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DAGLI STATI UNITI D'EUROPA ALL'UBERSTAAT ORDOLIBERISTA CHE CANCELLA GLI STATI

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Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo questo post di Gianluca Menti. 
La questione di principio in discussione davanti alla Corte europea è di somma importanza: si arriva ad affermare che la Costituzione italiana non possa costituire di ostacolo all'applicazione del diritto europeo
Non che ciò abbia mai, in Italia, costituito effettivamente un ostacolo. Ma finora è stato "di fatto" e mediante la continuativa disapplicazione strisciante della Costituzione stessa. 
La posizione che si va delineando formalizza però questa supremazia svalutativa del dettato costituzionale; e come sempre accade quando c'è di mezzo l'UE, viene sancito un percorso che non ha più ritorno. Persino l'art.4, par.2, del Trattato sull'Unione, - e non a caso su una questione "italiana"- diviene lo strumento per un'affermazione che oblitera la considerazione dell'identità nazionale: non dimentichiamo che, per le professioni forensi più che mai, la barriera linguisticaè un fattore decisivo che, nella risoluzione della questione, verrebbe scardinato. Fatichiamo a immaginare come tale elemento di identità sia sacrificabile da parte di tedeschi o francesi, cui, solo in teoria, per via dei rapporti di forza in essere, una pronuncia nel senso auspicato dall'Avvocato generale sarebbe, poi, in pieno applicabile. 
Ma sappiamo come la "parità"€uropea abbia una sola direzione: principalmente "educare" l'Italia (e, all'occorrenza, qualche paese porcellino). 
Per l'UE, va detto, i professionisti, come gli avvocati, sono sostanzialmente equiparati a imprese di servizi, senza che, come si vede, siano consentite troppe sottigliezze dovute a secoli di cultura (che in realtà nasce in Italia, dove le professioni forensi e lo studio del diritto nascono nel Medioevo, per tutti gli "europei" che attingevano agli "studia" italiani, conquistando la forma organizzativa attuale; e non certo per capriccio "assistenzialista" o corporativo). 
Ma una volta che una norma costituzionale venga esplicitamente considerata di rango inferiore a qualsiasi fonte europea, il processo che si innesca può portare, appunto, alla formalizzazione autoritativa di un generalizzato principio di subordinazione di tutta la Carta.  
Insomma, da qui, dato il clima riduzionistico e autorazzista in cui ogni manifestazione dell'UE si inserisce, il salto alla compressione in estremo anche dei principi fondamentali e dei diritti della persona potrebbe rivelarsi alquanto breve. Senza incontrare particolari resistenze.
E le conseguenze di ciò, in vista dell'applicazione di Fiscal Compact e Fondo di Redenzione Europeo (ERF) sono facilmente intuibili: si direbbe che questi nessun riflesso hanno sui principi fondamentali costituzionali e sui diritti della persona, considerando solo dei "neutrali" effetti sulla finanza pubblica e sulla stabilità monetaria e finanziaria. Ignorandone ogni concreto risvolto sulla vita di milioni di italiani.
Questo per chi volesse capire la tendenza; non certo per il governo italiano che ha assunto posizione conforme alle conclusioni dell'Avvocato generale, affrettandosi a considerare sacrificabile l'art.33 Cost. e, grosso modo, un millennio di tradizione ordinamentale.


Molte volte ci siamo interrogati circa la (in)compatibilità delle norme Europee rispetto alla nostra Costituzione da ciò discendendo la necessità costituzionale di uscita dai sistemi UEM.
Molti sono stati i tentativi di ricondurre a legittimità costituzionale lo strapotere normativo europeo basandosi sugli artt. 11 o 117 Cost. così sostenendo che non vi sia alcun problema di compatibilità tra il diritto interno ed il diritto sovranazionale che venga recepito nel diritto interno o che goda di auto-esecutività, individuandone il solo limite nel contrasto con i principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona (così Corte Costituzionale n. 170/1984 ribadita e confermata ancora in Corte Cost. 227/2010)
Non oltre tre giorni fa l’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia EU, sig. Nils Wahl, ha depositato le proprie conclusioni su un rinvio pregiudiziale operato dal Consiglio Nazionale Forense circa il meccanismo, legittimato dalla Direttiva 98/5 sul diritto di stabilimento deiprofessionisti europei nei vari Stati dell’Unione, che consente l’esercizio della professione forense da parte di cittadini italiani che, conseguita la laurea sul suolo nazionale se la facciano riconoscere in Spagna ove con un sistema molto più leggero di quello italiano, ottengano l’abilitazione professionale come Abogados e quindi si iscrivano nell’albo degli avvocati italiano come legale abilitato stabilito.
Tra le varie questioni sollevate dal Consiglio Nazionale Forense, nanti il quale pende la controversia di due cittadini italiani che chiedevano, senza per ora ottenerla, l’iscrizione all’albo degli avvocati come abogados, quella fondamentale circa la denunciata incompatibilità tra la direttiva 98/5 e l’art. 4 paragrafo 2 del TUE che, testualmente disponendo “L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali”, imporrebbe al diritto dell’Unione Europea di conformarsi al diritto nazionale italiano ed in particolare, nel caso di specie, all’art. 33 comma 5 della Costituzione Italiana che, come noto, impone un esame di Stato, tra gli altri, per “l'abilitazione all'esercizio professionale”.
Il sig. Wahl così testualmente argomentava per la non fondatezza della questione sollevata: “Innanzitutto, devo ammettere che ho serie difficoltà a seguire il ragionamento del CNF. 
Non mi è chiaro perché l’iscrizione all’albo degli avvocati di cittadini dell’Unione che hanno ottenuto un titolo professionale in un altro Stato membro ponga una tale minaccia all’ordinamento giuridico italiano da potersi ritenere che comprometta l’identità nazionale italiana. A tal riguardo, è vero che la Corte ha concesso agli Stati membri, in determinate circostanze, la possibilità di derogare agli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, come ad esempio il rispetto delle libertà fondamentali, a causa della protezione della loro identità nazionale. 
Tuttavia, ciò non significa che qualsiasi norma contenuta in una costituzione nazionale possa limitare l’applicazione uniforme delle disposizioni dell’Unione, o addirittura costituire un parametro di legittimità per tali disposizioni. Di conseguenza, come hanno sostenuto il Parlamento e il Consiglio, il semplice fatto che una disposizione della Costituzione italiana prescriva il superamento di un esame di Stato perché si possa esercitare la professione di avvocato non implica che la direttiva 98/5 comprometta l’identità nazionale italiana ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE
Tale posizione è stata confermata in udienza anche dal governo italiano, che ha affermato di non essere d’accordo con le considerazioni espresse dal giudice del rinvio nella domanda di pronuncia pregiudiziale a proposito di un possibile contrasto tra la direttiva 98/5 e l’articolo 33, comma 5, della Costituzione italiana”.

Per l’Avvocato Generale della Corte di Giustizia le Costituzioni nazionali non possono mai fungere da parametro di legittimità delle disposizioni comunitarie ed al più possono essere invocate dai governi nazionali affinché la Corte “conceda(si osservi bene il termine utilizzato perché emblematico della pretesa sovraordinazione) la possibilità di “derogare” agli “obblighi imposti dal diritto dell’Unione”.
E’ evidente il cambio “di passo” cui vorrebbe giungere il sig. Wahl.
Se la Repubblica Italiana, ai sensi dell’art. 11 Costituzione, al più “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” ben difficilmente si può ammettere di sott’ordinare la Costituzione, in forza della quale il diritto sovranazionale può avere un qualche effetto in Italia, a tale diritto derivato. E’ come ammettere che non solo si sia operata una cessione di sovranità ad un’organizzazione priva del necessario collegamento democratico con il popolo (tutt’oggi dichiarato depositario dei poteri statuali), ma che il diritto prodotto da quest’organizzazione autolegittimi se stesso ponendosi addirittura in posizione sovraordinata rispetto al diritto che ne ha consentito (e ne consente) l’esistenza.
Ma il sig. Wahl va oltre. 
Non nega l’esistenza di una norma costituzionale italiana che impone l’esame di abilitazione per l’esercizio della professione di avvocato, ma la ritiene (addirittura con consueto acritico conforme parere anche dello stesso governo italiano che quella Costituzione ha giurato di servire lealmente) come non rilevante, siccome necessariamente cedevole ai fini di poter escludere l’applicabilità in Italia di un sistema per cui lo stesso cittadino italiano possa esercitare la professione forense senza l’esame di Stato prescritto, poiché esercita come abogados e non come avvocato, pur potendo a questo pienamente equipararsi in forza proprio della direttiva 98/5, che ha quindi cogenza tale da determinare la disapplicazione della disposizione costituzionale.
Per anni i costituzionalisti italiani si sono interrogati sul valore del diritto comunitario, giungendo a ritenerlo a valore superiore a quello della legge ordinaria, ma comunque soggetto alla Costituzione quantomeno per il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento, di norma identificati con la parte prima della Costituzione.
E’ pur vero che nel 1970 la Corte di Giustizia CE ha avuto modo di affermare (procedimento 11/70) che 
Il richiamo a norme o nozioni di diritto nazionale nel valutare la legittimità di atti emananti dalle istituzioni della Comunità menomerebbe l'unità e l'efficacia del diritto comunitario. La validità di detti atti può essere stabilita unicamente alla luce del diritto comunitario. Il diritto nato dal trattato, che ha una fonte autonoma, per sua natura non può infatti trovare un limite in qualsivoglia norma di diritto nazionale senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che sia posto in discussione il fondamento giuridico della stessa Comunità. Di conseguenza, il fatto che siano menomati vuoi i diritti fondamentali sanciti dalla costituzione di uno Stato membro, vuoi i principi di una costituzione nazionale, non può sminuire la validità di un atto della Comunità né la sua efficacia nel territorio dello stesso Stato” immediatamente però autolimitando il proprio preteso potere autonomo - che, come detto, deriverebbe dal Trattato quasi che questo possa essere fonte primigenia di diritto- osservando che “… La tutela dei diritti fondamentali costituisce infatti parte integrante dei principi giuridici generali di cui la Corte di giustizia garantisce l'osservanza. La salvaguardia di questi diritti, pur essendo informata alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, va garantita entro l'ambito della struttura e delle finalità della Comunità”.
Questa linea aveva ottenuto una sorta di nulla osta, a una simile pretesa di supremazia, dalla Corte Costituzionale tedesca (caso Solange II del 1986, dopo che nel 1974 nel caso Solange I aveva sostenuto la prevalenza della Legge Fondamentale tedesca) che si astiene dall’esercizio della propria giurisdizione sugli atti comunitari “fintanto che le Comunità europee, e soprattutto la giurisprudenza della C.G.C.E., garantiranno in via generale una protezione efficace dei diritti fondamentali contro il potere sovrano delle Comunità, secondo modalità che possano essere considerate come sostanzialmente eguali alla protezione dei diritti fondamentali assunta come inderogabili dalla LF, e fintanto che le stesse garantiranno … il contenuto sostanziale dei diritti fondamentali”.

Oggi l’ordoliberismo chiede un salto ulteriore. 
Chiede che le (quantomeno quelle dell’area meridionale dell’Europa) costituzioni, non a caso criticate come “socialiste” da JP Morgan nel famigerato documento, siano superate al fine di consentire quella maggior integrazione europea che consenta, negli ovvi obiettivi di una banca d’affari che fa della speculazione finanziaria il proprio pane quotidiano, quella “necessaria” applicazione d’austerity senza dover fare i conti con quel fastidioso fenomeno chiamato “procedimento democratico”.
E così mediante la riscrittura in sede comunitaria dei “diritti fondamentali”, ispirata al principio di concorrenza e all’obiettivo di controllo dell’inflazione,vengono di fatto cancellati i diritti fondamentali di Costituzioni come quella italiana; questa, infatti, prevede diritti i quali, imponendo un ordinamento economico antitetico rispetto a quello comunitario,  divengono posizioni superabili e antistoriche che, si opina in UE, non costituiscono, né potrebbero costituire, l’identità nazionale italiana rilevante ai sensi dell’art. 4 par. 2 TUE. 
E noi sappiamo che i nostri diritti fondamentali costituzionali sono basati sugli opposti principi del diritto al lavoro (anche fondamento della Repubblica) e delle conseguenti necessarie politiche attive di piena occupazione che, tra l'altro, si connettono espressamente all’intervento pubblico nell’economia, con una serie di previsioni che divengono così sottordinate agli obblighi che l’Italia avrebbe assunto partecipando all’Unione Europea.
Questa, dunque, oggi si arroga l’intera sostituzione allo Stato nazionale, così realizzando non gli Stati Uniti d’Europa di cui ancora molti van cianciando come possibile obiettivo, ma un UberStaat europeo che ha la propria legittimazione non già nella delega di potere dal popolo mediante libere elezioni secondo il modello democratico-costituzionale, ma autocraticamente nel proprio Trattato istitutivo, in grado di demolire ogni norma anche di rango costituzionale mediante semplice sua disapplicazione.
Evidente a fronte di ciò che si imponga sempre più pressantemente una seria riflessione sulla perdurante (non) costituzionalità di questo UberStaat ordoliberista che pretende di fare a meno di quella Repubblica democratica fondata sul lavoro, nel quale il potere appartiene al popolo che lo esercita secondo Costituzione che la nostra Carta Fondamentale ha qualificato, tra l’altro, come di impossibile revisione costituzionale (comunque ad oggi mai neppure ritenuta necessaria e quindi avvenuta).


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