

Prima di passare alla esposizione della Parte II, del "ci facciamo buttare fuori?" (la cui prima parte invito in ogni caso a rileggere), ci pare doveroso precisare che è ovvio che la realizzazione di quanto esposto nella Parte I e, più ancora, in questa seconda Parte II, esige una precondizione che è del tutto equivalente a quella della euro-exit "endogena": un profondo cambio di orientamento della classe politica e, più ampiamente, "dirigente" italiana.
Formalmente, tuttavia, ha il vantaggio di non dover rinnegare nell'immediato la moneta unica - altri Paesi comunque lo faranno- e, quindi, gode di una praticabilità meno suscettibile di obiezioni "teologiche". Almeno quelle "espresse". Quelle "inespresse", o meglio inconfessabili, sarebbero comunque le medesime: non voler interrompere il processo di "ridisegno" della società italiana per renderlo irreversibile.
Questa, sul piano interno, è la vera scadenza dell'euro...
Il modello qui proposto (a grandi linee), comunque, e va ribadito, sconta il fatto che tale cambio di direzione non possa verificarsi in tempo e che, comunque, si tratta pur sempre di una situazione, la nostra, in cui non si manifestano, allo stato, le "risorse culturali per uscire dalla crisi".
Si tratta dunque, in definitiva, di un canovaccio informativo sulla fattibilità di una "via di salvezza" che potrebbe rendersi necessaria sul presupposto che, in ogni modo, l'euro-break sia provocato in via "esogena"dagli altri principali Stati coinvolti.
Queste precisazioni vanno tenute ben presenti, dato che i mesi scorrono e la nostra situazione non solo non può migliorare, ma anzi, sappiamo, è destinata a trasmodare in un disastro annunciato che potrebbe scuotere alle fondamenta, entro breve tempo, il sistema di consenso che ha finora consentito il rigido controllo mediatico degli ordoliberisti nostrani.
C.2. A questo punto, non rimane che ipotizzare quale potrebbe essere tale modello.
Precisarlo in dettaglio ora, senza l'apporto dialogato dello stesso Cesare Pozzi e degli altri illustri esperti già impegnati nello studio delle "soluzioni" di salvezza per il nostro martoriato Paese, sarebbe prematuro e incompleto.
La riflessione su questo include però da subito, un essenziale presupposto:
- si può ripensare la nostra società, il nostro modello economico solo agendo in un'ottica che definisca, appunto, la nostra traiettoria culturale "COME SE" l'elemento valutario non ci fosse: rammentando che l'euro funziona da gold-standard ma non lo è.
Lo è solo se:
a) si accetta un'idea di Stato - connessa inscindibilmente con gli obblighi costituzionali incombenti sugli organi di governo-, alterata dai vincoli fiscali"esterni", di Maastricht, Lisbona e del FC;
b) se si rinuncia conseguentemene non tanto alla propria capacità negoziale (peraltro finora del tutto assente), ma alla stessa idea di interesse nazionale prevalente come salvaguardia della democrazia costituzionale e ciò, proprio, nella stessa interpetazione delle clausole e dei vincoli dei trattati.
a) si accetta un'idea di Stato - connessa inscindibilmente con gli obblighi costituzionali incombenti sugli organi di governo-, alterata dai vincoli fiscali"esterni", di Maastricht, Lisbona e del FC;
b) se si rinuncia conseguentemene non tanto alla propria capacità negoziale (peraltro finora del tutto assente), ma alla stessa idea di interesse nazionale prevalente come salvaguardia della democrazia costituzionale e ciò, proprio, nella stessa interpetazione delle clausole e dei vincoli dei trattati.
C.3. Insomma, mutando di paradigma, in omaggio alla prevalente legalità costituzionale, si finisce per poter considerare la stessa valuta "forte" come un potenziale vantaggio all'interno del quadro degli strumenti di intervento che ci concede la c.d. Costituzione economica (artt.35-47 Cost.), potendosi concepire il "come" avvantaggiarsi di questo stesso livello di cambio nel prevalente interesse nazionale, a cui sarebbe da riassoggettare, com'è giusto che sia, la normativa europea.
E questo riattivando il dovuto (da decenni) test di compatibilità che, tutelando l'assetto costituzionale, renda operante un "controlimite" effettivo. Cioè quello che, secondo le affermazioni della nostra stessa Corte costituzionale, dovrebbe agire allorchè la normativa pattizia UE comprima obiettivamente i valori fondamentali della Costituzione (per primo, la tutela del lavoro e del salario in perseguimento della piena occupazione) e non consenta il rispetto della parità di condizioni con gli altri Stati nonchè dell'obiettivo perseguimento della pace e della giustizia tra le Nazioni (presupposti che condizionano la legittimità dell'adesione a qualunque trattato economico, com'è quello UE).
E questo riattivando il dovuto (da decenni) test di compatibilità che, tutelando l'assetto costituzionale, renda operante un "controlimite" effettivo. Cioè quello che, secondo le affermazioni della nostra stessa Corte costituzionale, dovrebbe agire allorchè la normativa pattizia UE comprima obiettivamente i valori fondamentali della Costituzione (per primo, la tutela del lavoro e del salario in perseguimento della piena occupazione) e non consenta il rispetto della parità di condizioni con gli altri Stati nonchè dell'obiettivo perseguimento della pace e della giustizia tra le Nazioni (presupposti che condizionano la legittimità dell'adesione a qualunque trattato economico, com'è quello UE).
C.4. Quali allora le linee generali di questa rivoluzione copernicana del vincolo esterno, in realtà imposta dal rispetto della legalità costituzionale?
Lo ritraiamo "in negativo" dalle indicazioni di Cesare:
"...gli americani hanno perso il controllo della situazione e, se pensiamo possano aiutare la nostra ripresa, i drivers che guidano moneta e relative politiche non sono più legati alle esigenze delle strutture sociali, ma sono determinati da motivazioni squisitamente speculative. Quando i mercati finanziari perdono il loro ruolo di strumentalità rispetto all'economia reale e si inverte il rapporto di potere prevalgono gli obiettivi della parte peggiore, che ci vede come carne da macello o tacchino da spennare.
In questo quadro non esiste più lo spazio per "potersi adattare alla competizione di prezzo delle economie emergenti": da economia divenuta "price taker" attraverso la svalutazione del cambio, ci avviteremmo su noi stessi.
Purtroppo anche l'idea che non abbiamo un problema di competitività intra eurozona si basa sul non considerare il peso indispensabile sul nostro export del deficit energetico: il pareggio sostanziale che si è registrato da quando c'è l'€ non può certo compensare la quantità di energia che dobbiamo importare per mantenere il mostro modello di vita e di produzione. Anche qui dovremmo avere un progetto alternativo ..."
C.5. Dunque, si tratta di:
1) ripristinare la strumentalità dei "mercati finanziari" rispetto all'economia reale: e questo quantomeno (in un primo tempo) reintroducendo la distinzione tra istituti di credito commerciale, abilitati solo a tale funzione di intermediazione, e banche di investimento finanziario (paradigma della legge bancaria del 1936 e del Glass-Steagall Act). Si può inoltre agire rendendo, immediatamente, la Cassa Depositi e Prestiti un vero istituto bancario di proprietà pubblica ai sensi dell'art.123 TFUE, par.2, (e non più un mero organismo pubblico), capace di agire come banca di sistema, anche acquisendo partecipazioni in altre istituzioni bancarie nazionali;
2) utilizzare il cambio forte dell'euro (rispetto alla condizione naturale di un nostra valuta sovrana, in ogni livello ipotizzabile nel breve periodo) per uscire dalla condizione di meri "price takers": ciò utilizzando in dosi adeguate la spesa pubblica, anche per dare rassicurazione circa il reimpiego del risparmio nazionale, attualmente inutilizzato in investimenti produttivi (oltre 1000 miliardi di euro di potenziale):
2.1.) ricapitalizzare e rifinanziare, anzichè dismettere, le società industriali pubbliche, in modo da apprestargli le risorse finanziarie per perseguire IRS e fare acquisizioni all'estero di società concorrenti o complementari, all'interno della stessa filiera, nei settori di sviluppo strategico della nostra industria, che sarebbero ovviamente adeguatamente programmati;
2.2) costituire, con la stessa provvista finanziaria, convogliata dal ricreato polo bancario di sistema, nuove società che integrino risorse e competenze in settori di immediata prospettiva, e che abbiano ad oggetto:
- l'intera offerta nazionale di mobilità-trasporto, in ogni modalità e struttura (ferroviaria, aeroportuale, portuale marittima, di esercizio di vettore aereo) in modo da avere un controllo della relativa domanda e dei risparmi di costo e di prezzo derivabili da tale integrazione;
- la gestione delle infrastrutture nazionali telematiche e la realizzazione di un programma nazionale di riconversione urbanistica del territorio, in modo da sfruttare la miglior offerta di mobilità intermodale in un ambiente turistico integrato che consenta l'adeguato sfruttamento delle risorse storico-artistiche-archeologiche dell'intero territorio nazionale;
2.3) rilanciare, con ingenti finanziamenti, la ricerca, in specie nel settore energetico e delle tecnologie eco-compatibili, sia a livello di formazione che di creazione/evoluzione di un polo industriale pubblico capace di sviluppare le tecnologie e di produrle su larga scala (senza dover badare al rendimento immediato fissato sul bench-mark finanziario). Ciò perseguendo immediatamente, anche in questo settore, una politica di acquisizione all'estero delle imprese capaci di creare immediate sinergie di know-how e di applicazione industriale.
D. Per ora mi fermo qui, altrimenti, le linee generali travalicano nel dettaglio; e puntualizzando che queste sono solo una parte delle idee che si possono sviluppare nella direzione qui suggerita.
Inutile dire che, impiegando in operazioni del genere le risorse di risparmio privato ora mobilitabili - si possono anche incentivare sottoscrizioni di titoli pubblici "speciali" per il rientro di capitali dall'estero (ponendo in alternativa la confisca degli stessi in base ad immediati trattati coi paesi-rifugio).
In questo contesto, l'innesco del modello di "rinascita" discenderebbe naturalmente dal perseguimento di deficit pubblici ben superiori a quelli attuali: diciamo, ad es; pari almeno a quelli registrati dalla Spagna a partire dal 2011.
Dimostrando, con la revitalizzazione di un sistema industriale ancora non del tutto perduto, che non siamo nè siamo mai stati parte dei PIGS.
E potendo negoziare l'inevitabile successivo euro-break (esogeno), compresa la svalutazione del debito pubblico estero-detenuto e la rivalutazione del debito commerciale privato, da posizioni che non sono tali da qualificarci come PIGS.
In questo contesto, l'innesco del modello di "rinascita" discenderebbe naturalmente dal perseguimento di deficit pubblici ben superiori a quelli attuali: diciamo, ad es; pari almeno a quelli registrati dalla Spagna a partire dal 2011.
Dimostrando, con la revitalizzazione di un sistema industriale ancora non del tutto perduto, che non siamo nè siamo mai stati parte dei PIGS.
E potendo negoziare l'inevitabile successivo euro-break (esogeno), compresa la svalutazione del debito pubblico estero-detenuto e la rivalutazione del debito commerciale privato, da posizioni che non sono tali da qualificarci come PIGS.
E nè intendiamo divenirlo: piaccia o meno alla Germania o agli €uroburocrati anti-italiani, ovvero all'elettorato italiano autorazzista (il primo che dice "e la corruzione?" verrà bannato dal blog).