1- Ma l'euro "non finisce più"? La questione della "giustizia" come essenza del diritto.
La calma apparente ("prima della tempesta") imposta dalle elezioni, - (giochino degli spread...subsided, revisionismo coccodrillesco sugli eccessi tributari, sottolineatura del "pareggio tecnico", che sconterebbe il ciclo...fino a che la congiuntura perduri, salvo poi deliberatamente prolungarla)- sta dando a molti l'impressione che l'euro possa durare indefinitamente.
E certo come impressione è alquanto deprimente.
Anche parlando con persone stimabili, però, mi accorgo che questa "calma apparente", costituisce uno schermo fondamentale per impedire di "vedere" la situazione per come realmente è.
Si genera cioè l'impressione che insomma, tutto sommato, l'euro sarebbe sostenibile e avrebbe anzi la funzione positiva di mitigare gli eccessi del "costume italico", (corruzzzione, spesa pubblica improduttiva, generica mancanza di "produttività"), e che, quindi, la "colpa" sarebbe della Germania, che ha perseguito delle politiche "mercantilistiche" che, se evitate, avrebbero fatto funzionare la moneta unica per il "meglio".
Questa visione affrettata, ma comunque pericolosamente diffusa, non è altro che l'aggiornamento della teoria del "vincolo esterno" che tante sciagure ha costantemente apportato alla nostra economia.
Per chi avesse la costanza di seguire questo blog, una linea accomodante di questo tipo risulta del tutto risibile. E la top ten dei post più letti lo attesta senza equivoci.
Qui mi limiterei a richiamare la certificazione, limpidamente illustrata da Jacques Sapir, del fatto che la costruzione, comunque tardiva - e dolosamente mancata in origine-, di un federalismo europeo dei "trasferimenti" non è politicamente pensabile, prima di tutto perchè è economicamente impraticabile per gli stessi ideologi del "vincolo" e comunque per la stessa Germania.
Dietro a questo luogo comune (del vincolo "aggiornato" con trasferimenti e..."condizionalità"), però, si annida una delle più convincenti spiegazioni del perchè i "giuristi" non rispondano agli appelli e agli stimoli che da questo blog (come punto di arrivo di una divulgazione che non passa solo per esso), sono stati più volte lanciati.
La cosa non è da poco: in realtà chi ha, a vari eminenti livelli, "in mano" l'interpretazione delle norme, costituzionali e europee in primis, detiene uno strumento "politico" che nessun altro possiede.
L'analisi di un economista, per quanto persuasiva e illuminante, non può giungere a scuotere il "mondo delle decisioni politiche", se l'economista non sia già collocato all'interno della governance (e quindi se non è già "istituzionalizzato" secondo i dettami del mainstream): un bel paradosso, che pone la "verità", per definizione, "in minoranza" e riduce il pensiero economico ad uno "strumento" di conservazione delle ideologie dominanti, cui dà una (pseudo)legittimazione tecnica. Ciò propone un circolo vizioso simile a quello relativo alla "utilità" delle aree valutarie ottimali: sono realizzabili solo se le condizioni delle economie coinvolte sono tali da segnare una convergenza talmente stretta che l'AVO risulti pressoccchè inutile...mentre in ogni altro caso è dannosa.
Questo "mondo delle decisioni", della "governance" de facto, è situato sì nell'empireo dell'informale lotta di potere e della "discrezionalità insindacabile" del legislatore - formula seguita dalla Corte costituzionale quando vuole evitare di assumersi la responsabilità di portare a conseguenza la tutela della Costitizione, di fronte al dubbio delle conseguenze finanziarie che non riesce a stimare correttamente-, ma è sempre filtrato dal "parere dei giuristi", almeno finchè, formalmente, esisterà lo Stato di diritto.
Ai giuristi, dunque, spetterebbe di svolgere un ruolo di difesa dei valori costituzionali che, forse, rimane l'ultima voce istituzionale (non ancora disattivata ufficialmente) rimasta a difesa degli stessi e dell'interesse democratico del Paese.
Il problema è, mi accorgo, che questo non è un tempo per i Calamandrei, i Carnelutti e i Mortati. E forse nasce dal fatto che le ideologie "borghesi" non sono più indotte alla "mediazione", cioè ad una concezione "redistributiva" reale, per assenza della minaccia del marxismo-leninismo-stalinismo, che certamente aveva sospinto le "elites liberali" che avevano combattuto il nazi-fascismo a prevenire la prospettiva di una nuova dittatura.
Però, rimane il fatto che un diritto "senza valori", intendendoli come qualcosa che si è consolidato e chiarito in conseguenza di lotte e sofferenze che hanno avuto, in forme più estreme, avversari non dissimili da quelli di oggi, rinuncia alla funzione di "giustizia" propria delle sue definizioni più alte.
Definizioni come quelle offerteci da uno dei massimi pensatori giuridici, Thomas Viehweg, nel già menzionato "Topica e giurisprudenza" (cap. VIII, pagg.118 ss.); citando, a sua volta, Josef Esser, uno dei fondatori della "giurisprudenza degli interessi", corrente di reazione al giuspositivismo e alla sua "neutralità" apparente che si era prestata a legittimare persino il nazismo, Viehweg chiarisce:
"...anche dei concetti che in apparenza sono di mera tecnica giuridica. dei semplici "elementi costruttivi", della giurisprudenza, ricevono il loro significato semplicemente dalla questione della giustizia. ...Per esempio nel quadro della determinazione concettuale "dichiarazione di volontà (concetto giuridico fondamentale, che vale per i contratti come per i trattati internazionali ndr.),è comprensibile soltanto se significa "la fissazione dei principi di giustizia nella questione del vincolo negoziale e della lealtà negoziale". E questa giustizia si connota nella tutela dell'affidamento generato nei destinatari della dichiarazione e nella costante tutela della libertà di espressione della "volontà", esente da errori nonchè da raggiri posti in essere dal "dichiarante" .
E' questa la cornice in cui ha senso comprendere la questione del "vincolo esterno", acriticamente accettata dalla comunità dei giuristi italiani: quale libera volontà, esente da errori e raggiri, ha potuto esprimere la comunità nazionale su cui il vincolo è stato imposto? Come si è veramente tenuto conto dell'affidamento in essa creato, cioè il "fogno" di pace e prosperità dei popoli europei, drammaticamente contradetto fino alle più estreme evidenze di sua negazione?
Di questo non ci stancheremo mai di denunciare il verificarsi e il protrarsi...e le "responsabilità" che incombono sui giuristi. Magari, prima o poi, qualcuno si "sveglierà".
2- Una sintesi del futuro prevedibile e di quello, forse, realisticamente "auspicabile".
Ma tornando all'interrogativo iniziale ("quando finirà?), vorrei per l'ennesima volta richiamare l'ipotesi "frattalica", con tutti i suoi ormai numerosi aggiornamenti.
Ma tornando all'interrogativo iniziale ("quando finirà?), vorrei per l'ennesima volta richiamare l'ipotesi "frattalica", con tutti i suoi ormai numerosi aggiornamenti.
Questa si può compendiare nella previsione (forse sbagliata ma finora sostenuta da plurimi indizi concordanti) che, come già accadde alla fine della II guerra mondiale, a fronte dell'intervento "soverchiante" di forze esterne all'Italia, costituite dagli USA, insieme a Francia e UK, i sostenitori del "vincolo"-giogo" sulle democrazie, prima si sfaldino, rinnegando, in una parte consistente, la sudditanza verso la Germania, poi si diano globalmente alla fuga e al "cambio di casacca", nell'arco di un paio di tormentati anni, che vedranno lotte intestine all'Italia, tra "conservatori" e "restauratori" della democrazia costituzionale.
Se un "nuovo ordine democratico" potrà prendere vita, - dalle ceneri di questo conflitto "mondiale" tra "deflazionisti" anti-lavoro e pro-finanza, da un lato, e "redistributivi" attenti all'economia reale, dall'altro,- coinvolgendo anche l'Italia, dipenderà dalla capacità dilegittimazione di un gruppo necessariamente ristretto di persone che avranno avuto la "credibilità" di non schierarsi con i vincitori " a guerra persa", dando vita a una nuova Costituente democratica, che ripristini e integri le regole supreme dello Stato in modo che "tutto ciò non si ripeta più".
3- Non disperate: presto potrebbe andare peggio. Cioè "meglio".
Ma a parziale sostegno morale e psicologico dei "lettori consapevoli", mentre interiormente "stringono i denti", vorrei richiamare questo articolo apparso su The Economist di fine anno, scritto sotto lo pseudonimo di "Charlemagne" (un commentatore non certo euroscettico, ed anzi alquanto moderato).
L'articolo di intitola "All hope is not lost" e, in verità, non si comprende in che direzione sia volta questa "speranza". Il sottotitolo però ci aiuta a..."sperare". "L'euro è sopravvissuto al 2012, ma ci vorrà molto tempo prima che sia risanato".
"Charlemagne" parte dal presupposto, spesso dimenticato (nella sua "gravità" colpevole), che "l'Unione monetaria di Maastricht ha creato una moneta unica senza un corrispondente Stato unico".
Compiuta un'analisi sulla probabile apertura alla ristrutturazione dei debiti PIGS, una volta superate le elezioni tedesche di fine 2013, sottolinea, con un'esposizione contraddittoria, e più rispondente a un "wishful thinking", che "La zona euro sta muovendosi oltre la sua ossessione su regole fiscali sempre più severe. Il prossimo giugno i leaders dibatteranno la proposta che i paesi "bisognosi" sottoscrivano "contratti" che li impegnino a fare riforme strutturali, a seguito delle quali a tali paesi sia offerto denaro per alleviare il percorso verso cambiamenti dolorosi".
Siamo in pieno delirio "nuova macroeconomia classica", dato che non c'è alcun segno di comprensione del problema che le "riforme strutturali" consistono, in realtà, nella privatizzazione di beni e imprese pubblici e nella agevolazione del controllo "estero" delle economie debitrici attaverso ulteriori eliminazioni di "rigidità" dei rispettivi mercati del lavoro...eufemismo che dissimula il perseguimento del livello di disoccupazione "naturale" che consente, secondo "loro", l'aggiustamento, "stile" Friedman e Lucas (dovendo essere i salari, per "loro", infinitamente flessibili).
Ma in tutta la costruzione, abbiamo visto, c'è un non trascurabile dato; la domanda cade, complessivamente e inesorabilmente nell'area UEM, e supplire a questa caduta via domanda esterna (all'area stessa) incontra la resistenza sempre più forte di USA e...Giappone. E di Francia e UK, come presto vedremo.
Cioè la ricetta non può valere quando l'imperialismo mercantilista, da sistema di colonizzazione pro-germania del resto d'Europa, si sposta a preconizzare lo stesso meccanismo verso il..."resto del mondo".
Considerare la domanda interna e l'equilibrio dei saldi settoriali come un "peccato" imperdonabile, porta a stagnazione-recessione e problemi economici internazionali senza fine.
Perciò, alla fine, "Charlemagne", forse cosciente che non tutto potrà andare "liscio", ci dice: "Il destino dell'euro dipenderà altrettanto dalle scelte dei paesi creditori, su tutti la Germania...
La offerta francese di eurobond congiunti è stata respinta mesi fa. Un'idea alternativa francese, quella di creare un bilancio centrale dell'euro zona per compensare gli shock interni all'area, è stata respinta al summit europeo del 13-14 dicembre 2012....Al picco della crisi i leaders UE sentirono come necessario intraprendere una visione di "lungo termine" per rassicurare i mercati. Ora che la pressione è cessata (essenzialmente grazie a mere "dichiarazioni" di Draghi, ancora tutte da verificare, ndr.), si è persa pure la "visione".
"Non è morto. E' solo ibernato (l'euro ndr.) - dice Alexander Stubb, ministro per l'Europa della Finlandia. Ma ammette che le prospettive di una grande modifica dei trattati per riprogettare l'euro sta tramontando. Nel futuro prevedibile, l'euro-zona sarà più basata su un sistema-Maastricht modificato, con regole ancora più rigide, maggior emissione di liquidità, e una BCE più attiva, che su un vero federalismo fiscale.
Cò potrebbe essere abbastanza per consentire all'euro di sopravvivere, ma non di prosperare.
Nel migliore dei casi, il "recupero" dei paesi periferici sarà lento, anche se avessero intrapreso profonde riforme. Nel peggiore, la mancanza di visione a lungo termine inviterà i mercati a sospingere nuovamente l'euro giù per i gironi dell'inferno finanziario".
Notare che la lenta ripresa dei paesi "periferici", cioè la migliore delle ipotesi, avverrebbe solo a condizione che le loro esportazioni (e con quale sistema produttivo?) vadano in attivo extra-UEM (il vantaggio "area-marco" in termini di tassi di cambio reale è incolmabile e ormai asimmetricamente strutturato): cioè esattamente quello che gli altriplayers globali "sovrani" hanno iniziato a contrastare...
E volete che questa storiella di mancata crescita e deflazione (salariale) possa andare oltre i prossimi due anni e non sia preceduta da "un certo" sommovimento degli equilibri sociali e internazionali, dato che, nei paesi più importanti, hanno capito benissimo dove la Germania vuole andare a parare?
Ma a parziale sostegno morale e psicologico dei "lettori consapevoli", mentre interiormente "stringono i denti", vorrei richiamare questo articolo apparso su The Economist di fine anno, scritto sotto lo pseudonimo di "Charlemagne" (un commentatore non certo euroscettico, ed anzi alquanto moderato).
L'articolo di intitola "All hope is not lost" e, in verità, non si comprende in che direzione sia volta questa "speranza". Il sottotitolo però ci aiuta a..."sperare". "L'euro è sopravvissuto al 2012, ma ci vorrà molto tempo prima che sia risanato".
"Charlemagne" parte dal presupposto, spesso dimenticato (nella sua "gravità" colpevole), che "l'Unione monetaria di Maastricht ha creato una moneta unica senza un corrispondente Stato unico".
Compiuta un'analisi sulla probabile apertura alla ristrutturazione dei debiti PIGS, una volta superate le elezioni tedesche di fine 2013, sottolinea, con un'esposizione contraddittoria, e più rispondente a un "wishful thinking", che "La zona euro sta muovendosi oltre la sua ossessione su regole fiscali sempre più severe. Il prossimo giugno i leaders dibatteranno la proposta che i paesi "bisognosi" sottoscrivano "contratti" che li impegnino a fare riforme strutturali, a seguito delle quali a tali paesi sia offerto denaro per alleviare il percorso verso cambiamenti dolorosi".
Siamo in pieno delirio "nuova macroeconomia classica", dato che non c'è alcun segno di comprensione del problema che le "riforme strutturali" consistono, in realtà, nella privatizzazione di beni e imprese pubblici e nella agevolazione del controllo "estero" delle economie debitrici attaverso ulteriori eliminazioni di "rigidità" dei rispettivi mercati del lavoro...eufemismo che dissimula il perseguimento del livello di disoccupazione "naturale" che consente, secondo "loro", l'aggiustamento, "stile" Friedman e Lucas (dovendo essere i salari, per "loro", infinitamente flessibili).
Ma in tutta la costruzione, abbiamo visto, c'è un non trascurabile dato; la domanda cade, complessivamente e inesorabilmente nell'area UEM, e supplire a questa caduta via domanda esterna (all'area stessa) incontra la resistenza sempre più forte di USA e...Giappone. E di Francia e UK, come presto vedremo.
Cioè la ricetta non può valere quando l'imperialismo mercantilista, da sistema di colonizzazione pro-germania del resto d'Europa, si sposta a preconizzare lo stesso meccanismo verso il..."resto del mondo".
Considerare la domanda interna e l'equilibrio dei saldi settoriali come un "peccato" imperdonabile, porta a stagnazione-recessione e problemi economici internazionali senza fine.
Perciò, alla fine, "Charlemagne", forse cosciente che non tutto potrà andare "liscio", ci dice: "Il destino dell'euro dipenderà altrettanto dalle scelte dei paesi creditori, su tutti la Germania...
La offerta francese di eurobond congiunti è stata respinta mesi fa. Un'idea alternativa francese, quella di creare un bilancio centrale dell'euro zona per compensare gli shock interni all'area, è stata respinta al summit europeo del 13-14 dicembre 2012....Al picco della crisi i leaders UE sentirono come necessario intraprendere una visione di "lungo termine" per rassicurare i mercati. Ora che la pressione è cessata (essenzialmente grazie a mere "dichiarazioni" di Draghi, ancora tutte da verificare, ndr.), si è persa pure la "visione".
"Non è morto. E' solo ibernato (l'euro ndr.) - dice Alexander Stubb, ministro per l'Europa della Finlandia. Ma ammette che le prospettive di una grande modifica dei trattati per riprogettare l'euro sta tramontando. Nel futuro prevedibile, l'euro-zona sarà più basata su un sistema-Maastricht modificato, con regole ancora più rigide, maggior emissione di liquidità, e una BCE più attiva, che su un vero federalismo fiscale.
Cò potrebbe essere abbastanza per consentire all'euro di sopravvivere, ma non di prosperare.
Nel migliore dei casi, il "recupero" dei paesi periferici sarà lento, anche se avessero intrapreso profonde riforme. Nel peggiore, la mancanza di visione a lungo termine inviterà i mercati a sospingere nuovamente l'euro giù per i gironi dell'inferno finanziario".
Notare che la lenta ripresa dei paesi "periferici", cioè la migliore delle ipotesi, avverrebbe solo a condizione che le loro esportazioni (e con quale sistema produttivo?) vadano in attivo extra-UEM (il vantaggio "area-marco" in termini di tassi di cambio reale è incolmabile e ormai asimmetricamente strutturato): cioè esattamente quello che gli altriplayers globali "sovrani" hanno iniziato a contrastare...
E volete che questa storiella di mancata crescita e deflazione (salariale) possa andare oltre i prossimi due anni e non sia preceduta da "un certo" sommovimento degli equilibri sociali e internazionali, dato che, nei paesi più importanti, hanno capito benissimo dove la Germania vuole andare a parare?