
Ora, il Fatto Quotidiano, ma pure il Corriere della Sera,"ricostruiscono" i fatti.
Ed il problema, dunque, come spesso accade in Italia, non è che una Procura indaghi, seguendo prassi che non è difficile vedere come normali, ma che i giornali ne parlino. E in un certo modo.
Il discorso, in senso più ampio, riguarda poi la generale ed obiettiva difficoltà delle imprese di sopravvivere in questa situazione. Una grande crisi "da domanda", come nel 1929.
In fondo, anche da queste "cronache", si ha conferma di come la concreta possibilità di ottenere credito bancario, (quand'anche a molti altri precluso), non ponga al riparo dalla insolvenza. Questo certamente per le imprese che agiscono nel tipico mercato interno dei servizi, vecchi o "nuovi" che siano.
Si diffondono le insolvenze: i nomi non contano e non pare proprio che il regime dello Statuto dei lavoratori c'entri molto. I piccoli imprenditori lo sanno.
E hanno capito che c'è poco da fare in situazioni in cui le p.a. con cui, in qualunque modo, si hanno dei rapporti, pagano troppo tardi o non pagano affatto.
D'altra parte, anche il "mitologico" pagamento dei crediti delle imprese: si tratta di lavori, forniture e servizi già eseguiti (altrimenti il credito non sarebbe sorto o sarebbe legittimamente contestabile e incerto). Per quelle corrispondenti attività di produzione, le imprese hanno già dovuto pagare quantomeno maestranze, fornitori e spese fisse in misura proporzionale. E su queste attività hanno già gravato i diversi tributi che a vario titolo (anche come sostituti d'imposta) sono tenute a corrispondere.
Dunque, laddove il compenso per le prestazioni eseguite non sia arrivato, per fronteggiare i costi di produzione, hanno dovuto prevalentemente e normalmente, ricorrere a riserve (nella migliore delle ipotesi, quelle connesse agli utili realizzati con attività prestate a soggetti che non siano la p.a., quando pure ci siano state), oppure ricorrere al credito; o, realisticamente, posticipare o rateizzare i debiti per i vari tributi, nel frattempo implacabilmente in riscossione.
Dunque, il pagamento dei "crediti delle imprese" non immette nuova liquidità nel sistema: serve a pagare debiti - e il pagamento estingue la moneta- e, inoltre, corrisponde a entrate in gran parte già contabilizzate nel bilancio statale, salvo l'IVA per le fatture emesse per i tardivi pagamenti (nel sistema, un gettito aggiuntivo più modesto di quanto non si stimi).
Se poi i pagamenti corrispondono a spese qualificate nella contabilità pubblica come "in conto capitale", queste devono trovare copertura aggiuntiva.
E infatti, i decreti legge sul pagamento alle imprese, prevedono a carico delle amministrazioni centrali, specie di quelle anticipatrici dei fondi agli enti territoriali di vario livello, tagli lineari automatici già all'opera, nella misura in cui i crediti siano via via pagati. E gli enti territoriali, a loro volta, devono ripagare le anticipazioni del tesoro, e sono vincolate a tagliare le spese in conto capitale, e per investimenti, per il futuro.
Il che significa che i pagamenti, per molte voci, come le opere pubbliche e altre spese infrastrutturali, risulteranno "tombali": cioè per il futuro meno appalti e, per molte imprese, la fine della principale fonte di sopravvivenza. Cioè proprio dell'odiata spesa pubblica.
Tanto più che questi tagli di copertura del pagamento dei crediti, si aggiungono agli ulteriori tagli delle spese per investimenti pubblici e in conto capitale che comunque, ogni anno, vengono disposti per raggiungere gli obiettivi intermedi di indebitamento, verso il pareggio di bilancio, che il fiscal compact impone e che l'Italia è l'UNICO PAESE UEM TENUTO A RISPETTARE.
E infatti, i decreti legge sul pagamento alle imprese, prevedono a carico delle amministrazioni centrali, specie di quelle anticipatrici dei fondi agli enti territoriali di vario livello, tagli lineari automatici già all'opera, nella misura in cui i crediti siano via via pagati. E gli enti territoriali, a loro volta, devono ripagare le anticipazioni del tesoro, e sono vincolate a tagliare le spese in conto capitale, e per investimenti, per il futuro.
Il che significa che i pagamenti, per molte voci, come le opere pubbliche e altre spese infrastrutturali, risulteranno "tombali": cioè per il futuro meno appalti e, per molte imprese, la fine della principale fonte di sopravvivenza. Cioè proprio dell'odiata spesa pubblica.
Tanto più che questi tagli di copertura del pagamento dei crediti, si aggiungono agli ulteriori tagli delle spese per investimenti pubblici e in conto capitale che comunque, ogni anno, vengono disposti per raggiungere gli obiettivi intermedi di indebitamento, verso il pareggio di bilancio, che il fiscal compact impone e che l'Italia è l'UNICO PAESE UEM TENUTO A RISPETTARE.
E gli imprenditori sanno, o ormai dovrebbero sapere, che il regime fiscale si inasprisce proprio mentre, anzi, "proprio perchè", la domanda interna si contrae e con essa la base imponibile che dovrebbe fruttare le entrate necessarie per rispettare i vincoli fiscali di cui si nutre l'impianto della moneta unica.
La realtà è dura per tutti. Ed è una di quelle cose che non si può nascondere neppure a se stessi.
Ma se i giornali parlano delle cose cui facevamo cenno all'inizio, non si comprende perchè si sveglino ora. O forse lo si comprende benissimo: c'è un futuro "dietro alle spalle" per l'Italia.
Si chiama "cessione di sovranità" - che per la verità è già un fatto compiuto- ma nella forma conclamata: cioè mediante la diretta titolarità dei poteri decisionali supremi di indirizzo politico previsti dalla Costituzione in capo a soggetti non designati secondo "i modi e le forme" (art.1 Cost) di legittimazione democratica previsti dalla Costituzione.

Insomma, l'aria che tira pare preparare sempre più una nuova svolta: eliminare l'ultima "frontiera"(o "spiaggia", scegliete voi) dei "decidenti per conto dell'€uropa" e passare direttamente ai "decidenti europei" (in conto proprio).
C'è a chi piace. Pare pure che non siano pochi.
Ma poi le imprese non si lamentassero delle tasse, se gli piace l'euro...e l'illusione di pagare meno quelle importazioni che, nel lungo periodo, non possono sostituire la caduta degli investimenti che preclude la sopravvivenza del sistema stesso delle imprese.
La base imponibile- e la domanda e l'occupazione- continueranno a contrarsi, nella migliore delle ipotesi a ristagnare, il "profilo di rischio", che preclude l'accesso al credito di conseguenza ad aumentare, e le tasse, inevitabilmente, ad essere vincolate al principio della copertura in pareggio di bilancio.
E così, qualsiasi stabilizzatore automatico, innnescato in misura incrementale da questa situazione, - che sia un prepensionamento, il ricorso alle varie casse di integrazione o un contratto di solidarietà - può solo portare a nuove tasse, da qualche parte, ma inevitabili. Dentro "questa"€uropa.