Stiglitz è un economista profondo che, però, parla chiaro.
Esprime il suo pensiero, più o meno di fine anno, dandoci una ricetta per salvare il salvabile dell'euro che null'altro è, in essenza, che un'agenda di trattativa dai contenuti rivoluzionari. Ma solo se assunta con urgenza nella sua integralità.
Tutto quanto suggerisce, - per chi fosse consapevole dei contenuti dei trattati, delle prassi rafforzative e strategiche con cui sono stati rigidamente applicati, del modo in cui acriticamente (salvo ambigue quanto deboli obiezioni) sono state recepite da tutti gli Stati coinvolti le stesse applicazioni- determina una "riscrittura" che per la governance europea attuale risulterebbe, prima ancora che una svolta a 180°, una vera e propria ammissione di gravissime colpe.
Un evento impensabile e specialmente in Italia, dove la nouvelle vague politica sulla cresta dell'onda accentua i caratteri tea-party e ordoliberisti della sua attrattiva propagandistica, sempre più votata all'autodistruzione.
Vi riporto la sintesi linkata in apertura:
"...serve una riforma strutturale dell’Eurozona, che si basi su questi elementi imprescindibili:· Un'unione bancaria reale, con una supervisione comune, un’assicurazione sui depositi comune e una risoluzione comune. In sua assenza, continuerà il trasferimento di denaro dai Paesi più deboli a quelli più forti.· Una forma di mutualizzazione del debito, come gli Eurobond: con il rapporto debito/Pil dell’Europa inferiore a quello degli Usa, l’Eurozona potrebbe contrarre prestiti a tassi di interesse negativi - come succede agli Usa – che consentirebbero di liberare liquidità per stimolare l’economia, spezzando il circolo vizioso dei Paesi colpiti dalla crisi, in base al quale l’austerità aumenta il peso debitorio, rendendolo meno sostenibile per la riduzione del Pil progressiva.· Politiche industriali in grado di consentire ai Paesi in difficoltà di recuperare terreno, nonostante la critica dei mercati liberi che si compie.· Una banca centrale che si focalizzi non solo sull’inflazione, ma anche su crescita, occupazione e stabilità finanziaria;· Sostituzione delle politiche di austerità anti-crescita con politiche pro-crescita focalizzate sugli investimenti in capitale umano, tecnologia e infrastrutture.Gran parte del progetto euro, afferma il Premio Nobel per l'economia, riflette i principi economici neoliberali: bassa inflazione come elemento necessario e sufficiente per la crescita e la stabilità; una banca centrale indipendente come unico modo per garantire fiducia al sistema monetario; debito e deficit bassi che avrebbero assicurato una convergenza economica tra i Paesi membri; infine, un mercato unico, con libera circolazione di capitali e persone per garantire efficienza e stabilità.Ciascuno di questi principi si è rivelato errato. La Spagna e Irlanda evidenziavano surplus fiscali e bassi rapporti debito/Pil prima della crisi. La crisi ha causato deficit e debito elevato, e non il contrario; inoltre, le restrizioni fiscali concordate dall’Europa non agevoleranno una rapida ripresa da questa crisi né riusciranno ad evitare la prossima.Infine, per quel che riguarda la libera circolazione di persone, la migrazione dai Paesi colpiti dalla crisi, in parte finalizzata ad evitare di ripagare i debiti ricevuti in eredità, ha svuotato le economie più deboli e potrebbe anche tradursi in una inadeguata allocazione della manodopera.La svalutazione interna – abbassando salari e prezzi domestici – non è un sostituto della flessibilità dei tassi di cambio. Crescono al contrario i timori di deflazione, che aumenta la leva finanziaria e il peso dei livelli debitori che sono già troppo elevati. Se la svalutazione interna fosse un buon sostituto, il gold standard non sarebbe stato un problema nella Grande Depressione, e l’Argentina sarebbe riuscita a mantenere l’ancoraggio del peso al dollaro quando scoppiò la crisi del debito un decennio fa.Nessun Paese è mai riuscito a rilanciare la prosperità con l’austerità. La Germania e gli altri Paesi del Nord Europa hanno dichiarato che non dovrebbero essere chiamati in causa per pagare i conti dei pigri vicini del Sud Europa. Ma, sostiene il Premio Nobel per l'economia, si tratta di un atteggiamento sbagliato per una serie di motivi: in primo luogo, i tassi di interesse più bassi conseguenti agli Eurobond o a meccanismi simili renderebbero gestibile il peso debitorio. In secondo luogo, se l’Eurozona adottasse il programma sopra delineato, non vi sarebbe alcuna necessità per la Germania di sborsare un euro. Ma con quest'atteggiamento perverso, al contrario, ad una ristrutturazione del debito ne segue un’altra con Berlino che rischia di dover pagare un conto enorme finale.L’euro avrebbe dovuto portare crescita, prosperità e senso di unità ed invece ha portato stagnazione, instabilità e divisione. Non dovrebbe essere così. L’euro può essere salvato, ma se la Germania e gli altri Paesi non sono disposti a fare quanto necessario – se in altre parole non c’è abbastanza solidarietà per far funzionare la politica – allora, conclude Stiglitz, la moneta unica dovrà essere abbandonata per il bene del progetto europeo."
Parrebbe un'adesione a certe linee, tardive fino al limite del patetico e incauto che vengono oggi suggerite, parlando apertamente (e in ulteriore ritardo), addirittura di Abenomics "all'europea".
Ma l'Europa è andata "troppo oltre" e non ha più le risorse umane, psicologiche, politiche, cognitive e, ovviamente, mediatiche per correggere il proprio corso degli eventi.
L'ordoliberismo non è un elemento casuale ed estemporaneo: è un regime trentennale sorretto da una strategia di lungo periodo che, non solo si è fino ad oggi costantemente rafforzata, ma che si sente in dirittura d'arrivo della sua vittoria finale.
E' impensabile che l'insieme delle correzioni suggerite da Stiglitz siano anche solo lontanamente realizzate nella indispensabile simultaneità che esse comportano.
E' impensabile che l'insieme delle correzioni suggerite da Stiglitz siano anche solo lontanamente realizzate nella indispensabile simultaneità che esse comportano.
In particolare, la nuova idea di banca centrale evoluta verso il modello Fed e le "politiche industriali", sono agli antipodi dei vincoli accuratamente celebrati nei trattati in termini esattamente opposti. E che vengono semmai, allo stato attuale, ulteriormente rafforzati dal tipo di Unione bancaria che si sta realizzando e dalla filosofia dei "contratti" di "condizionalità" (con la Commissione UE) demandati ad un ulteriore inasprimento della svalutazione interna, incentrata sulle riforme strutturali deflattivo-salariali. Con distruzione finale del sistema del welfare che consente il risparmio diffuso e differito che è visto come principale ostacolo della resistenza ad accettare il consolidamento della società "von Hayek" cui mira l'ordoliberismo "internazionalista" (ma ormai, in pratica, essenzialmente €uropeo).
C'è un margine di resistenza dell'interesse democratico della Nazione per riuscire a conservare, in Italia, quelle poche strutture costituzionali "sostanziali", che possano consentire una pronta ricostruzione dopo l'ormai inevitabile €uro-disastro?
Non è facile rispondere: le probabilità attuali sono scarse e le risorse culturali ancor di più.
Probabilmente ci sarà un diverso ed opposto "vincolo esterno". Nella più ottimistica delle ipotesi formulabili.
ADDENDUM: per comprendere a fondo come in realtà l'orientamento di Stiglitz sia parte di una quadro composito, che non è limitato alla presa di posizione della sola parte (in qualche forma) "keynesiana" del campo USA, vi invito a considerare questa "uscita" di Luttwak
, che, certamente, non è allineabile su posizionni del genere, ma che, nondimeno, formula una critica altrettanto radicale. E che implica una condanna e una aperta "sfiducia" dell'integrale approccio delle classi politiche PIGS in rapporto alla Germania. Il dissenso è (erroneamente e con analisi del tutto discutibili, anche solo di fronte al vero andamento della spesa e del deficit USA, comparati con quelli perseguiti in UEM), posto sul piano dell'esclusivo ricorso a politiche monetarie. Una cosa che Bernanke e la Yellen e gli osservatori USA più attenti (primo Krugman e le stesse "correzioni" FMI) smonterebbero con facilità.
Ma intanto è indicativo di una sorta di convergenza politica dell'atteggiamento complessivo USA.
ADDENDUM 2: Ma potrei aggiungere, come indizio anche questo servizio fotografico appena uscito sulla rivista "Life": si tratta della rievocazione per immagini dello sbarco in Sicilia e fatti conseguenti. Un "segno" delle tendenze frattaliche che si manifestano in progressione. E non un "segno" di tipo predittivo-oracolare, ma dotato proprio dell'allusività frattalica: cioè quella misteriosa "autosimilarità" che governa dinamicamente il caos e che va sotto il nome di "omotetia".