Dunque, questo è l'andamento "storico" della disoccupazione in Italia (da Scenarieconomici.it):

E questa è la ben nota "correlazione" con l'inflazione...e lo SME, il divorzio tesoro-bankitalia e lo splendido euro. (elaborazione di Antonio Rinaldi su dati Istat)

Questo è l'Employment Protection Legislation Index utilizzato dall'OCSE. Cioè l'indice che misura il grado di protezione dell'occupazione nella legislazione di ciascun rispettivo paese, utilizzando riferimenti (resi) omogenei. Notare che l'indice italiano, dato il suo punto di partenza del 1990, perviene alla più notevole "decrescita relativa" di tale protezione. Con due picchi verticali verso il basso in occasione delle leggi Treu e c.d. Biagi. A seguito di ciò, allo stato, la differenza da colmare con la Germania, la equiparabile Grecia (ma guarda un po'!) e con l'Olanda, è molto ridotta. Un "progresso" per i liberisti di ogni colore che non dovrebbe farli lamentare troppo. E invece, come vedremo...
Austria e Irlanda paiono fare gara a sè, ma si caratterizzano per una certa stabilità dell'indice: anzi, nel dopo crisi 2008, registrano un certo innalzamento della protezione normativa dell'occupazione!

Di più: questi gli effetti di SME, divorzio, criteri di convergenza di Maastricht ed euro sulla quota "salari" (grafici tratti dal post sopra linkato)
Questi i dati comparati in dipendenza dell'andamento dei salari reali:
E questi indici cosa ci dicono sull’Italia?
I dati Ocse mostrano che dal 1990 ad oggi la gran parte dei paesi europei ha praticato politiche di liberalizzazione del mercato del lavoro, tentando di aumentare la flessibilità e per questa via l’occupazione. L’Italia è tra i paesi che hanno fatto i più ampi sforzi in questa direzione. Infatti, abbiamo ridotto l’indicatore generale di protezione del lavoro di oltre il 40%. In particolare, abbiamo liberalizzato intensamente il ricorso al lavoro a termine, riducendo l’indice di protezione di circa il 60%. Alla fine del 2013, ben prima della riforma Poletti, il grado di flessibilità nel lavoro a termine era già in linea con la media dei paesi dell’Eurozona. Ora si ridurrà ulteriormente.
Dai dati empirici di cui disponiamo è possibile stabilire una correlazione fra politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro e diminuzione del tasso di disoccupazione?
Con Guido Tortorella Esposito ho appena terminato uno studio, pubblicato da economiaepolitica.it, il quale mostra che se vi è una correlazione è semmai esattamente opposta a quella che viene ipotizzata dalla letteratura economica conservatrice. Intendo dire che l’analisi mette in evidenza come all’aumentare della flessibilità del lavoro la disoccupazione tenda a crescere. Però la correlazione che viene fuori è troppo bassa per avere certezza che le cose stiano effettivamente in questi termini. Quello che possiamo dire con certezza, sulla base dei dati ufficiali e alla luce delle metodologie più consolidate, è che la flessibilità non fa espandere l’occupazione. Questo è sicuramente vero per l’insieme dei paesi dell’Eurozona, dal 1990 al 2013.
- See more at: http://www.economiaepolitica.it/tag/ocse/#sthash.ySZVGyfj.dpufE questi indici cosa ci dicono sull’Italia?
I dati Ocse mostrano che dal 1990 ad oggi la gran parte dei paesi europei ha praticato politiche di liberalizzazione del mercato del lavoro, tentando di aumentare la flessibilità e per questa via l’occupazione. L’Italia è tra i paesi che hanno fatto i più ampi sforzi in questa direzione. Infatti, abbiamo ridotto l’indicatore generale di protezione del lavoro di oltre il 40%. In particolare, abbiamo liberalizzato intensamente il ricorso al lavoro a termine, riducendo l’indice di protezione di circa il 60%. Alla fine del 2013, ben prima della riforma Poletti, il grado di flessibilità nel lavoro a termine era già in linea con la media dei paesi dell’Eurozona. Ora si ridurrà ulteriormente.
Dai dati empirici di cui disponiamo è possibile stabilire una correlazione fra politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro e diminuzione del tasso di disoccupazione?
Con Guido Tortorella Esposito ho appena terminato uno studio, pubblicato da economiaepolitica.it, il quale mostra che se vi è una correlazione è semmai esattamente opposta a quella che viene ipotizzata dalla letteratura economica conservatrice. Intendo dire che l’analisi mette in evidenza come all’aumentare della flessibilità del lavoro la disoccupazione tenda a crescere. Però la correlazione che viene fuori è troppo bassa per avere certezza che le cose stiano effettivamente in questi termini. Quello che possiamo dire con certezza, sulla base dei dati ufficiali e alla luce delle metodologie più consolidate, è che la flessibilità non fa espandere l’occupazione. Questo è sicuramente vero per l’insieme dei paesi dell’Eurozona, dal 1990 al 2013.
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I dati Ocse mostrano che dal 1990 ad oggi la gran parte dei paesi europei ha praticato politiche di liberalizzazione del mercato del lavoro, tentando di aumentare la flessibilità e per questa via l’occupazione. L’Italia è tra i paesi che hanno fatto i più ampi sforzi in questa direzione. Infatti, abbiamo ridotto l’indicatore generale di protezione del lavoro di oltre il 40%. In particolare, abbiamo liberalizzato intensamente il ricorso al lavoro a termine, riducendo l’indice di protezione di circa il 60%. Alla fine del 2013, ben prima della riforma Poletti, il grado di flessibilità nel lavoro a termine era già in linea con la media dei paesi dell’Eurozona. Ora si ridurrà ulteriormente.
Dai dati empirici di cui disponiamo è possibile stabilire una correlazione fra politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro e diminuzione del tasso di disoccupazione?
Con Guido Tortorella Esposito ho appena terminato uno studio, pubblicato da economiaepolitica.it, il quale mostra che se vi è una correlazione è semmai esattamente opposta a quella che viene ipotizzata dalla letteratura economica conservatrice. Intendo dire che l’analisi mette in evidenza come all’aumentare della flessibilità del lavoro la disoccupazione tenda a crescere. Però la correlazione che viene fuori è troppo bassa per avere certezza che le cose stiano effettivamente in questi termini. Quello che possiamo dire con certezza, sulla base dei dati ufficiali e alla luce delle metodologie più consolidate, è che la flessibilità non fa espandere l’occupazione. Questo è sicuramente vero per l’insieme dei paesi dell’Eurozona, dal 1990 al 2013.
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I dati Ocse mostrano che dal 1990 ad oggi la gran parte dei paesi europei ha praticato politiche di liberalizzazione del mercato del lavoro, tentando di aumentare la flessibilità e per questa via l’occupazione. L’Italia è tra i paesi che hanno fatto i più ampi sforzi in questa direzione. Infatti, abbiamo ridotto l’indicatore generale di protezione del lavoro di oltre il 40%. In particolare, abbiamo liberalizzato intensamente il ricorso al lavoro a termine, riducendo l’indice di protezione di circa il 60%. Alla fine del 2013, ben prima della riforma Poletti, il grado di flessibilità nel lavoro a termine era già in linea con la media dei paesi dell’Eurozona. Ora si ridurrà ulteriormente.
Dai dati empirici di cui disponiamo è possibile stabilire una correlazione fra politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro e diminuzione del tasso di disoccupazione?
Con Guido Tortorella Esposito ho appena terminato uno studio, pubblicato da economiaepolitica.it, il quale mostra che se vi è una correlazione è semmai esattamente opposta a quella che viene ipotizzata dalla letteratura economica conservatrice. Intendo dire che l’analisi mette in evidenza come all’aumentare della flessibilità del lavoro la disoccupazione tenda a crescere. Però la correlazione che viene fuori è troppo bassa per avere certezza che le cose stiano effettivamente in questi termini. Quello che possiamo dire con certezza, sulla base dei dati ufficiali e alla luce delle metodologie più consolidate, è che la flessibilità non fa espandere l’occupazione. Questo è sicuramente vero per l’insieme dei paesi dell’Eurozona, dal 1990 al 2013.
- See more at: http://www.economiaepolitica.it/tag/ocse/#sthash.ySZVGyfj.dpufAnche qui, l'Italia non solo vede affossati il reddito e il potere d'acquisto dei lavoratori, ma "brilla" sugli altri paesi europei comparabili.
Il futuro che ci attende è, - NOTARE, a legislazione e dinamiche del lavoro attuali- ben illustrato nel grafico più sotto: il lavoro a tempo indeterminato va "a esaurimento" e i giovani globalmente precatizzati. Già oggi abbiamo una protezione normativa del lavoro che si conferma più o meno al livello tedesco: ma possiamo vantare un maggior tasso di disoccupazione giovanile.
Dunque il futuro, rebus sic stantibus e senza ulteriori "flessibilizzazioni", è che per essere competitivi coi tedeschi dobbiamo ulteriormente ridurre la protezione dell'occupazione, ed aumentare la precarizzazione - per diminuire ulteriormente il costo del lavoro- ben al di là del livello tedesco. Cosa che ci fa capire ulteriormente IN CHE MODO LA RIFORMA HARTZ SAREBBE APPLICATA IN ITALIA...

Il che, infatti, ci riporta all'OCSE ed alle sue strane deduzioni:
All'OCSE più di qualcuno deve essere schizofrenico. pic.twitter.com/n5vimgWA62
Tanto che, visto che poi parleremo di Marchionne, a questo punto ci sta bene questa "autorevole" conferma,tanto per ricordargli ciò di cui "egli" pare essere totalmente immemore:
Ci bastano e avanzano per capire questa dichiarazione di Marchionne e, cioè, come l'accusa di ideologia, - nell'affrontare, a propria volta, molto ideologicamente (in termini vetero-liberisti) il problema del mercato del lavoro- sia smentita da qualsiasi serena considerazione dei dati economici.
Certo il "tipo" si affida esclusivamente al "Global Competitiveness Report, appena pubblicato dal World Economic Forum" e ne ricava una ostilità statalista italiana verso le imprese. Non molto originale e obiettivo, se guardiamo ai dati. Sarà...Bontà sua...
Ma poi ci si chiede che diavolo le facciano a fare le loro ricerche economiche, e raccolte statitiche, l'OCSE (!), l'Istat o l'Ameco-Eurostat.
Ma il "nostro" a Cernobbio è stato tanto applaudito...