E non crediamo, ormai, neppure che abbia un senso denunciare le storture e le contraddizioni patenti che sono da sempre insite nel disegno, perchè le denunce non trovano alcuna corrispondenza nell'azione dei nostri governi, così entusiasticamente dediti al "ce lo chiede l'€uropa".
Parliamo della pseudo-privatizzazione di Poste italiane.
Gli uffici postali, la front line percepita dal cittadino di una presenza "pubblica", spesso bistrattata da chi si trova in fila, costituiscono una rete di servizi a forte impatto sociale che hanno un positivo effetto, sempre più dimenticato.
Questa rete, cioè, salda la stesso apparato pubblico con l'idea comunitaria dello Stato e determina, comunque, una ricaduta diffusa sia in termini occupazionali diretti (i dipendenti che si trovano sparsi in migliaia di piccoli centri, altrimenti privi di una presenza che altrimenti sarebbe limitata ai Carabinieri o poco più), che indiretti.
Laddove c'è un ufficio postale, c'è un traffico indotto di persone la cui propensione al consumo è naturalmente alta (quanto all'indotto "localizzato" dalla stessa presenza dell'ufficio postale), ma che, nondimeno, tende a far emergere e immettere nel sistema finanziario, un risparmio in micro-forme che soltanto la presenza dell'ufficio postale può stimolare con la sua rassicurante "comprensibilità" (o minor incomprensibilità).
Senza questa struttura di servizi di base (estesa, oltre che alla gestione user-friendly di micro-risparmio di massa, anche a prodotti assicurativi a costi comparativamente contenuti e in forme un pò più trasparenti), molti centri vedrebbero indebolito il proprio stesso potenziale demografico e conseguentemente produttivo, già di per sè indebolito dalla crisi ad origine monetario-valutaria-fiscale che altera la convenienza generale della intrapresa nazionale.
E altera la stessa spinta demografica: un piccolo centro che muore, per via di una emigrazione senza alternative, non rigenera la sua base demografica in una sede urbana più costosa, e più disincentivante la stessa formazione della famiglia. La dispersione della risorsa umana si avvita così al depauperamento dell'offerta pubblica di istruzione-formazione (incidente in aggiunta sugli stessi territori abbandonati), rendendo il potenziale italiano tra i più bassi del mondo avanzato, problema trascurato dalla politica in nome dei "conti in ordine" e del nulla...sotto i conti.
Infatti, la struttura territoriale della nostra produzione è, oggi, troppo fortemente polarizzata (su Roma e Milano e poco altro capace di sopravvivere all'attuale improvvida evoluzione) e questo fenomeno di gigantismo non programmato (per evitarlo sarebbe occorsa una ben diversa politica industriale, legata alla valorizzazione e non alla privatizzazione dei grandi poli produttivi pubblici), porta a costi di congestione territoriale e di anelasticità evolutiva, in ogni fase, anche complementare, dell'attività industriale.
Costi che vanno dal trasporto in commuting della forza lavoro urbanizzata in centri ormai ingestibili (anche a seguito della commistione tra tagli agli enti locali e loro affarismo dispersivo di risorse), all'accesso al credito, distorto proprio dalla discriminazione dimensionale che si nutre di concentrazione polarizzata, alla precondizione di un'efficiente sistema di formazione-istruzione sempre più rarefatto sui territori "sacrificabili", al sacrificio della potenziale valorizzazione di forze emergenti in condizioni troppo accentrate, fino ai costi degli investimenti fissi in zone territoriali costose ma infrastrutturate, ed alla successiva disastrosa impossibilità di riassorbire la dismissione degli stessi in caso di crisi (data la crescente perdita di competenze adattabili e di flessibilità funzionale della forza lavoro in un modello accentrato).
Già oggi Poste italiane tende a "ristrutturare" il servizio attraverso la chiusura di uffici postali in comuni minori e non rispondenti a criteri che, spesso, impattano sul dubbio rispetto degli obblighi del contratto di servizio che intercorre con lo Stato.
Una privatizzazione consistente della società porrebbe il serio problema del prevedibile rispetto di un rendimento del bench-mark finanziario necessariamente voluto dai nuovi soci. Con una altrettanto prevedibile accelerazione di questo fenomeno di contrazione del retail sul territorio, al fine di contenere costi del personale e delle strutture, aumentando i prezzi dei servizi ed emarginando la stessa utenza che aveva dato prosperità al precedente schema "sociale" di offerta.
E magari all'inevitabile fine di aumentare retribuzioni, premi e emolumenti vari dei nuovi consiglieri di amministrazione e dei nuovi executives (immancabilmente muniti di un "piano industriale" in salsa monopolista-privato a caccia di massimizzazione della rendita e minimizzazione della qualità del servizio) graditi al nuovo azionariato.
Dal Financial Times di oggi (trafiletto a pag.3), apprendiamo le cose essenziali (annacquate in mille ambigui bla bla bla dai media italiani): "si comincia col 40%, dice Saccomanni, e poi vedremo. I "banchieri coinvolti" parlano di un "lento processo" che potrebbe "andare a termine nel 2015". Un "esponente del governo che ha chiesto di non essere nominato, ha detto che una possibilità è una vendita parziale alla Cassa Depositi e Prestiti...Il gruppo (Poste italiane) che ha 144.000 dipendenti, ha dato un utile netto di 1 miliardo su un volume di affari per 24 miliardi, di cui 19 derivano dai suoi servizi finanziari e assicurativi...Il governo ha anche in programma di privatizzare il gruppo cantieristico navale Fincantieri".
La chiosa finale, in prospettiva ulteriore non promette nulla di buono: specie riguardo alla proprietà nazionale di una filiera produttiva tra le ultime rimaste e che godrebbe anche del vantaggio di essere una delle poche rimaste in piedi, una volta dismesse quelle di altre nazioni vicine e concorrenti).
Ma tornando alle Poste: una redditività di gruppo al 4% sul fatturato non è male: certamente concorrenziale col livello atteso dei rendimenti netti degli stessi BTP pluriennali di prossima emissione.
Ancora superiore, poi, se utilizziamo il rapporto col valore patrimoniale stimato del gruppo, a quanto pare, tra i 15 e i 20 miliardi, in quanto, dalla (s)vendita del 40%, si attendono ricavi dai 6 miliardi riportati dal FT (che è ben informato) agli 8 miliardi ("fino a..." sparati dai compiacenti e acritici giornalisti italiani).
Ai nuovi azionisti andrebbe, rebus sic stantibus, una quota di utile di 400 milioni all'anno (sottratta per sempre alle entrate dello Stato) che, a quanto risulta, otterrebbero sborsando 6 miliardi o poco più (rendimento al 6,66%!): in attesa di mettere le mani sul resto del malloppo entro il 2015. Con buona pace del rispetto dell'attuale contratto di servizio, dei futuri prezzi applicati dagli executives e tutto il resto che si verifica sempre in questi casi.
Ma allora, dal punto di vista economico-razionale, perchè privarsene, visto che il "risanamento dei conti" non regge, di fronte al valore di capitalizzazione degli utili che si otterrebbe in raffronto ai costi del debito pubblico e ad un suo inesistente abbattimento?
Rammentiamo quanto detto da Cesare Pozzi sulle privatizzazioni:
D: Ce lo chiede l’Europa, che vuole un abbattimento netto del debito. Non è d’accordo?
R: Di questo passo, il mantra di Bruxelles che impone delle misure ai singoli Stati e puntualmente le ottiene, sta diventando una condanna. Siamo entrati in una crisi globale e per merito dell’austerity abbiamo fatto peggio. Non è un momento particolarmente felice per la burocrazia del Vecchio continente e, comunque, la Commissione ha già chiesto tanto e noi abbiamo dato in abbondanza.
D: Cosa non la convince del dossier privatizzazioni?
R: È un tema da inquadrare molto bene: si possono vendere società controllate o partecipate dallo Stato, ma occorre farlo valutando caso per caso. Prima dobbiamo chiederci qual è il tipo di mission di queste aziende e cosa possono fare sul territorio. Si parla tanto della cessione di quote di Terna, ad esempio, e io penso che lo Stato in una fase così delicata per il mercato dell’energia, possa al contrario chiedere in questo campo di investire di più.
D: Teme la svendita dei gioielli di famiglia?
R: No, è sbagliato pensare solo alla generazione di cassa. Le questioni aperte sono tante e vanno dai contratti di concessione, alla rete dei fornitori fino al rapporto di queste società col territorio e con le loro comunità di riferimento. Il futuro di aziende come Eni, Enel o Ferrovie deve rientrare in un dibattito pubblico sul futuro industriale del Paese.
D: Non c’è nulla che merita di essere almeno in parte ceduto?
R: Forse si può mettere sul mercato una rete Rai, ma quanto vale e chi può comprarsela? Se arriva un soggetto straniero, è necessario capire le motivazioni strategiche che lo spingono a muoversi. Iniziamo a fare i conti sulle privatizzazioni del passato: dovremmo chiederci non solo quanto lo Stato ha incassato dalla vendita, ma anche quanto ha rinunciato in termini di dividendi e quanto è stato pagato all’estero. Telecom è un caso emblematico: era la più grande impresa europea e ora cosa è rimasto? L’industria delle telecomunicazioni sembra esser stata dimenticata da tutti. Il vero rischio è fare operazioni che indeboliscono il Paese generando non creazione, ma distruzione di valore.
Un ulteriore quesito finale lo poniamo noi: ma la sorte professionale di chi è implicato in queste decisioni "tecniche" (volute dall'€uropa), con riguardo alla successiva super-remunerata assunzione presso gli stessi (o strettamente adiacenti) soggetti finanziari beneficiati dalle decisioni, non pone un urgente problema di conflitto di interessi, secondo gli standards di un qualsiasi "paese civile"?
ADDENDUM:
per una migliore comprensione dei dati di fatto e degli antecendeti storici "analoghi", vale la pena di riportare il dettagliato commento del grande PoggioPoggiolini, che ci offre ulteriori dati e links di chiarimento che è utile avere presenti. Li immetto nel corpo del post per una più immediata percezione del lettore:
Sinteticamente, due le filiere (2012, ricavi):
POSTE INDUSTRIALI (servizi postali e commerciali): 4,533 mld € (19%)
BANCO POSTA (attività finanziaria, assicurativa e loro proventi): 19,536 mld € (81%).
Oltre l’attività di servizio civico e sociale e quelle di ricaduta economiche e strategiche già evidenziata da ’48, voglio soffermarmi sul dato, a dir poco intrigante, del RISPARMIO PRIVATO gestito da BANCOPOSTA
-) buoni fruttiferi e libretti postali 321,048 mld €
-) conti correnti 41,452 mld € (con 6 milioni di c/c e 9 milioni di PostePay emesse)
-) polizze vita (sottoscrizioni) 10,519 mld €.
Dalla relazione annuale della BdI su dati 2012, (pag 171 che chi ne abbia voglia) BANCOPOSTA gestisce il 9,3% delle attività finanziarie delle famiglie italiane con flussi costantemente in aumento.
(per un approfondimento sul risparmio e sulle strategie di gestione interessante il rapporto annuale di KPMG.).
Propagata la pandemia della “lazzaronite” in organismi debilitati da malesseri di “corruzione-casta-sprechi-burocrazia-pubblicoèbrutto-privatoèbello ”, alle code degli sportelli s’alzano potenti i cori festosi di “finalmente, era ora”, riportati l’Allegra Brigata 2007.
Magari tra quelle “fila” un poco sprovvedute, oltre la divulgazione del CONFLITTO DI INTERESSI tra venditori e acquirenti e delle PROVVIGIONI DI INTERMEDIAZIONE – solito richiamo al rapporto della Corte dei Conti sulle privatizzazioni degli anni ’90 gestiti da M Draghi con successiva prestigiosa carriera - sarebbe anche caso&necessità di cominciare a iniettare, siero della verità, il SOSPETTO SULL'IDENTITA' DEI POSSIBILI ACQUIRENTI: forse BANCHE PRIVATE a gestire un prezioso salvadanaio degli italiani?.
In tempi come questi, 300 mld € da scrivere nei bilanci patrimoniali fanno comodo a molti
Qualche indizio:
i) dopo la privatizzazione di DEUTSCHE POST cosa e come è successo delle attività finanziarie del gruppo? - il triangolo no! non l’avevo considerato -
ii) sul tavolo verde della Royal Mail, chi ha vinto la “posta” in gioco?
- confessioni di un pentito
Un ripasso storico sulle tipografie degli inviti e sui luoghi dei convegni non fa mai male.
ADDENDUM:
per una migliore comprensione dei dati di fatto e degli antecendeti storici "analoghi", vale la pena di riportare il dettagliato commento del grande PoggioPoggiolini, che ci offre ulteriori dati e links di chiarimento che è utile avere presenti. Li immetto nel corpo del post per una più immediata percezione del lettore:
BLOW UP: I NUMERI DELLA POSTA (in gioco)
In attesa di conoscere i dettagli del “piano” di dismissione, privatizzazione, vendita, cessione, regalia che dir si voglia, si consiglia prima la visione del quadro sintetico delle attività del GRUPPO POSTE ITALIANE .
In attesa di conoscere i dettagli del “piano” di dismissione, privatizzazione, vendita, cessione, regalia che dir si voglia, si consiglia prima la visione del quadro sintetico delle attività del GRUPPO POSTE ITALIANE .
Sinteticamente, due le filiere (2012, ricavi):
POSTE INDUSTRIALI (servizi postali e commerciali): 4,533 mld € (19%)
BANCO POSTA (attività finanziaria, assicurativa e loro proventi): 19,536 mld € (81%).
Oltre l’attività di servizio civico e sociale e quelle di ricaduta economiche e strategiche già evidenziata da ’48, voglio soffermarmi sul dato, a dir poco intrigante, del RISPARMIO PRIVATO gestito da BANCOPOSTA
-) buoni fruttiferi e libretti postali 321,048 mld €
-) conti correnti 41,452 mld € (con 6 milioni di c/c e 9 milioni di PostePay emesse)
-) polizze vita (sottoscrizioni) 10,519 mld €.
Dalla relazione annuale della BdI su dati 2012, (pag 171 che chi ne abbia voglia) BANCOPOSTA gestisce il 9,3% delle attività finanziarie delle famiglie italiane con flussi costantemente in aumento.
(per un approfondimento sul risparmio e sulle strategie di gestione interessante il rapporto annuale di KPMG.).
Propagata la pandemia della “lazzaronite” in organismi debilitati da malesseri di “corruzione-casta-sprechi-burocrazia-pubblicoèbrutto-privatoèbello ”, alle code degli sportelli s’alzano potenti i cori festosi di “finalmente, era ora”, riportati l’Allegra Brigata 2007.
Sopito il dibattito sulla separazione tra attività industriale di distribuzione (POSTE INDUSTRIALI) e quelle di raccolta finanziaria (BANCOPOSTA) e i litigi sulla contabilità dei costi/benefici dell’operazione, restano da “piazzare” i 150.000 addetti (COSTO D'ESERCIZIO) e 14.000 sportelli (ASSETS PATRIMONIALE), ma si sa che in epoca di deflazione salariale e di emergenza finanziaria trovano sempre collocazioni “condivise” a larga maggioranza.
Dibattito, aggiungiamo noi, riportato nei termini sopra linkati, sul presupposto della presunta agevole scorporabilità dell'interesse pubblico alla gestione semplificata e un pò più trasparente del risparmio: non si tratta infatti di una attività riconducibile al modello della banca universale. Ciò pare rappresentare un intollerabile unicum (per qualcuno) conforme alla vecchia concezione del prevalente pubblico interesse, nell'attività di mera raccolta del risparmio, conforme alla mission della (sola) Repubblica ai sensi dell'art.47 Cost.
Lo svincolo dalle forme universali di "impiego" e esercizio del credito, limita il rischio dei depositanti: e questo deve apparire inconcepibile, risvegliando il richiamo a una presunta natura industriale privatistica che deve perciò essere "concorrenziale": in tale settore, di prevalente natura oligopolistica o para-monopolitica di tipo "comportamentale"...un vero spreco.
Magari tra quelle “fila” un poco sprovvedute, oltre la divulgazione del CONFLITTO DI INTERESSI tra venditori e acquirenti e delle PROVVIGIONI DI INTERMEDIAZIONE – solito richiamo al rapporto della Corte dei Conti sulle privatizzazioni degli anni ’90 gestiti da M Draghi con successiva prestigiosa carriera - sarebbe anche caso&necessità di cominciare a iniettare, siero della verità, il SOSPETTO SULL'IDENTITA' DEI POSSIBILI ACQUIRENTI: forse BANCHE PRIVATE a gestire un prezioso salvadanaio degli italiani?.
In tempi come questi, 300 mld € da scrivere nei bilanci patrimoniali fanno comodo a molti
Qualche indizio:
i) dopo la privatizzazione di DEUTSCHE POST cosa e come è successo delle attività finanziarie del gruppo? - il triangolo no! non l’avevo considerato -
ii) sul tavolo verde della Royal Mail, chi ha vinto la “posta” in gioco?
- confessioni di un pentito
Un ripasso storico sulle tipografie degli inviti e sui luoghi dei convegni non fa mai male.