiamo in base a quali stime, fondate su dati attendibili, credano che l'aumento della produzione industriale orientato all'export, registrato in settembre in misura pari al 16,4% su base annuale - cosa che nulla ci dice sull'incidenza in termini di PIL considerato il punto di partenza assoluto e non la mera variazione-, possa tradursi in una crescita dell'1 o del 2% del PIL.
Tanto più che, dalla stessa fonte, apprendiamo che da agosto il dato della produzione industriale rivolta al mercato interno risulta calato dello 0,8%. Ed è un dato abbastanza pesante, considerato che, rispetto alla intera produzione industriale, la domanda interna rimane pur sempre molto più quantitativamente consistente.

6. Riportiamo la questione in termini semplici: quello che è sicuro è che abbiamo un consolidamento aggiuntivo "minimo" di 0,6 punti di PIL.
Anche prescindendo dall'applicare il moltiplicatore, sappiamo che il saldo positivo, registrato quest'anno nelle partite correnti (allo stato attuale e comunque inferiore alle stime che trovate qui a pag.88, ultimo periodo del paragrafo: 0,6 effettivo contro un previsto 1%), è stato realizzato contraendo in misura più che proporzionale le IMPORTAZIONI. E questo spiega il calo dei consumi, che viene perseguito, appunto, a danno di queste ultime.
Vanno allora scontati i seguenti fattori:
a) i consumi, laddove si espandano, si rivolgono alla importazione di beni esteri (le famose auto tedesche, in primis) a causa del tasso di cambio reale, che li rende più appetibili;
b) la correzione del tasso di cambio reale italiano non è stata compiutamente realizzata e richiederebbe, secondo De Grauwe, un taglio salariale aggiuntivo "reale" di circa il 20% (la stessa Commissione a un certo punto aveva ipotizzato un taglio "medio" dei salari reali, generalizzato nei PIGS, pari al 10%);
c) l'aumento dell'IVA è considerato misura equivalente a una restrizione delle importazioni, ma, al tempo stesso, produce anche un calo dei consumi rivolti ai beni e servizi prodotti all'interno;
d) questo effetto fiscalmente indotto è sinergico con la crescente disoccupazione, che consente di proseguire la correzione dei salari reali (ma sempre a costo di conseguente minore conseguente domanda interna);
e) la situazione di recessione (e di connesso credit crunch), agevola il dato del calo delle importazioni di materie prime energetiche, in un fenomeno di impianti sottoutilizzati o dismessi che sta assumendo una chiara connotazione di deindustrializzazione. D'altra parte una effettiva ripresa della produzione avrebbe l'effetto di una maggior bolletta energetica in termini di importazioni;
f) la prosecuzione del credit crunch indica che risulterà molto difficile la ripresa degli investimenti, anche considerando che viene sempre più meno il sostegno della spesa pubblica, sicuramente ancora tagliata nel già insufficiente volume degli investimenti pubblici;
g) pensare che l'attuale livello di impianti-produzione possa essere ancora sostenuto senza investimenti, e dopo due anni di loro contrazione (autonomamente affluita nel dato della recessione), è come credere che si possa spremere un limone all'infinito, pur nella sua fibra disseccata.
Risultato: seppure la legge di stabilità possa temporaneamente determinare un effetto recessivo meno pronunciato che in passato, l'effetto "compensativo" sul calo del PIL determinato dall'incremento delle esportazioni appare, più che incerto, improbabile. E comunque, ciò che più conta, NON SOSTENIBILE NEL TEMPO.

7. Tutto questo ci riconduce ad una elementare legge economica: è la domanda interna che consente di accumulare il livello di ricchezza e di risparmio-investimenti capace di trainare strutturalmente le esportazioni. Non la disoccupazione deliberatamente "incentivata".
Alla fine dei giochi, se anche si realizzasse - in improbabile assenza di manovre correttive nel 2014- il tentato, e difficile, aumento del saldo CAB pari a 1 punto del PIL, e quindi una crescita 2014 pari pressocchè a 0, (una "non recessione"), sarebbe solo una pausa. MA SAREBBE UNA RIPRESA?
Oltretutto, basterebbe che la spending review arrivasse a qualche miliardo di taglio della spesa pubblica, ovvero che si verificasse un qualunque onere imprevisto (o nascostoci, come ad es; la chiusura di una posizione sui derivati del Tesoro, o un salvataggio bancario stile MPS), o, ancora, che si riacutizzasse la rivalutazione dell'euro a seguito della inarrestabile deflazione del'area UEM, perchè la recessione si possa manifestare ancora alla fine del 2014.

8. Abbiamo menzionato il fattore "imprevisti e probabilità", in questo ridicolo "Monopoli" che è diventata la gestione della Repubblica italiana, PER NON PARLARE DEL GIGANTESCO, E PERFETTAMENTE PREVEDIBILE, PROBLEMA AMBIENTALE-TERRITORIALE ITALIANO, qui più volte segnalato.
Il problema è divenuto tale a seguito di 20 anni di manovre di "convergenza" e di rientro nei parametri del deficit: oggi discutono della tragedia consumatasi in Sardegna e pensano al "dissesto idrogeologico" come a un problema nazionale.
Ma finiscono per proporre come soluzione la solita maxi-patrimoniale "una tantum" ammazza-risparmio privato, pagabile solo intaccando i redditi e drenando altra liquidità che rischierebbe di non essere poi rimessa in circolo, per il problema - considerato da questo governi ben più impellente- di dover "ridurre il debito pubblico" e pagare i creditori stranieri.
E non solo: la super-patrimoniale darebbe anche la spallata definitiva al mercato immobiliare, ormai in sovraofferta e devalorizzazione accelerata, senza colpire affatto i grandi patrimoni, ormai fuggiti all'estero da un bel pezzo.
Ma un paese sovrano, con una sua moneta e CON una banca centrale che funzioni da tesoriere e non da piazzista passiva per gli idolatrati "mercati", non ha bisogno di far dilagare la recessione per provvedere alla incolumità ed alla ordinata convivenza dei suoi cittadini.
Non gli possono mancare le risorse per investire sul proprio territorio, - un elemento costitutivo della sua stessa sovranità!- e non può fare default.
E non può augurarsi che "non piova troppo" per sperare di non dover fronteggiare il caos antropico: che non è dovuto ai "rivolgimenti climatici", come ridicolmente cercano di farci credere, ma al sistematico abbandono delle funzioni fondamentali dello Stato, trasformatosi in percettore di contributi da condoni e urbanizzazioni selvagge per "fare cassa".
Uno Stato che non può ridursi a contare sulla "fortuna" meteorologica, per agganciare la crescita (!!!) da qui alla fine del 2014.

Anche perchè subito dopo, subentrerebbe l'obbligo di pareggio di bilancio e la conseguente €uro-obbligazione a ridurre il deficit con una manovra di oltre 2 punti di PIL sempre a fine 2014. E pure quella di ridurre di oltre 3 punti di PIL il debito pubblico. Ed allora l'abbandono della gestione territoriale ed infrastrutturale emergerebbe come uno "Tsunami": la tassa "lo vuole l'Europa" a carico di un paese in cui alla disoccupazione dilagante si aggiungerà la "pioggia a catinelle" allagante

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