Questo post è la seconda parte (risposte agli ulteriori due quesiti, 3° e 4°), dell'accuratissimo lavoro di Francesco Lenzi.
Il quadro che ne deriva sarebbe sconcertante, se invece che attestarsi sulle equivalenze ricardiane, senza neppure ben conoscerne l'esistenza, i politici nazionali e europei, in generale, fossero in grado di verificarne non solo il difetto di pre-condizioni nella realtà attuale (a livello teorico), ma anche il difetto di...un "attendibile" fondamento teorico.
Mai l'applicazione di questo versante delle teorie macroeconomiche ha condotto non solo ai risultati "programmati", ma neppure ad alcun esito positivo, nè in termini di crescita, nè di equilibrio finanziario e ottimale allocazione delle risorse, nelle realtà socio-economiche considerate.
3 - Perché queste stabilità economica e finanziaria passerebbero necessariamente e "acriticamente" per il pareggio di bilancio?
Il quadro che ne deriva sarebbe sconcertante, se invece che attestarsi sulle equivalenze ricardiane, senza neppure ben conoscerne l'esistenza, i politici nazionali e europei, in generale, fossero in grado di verificarne non solo il difetto di pre-condizioni nella realtà attuale (a livello teorico), ma anche il difetto di...un "attendibile" fondamento teorico.
Mai l'applicazione di questo versante delle teorie macroeconomiche ha condotto non solo ai risultati "programmati", ma neppure ad alcun esito positivo, nè in termini di crescita, nè di equilibrio finanziario e ottimale allocazione delle risorse, nelle realtà socio-economiche considerate.
3 - Perché queste stabilità economica e finanziaria passerebbero necessariamente e "acriticamente" per il pareggio di bilancio?
Riguardo al concetto di stabilità finanziaria ed il ruolo che in esso può rivestire la BCE si fa comunemente riferimento agli strumenti di natura macroprudenziale che debbono essere adottati dalle principali Banche Centrali.
L’esplodere della crisi finanziaria in U.S.A. e successivamente in Europa ha dimostrato che limitare l’operato della Banca Centrale al controllo della stabilità monetaria ed affidare ad un’altra istituzione (centrale e locale) il controllo sulla stabilità finanziaria espone l’intero sistema ad enormi rischi.
L’emergere della crisi dei subprime in U.S.A. ha portato il consenso internazionale a ritenere non più sufficiente la funzione della banca centrale come semplice “guardiano della moneta” che opera in maniera indipendente col solo fine della stabilità dei prezzi.
“I have found a flaw. I don’t know how significant or permanent it is. But I have been very distressed by that fact” così Greenspan sottolinea come le assunzioni che hanno guidato il suo operato per 40 anni si siano rivelate se non sbagliate, almeno fallaci. Concentrare l’operato della Banca Centrale esclusivamente sulla stabilità dei prezzi lasciando il mercato libero di regolarsi autonomamente è stata una delle cause della situazione di enorme instabilità del sistema.
L’esplodere della crisi finanziaria in U.S.A. e successivamente in Europa ha dimostrato che limitare l’operato della Banca Centrale al controllo della stabilità monetaria ed affidare ad un’altra istituzione (centrale e locale) il controllo sulla stabilità finanziaria espone l’intero sistema ad enormi rischi.
L’emergere della crisi dei subprime in U.S.A. ha portato il consenso internazionale a ritenere non più sufficiente la funzione della banca centrale come semplice “guardiano della moneta” che opera in maniera indipendente col solo fine della stabilità dei prezzi.
“I have found a flaw. I don’t know how significant or permanent it is. But I have been very distressed by that fact” così Greenspan sottolinea come le assunzioni che hanno guidato il suo operato per 40 anni si siano rivelate se non sbagliate, almeno fallaci. Concentrare l’operato della Banca Centrale esclusivamente sulla stabilità dei prezzi lasciando il mercato libero di regolarsi autonomamente è stata una delle cause della situazione di enorme instabilità del sistema.
In Europa si è intervenuti pertanto a livello comunitario istituendo un’organizzazione chiamata ESRB, "Consiglio europeo per il rischio sistemico" alla quali sia demandata, in partecipazione con la BCE, le Banche Centrali nazionali, e vari istituti di vigilanza, il controllo sulla stabilità finanziaria.
L’obiettivo è essenzialmente quello di monitorare attraverso una serie di segnali e di relazioni il grado di stabilità (e fiducia tra gli operatori) del sistema finanziario, cercando di porre una certa forma di controllo al rischio sistemico del too big to fail ed al carattere pro ciclico dell’attività svolta dagli intermediari finanziari.
In questo senso si inserisce anche tutta la normativa (e le conseguenti trattative) che riguardano la cosiddetta “vigilanza bancaria”, da esercitare da parte della BCE su tutte le banche dell’Eurozona, secondo quello che viene definito il sistema di vigilanza microprudenziale (Sistema Europeo delle Autorità di Vigilanza Finanziaria-ESFS) per distinguerlo dalla vigilanza macroprudenziale (che compete invece al ESRB).
Per una panoramica sul complesso di interventi che sono stati presi e dovranno essere ancora presi sul tema della vigilanza micro e macroprudenziale si può consultare questo paper.
L’obiettivo è essenzialmente quello di monitorare attraverso una serie di segnali e di relazioni il grado di stabilità (e fiducia tra gli operatori) del sistema finanziario, cercando di porre una certa forma di controllo al rischio sistemico del too big to fail ed al carattere pro ciclico dell’attività svolta dagli intermediari finanziari.
In questo senso si inserisce anche tutta la normativa (e le conseguenti trattative) che riguardano la cosiddetta “vigilanza bancaria”, da esercitare da parte della BCE su tutte le banche dell’Eurozona, secondo quello che viene definito il sistema di vigilanza microprudenziale (Sistema Europeo delle Autorità di Vigilanza Finanziaria-ESFS) per distinguerlo dalla vigilanza macroprudenziale (che compete invece al ESRB).
Per una panoramica sul complesso di interventi che sono stati presi e dovranno essere ancora presi sul tema della vigilanza micro e macroprudenziale si può consultare questo paper.
Nell’ottica di un maggior controllo e supervisione sui bilanci dei singoli Stati si inseriscono le normative introdotte a partire dall’inizio del 2011 che prendono il nome di Euro Plus Pact, Six pack e two pack.
Quanto al six pack“Le misure adottate mirano a rafforzare il Patto di stabilità e crescita, permettendo un controllo più rapido delle politiche fiscali e a innovare il sistema di governance con azioni preventive e azioni correttive. Le nuove misure introducono, inoltre, meccanismi che sorvegliano e prevengono una crescita smisurata dei debiti sovrani e del deficit negli Stati membri”.
Quanto al six pack“Le misure adottate mirano a rafforzare il Patto di stabilità e crescita, permettendo un controllo più rapido delle politiche fiscali e a innovare il sistema di governance con azioni preventive e azioni correttive. Le nuove misure introducono, inoltre, meccanismi che sorvegliano e prevengono una crescita smisurata dei debiti sovrani e del deficit negli Stati membri”.
Il six pack è stato perciò approvato con l’obiettivo di incidere con maggiore rilevanza sul bilancio dei singoli Stati imponendo il rispetto di più gravosi parametri in termini di deficit pubblico (0,5% strutturale, considerato cioè al netto di eventuali misure periodiche dipendenti dal ciclo economico).
Da tale accordo del dicembre 2011 derivano i provvedimenti in materia di controllo della finanza pubblica, Fiscal compact e pareggio di bilancio in primis. Il motivo (ufficiale) della sottoscrizione del six pack è la volontà di dare una risposta comune alla situazione di instabilità finanziaria ed economica che si era determinata a seguito della crisi del debito irlandese e greco, come appunto indicato nella presentazione delle misure adottate. “The economic and financial crisis has revealed a number of weaknesses in the economic governance of the EU's economic and monetary union. The cornerstone of the EU response is the new set of rules on enhanced EU economic governance which entered into force on 13 December 2011”. .
Da tale accordo del dicembre 2011 derivano i provvedimenti in materia di controllo della finanza pubblica, Fiscal compact e pareggio di bilancio in primis. Il motivo (ufficiale) della sottoscrizione del six pack è la volontà di dare una risposta comune alla situazione di instabilità finanziaria ed economica che si era determinata a seguito della crisi del debito irlandese e greco, come appunto indicato nella presentazione delle misure adottate. “The economic and financial crisis has revealed a number of weaknesses in the economic governance of the EU's economic and monetary union. The cornerstone of the EU response is the new set of rules on enhanced EU economic governance which entered into force on 13 December 2011”. .
Il complesso di norme, procedure, finalità e settori di intervento che interessano l’Euro Plus Pact è il seguente:
Come si vede l’obiettivo di controllo sulla stabilità finanziaria degli Stati deriva dall’assunzione di stampo neoclassico che maggiori debiti pubblici siano veicolo di maggiore imposizioni fiscali (equivalenza ricardiana) e di minori valori delle attività finanziarie (crowding-out). [la validità scientifica di tale assunto è posta in discussione praticamente d tutti i premi Nobel per l'economia nonchè dai "risultati" ottenuti dagli Stati che hanno tentato finora di applicarlo ndr.]
Questa particolare attenzione da parte della Commissione Europea riguardo la necessità dei singoli Stati di tenere i propri conti in “ordine” attraverso una sostanziale neutralità dello Stato nel sistema economico è però molto singolare se vista alla luce delle condizioni necessarie per il funzionamento di un’area valutaria.
Le caratteristiche principali che esse debbono possedere per resistere a shock asimmetrici come quelli attualmente in essere (che colpiscono le varie zone in maniera differente) sono:
1) la mobilità dei fattori e del lavoro in particolare (favorita attraverso l’uniformità dei trattamenti previdenziali, di istruzione, di sostegno al reddito, ecc…) come sostenuto da Mundell (1961) in A theory of optimum currency areas (parlando a proposito delle versioni in apparente contrasto tra Meade e Scitovsky afferma“In both cases it is implied that an essential ingredient of a common currency, or a single currency area, is a high degree of factor mobility” );
2) la presenza di trasferimenti fiscali tra le aree in surplus verso le aree in deficit (e non di prestiti ad interesse).
La capacità di un’area valutaria di resistere e superare degli shock asimmetrici risiede pertanto nella presenza di questi due importanti fattori, nonché di una banca centrale che faccia ciò che fanno tutte le banche centrali - all’intero sistema finanziario (si veda per esempio Krugman 2012 sulle cause, e le possibili soluzioni, della crisi dell’euro zona).
Il pareggio di bilancio non è MAI nominato come condizione necessaria e sufficiente per la risoluzione della crisi.
Guardando inoltre al caso specifico della zona euro, sembrerebbe che questo shock asimmetrico sia in buona parte dovuto al fenomeno di capital inflow manifestatosi con forza fino al 2007. Secondo il recente studio condotto da Gabrish e Staehr, 2013, l’andamento divergente nei livelli di competitività degli Stati Membri sembra essere stato causato essenzialmente dal rilevante afflusso di capitali che alcuni Paesi (periferici) hanno registrato.
In questo senso viene da chiedersi in che modo le manovre sul bilancio degli Stati e più in particolar modo sul controllo della stabilità economica e finanziaria possono risolvere la crisi se i gap di competitività cumulato dai Paesi periferici rispetto a quelli core ha una relazione evidente con i movimenti di capitali interni all’area?
Le caratteristiche principali che esse debbono possedere per resistere a shock asimmetrici come quelli attualmente in essere (che colpiscono le varie zone in maniera differente) sono:
1) la mobilità dei fattori e del lavoro in particolare (favorita attraverso l’uniformità dei trattamenti previdenziali, di istruzione, di sostegno al reddito, ecc…) come sostenuto da Mundell (1961) in A theory of optimum currency areas (parlando a proposito delle versioni in apparente contrasto tra Meade e Scitovsky afferma“In both cases it is implied that an essential ingredient of a common currency, or a single currency area, is a high degree of factor mobility” );
2) la presenza di trasferimenti fiscali tra le aree in surplus verso le aree in deficit (e non di prestiti ad interesse).
La capacità di un’area valutaria di resistere e superare degli shock asimmetrici risiede pertanto nella presenza di questi due importanti fattori, nonché di una banca centrale che faccia ciò che fanno tutte le banche centrali - all’intero sistema finanziario (si veda per esempio Krugman 2012 sulle cause, e le possibili soluzioni, della crisi dell’euro zona).
Il pareggio di bilancio non è MAI nominato come condizione necessaria e sufficiente per la risoluzione della crisi.
Guardando inoltre al caso specifico della zona euro, sembrerebbe che questo shock asimmetrico sia in buona parte dovuto al fenomeno di capital inflow manifestatosi con forza fino al 2007. Secondo il recente studio condotto da Gabrish e Staehr, 2013, l’andamento divergente nei livelli di competitività degli Stati Membri sembra essere stato causato essenzialmente dal rilevante afflusso di capitali che alcuni Paesi (periferici) hanno registrato.
In questo senso viene da chiedersi in che modo le manovre sul bilancio degli Stati e più in particolar modo sul controllo della stabilità economica e finanziaria possono risolvere la crisi se i gap di competitività cumulato dai Paesi periferici rispetto a quelli core ha una relazione evidente con i movimenti di capitali interni all’area?
4 - Quali sono gli effetti del pareggio di bilancio, come concepito dall’UEM, e che giustifica la “condizionalità”, cioè la disattivazione della sovranità degli Stati e dei diritti fondamentali per tale finalità superiore ad ogni altra nei valori UEM?
Il deficit di bilancio, secondo la consolidata impostazione neoclassica, sarebbe influente sul reddito di una Nazione.
A sostegno di tale affermazione è comunemente riportato il concetto di “equivalenza ricardiana” (J. Buchanan 1976). Secondo i lavori sviluppati da Ricardo (1821) e successivamente da Barro (1974), si è venuta a consolidare l’assunzione secondo la quale il deficit pubblico e di conseguenza il debito pubblico sia, nel migliore dei casi, neutrale rispetto alla capacità del sistema economico di creare reddito nel lungo termine.
Se uno Stato spende più di quanto incassa, sarà costretto prima o poi ad incassare più di quanto spenderà e quindi ad aumentare proporzionalmente le tasse. Per tale ragione il debito pubblico potrebbe essere considerato al pari di un’imposta patrimoniale sui privati, intesa come valore attuale di tutte le tasse che in futuro verranno richieste in più per rimborsare il debito pubblico.
La spesa a deficit dello Stato, quindi, non migliorerebbe la posizione patrimoniale dei privati nel lungo periodo. Inoltre, a causa dell’inevitabile aumento delle imposte che dovrà avvenire in futuro per ripagare tale debito, gli stessi privati vorranno risparmiare oggi una quota maggiore del loro reddito per far fronte al successivo inasprimento fiscale (Barro, 1974) determinando, anche nel breve periodo, un effetto contrario a quello espansivo del deficit pubblico.
La spesa pubblica poi spiazzerebbe quella privata secondo il fenomeno del crowding out e quindi, non aggiungendo niente alla domanda aggregata, verrebbe spiazzata quella privata a favore di quella pubblica (che secondo l’impostazione neoclassica è più inefficiente). L’impossibilità da parte dello Stato di far deficit, secondo questa impostazione, garantirebbe pertanto un maggior accumulo di risorse da parte del settore privato, che è in grado di effettuare un’allocazione in maniera più efficiente delle stesse. (secondo questa impostazione è quindi possibile comprendere lo schema precedente riguardo al controllo sulla dinamica del debito pubblico da realizzarsi attraverso le misure di Euro Plus pact).
A sostegno di tale affermazione è comunemente riportato il concetto di “equivalenza ricardiana” (J. Buchanan 1976). Secondo i lavori sviluppati da Ricardo (1821) e successivamente da Barro (1974), si è venuta a consolidare l’assunzione secondo la quale il deficit pubblico e di conseguenza il debito pubblico sia, nel migliore dei casi, neutrale rispetto alla capacità del sistema economico di creare reddito nel lungo termine.
Se uno Stato spende più di quanto incassa, sarà costretto prima o poi ad incassare più di quanto spenderà e quindi ad aumentare proporzionalmente le tasse. Per tale ragione il debito pubblico potrebbe essere considerato al pari di un’imposta patrimoniale sui privati, intesa come valore attuale di tutte le tasse che in futuro verranno richieste in più per rimborsare il debito pubblico.
La spesa a deficit dello Stato, quindi, non migliorerebbe la posizione patrimoniale dei privati nel lungo periodo. Inoltre, a causa dell’inevitabile aumento delle imposte che dovrà avvenire in futuro per ripagare tale debito, gli stessi privati vorranno risparmiare oggi una quota maggiore del loro reddito per far fronte al successivo inasprimento fiscale (Barro, 1974) determinando, anche nel breve periodo, un effetto contrario a quello espansivo del deficit pubblico.
La spesa pubblica poi spiazzerebbe quella privata secondo il fenomeno del crowding out e quindi, non aggiungendo niente alla domanda aggregata, verrebbe spiazzata quella privata a favore di quella pubblica (che secondo l’impostazione neoclassica è più inefficiente). L’impossibilità da parte dello Stato di far deficit, secondo questa impostazione, garantirebbe pertanto un maggior accumulo di risorse da parte del settore privato, che è in grado di effettuare un’allocazione in maniera più efficiente delle stesse. (secondo questa impostazione è quindi possibile comprendere lo schema precedente riguardo al controllo sulla dinamica del debito pubblico da realizzarsi attraverso le misure di Euro Plus pact).
La critica principale a questo tipo di ragionamento si incentra sull’assunto di base secondo cui lo Stato non possa aggiungere niente più alla domanda aggregata di pieno impiego (come generalmente era considerata intorno gli anni ’70).
Ma con una disoccupazione che, ormai da 30 anni, è stabilmente sopra la soglia minima del pieno impiego, siamo veramente convinti che il settore privato, autonomamente riesca a raggiungere il pieno impiego?
Inoltre, con la disoccupazione a due cifre e livelli di output ben sotto il pieno impiego ha senso ancora parlare di crowding out e di neutralità della spesa pubblica in deficit?
Ma con una disoccupazione che, ormai da 30 anni, è stabilmente sopra la soglia minima del pieno impiego, siamo veramente convinti che il settore privato, autonomamente riesca a raggiungere il pieno impiego?
Inoltre, con la disoccupazione a due cifre e livelli di output ben sotto il pieno impiego ha senso ancora parlare di crowding out e di neutralità della spesa pubblica in deficit?
L’esistenza e la necessità di un certo margine per la spesa pubblica in deficit era indicata anche nei trattati di Maastricht, fissando al 3% il limite da non oltrepassare. Il deficit pubblico serve appunto per compensare cali di domanda che si possono avere nel settore privato.
Il problema è quindi quanto deficit sia auspicabile e quanto stock di debito sia sostenibile da parte del singolo Stato.
Il limite poi al 60% del rapporto tra debito pubblico e PIL non ha nessun supporto scientifico e non ha niente a che vedere con il concetto di sostenibilità del debito pubblico, che secondo alcuni studi prescinderebbe dal rapporto tra stock del debito e ricchezza prodotta (per una raccolta si veda)
Il problema è quindi quanto deficit sia auspicabile e quanto stock di debito sia sostenibile da parte del singolo Stato.
Il limite poi al 60% del rapporto tra debito pubblico e PIL non ha nessun supporto scientifico e non ha niente a che vedere con il concetto di sostenibilità del debito pubblico, che secondo alcuni studi prescinderebbe dal rapporto tra stock del debito e ricchezza prodotta (per una raccolta si veda)
L’aver voluto restringere notevolmente i margini di manovra degli Stati, imponendo il sostanziale pareggio di bilancio, impedisce ai singoli Paesi di adottare degli interventi anticiclici che permettano di affrontare in maniera più soft crisi nel settore privato (per non parlar poi della attuale situazione di trappola della liquidità). E questo non fa altro che aggravare la crisi, mancando quella funzione di “Big Government” che dovrebbe essere esercitata dallo Stato anche al fine di attutire gli effetti di una crisi economica o finanziaria sulle attività economiche e sulla popolazione (http://digitalcommons.bard.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1231&context=hm_archive ).
Magari però l’obiettivo di imporre il pareggio di bilancio agli Stati membri è un altro, e può piuttosto riguardare l’obiettivo di trasformare l’economia dell’eurozona in modo che possa svolgere una strategia di crescita basata sul beggar-thy-neighbordi tipo tedesco.
Se infatti si parte dall’analisi della relazione dei saldi settoriali,risparmio netto settore privato=deficit pubblico + saldo partite correnti, e si introduce il vincolo deficit pubblico = 0, si ottiene che il risparmio del settore privato debba essere pari al saldo delle partite correnti.
Quindi se il settore privato vuol risparmiare più di quanto consuma o investe, deve farlo all’estero sfruttando la domanda estera di beni nazionali. Quello che da sempre stanno facendo i tedeschi. In questo senso le condizionalità sono comprensibili in un’ottica di miglioramento della competitività esterna dei singoli Stati. I precetti dell’Europa servirebbero quindi per comprimere la domanda interna (e quindi ridurre le importazioni) e migliorare la competitività di prezzo dei prodotti (sfruttando gli effetti da curva di Philips della disoccupazione) in modo da risolvere grazie alla domanda estera i problemi dei singoli Paesi.
E volendo si potrebbe avere una conferma di ciò dalle parole dello stesso governatore della BCE M.Draghi“….if you enhance the competitiveness, you can actually count on your external demand, on your net exports…” ().
Se infatti si parte dall’analisi della relazione dei saldi settoriali,risparmio netto settore privato=deficit pubblico + saldo partite correnti, e si introduce il vincolo deficit pubblico = 0, si ottiene che il risparmio del settore privato debba essere pari al saldo delle partite correnti.
Quindi se il settore privato vuol risparmiare più di quanto consuma o investe, deve farlo all’estero sfruttando la domanda estera di beni nazionali. Quello che da sempre stanno facendo i tedeschi. In questo senso le condizionalità sono comprensibili in un’ottica di miglioramento della competitività esterna dei singoli Stati. I precetti dell’Europa servirebbero quindi per comprimere la domanda interna (e quindi ridurre le importazioni) e migliorare la competitività di prezzo dei prodotti (sfruttando gli effetti da curva di Philips della disoccupazione) in modo da risolvere grazie alla domanda estera i problemi dei singoli Paesi.
E volendo si potrebbe avere una conferma di ciò dalle parole dello stesso governatore della BCE M.Draghi“….if you enhance the competitiveness, you can actually count on your external demand, on your net exports…” ().
A quale domanda estera fa riferimento Mario Draghi?
Non certo quella tedesca che continua a comprimere le importazioni più di quanto non rallentino le esportazioni. Piuttosto quella esterna all’area euro.
Ma con livelli di domanda globale molto sotto il pieno impiego e con inoltre gli effetti del cambio a mitigare l’eventuale aumento di competitività esterna dell’area euro, in che modo sarà possibile farci diventare tutti tedeschi?
E poi, hanno preso in considerazione le attenzioni ormai costanti a cui sono sottoposti comportamenti di free riding internazionali?(“…The Macroeconomic Imbalances Procedure, developed as part of the EU’s increased focus on surveillance, should help increase the amount of attention paid to building external and internal imbalances; however, the procedure is somewhat asymmetric and does not appear to give sufficient attention to countries with large and sustained external surpluses like Germany…” http://www.treasury.gov/resource-center/international/exchange-rate-policies/Documents/Foreign%20Exchange%20Report%20November%202012.pdf )?
Non certo quella tedesca che continua a comprimere le importazioni più di quanto non rallentino le esportazioni. Piuttosto quella esterna all’area euro.
Ma con livelli di domanda globale molto sotto il pieno impiego e con inoltre gli effetti del cambio a mitigare l’eventuale aumento di competitività esterna dell’area euro, in che modo sarà possibile farci diventare tutti tedeschi?
E poi, hanno preso in considerazione le attenzioni ormai costanti a cui sono sottoposti comportamenti di free riding internazionali?(“…The Macroeconomic Imbalances Procedure, developed as part of the EU’s increased focus on surveillance, should help increase the amount of attention paid to building external and internal imbalances; however, the procedure is somewhat asymmetric and does not appear to give sufficient attention to countries with large and sustained external surpluses like Germany…” http://www.treasury.gov/resource-center/international/exchange-rate-policies/Documents/Foreign%20Exchange%20Report%20November%202012.pdf )?