
La politica è l'attività volta alla conquista del potere mediante l'affermazione di un rapporto di forza favorevole agli interessi che si vogliono affermare.
La politica internazionale ha lo stesso ruolo e finalità, ma i soggetti dei rapporti di forza sono gli Stati e non gruppi di individui all'interno di una più ampia collettività territoriale.
Come nella politica "interna", l'affermazione dei rapporti di forza consegue al continuo confronto che si può esprimere sia in relazioni diplomatiche, contatti informali e veri e propri trattati, sia in forme di confronto ostile come la guerra o l'applicazione di misure sanzionatorie di tipo commerciale, finanziario o culturale.
In entrambi i casi, vale il princpio che "la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi": per taluni, il brocardo vale all'inverso, ma questo ci conferma che la dimensione politica ed esistenziale degli individui è quella di far parte di un gruppo che cerca di affermare i propri interessi, instaurando un rapporto di forza favorevole nei confronti degli altri gruppi di individui portatori di interessi divergenti.
Instaurare un rapporto di forza favorevole, o anche meno sfavorevole che in passato (migliorativo: proprio ciò di cui avremmo bisogno in €uropa), non implica affatto l'uso della forza, cioè scatenare una guerra (se non nei casi di aggressione esterna).
Anzi, come vedremo nel definire la sovranità, la guerra è esclusa come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali dalla "sovranità democratica", anche se, contrariamente a ciò che ritengono i mistificatori oggi così diffusi, ciò non significa dover accettare qualsiasi trattato sotto qualsiasi etichetta giustificativa. Il limite di accettazione di un trattato rimane sempre la realizzazione - doverosa - degli interessi fondamentali del popolo che, attraverso la Costituzione, dà il mandato alle istituzioni che lo rappresentano (e che se perseguono interessi diversi da quelli del mandato, sono in situazione di conflitto illecito per violazione dei propri doveri costituzionali).
Come si definisce la capacità-attitudine di un gruppo-comunità territoriale di perseguire i propri interessi rispetto agli altri Stati? Sovranità.
Se con un trattato, eliminandosi ogni termine finale dei vincoli che impone, vengano stabiliti PER SEMPRE i rapporti di forza tra gruppi sovrani, si sarà, solo per questo, anzitutto eliminata la ragion d'essere della stessa sovranità, ma con questo si sarà anche eliminata la dignità e tutelabilità degli interessi che la sovranità perseguiva, come sua naturale funzione.
OVVIAMENTE QUESTO SOLO PER CHI NEL RAPPORTO DI FORZA SIA LA PARTE "DEBOLE": per chi sia in posizione prevalente, si avrà, al contrario, una riaffermazione rafforzativa della sua sovranità.

Godendo dunque della SOVRANITA' DEMOCRATICA - quella che, sul piano del diritto internazionale esclude il ricorso alla guerra offensiva e sul piano interno riconosce l'eguaglianza sostanziale dei cittadini (art.11 e 1-3 Cost.) - i cittadini si danno delle istituzioni (elettorali) per perseguire, anche e specialmente, sul piano del diritto internazionale tali interessi democratici (se non altro perchè inclusivi, nel senso della massima rappresentatività delle istituzioni rispetto agli interessi dell'intero corpo sociale).
Invece, gli stessi cittadini, all'interno di un'organizzazione internazionale che stabilisca per sempre la crescente distruzione della sovranità, come riflesso della inevitabile cristallizzazione dei rapporti di forza tra gli Stati contraenti, perdono di ogni rappresentanza e possono solo adeguarsi alla prevalenza ed alla realizzazione di interessi diversi da quelli del gruppo, assoggettato, di cui si trovano a far parte.
In altri termini, i trattati a fini generali economici (liberoscambisti) possono ottenere dei risultati che, spesso neanche le guerre riescono a raggiungerein favore del "vincitore": sia per ampiezza degli interessi prevalenti affermati (in capo ad uno o più Stati dominanti), sia per stabilità di tale risultato.
Il sacrificio definitivo e perenne degli interessi (solo) del popolo il cui Stato agisce considerando la sovranità un bene rinunciabile, e tale rinuncia un valore positivo,è dunque ciò che, nella sostanza, sostengono coloro che, pur appartenendo a quello stesso popolo (!), si dicono cittadini "europei", cioè di questa UE, organizzazione non sovrana che, in base all'oggettivo contenuto del trattato, non persegue gli interessi del gruppo sociale degli "europei"(che neppure riconosce come tale e meno che mai come corpo elettorale sovrano).
Questa organizzazione, in effetti, com'è inevitabile, semplicemente maschera gli interessi dello Stato (o "degli Stati") che ha potuto affermare la prevalenza della propria sovranità nell'assetto del trattato, e cioè la prevalenza dei propri interessi.
E coloro che, contrariamente ai propri interessi (quale che ne sia la forma), appoggiano l'assetto di forza favorevole ad una o più potenze straniere, dichiarandosi cittadini "europei" disinteressati ad essere appartenenti al proprio Stato nazionale, in tempi di sovranità democratica, sono inevitabilmente disinteressati o contrari alla democrazia (nella sua sostanza).
Di più, sono dei COLLABORAZIONISTI.