I. Riprendiamo il discorso del post di ieri per completarlo. Abbiamo visto quelle che, per ora, sono le "contromosse" che il regime ordoliberista europeo ha escogitato per venire in soccorso della classe politica e della classe capitalista finanziaria (o finanziarizzata) che, nella solidarietà contrattualizzata di cui "plasticamente" parla Massimo Florio, è il punto di riferimento della governance €uropea.
Le contromosse le ribadiamo qui e, per il momento, le lasciamo in premessa, per migliore focalizzazione:
1) revisione - dei criteri di calcolo del PIL a livello UE, in modo da creare un aumento sostanzialmente fittizio delle basi di calcolo e rendere formalisticamente (ma non sostanzialmente) più sostenibili le politiche di pareggio di bilancio e di riduzione del debito;
2) innalzamento degli aiuti di Stato de minimis, portati a 15 milioni di euro (sulle imprese fino a 499 dipendenti), in modo da rendere più praticabili le politiche supply-side: ma solo da parte di paesi cui viene consentito di sforare il tetto del deficit, perciò eccettuata l'Italia, con la fattiva collaborazione dei nostri governanti "proni" a questo stato di cose;
3) dichiarazione di Draghi, recentissima, sulla volontà di intervenire - sullo stile "whatever it takes...and believe me"- in caso di deflazione nell'area euro (ma subito negando che "ci siano gravi pericoli" in tal senso!);
II. Ci appare utile riportare anche una seconda premessa rinvenibile nel discorso di ieri:
"L'effetto depressivo di queste dichiarazioni - adde: cioè quelle provenienti persino da ambienti finanziari "ortodossi", e persino dalla sede di Davos, e praticamente "censurate" dai media italiani, laddove sarebbero ben dovute essere oggetto di un dibattito chiaramente prioritario rispetto a quello sulla legge elettorale!- sta nella loro implicita valutazione di assoluta incapacità di autocorrezione del sistema UEM, affidato ad una governance che fa di tutto per confermare la propria incapacità.
E si tratta di "incapaci" che trovano in Italia un ascolto incondizionato, che va ben al di là del formale ossequio ad una gerarchia ordinamentale fanaticamente esaltata in Italia: ci troviamo, piuttosto, di fronte ad un'operazione politica di antica origine, che, come ben sappiamo, trova la sua forza autonoma nella convinzione di un autentico ridisegno della società. Un obiettivoche è ormai irreversibilmente radicato nelle mire di una classe dirigente che crede, irresponsabilmente, di poter continuare a guadagnare, sia politicamente che economicamente, dalla prosecuzione dello stato delle cose attuale."
III. Il "ridisegno" della società europea, ma più di tutte di quella italiana, è in gran parte avvenuto.
Tanto per evidenziare come questo fosse stato previsto con esattezza in base ad ovvie analisi economiche "bona fide", che risalgono a ben prima dell'entrata in vigore dell'euro, rinviamo ad un ulteriore fonte fortemente indicativa per la sua autorevolezza: l'intervento di Luigi Spaventaalla Camera dei Deputati in occasione della ratifica italiana del sistema monetario europeo (SME).
Da questo intervento, - che va letto integralmente per il suo enorme interesse, dovuto alla esatta individuazione dei problemi macroeconimici che avrebbero non solo portato alla successiva ingloriosa fine dell'adesione italiana al sistema, ma al disastro scontato connesso all'introduzione dell'euro-, può trarsi una triplice rilfessione:
a) esisteva ancora, al tempo, e persino in Mario Monti (!!!), la consapevolezza che "il vincolo ("esterno") sulla politica economica interna “non può essere considerato come insostenibile conseguenza di un’entrata prematura nel sistema” (parole testuali di Monti d'antan), accettandosi ancora l'idea che i differenziali di inflazione non solo fossero dovuti a differenze strutturali del tutto legittime, ma anche a differenze politico-economiche e culturali che vedevano la Germania da sempre su posizioni divergenti rispetto gli interessi degli altri Stati europei!;
b) il livello della classe politica, e del conseguente dibattito, (seppure "invano", ai fini decisionali) era infinitamente più elevato di quello attuale.
Anche ammesso che la ancor più rigida "censura" (ideologico-terroristica) attuale sia superabile in sede parlamentare-istituzionale, oggi non ci sarebbe più nessuno in grado di svolgere una requisitoria di quel valore politico-scientifico (diceva Spaventa, allora: "si ritiene che l’edificazione del sistema monetario rappresenti il primo sussulto dell’idea europea dopo anni di letargo; l’occasione non può e non deve essere persa...Obiettare a questo argomento è pericoloso - si badi - perché si rischia di essere marchiati di antieuropeismo, si rischia di essere marchiati come nazionalisti, come retrogradi, perché esiste anche una sorta di terrorismo ideologico europeistico...Sono, quelle del sistema monetario, imperfezioni tecniche o non piuttosto i difetti di una creatura nata politicamente male e politicamente malformata?Non derivano, queste imperfezioni, dagli egoismi nazionali degli altri paesi più forti della Comunità? Perché mai, altrimenti, i costi che ci si chiede di sopportare dovrebbero essere solo i nostri, mentre non paiono esservi costi per i paesi più forti? Queste domande io vorrei porre agli amici europeisti, insieme a tante altre);
c) si era già radicato il controsenso assoluto, date le condizioni strutturali del tempo, in seguito persino aggravate (com'era inevitabile), di un'Italia contributrice "netta", (cioè in deficit), del bilancio UE e della contraddittoria inefficacia dei (comunque insufficienti) fondi perequativi vari per le regioni "depresse". Già allora, in sede di trattative, si arrivò all'entrata nel sistema avendo ottenuto"Zero in materia di trasferimenti reali, da ottenersi mediante modifiche delle politiche agricole e di bilancio; pochissimo in materia di crediti: pochissimo non solo per l’esiguità delle somme, ma anche per i condizionamenti posti all’impiego dei fondi medesimi, che devono essere impiegati in modo tale da non alterare le condizioni di competitività, quasi che non si trattasse di portare le regioni più povere della Comunità a condizioni di competitività pari a quelle di altri paesi".
La questione del regime del divieto di aiuti di Stato, unita a quella della disfunzionalità in radice dei fondi perequativi intra-UE, se non altro come volume realistico, a svolgere il ruolo di effettivi "trasferimenti", era dunque già emersa prepotentemente.
IV. Tutto questo poteva, già allora, specie alla luce della maggior cultura e sensibilità democratiche di almeno una parte della classe politica, prefigurare una concreta ragione di contrarietà all'art.11 Cost. dell'adesione allo SME, in forme acutizzate e gravemente attualizzate dall'adesione al Trattato di Maastricht.
Ma tralasciamo, allo stato degli attuali schiaccianti rapporti di forza politica, questa direzione di indagine: a che servirebbe, ormai, data la saldatura tra una politica trasversale e unificata di livello "pop-reazionario" e classi finanziarie in rigido controllo del sistema mediatico, che fornisce ogni possibile linguaggio e concetto "consentito" nel dibattito politico-economico, traendo dalle tecniche pubblicitarie la fissazione obbligata di un livello espositivo "pop" (il mantra: "la gente non capirebbe"...)?
Piuttosto occupiamoci di come, realizzato in gran parte il ridisegno della società italiana (ed europea, ovviamente) intendano ora, pur essendosi puntualmente avverate le previsioni di disastro formulate da tutte le voci ragionevoli, gestire la situazione.
Insomma, com'è che l'ordoliberismo crede di riuscire a cavarsela, una volta conquistato un potere pressocchè assoluto e avendolo fatto creando una progressiva "desertificazione" economico-industriale?
Ovviamente, le "contromisure" ribadite all'inizio del post servono solo per "prendere tempo", come già da mesi evidenziato.
In realtà, la "loro" ferma convinzione è che la crescita sia possibile attraverso un diffuso modello mercantilista, cioè trainata dalle sole esportazioni, credendo nella conciliabilità tra modello tedesco e ciclo economico avverso, innescato dalla "mossa" preventiva tedesca.
Mossa che, come abbiamo visto, non trovava alcuna giustificazione congiunturale ed era solo la prevedibile strategia dell'attacco, - nelle condizioni poste dall'euro, (ma in violazione di svariate norme dei trattati)-, che avrebbe sferrato la Germania al resto d'Europa: tanto più prevedibile perchè in perfetta continuità con il comportamento tenuto e le finalità da essa perseguite con lo stesso SME (evitare rivalutazioni, acuendo al tempo stesso il vantaggio svalutativo dei tassi di cambio reale, laddove gli altri paesi non avrebbero avuto alcuna possibilità di reazione tempestiva, privati strutturalmente di ogni flessibilità adattativa del cambio nominale).
Sapir ci dice che un tale sistema non può reggere e noi l'avevamo anticipato, con considerazioni del tutto simili, alla fine del 2012 (cfr; par.2 ).
V. Ora perchè credono che un sistema incorreggibile possa andare avanti?
Per il semplice fatto che "possono"...farlo andare avanti. E' una questione di potere, esattamente come evidenziò Kalecky nel parlare della rinuncia, da parte dei capitalisti, alla piena occupazione, ed ai maggiori profitti connessi, come obiettivo ben più appetibile della prospettiva, alternativa, della rinunzia alla "disciplina nelle fabbriche" e al controllo delle istituzioni di governo.
Dunque, oggi, poichè "possono", sostengono che, nonostante il "loro" modello sia portatore di disoccupazione diffusa e distruzione della domanda aggregata, e nonostante ciò nel lungo periodo distrugga la base di investimenti, tecnologie e di potenziale demografico necessari per perseguire il "loro" stesso disegno, , come dice Krugman, "stavolta è diverso".
Perciò arrivano irresponsabilmente a un punto in cui persino Rogoff dice:
Anche ammesso che la ancor più rigida "censura" (ideologico-terroristica) attuale sia superabile in sede parlamentare-istituzionale, oggi non ci sarebbe più nessuno in grado di svolgere una requisitoria di quel valore politico-scientifico (diceva Spaventa, allora: "si ritiene che l’edificazione del sistema monetario rappresenti il primo sussulto dell’idea europea dopo anni di letargo; l’occasione non può e non deve essere persa...Obiettare a questo argomento è pericoloso - si badi - perché si rischia di essere marchiati di antieuropeismo, si rischia di essere marchiati come nazionalisti, come retrogradi, perché esiste anche una sorta di terrorismo ideologico europeistico...Sono, quelle del sistema monetario, imperfezioni tecniche o non piuttosto i difetti di una creatura nata politicamente male e politicamente malformata?Non derivano, queste imperfezioni, dagli egoismi nazionali degli altri paesi più forti della Comunità? Perché mai, altrimenti, i costi che ci si chiede di sopportare dovrebbero essere solo i nostri, mentre non paiono esservi costi per i paesi più forti? Queste domande io vorrei porre agli amici europeisti, insieme a tante altre);
c) si era già radicato il controsenso assoluto, date le condizioni strutturali del tempo, in seguito persino aggravate (com'era inevitabile), di un'Italia contributrice "netta", (cioè in deficit), del bilancio UE e della contraddittoria inefficacia dei (comunque insufficienti) fondi perequativi vari per le regioni "depresse". Già allora, in sede di trattative, si arrivò all'entrata nel sistema avendo ottenuto"Zero in materia di trasferimenti reali, da ottenersi mediante modifiche delle politiche agricole e di bilancio; pochissimo in materia di crediti: pochissimo non solo per l’esiguità delle somme, ma anche per i condizionamenti posti all’impiego dei fondi medesimi, che devono essere impiegati in modo tale da non alterare le condizioni di competitività, quasi che non si trattasse di portare le regioni più povere della Comunità a condizioni di competitività pari a quelle di altri paesi".
La questione del regime del divieto di aiuti di Stato, unita a quella della disfunzionalità in radice dei fondi perequativi intra-UE, se non altro come volume realistico, a svolgere il ruolo di effettivi "trasferimenti", era dunque già emersa prepotentemente.
IV. Tutto questo poteva, già allora, specie alla luce della maggior cultura e sensibilità democratiche di almeno una parte della classe politica, prefigurare una concreta ragione di contrarietà all'art.11 Cost. dell'adesione allo SME, in forme acutizzate e gravemente attualizzate dall'adesione al Trattato di Maastricht.
Ma tralasciamo, allo stato degli attuali schiaccianti rapporti di forza politica, questa direzione di indagine: a che servirebbe, ormai, data la saldatura tra una politica trasversale e unificata di livello "pop-reazionario" e classi finanziarie in rigido controllo del sistema mediatico, che fornisce ogni possibile linguaggio e concetto "consentito" nel dibattito politico-economico, traendo dalle tecniche pubblicitarie la fissazione obbligata di un livello espositivo "pop" (il mantra: "la gente non capirebbe"...)?
Piuttosto occupiamoci di come, realizzato in gran parte il ridisegno della società italiana (ed europea, ovviamente) intendano ora, pur essendosi puntualmente avverate le previsioni di disastro formulate da tutte le voci ragionevoli, gestire la situazione.
Insomma, com'è che l'ordoliberismo crede di riuscire a cavarsela, una volta conquistato un potere pressocchè assoluto e avendolo fatto creando una progressiva "desertificazione" economico-industriale?
Ovviamente, le "contromisure" ribadite all'inizio del post servono solo per "prendere tempo", come già da mesi evidenziato.
In realtà, la "loro" ferma convinzione è che la crescita sia possibile attraverso un diffuso modello mercantilista, cioè trainata dalle sole esportazioni, credendo nella conciliabilità tra modello tedesco e ciclo economico avverso, innescato dalla "mossa" preventiva tedesca.
Mossa che, come abbiamo visto, non trovava alcuna giustificazione congiunturale ed era solo la prevedibile strategia dell'attacco, - nelle condizioni poste dall'euro, (ma in violazione di svariate norme dei trattati)-, che avrebbe sferrato la Germania al resto d'Europa: tanto più prevedibile perchè in perfetta continuità con il comportamento tenuto e le finalità da essa perseguite con lo stesso SME (evitare rivalutazioni, acuendo al tempo stesso il vantaggio svalutativo dei tassi di cambio reale, laddove gli altri paesi non avrebbero avuto alcuna possibilità di reazione tempestiva, privati strutturalmente di ogni flessibilità adattativa del cambio nominale).
Sapir ci dice che un tale sistema non può reggere e noi l'avevamo anticipato, con considerazioni del tutto simili, alla fine del 2012 (cfr; par.2 ).
V. Ora perchè credono che un sistema incorreggibile possa andare avanti?
Per il semplice fatto che "possono"...farlo andare avanti. E' una questione di potere, esattamente come evidenziò Kalecky nel parlare della rinuncia, da parte dei capitalisti, alla piena occupazione, ed ai maggiori profitti connessi, come obiettivo ben più appetibile della prospettiva, alternativa, della rinunzia alla "disciplina nelle fabbriche" e al controllo delle istituzioni di governo.
Dunque, oggi, poichè "possono", sostengono che, nonostante il "loro" modello sia portatore di disoccupazione diffusa e distruzione della domanda aggregata, e nonostante ciò nel lungo periodo distrugga la base di investimenti, tecnologie e di potenziale demografico necessari per perseguire il "loro" stesso disegno, , come dice Krugman, "stavolta è diverso".
Perciò arrivano irresponsabilmente a un punto in cui persino Rogoff dice:
"Mentre l'Europa ha ancora grandi competenze tecnologiche e un ordinamento giuridico che è l'invidia di molti mercati emergenti, ora rischia di perdere terreno come primo attore dell'economia globale."Se queste potenzialità tecnologiche non vengono realizzate, l’Europa si sveglierà, come Rip Van Winkel, da un lungo sonno di tipo giapponese, ritrovandosi ad essere una parte molto più ridotta e molto meno importante dell'economia mondiale."
E sir Martin Sorrell, capo del WPP inglese, ipotizza: "l'Eurozona sta perseguendo una "curva di Phillips" - la forbice tra disoccupazione e inflazione - all'inverso: come se stesse testando "quale livello di disoccupazione è disposta a tollerare pur di avere inflazione zero".
Vito Lops, sulla scorta di Krugman, ci dice anche lui che si scommette su una crescita a inflazione zero, senza riguardo al cadere nella sindrome del "questa volta è diverso".
Alla fine dei giochi, tutto questo "gioco di potere", è proprio del capitalismo sfrenato, una volta che si sia, nella forma "nuova prescelta", insediato in super-istituzioni e intenda rendersi "bene accetto", appunto, come ordoliberismo.
Il punto debole politico di questa strategia, però, -quello economico è talmente evidente che non ha bisogno altro che di attendere la catastrofe inevitabile- è l'intrinseca visione mercantilista egemone germanica: che si trova a fronteggiare le diverse esigenze del "liberoscambismo" interatlantico, che si fonda su una diversa concezione, molto più pragmatica, della stessa piena occupazione.
Quest'ultima, nella visione sostenuta dagli USA, non è un bene sacrificabile quanto lo è la tutela sociale del lavoro.
I "consumatori", sebbene ora miopemente "astratti" dalla concezione "fordista" (che accetta che i salari crescano con la produttività e non debbano essere sacrificati per una gigantesca redistribuzione, chiamata attualmente "stabilità dei mercati finanziari"), devono pur sempre esserci e costituire una massa "matura" di potere d'acquisto, in assenza della quale neppure la liberalizzazione, per mezzo di un trattato, di ogni possibile servizio (pensioni=fondi finanziari privati e sanità=assicurazioni private) o settore di mercato (magari la stessa difesa), sortirebbe gli effetti auspicati: cioè quelli sui profitti delle imprese che si vedano aperti nuovi "liberi mercati".
VI. Il problema è che gli USA, non paiono coscienti di quanto in Europa l'operazione di distruzione del welfare, sociale e del lavoro, che pure continuano ad auspicare ("le irrinunciabili riforme strutturali"), conduca ad un assetto di forze che sono poi incontrollabili e, quindi, neppure correggibili con l'introduzione degli strumenti che essi stessi considerano come appropriati.
Cioè, in specie, un diverso modello di banca centrale capace di fare le politiche espansive che tutt'ora mettono al centro di ogni possibile soluzione della crisi da domanda.
Dimenticando, tra l'altro, la loro stessa propensione all'intervento pubblico sulla spesa, come attestano i ben diversi andamenti dei deficit pubblici tra bilancio federale e area UEM.
Non hanno capito che, una volta accettato di non contestare il legame tra limitazioni del deficit pubblico e auspicata destrutturazione definitiva del welfare, le riforme strutturali provocano un effetto politico di raffozamento delle tendenze mercantiliste che oggi vorrebbero combattere: si tratta sostanzialmente della sindrome "dell'apprendista stregone", (opposta a quella del "questa volta è diverso").
Una volta evocato il capitalismo sfrenato non si può poi fermarlo a piacimento: il "lavoro-merce" diviene un problema di arretramento oltre gli stessi desiderata dell'improvvido apprendista.
Riusciranno a fermare tutto questo, se veramente sono interessati a questo tipo di "recupero" delle potenzialità dei mercati UEM?
VII. Per farlo devono comprendere le ragioni profonde della loro stessa crisi sistemica: il neo-liberismo, non è buono se legato alle "nuove" politiche monetarie, mentre diviene "cattivo" se trasposto in Europa in forma di ordoliberismo a matrice mercantilista tedesca.
Il liberoscambismo è un blocco unico di tendenze politiche che in Europa poteva affermarsi solo nella forma attuale: diversamente non sarebbe stato possibile fronteggiare in modo vincente decenni di applicazione delle Costituzioni democratiche.
Non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca.
Non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca.
Ma non è possibile ritenere che un ripensamento di questo genere avvenga, da parte loro, in tempi accettabilmente brevi e senza traumi al loro stesso interno.
Per questo, anche alla luce delle attuali "voci" critiche verso l'ordoliberismo instaurato in UEM, ma virato irresistibilmente verso il mercantilismo (autodistruttivo), mi sento ancora di più di affermare:
"Sto cominciando a maturare la convinzione che, in assenza di stalinismo alle porte, è impossibile replicare la stagione keynesiana-costituzionale post 1943.
Al massimo si potrà recuperare la flessibilità del cambio e una certa limitata cooperazione delle BC (sempre nei limiti dell'interesse bancario nazionale).
E sarebbe già tanto.
La democrazia redistributiva pluriclasse probabilmente è già morta, nel momento in cui è caduto il muro di Berlino (o giù di lì): senza una forza contraria e simmetricamente minacciosa i capitalisti si riprendono tutto il maltolto (secondo loro). E siccome il capitalismo si sviluppa per oligopoli sempre più grandi e transnazionali, non vedo come si possa trovare una forza capace di neutralizzare il loro dominio, in presenza delle loro strategie di manipolazione dell'informazione."
Al massimo si potrà recuperare la flessibilità del cambio e una certa limitata cooperazione delle BC (sempre nei limiti dell'interesse bancario nazionale).
E sarebbe già tanto.
La democrazia redistributiva pluriclasse probabilmente è già morta, nel momento in cui è caduto il muro di Berlino (o giù di lì): senza una forza contraria e simmetricamente minacciosa i capitalisti si riprendono tutto il maltolto (secondo loro). E siccome il capitalismo si sviluppa per oligopoli sempre più grandi e transnazionali, non vedo come si possa trovare una forza capace di neutralizzare il loro dominio, in presenza delle loro strategie di manipolazione dell'informazione."
VIII. Attenzione, non voglio considerare questo commento un epitaffio ma solo la definizione di un momento di transizione: sono più propenso a ritenere, ora, che questo "sentiment" segni solo l'inizio di una riscossa democratica, verso un (ri)allargamento della sua prospettiva.
E ciò, vista anche l'evoluzione della situazione mondiale, che implica un progressivo cedimento della "facciata" marmorea di una governance mondiale affidata alla grande finanza, ormai irreversibilmente screditata.
In una situazione, cioè, in cui il capitalismo finanziario finisce per essere come un condannato con la "condizionale", questa sorta di "epigrafe", vale nell'orizzonte del breve periodo.
Al massimo,può ancora durare fino a quandouna probabile nuova crisi finanziaria imporrà di prendere quelle misure che dopo il 2008 non si ebbe il coraggio di attuare: limitazione della libera circolazione dei capitali e superamento del modello di banca universale (almeno).
Certo non sarà senza traumi un simile "rappel a l'ordre", ma almeno implicherà la profonda revisione della composizione della governance mondiale: ne verranno travolti e dunque ripensati, FMI, WTO e la stessa UEM.
E si dirà basta con i banchieri al potere...ovunque.
Avranno perso ogni legittimazione anche di mera facciata, e il controllo mediatico non basterà più: come potranno i giornalisti di regime e i banchieri istituzionalizzati chiedere ancora alle masse di disoccupati e lavoratori precari, spogliati di ogni sicurezza sociale e dei loro risparmi (e prospettive di risparmio) di sopportare ancora i costi della crisi che "loro" avranno nuovamente provocato?
Nel medio-lungo periodo, dunque (quando ancora non "saremo tutti morti", si spera), questa incomprensione, o incompleta comprensione, degli effetti del neo-liberismo, porterà inevitabilmente a ripensamenti e revisioni da parte di tutti gli attori (USA in primis): tanto più traumatici per tutti, quanto più sarà ritardata l'espulsione dai processi decisionali degli attuali componenti della stessa governance "globale".
Ci sarà da divertirsi (in un senso del tutto eufemistico), perchè "alla prossima" salteranno anche "loro".
E il "loro" potere di ricatto sarà enormemente diminuito, fino a scemare: in fondo, dovrebbero saperlo che quando si fa sentire una massa "colpevole" e la si mette con le spalle al muro, poi non avrà più molto da perdere.
Mentre "loro" avranno avuto, sì, "tutto"....ma poi tutto da perdere.