Brevemente: avevo posto i 4 quesiti alla platea dei lettori affinchè ne venisse fuori un quadro che aiutasse a ribaltare il "senso comune" sulla "crisi" dell'euro(zona). Ed infatti, è essenziale ribaltare questo senso comune, e nel modo più PARTECIPATO, DIFFUSO E ANCHE RAPIDO POSSIBILE.
Il"senso comune" è ciò che, infatti, guida, quale "fatto notorio" e parametro di attendibilità scientifica, i giudici "supremi", nel valutare la legittimità "costituzionale" delle leggi (cioè delle decisioni regolatorie di interesse generale) adottate ad ogni livello di governo, nazionale e sovranazionale (quale che sia la Costituzione di riferimento, purchè democratica e sociale in senso moderno, e non revisionista in senso pre-crisi del '29!).
La nostra è, in un certo modo, molto pratico e drammatico, una "corsa contro il tempo": per cercare di evitare che iniziative come questa o quella portoghese, o una futura rivendicazione di legittimità costituzionale italiana, siano affossate dalla "pietra tombale" di un pensiero unico consolidato (assurto appunto a "fatto notorio" o a "indice ragionevole" di attendibilità). Dal fronte politico "interno", infatti, non possiamo attenderci altro che "illusori" wishfulthinking sulla creazione di un sufficiente bilancio "federale" (Sapir docet) che sostenga i paesi in squilibrio commerciale.
Cioè si deve cercare di intaccare, nelle sue fondamenta ideologiche (scientificamente vale ben poco), un "paradigma" del quale gli stessi decidenti potrebbero presto pentirsi, in quanto costretti dai fatti a "riconoscere" la follia di un pensiero ora "dominante" e supposto come "attendibile" (capite? Attendibile!), ma profondamente e irriducibilmente dannoso per il benessere comune dei popoli.
L'introduzione di Flavio viene pubblicata insieme alla risposta aiprimi due quesiti ottimamente dataci da Francesco Lenzi in un primo post.
La risposta agli ulteriori due quesiti , sempre proveniente da Francesco, sarà oggetto, per evidenti questioni di lunghezza, di un secondo post.
In calce al post AUX ARMES CITOYENS...L'ITALIA (PIU' CHE MAI) CHIAMO' Quarantotto aveva rivolto una richiesta a tutti i lettori del suo blog.
Anzi, più che una, ben quattro. Quattro quesiti a cui, chi se la fosse sentita, avrebbe potuto dare una sua definizione, una sua chiave di lettura soggettiva per mettere in piedi un confronto valido sulle possibili interpretazioni date a determinati assunti inseriti nei trattati europei.
Accogliendo l’istanza del “padrone di casa”, Francesco Lenzi ci illustra le sue ottime riflessioni.
Il"senso comune" è ciò che, infatti, guida, quale "fatto notorio" e parametro di attendibilità scientifica, i giudici "supremi", nel valutare la legittimità "costituzionale" delle leggi (cioè delle decisioni regolatorie di interesse generale) adottate ad ogni livello di governo, nazionale e sovranazionale (quale che sia la Costituzione di riferimento, purchè democratica e sociale in senso moderno, e non revisionista in senso pre-crisi del '29!).
La nostra è, in un certo modo, molto pratico e drammatico, una "corsa contro il tempo": per cercare di evitare che iniziative come questa o quella portoghese, o una futura rivendicazione di legittimità costituzionale italiana, siano affossate dalla "pietra tombale" di un pensiero unico consolidato (assurto appunto a "fatto notorio" o a "indice ragionevole" di attendibilità). Dal fronte politico "interno", infatti, non possiamo attenderci altro che "illusori" wishfulthinking sulla creazione di un sufficiente bilancio "federale" (Sapir docet) che sostenga i paesi in squilibrio commerciale.
Cioè si deve cercare di intaccare, nelle sue fondamenta ideologiche (scientificamente vale ben poco), un "paradigma" del quale gli stessi decidenti potrebbero presto pentirsi, in quanto costretti dai fatti a "riconoscere" la follia di un pensiero ora "dominante" e supposto come "attendibile" (capite? Attendibile!), ma profondamente e irriducibilmente dannoso per il benessere comune dei popoli.
L'introduzione di Flavio viene pubblicata insieme alla risposta aiprimi due quesiti ottimamente dataci da Francesco Lenzi in un primo post.
La risposta agli ulteriori due quesiti , sempre proveniente da Francesco, sarà oggetto, per evidenti questioni di lunghezza, di un secondo post.
In calce al post AUX ARMES CITOYENS...L'ITALIA (PIU' CHE MAI) CHIAMO' Quarantotto aveva rivolto una richiesta a tutti i lettori del suo blog.
Anzi, più che una, ben quattro. Quattro quesiti a cui, chi se la fosse sentita, avrebbe potuto dare una sua definizione, una sua chiave di lettura soggettiva per mettere in piedi un confronto valido sulle possibili interpretazioni date a determinati assunti inseriti nei trattati europei.
Accogliendo l’istanza del “padrone di casa”, Francesco Lenzi ci illustra le sue ottime riflessioni.
Rigore, rigore, rigore, austerità, austerità, austerità, la fanno da padrone sulle bocche dei nostri rappresentanti di governo: come durante l’Inquisizione, dobbiamo espiare le nostre colpe (quali poi?!?!), non ci possiamo permettere tutti gli agi (gli ospedali?!? La giusta pensione?!?) finora usufruiti, siamo poco produttivi, il nostro welfare è oramai “acqua passata”.
Delle affermazioni che pochi anni orsono avrebbero scatenato il finimondo. Ed invece, tutto (nei media main-stream, sia inteso) tace.
Tutto tace perché ciò “lo vuole l’Europa”, quell’UEM che definisce stabile, ottimale, un tasso di inflazione al 2%, un rapporto debito/PIL del 60% ed un deficit/PIL al 3%, non curandosi del fatto che in Europa, anzi nell’UEM che è cosa ben diversa, il lavoro è divenuto un’utopia, i redditi ed i risparmi calano mestamente, le persone sono ridotte allo stremo da una tassazione e da vessazioni indicibili.
Delle affermazioni che pochi anni orsono avrebbero scatenato il finimondo. Ed invece, tutto (nei media main-stream, sia inteso) tace.
Tutto tace perché ciò “lo vuole l’Europa”, quell’UEM che definisce stabile, ottimale, un tasso di inflazione al 2%, un rapporto debito/PIL del 60% ed un deficit/PIL al 3%, non curandosi del fatto che in Europa, anzi nell’UEM che è cosa ben diversa, il lavoro è divenuto un’utopia, i redditi ed i risparmi calano mestamente, le persone sono ridotte allo stremo da una tassazione e da vessazioni indicibili.
L’influenza del “monetarismo” nei criteri di riferimento citati poc’anzi, teoria sviluppata dall’economista americano Milton Friedman, pervade i gangli della costituzione europea.
Una costituzione che – stando alle parole di Antonio Cantaro in “Europa Sovrana. La costituzione dell’Unione tra guerra e diritti”, pp. 124 e segg., docente di diritto costituzionale dell’integrazione europea presso Urbino – dimentica stranamente la centralità del lavoro, di quel diritto al lavoro che “fonda” la nostra di Costituzione, con tutti i diritti ed i doveri annessi che la carta europea, di fatto, sembra appunto “dimenticare” appositamente, e che tratta i suoi cittadini come meri consumatori, a cui non interessano appunto i diritti (la chiama appunto “desocializzazione” di quest’ultimi) ma solo a quanto sta il loro potere di acquisto e quanto l’inflazione “eroda” il potere della loro moneta.
Una costituzione che – stando alle parole di Antonio Cantaro in “Europa Sovrana. La costituzione dell’Unione tra guerra e diritti”, pp. 124 e segg., docente di diritto costituzionale dell’integrazione europea presso Urbino – dimentica stranamente la centralità del lavoro, di quel diritto al lavoro che “fonda” la nostra di Costituzione, con tutti i diritti ed i doveri annessi che la carta europea, di fatto, sembra appunto “dimenticare” appositamente, e che tratta i suoi cittadini come meri consumatori, a cui non interessano appunto i diritti (la chiama appunto “desocializzazione” di quest’ultimi) ma solo a quanto sta il loro potere di acquisto e quanto l’inflazione “eroda” il potere della loro moneta.
Guardando nel dettaglio, grazie ai riferimenti inseriti da Francesco, questi parametri a prima vista razionali, rappresentano invece una concezione distorta delle problematiche e delle priorità economiche che una Unione di popoli dovrebbe perseguire.
Innanzitutto la stabilità finanziaria di un paese, checché ne dicano i vari Monti, Bersani, Berlusconi, non passa dal rapporto debito pubblico/PIL, ma dalla relazione debito estero/PIL.
A dirlo naturalmente non siamo noi, ma Nouriel Roubini, ed uno studioso italiano, Paolo Manasse, in questo studio in cui affermano che un paese possa andare incontro ad una prossima crisi finanziaria se supera il rapporto debito estero/PIL pari a circa il 55% (tabella 6); inoltre, in questo paperBartolini e Lahiri definiscono che di norma ad indebitarsi con l’estero, solitamente e per la maggior parte dei casi, non è il settore “pubblico” tanto caro agli euroburocrati, ma quello privato per ben due terzi.
Notiamo bene che, a questo punto, i parametri di Maastricht risultano, a dir poco, “mal pensati”. Stabilità finanziaria ed economica, così, passano da questi assiomi, come ben sottolineato anche dal nostro autore, e non di certo dai parametri indicati dai Trattati di Maastricht.
Innanzitutto la stabilità finanziaria di un paese, checché ne dicano i vari Monti, Bersani, Berlusconi, non passa dal rapporto debito pubblico/PIL, ma dalla relazione debito estero/PIL.
A dirlo naturalmente non siamo noi, ma Nouriel Roubini, ed uno studioso italiano, Paolo Manasse, in questo studio in cui affermano che un paese possa andare incontro ad una prossima crisi finanziaria se supera il rapporto debito estero/PIL pari a circa il 55% (tabella 6); inoltre, in questo paperBartolini e Lahiri definiscono che di norma ad indebitarsi con l’estero, solitamente e per la maggior parte dei casi, non è il settore “pubblico” tanto caro agli euroburocrati, ma quello privato per ben due terzi.
Notiamo bene che, a questo punto, i parametri di Maastricht risultano, a dir poco, “mal pensati”. Stabilità finanziaria ed economica, così, passano da questi assiomi, come ben sottolineato anche dal nostro autore, e non di certo dai parametri indicati dai Trattati di Maastricht.
In merito alla stabilità dei prezzi, quindi al parametro di inflazione del 2% fissato dalla BCE, proponiamo una riflessione. Innanzitutto, qual'è la definizione di inflazione: essa è il tasso di variazione di un indice aggregato di prezzo opportunamente scelto.
Come si calcola? Si prende un paniere di prodotti definiti a priori e che viene mantenuto costante nel tempo (inserendo ciclicamente nuovi articoli al posto di altri poco utilizzati), si registrano prezzi e quantità consumate ogni anno, e grazie ad essi ci si costruisce un indice, che varierà da un anno all’altro.
Questo tasso di variazione è appunto l’inflazione, che viene calcolata con una semplice formula: indice dei prezzi al consumo dell’anno 2 a cui sottraiamo l’indice dei prezzi al consumo dell’anno 1, la cui differenza viene divisa per l’indice dei prezzi al consumo dell’anno 1. Facile facile.
Con questa piccola dimostrazione, disponibile anche qui a pagina 24, abbiamo inconsapevolmente risposto sia al quesito sulla stabilità dei prezzi, che indirettamente alla domanda riguardante la massa monetaria che causa inflazione.
Innanzitutto stabilità dei prezzi nel tempo significa due cose: a)scoraggiare la produzione dal lato dell’offerta, poiché un imprenditore sarà costretto a fornire beni a prezzi quasi costanti, con costi di produzione sempre crescenti, assottigliando così i margini e portando al rischio sistemico aziendale;
b) ma tale "stabilità", rigidamente intesa, scoraggia pure la domanda, poiché un consumatore sarà allettato ad “aspettare” di acquistare i prodotti di suo interesse al momento più opportuno, in quanto saprà che “domani” essi costeranno di meno.
Abbiamo parlato di moneta? No. Perché i prezzi dei prodotti che completano il paniere, ad esempio, dell’Istat non sono fatti dalla moneta, ma dai costi per produrli. Ed i fattori produttivi appunto, pesano sul prezzo di un bene, non di certo la moneta, che non centra nulla poichè, se così vogliamo dire in semplicità, essa misura il valore di un bene.
Se volessimo poi rincarare la dose, potremmo aggiungerci a corollario pure la tanto bistrattata legge della domandae dell’offerta (che sembra quasi una “legge di gravità” dei rapporti economici, da essa infatti non si può scappare).
Con essa infatti notiamo che un bene più è domandato, più il suo prezzo cresce. Accade il contrario se il bene non è richiesto: il suo prezzo cala per “trovare” la domanda del cliente. L’inflazione quindi dipende anche da quanto un bene è domandato e, perché no, anche dalle tasse (l’IVA in più causa un aumento dei prezzi, è fisiologico).
Semplice vero? Ma fastidioso per i burocrati UE, ossessionati dall’inflazione e dall’erosione dei loro patrimoni (sono banchieri, capiamoli!).
Come si calcola? Si prende un paniere di prodotti definiti a priori e che viene mantenuto costante nel tempo (inserendo ciclicamente nuovi articoli al posto di altri poco utilizzati), si registrano prezzi e quantità consumate ogni anno, e grazie ad essi ci si costruisce un indice, che varierà da un anno all’altro.
Questo tasso di variazione è appunto l’inflazione, che viene calcolata con una semplice formula: indice dei prezzi al consumo dell’anno 2 a cui sottraiamo l’indice dei prezzi al consumo dell’anno 1, la cui differenza viene divisa per l’indice dei prezzi al consumo dell’anno 1. Facile facile.
Con questa piccola dimostrazione, disponibile anche qui a pagina 24, abbiamo inconsapevolmente risposto sia al quesito sulla stabilità dei prezzi, che indirettamente alla domanda riguardante la massa monetaria che causa inflazione.
Innanzitutto stabilità dei prezzi nel tempo significa due cose: a)scoraggiare la produzione dal lato dell’offerta, poiché un imprenditore sarà costretto a fornire beni a prezzi quasi costanti, con costi di produzione sempre crescenti, assottigliando così i margini e portando al rischio sistemico aziendale;
b) ma tale "stabilità", rigidamente intesa, scoraggia pure la domanda, poiché un consumatore sarà allettato ad “aspettare” di acquistare i prodotti di suo interesse al momento più opportuno, in quanto saprà che “domani” essi costeranno di meno.
Abbiamo parlato di moneta? No. Perché i prezzi dei prodotti che completano il paniere, ad esempio, dell’Istat non sono fatti dalla moneta, ma dai costi per produrli. Ed i fattori produttivi appunto, pesano sul prezzo di un bene, non di certo la moneta, che non centra nulla poichè, se così vogliamo dire in semplicità, essa misura il valore di un bene.
Se volessimo poi rincarare la dose, potremmo aggiungerci a corollario pure la tanto bistrattata legge della domandae dell’offerta (che sembra quasi una “legge di gravità” dei rapporti economici, da essa infatti non si può scappare).
Con essa infatti notiamo che un bene più è domandato, più il suo prezzo cresce. Accade il contrario se il bene non è richiesto: il suo prezzo cala per “trovare” la domanda del cliente. L’inflazione quindi dipende anche da quanto un bene è domandato e, perché no, anche dalle tasse (l’IVA in più causa un aumento dei prezzi, è fisiologico).
Semplice vero? Ma fastidioso per i burocrati UE, ossessionati dall’inflazione e dall’erosione dei loro patrimoni (sono banchieri, capiamoli!).
L’assunto infine che la Banca Centrale “stampando” moneta per lo Stato a “go-go” (come dicono i Chicago Boys) crei inflazione non tiene conto di una cosa:
1) che essa fornisce la liquidità RICHIESTA dal sistema (natura "endogena" della moneta) secondo le esigenze del sistema stesso come scritto qui e qui;
2) che l’indipendenza della banca centraleè una soluzione istituzionale che inizia a prendere piede verso la metà degli ‘70 (ed ora subisce molte critiche da parte di numerosi economisti-che vorrebbero ripensare questa presunta indipendenza poiché dannosa per il sistema) per combattere l’inflazione (sopra abbiamo visto cosa essa sia in realtà) causata, secondo il pensiero main-stream del tempo (ma sempre attualissimo nella BCE-Bundesbank), dallo Stato cattivo che appunto stampava moneta e quindi “creava” inflazione.
Un nesso che abbiamo visto essere molto labile, ma che al tempo fece molta presa, chissà perché, su gran parte del mondo occidentale e non.
Paradossalmente l’inflazione c’era ed era alta. Poi calò. Merito della Banca Centrale indipendente? Non proprio.
Fermiamoci un attimo, e pensiamo: vi ricorda nulla la parola “austerity”, le domeniche senza auto, le città “invase” dalle persone? Si? Bene.
Se ci mettiamo nell’ordine di idee che quei tempi furono i famosi anni degli shock petroliferi (ricordate? la guerra dello Yom Kippur del ‘73, la rivoluzione in Iran del ‘79), capiamo perché l’inflazione era alta, e afferriamo il concetto che se il prezzo del greggio in quegli anni triplicava o quadruplicava, trascinava con sé anche i prezzi al consumo.
La conseguente sua discesa verso la metà degli anni ’80 – il prezzo dei prodotti petroliferi ritornò quasi ai livelli degli anni ’60 – coincise con una generale “ritirata” del fenomeno inflazione…ecco perché Francesco parla di “fortuna”: le banche centrali indipendenti, nonostante i disastri sociali targati Thatcher e Reagan rispettivamente negli USA e UK, sembrarono essere il “toccasana” contro l’inflazione, mentre la realtà economica, e dei dati, confuta questo scenario collegandolo ad una causa di “costo” (se leggete Bagnai, “Il tramonto dell’Euro”, potrete trovare tutte le spiegazioni del caso).
1) che essa fornisce la liquidità RICHIESTA dal sistema (natura "endogena" della moneta) secondo le esigenze del sistema stesso come scritto qui e qui;
2) che l’indipendenza della banca centraleè una soluzione istituzionale che inizia a prendere piede verso la metà degli ‘70 (ed ora subisce molte critiche da parte di numerosi economisti-che vorrebbero ripensare questa presunta indipendenza poiché dannosa per il sistema) per combattere l’inflazione (sopra abbiamo visto cosa essa sia in realtà) causata, secondo il pensiero main-stream del tempo (ma sempre attualissimo nella BCE-Bundesbank), dallo Stato cattivo che appunto stampava moneta e quindi “creava” inflazione.
Un nesso che abbiamo visto essere molto labile, ma che al tempo fece molta presa, chissà perché, su gran parte del mondo occidentale e non.
Paradossalmente l’inflazione c’era ed era alta. Poi calò. Merito della Banca Centrale indipendente? Non proprio.
Fermiamoci un attimo, e pensiamo: vi ricorda nulla la parola “austerity”, le domeniche senza auto, le città “invase” dalle persone? Si? Bene.
Se ci mettiamo nell’ordine di idee che quei tempi furono i famosi anni degli shock petroliferi (ricordate? la guerra dello Yom Kippur del ‘73, la rivoluzione in Iran del ‘79), capiamo perché l’inflazione era alta, e afferriamo il concetto che se il prezzo del greggio in quegli anni triplicava o quadruplicava, trascinava con sé anche i prezzi al consumo.
La conseguente sua discesa verso la metà degli anni ’80 – il prezzo dei prodotti petroliferi ritornò quasi ai livelli degli anni ’60 – coincise con una generale “ritirata” del fenomeno inflazione…ecco perché Francesco parla di “fortuna”: le banche centrali indipendenti, nonostante i disastri sociali targati Thatcher e Reagan rispettivamente negli USA e UK, sembrarono essere il “toccasana” contro l’inflazione, mentre la realtà economica, e dei dati, confuta questo scenario collegandolo ad una causa di “costo” (se leggete Bagnai, “Il tramonto dell’Euro”, potrete trovare tutte le spiegazioni del caso).
Concludendo questo lungo preambolo, nella speranza d’aver dipanato dubbi prima della buona lettura invece di averli acuiti e di non avervi tediato, poniamo il punto su due concetti finali di sicuro interesse.
Il pareggio di bilancio in Costituzione a nostro avviso, oltre a quanto leggerete dalla penna (tastiera?) di Francesco, deriva – anche attraverso l’analisi dei saldi settoriali, che ci dicono che con esso gli stati saranno costretti a perseguire un saldo partite correnti costantemente positivo per sopravvivere e non incorrere in crisi finanziarie – dalla volontà di eliminare definitivamente dal contesto economico il ruolo dello Stato, di non consentirgli, quindi, di mettere in pratica la sua funzione di “allocatore ottimale di risorse” – perché, teoricamente, non deve perseguire la logica del profitto, ma quella del diritto al lavoro, del diritto alla salute, del diritto ad un compenso dignitoso per i suoi cittadini – rispetto al privato.
Il pareggio di bilancio in Costituzione a nostro avviso, oltre a quanto leggerete dalla penna (tastiera?) di Francesco, deriva – anche attraverso l’analisi dei saldi settoriali, che ci dicono che con esso gli stati saranno costretti a perseguire un saldo partite correnti costantemente positivo per sopravvivere e non incorrere in crisi finanziarie – dalla volontà di eliminare definitivamente dal contesto economico il ruolo dello Stato, di non consentirgli, quindi, di mettere in pratica la sua funzione di “allocatore ottimale di risorse” – perché, teoricamente, non deve perseguire la logica del profitto, ma quella del diritto al lavoro, del diritto alla salute, del diritto ad un compenso dignitoso per i suoi cittadini – rispetto al privato.
Togliendo quindi risorse allo Stato, il fine ultimo a cui gli euro-burocrati tendono è la sua completa sparizione come intermediario finanziario (i famosi BoT in cui la casalinga di Voghera investiva “sicuramente” i suoi risparmi andranno a scomparire), convogliando il tutto verso il tanto salutare settore finanziario privato a là “subprime”, così come eliminando i sistemi pensionistici e di welfare, si sta tentando di convogliare queste risorse verso i settori della sanità privata e dei fondi pensione privati (chiedere agli Usa per credere).
Infine, imponendo una “diminuzione” dei lavoratori pubblici, necessaria a creare un ulteriore manipolo che andrà ad ingrossare il già enorme esercito di riserva dei disoccupati disposti a lavorare con salari da fame, si darà il via libera quindi alla “sottoccupazione” tanto cara ai capitalisti tedeschi e non, garantendo loro lauti profitti (e prezzi sempre più “stabili”) ed una vita non più degna di essere vissuta a tutti i lavoratori italiani ed europei.
Ecco, leggete bene quello che vi dirà Francesco. Dopo aver letto la nostra introduzione, e le sue ottime argomentazioni, sarete ancora sicuri che il “più Europa” faccia ancora al caso vostro? Vi lasciamo con questo dubbio. Buona lettura!
Infine, imponendo una “diminuzione” dei lavoratori pubblici, necessaria a creare un ulteriore manipolo che andrà ad ingrossare il già enorme esercito di riserva dei disoccupati disposti a lavorare con salari da fame, si darà il via libera quindi alla “sottoccupazione” tanto cara ai capitalisti tedeschi e non, garantendo loro lauti profitti (e prezzi sempre più “stabili”) ed una vita non più degna di essere vissuta a tutti i lavoratori italiani ed europei.
Ecco, leggete bene quello che vi dirà Francesco. Dopo aver letto la nostra introduzione, e le sue ottime argomentazioni, sarete ancora sicuri che il “più Europa” faccia ancora al caso vostro? Vi lasciamo con questo dubbio. Buona lettura!
1 - Cos’è la “stabilità economica”, ovvero la stabilità “finanziaria”, in contrapposizione alla più comprensibile “stabilità dei prezzi”?
Riguardo al concetto di “stabilità finanziaria” non esiste una definizione univoca sebbene siano ormai numerosi gli studi volti ad individuarne una.
Il concetto di instabilità finanziaria parte dal contributo di I. Fisher (1929) sulla “debt deflation”, secondo cui le fasi di instabilità finanziarie (derivanti da scoppio di bolle dei prezzi di attività) derivano da eccessive accumulazioni di debito e determinano conseguenze non solo per il sistema finanziario nel suo complesso ma anche per l’economia reale, secondo il percorso deflazione-liquidazione assets- aumento tassi di interesse-restrizione credito- chiusura e fallimento imprese- disoccupazione.
Il concetto viene ripreso ed ampliato da H. Minsky (1960 ; 1970 ) che partendo dall’analisi keynesiana delle decisioni in condizioni di incertezza, definisce vari tratti di quella che lui chiama la “financial instability hypotesis”. Secondo Minsky il sistema economico raggiunge equilibri molto fragili, basati su considerazioni prese in condizioni di incertezza. Il variare di tali considerazioni determina uno spostamento dell’equilibrio verso una fase di crisi che può provocare un’instabilità finanziaria. La crisi è tanto più acuta quanto più alto è il livello di indebitamento raggiunto dagli operatori.
Riguardo sempre al concetto di eccessivo indebitamento e quindi alle situazioni di squilibrio nei bilanci degli agenti economici come causa di instabilità e crisi finanziarie è il contributo di Bernanke e Gertler del 1987.
Riguardo invece al concetto di efficiente allocazione delle risorseè invece il pensiero di Mishkin (1999) secondo cui l’insorgere di instabilità finanziarie si ha quando il sistema funziona in condizioni di forte asimmetria informativa che non permette di allocare in maniera efficiente le risorse dando luogo a situazioni di adverse selection o all’opposto di moral hazard.
Anche secondo Schinasi (2004) l’instabilità finanziaria è legata alla incapacità del sistema di allocare il maniera efficiente le risorse.“A financial system is in a range of stability whenever it is capable of facilitating (rather than impeding) the performance of an economy, and of dissipating financial imbalances that arise endogenously or as a result of significant adverse and unanticipated events”
Secondo Allen e Wood (2005), invece il concetto di instabilità finanziaria non può ridursi esclusivamente a quello di efficiente allocazione delle risorse (per questo viene preso ad esempio l’URSS, sistema economico fortemente inefficiente ma che dal 1917 al 1991 non ha conosciuto fenomeni di instabilità finanziaria simili a quelli dei paesi capitalisti), ma deve far piuttosto riferimento ad una serie di qualità che hanno a che fare con uno stato di fiducia degli operatori nel sistema e nel suo funzionamento.
Quando la fiducia cessa il sistema presenta situazioni di instabilità. E’ il momento in cui viene a modificarsi il rapporto fiduciario tra gli operatori economici che determina l’insorgere di situazioni di instabilità (scoppio di bolla speculativa, credit crunch, trappola della liquidità, ecc..).
Quando la fiducia cessa il sistema presenta situazioni di instabilità. E’ il momento in cui viene a modificarsi il rapporto fiduciario tra gli operatori economici che determina l’insorgere di situazioni di instabilità (scoppio di bolla speculativa, credit crunch, trappola della liquidità, ecc..).
Per questa ragione l’obiettivo principale della politica monetaria e della politica fiscale dovrebbe essere quello di garantire e preservare la fiducia nel funzionamento del sistema, evitando fenomeni (eccessiva concentrazione e possibilità di rischio sistemico, eccessiva erogazione del credito, formazione di bolle speculative) che possano compromettere la fiducia degli operatori.
Come si può facilmente notare il concetto di stabilità finanziaria è quindi molto diverso da quello di stabilità dei prezzi, che può esser definita, riprendendo la frase di W. Duisenberg (2001) primo governatore della BCE, “monetary stability is defined as stability in the general level of prices, or as an absence of inflation or deflation”
2 - Perché si dà per scontato che l’aumento della massa monetaria influirebbe direttamente sull’inflazione? E’ scientificamente accettabile questa conclusione?
La relazione secondo la quale la massa monetaria influirebbe in maniera diretta sull’inflazione deriva dagli assunti base della teoria quantitativa della moneta e fa riferimento alla ormai nota relazione M*V=p*Y.
Lo studio di tale relazione da parte di M.Friedman e A. Schwarz nel 1963 in “A Monetary History of the United States, 1867–1960” ha portato a ritenere che riuscendo a controllare la quantità di moneta in circolazione si possa automaticamente tener sotto controllo il livello generale dei prezzi (considerando la stabilità della velocità di circolazione della moneta e reddito di lungo periodo).
Con il successo (il Nobel a M.Friedman) e la fama di tale teoria si sono avuti, tra la fine degli anni settanta e ottanta, due principali esperimenti di controllo della quantità di moneta in circolazione.
L’esperienza disastrosa della FED (1979-1982) e quella della BOE (1979-1984), criticamente analizzate da N.Kaldor in “How monetarism failed“(1985).
I danni (in termini di calo del prodotto e dell’occupazione) causati in quegli anni hanno poi portato all’abbandono, da parte della banca centrale americana ed inglese, della politica monetaria di controllo del tasso di crescita della quantità di moneta in circolazione.
La BCE invece opera ancora secondo il “doppio pilastro” associando ad obiettivi di tasso di interesse a breve anche quello di controllo della massa monetaria M3, salvo poi non riuscire mai fino ad oggi a rispettare quest’ultimo obiettivo.
Alla veneranda età di 91 anni anche M.Friedman ammette di essersi sbagliato ("The use of quantity of money as a target has not been a success……I'm not sure I would as of today push it as hard as I once did”)
Lo studio di tale relazione da parte di M.Friedman e A. Schwarz nel 1963 in “A Monetary History of the United States, 1867–1960” ha portato a ritenere che riuscendo a controllare la quantità di moneta in circolazione si possa automaticamente tener sotto controllo il livello generale dei prezzi (considerando la stabilità della velocità di circolazione della moneta e reddito di lungo periodo).
Con il successo (il Nobel a M.Friedman) e la fama di tale teoria si sono avuti, tra la fine degli anni settanta e ottanta, due principali esperimenti di controllo della quantità di moneta in circolazione.
L’esperienza disastrosa della FED (1979-1982) e quella della BOE (1979-1984), criticamente analizzate da N.Kaldor in “How monetarism failed“(1985).
I danni (in termini di calo del prodotto e dell’occupazione) causati in quegli anni hanno poi portato all’abbandono, da parte della banca centrale americana ed inglese, della politica monetaria di controllo del tasso di crescita della quantità di moneta in circolazione.
La BCE invece opera ancora secondo il “doppio pilastro” associando ad obiettivi di tasso di interesse a breve anche quello di controllo della massa monetaria M3, salvo poi non riuscire mai fino ad oggi a rispettare quest’ultimo obiettivo.
Alla veneranda età di 91 anni anche M.Friedman ammette di essersi sbagliato ("The use of quantity of money as a target has not been a success……I'm not sure I would as of today push it as hard as I once did”)
Quindi se è di per se impossibile il controllo della moneta in circolazione, è altrettanto labile il legame tra la moneta ed il livello generale dei prezzi.
Dal punto di vista empirico (De Grauwe 2005), non risulta nè nel lungo nè nel breve termine una significativa relazione tra crescita della moneta e crescita dei prezzi, almeno per le economie che non hanno manifestato fenomeni di high-inflation (superiore al 10%). Risulta inoltre molto lieve, se non assente, il legame tra crescita della moneta e crescita dell’output.
Dal punto di vista teorico Keynes scriveva: “… the money of account comes into existence along with Debts, which are contracts for deferred payment, and Price-Lists, which are offers of contracts for sale or purchase…. Money itself…derives its character from its relationship to the Money-of-Account, since the debts and prices must first have been expressed in terms of the latter…”(Keynes 1930, A Treatise on Money, p. 3) nel senso che prima viene determinato quello che è il prezzo di un bene e poi viene ad esser domandata la quantità necessaria di moneta per acquistarlo. Per cui se esiste una relazione tra moneta e inflazione è nel senso che è la crescita dei prezzi a guidare la crescita della quantità di moneta che serve per acquistare lo stesso bene, e non viceversa.
Riguardo poi al fatto su come e sul quanto le banche centrali siano state in grado di attuare politiche monetarie, di tasso d’interesse o di controllo della quantità di moneta, effettivamente influenti sulla stabilità dei prezzi, è interessante considerare la serie di studi condotti da L. Benati (qui il link alla raccolta).
Secondo tali studi non solo la capacità della Fed e della Bank of England di controllare il tasso di inflazione negli ultimi 30 anni è stata dovuta essenzialmente al “good luck” (invece del “good policy” che viene generalmente riconosciuto alla politica monetaria di great moderation) ma addirittura rileva che se vi fosse stata la Bundesbank in U.S.A nel periodo post seconda guerra mondiale, la politica monetaria da essa adottata non sarebbe stata in grado di contrastare la pressione inflazionistica verificatasi negli anni ’70 (Benati 2009).
Secondo tali studi non solo la capacità della Fed e della Bank of England di controllare il tasso di inflazione negli ultimi 30 anni è stata dovuta essenzialmente al “good luck” (invece del “good policy” che viene generalmente riconosciuto alla politica monetaria di great moderation) ma addirittura rileva che se vi fosse stata la Bundesbank in U.S.A nel periodo post seconda guerra mondiale, la politica monetaria da essa adottata non sarebbe stata in grado di contrastare la pressione inflazionistica verificatasi negli anni ’70 (Benati 2009).