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GRECIA, LIBIA E...ITALIA. IL TIMING USA DELLA STRATEGIA PRESUNTIVA

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Lew

http://dirtdiggersdigest.org/archives/3587 (link interessante)

PREMESSE


"Gli Stati Uniti scendono in campo nel tentativo di sbloccare lo stallo delle trattative sul rifinanziamento del debito greco. Il segretario del tesoro Jack Lew ha chiamato il ministro delle Finanze ellenico, Yanis Varoufakis, avvertendolo sul rischio di "immediate difficoltà" qualora non si trovi un accordo. "E' il momento di passare ai fatti", ha detto Lew al collega di Atene. Si deve "trovare un sentiero costruttivo in accordo con il Fmi e i ministri europei delle finanze", ha proseguito Lew nel corso della telefonata col ministro ellenico, durante la quale ha anche ricordato come "l'incertezza non sia una cosa buona per l'Europa". Il segretario del Tesoro ha quindi insistito con Varoufakis sul fatto che un accordo della Grecia con il Fondo monetario internazionale e con l'Europa deve basarsi sul fatto che esistono i margini per fare passi in avanti sia sul fronte della crescita sia su quello delle riforme. 
L'esponente americano ha infine assicurato il collega greco che fara' di tutto per incoraggiare i creditori internazionali della Grecia a raggiungere un accordo.
Una telefonata che il diretto interessato, Varoufakis, legge come un monito anche per l'Europa. "Il segretario del Tesoro Usa mi ha effettivamente detto che un mancato accordo danneggerebbe la Grecia", ma "ha aggiunto che danneggerebbe anche l'Europa. Un avvertimento a entrambe le parti", ha scritto l'esponente del governo ellenico su Twitter..."



"Che poi, con riferimento all'Ucraina ed alla Libia, mi domando se sia "una coincidenza" che, nel primo caso, Merkel ed Hollande abbiano sostanzialmente dribblato la Mogherini, e che, nel secondo, si sia provveduto a metterle accanto in fretta e furia Barnier, sostanzialmente commissariandola.




Insomma, ci sarebbe da domandarsi cosa altro deve fare "questa" europa per farci capire che ci disprezza...".


IN MEDIAS..,REM PUBLICAM



1. Il passare delle ore dimostra una cosa abbastanza evidente: la questione “Libia” rientra, come molti altri argomenti “sovra-mediatizzati”, in una strategia di gestione dell’opinione pubblica che, da un lato, alza la posta in gioco su un aspetto che vede il nostro governo sicuramente inadempiente, e cioè l’ordinaria difesa dei confini del territorio nazionale, dall’altro asseconda, senza rivelarla, la sussidiarietà delle nostre politiche sia estera che economica alla prevalente influenza degli Stati Uniti.
Capire ciò implica una certa freddezza, nel senso di non emotività, di giudizio: la “sparata” domenicale sull’intervento militare in Libia e sui prioritari interessi economici nazionali divenuti improvvisamente...una priorità, viene quasi subito contraddetta da un atteggiamento di recupero della via diplomatica che, nel contesto, non appare coerente con le notizie e i fatti addotti per giustificare lo stesso intervento militare.
Questi ultimi, nonostante le richieste di Obama al Congresso, variamente riportate dalla stampa, appaiono orientati a promuovere interventi limitati su territori selezionati, quali l’Irak e la Siria,dove ritengono sia effettivo il bisogno di un urgente contrasto all’offensiva dell’ISIS. Per “limitati”, poi, si intendono interventi compiuti da forze aeree, compresi i famosi “droni”, e, su terra, soltanto attraverso unità di truppe speciali. Cosa che lascia intendere, a sua volta, la selettività circoscritta (e in assunto chirurgica) di obiettivi e portata delle azioni su terra medesime.

2. A guardare bene, una volta che sia chiaro che, invece,sulla Libia, gli USA preferiscono la via diplomatica, - lasciando che le varie fazioni succedutesi alla violenta eliminazione di Gheddafi trovino un modus vivendi per la ricostruzione di uno Stato -, rimane l’inevitabilmente implicito “via libera” dato all’intervento aereo egiziano.
Dunque, tutto l’atteggiamento strategico, differenziato e comunque selettivo, adottato dagli USA, invia un chiaro messaggio agli europei, siano essi italiani, francesi o persino tedeschi, variamente coinvolti in consultazioni e ipotesi di intervento combinato, sotto l’egida di una risoluzione dell’ONU (che non sarebbe quella "sperata"...). 

E questo messaggio, ritraibile in “controluce” dal tipo di intervento prefigurato dagli USA, proprio perché paradigmatico e di fatto “esortativo”, può essere riassunto in questi punti fondamentali:
a) ogni paese occidentale “principale”che abbia problemi di controllo economico-industriale all’interno dell’area che ritiene di rispettivo interesse (o, meglio, “influenza”), incluso, ovviamente, in primo luogo il problema “energetico”, predisponga le sue autonome strategie di operatività militare. Messaggio che, specialmente per l'Italia, rinvia alle obiettive carenze generate dalle "politiche austere", nella prospettiva, poco appetibile per i cittadini italiani più debolio, evidenziata nel precedente post;
b) i problemi accumulatisi in passato, - e proprio a causa di una gestione non coordinata tra paesi appartenenti alla (ormai disastrata e conflittuale) Unione Europea-, bisogna attrezzarsi per risolverseli da soli, senza poter contare esclusivamente sull’ombrello della macchina militare USA;
c) quest’ultima infatti, rifiuta di impegolarsi in conflitti di area che non siano di propria diretta “pertinenza” (se non altro, per non averli provocati in via diretta, come in Irak), e dunque stabilisce il principio che la spesa militare relativa non sarà essenzialmente sostenuta dagli stessi USA, cioè andando a coprire i costi impliciti nei contrasti irrisolti tra gli interessi dei Paesi europei. Emblematico il caso della Libia, in cui è stata la Francia di Sarkozy a spingere per l’azione militare e a premere per tralasciare ogni rilevanza della no-fly zone che avrebbe dovuto contenere l’intervento occidentale secondo la risoluzione di “copertura” ONU;
d) gli Stati Uniti, anche al netto della fase – evidentemente ritenuta transitoria e superabile nel breve termine- della flessione dei prezzi petroliferi, rivendicano il proprio raggiungimento della “indipendenza energetica” e si tirano fuori dallo scenario arabo-mediorientale di nei termini e nelle modalità finora conosciuti;
e) la pressione sulla Unione Europea, esercitata con evidenza nelle tracce lasciate sulle risoluzioni e raccomandazioni in tema di difesa comune e rafforzata anche in chiave NATO con riguardo alla vicenda Ucraina, è nel senso di spingere per un livello di spesa pubblica e di rafforzamento dei dispositivi militari di tipo strategico che attribuisca un ruolo di alleato, all’Europa, caratterizzato da una crescente condivisione paritaria dell’onere in passato sostenuto dagli USA (e sempre meno tollerato dopo la “caduta del Muro di Berlino”).

3. Questo quadro, a sua volta, ci rinvia alle questioni sottostanti del TTIP e del mantenimento della centralità del dollaro come moneta di scambio internazionale. Ovvero al significato sostanziale di tali questioni (di cui il TTIP è, poi, soltanto UNO degli strumenti): gli USA sembrano sempre più orientati a estendere il reciproco coinvolgimento finanziario e industriale, a partire dal flusso di investimenti incrociati sulle due sponde dell’Atlantico, ma ribadendo la nuova filosofia enunciata da Jack Lew (qui, punto 2). Gli USA non intendono essere più gli “importatori mondiali di ultima istanza”.
E quale migliore indirizzo prescegliere che non quello del rafforzamento della domanda (pubblica), da parte dei paesi UE (ma leggasi UEM),  nel settore della difesa, quello in cui, in via diretta o indiretta, i sistemi d’arma prodotti dalla gigantesca industria bellica USA campeggiano al centro di qualunque ristrutturazione avanzata degli apparati militari?
Per gli USA, anche al di là del TTIP, ed anticipandone la sostanza correttiva dell’andamento post Bretton Woods, la sostanza dell’interesse sarebbe soddisfatta sia a livello industriale che geo-strategico.

4. Ma c’è un…ma.
Questa riconversione geo-politica, che assegnerebbe alla partnership militare europea un ruolo più intenso e autonomo (nelle rispettive aree “di competenza”) esige un periodo di investimenti e di politiche industriali (anche) nazionali - quelle aborrite dagli ordoliberisti euro-dominanti, in specie gli egemoni tedeschi-, che non solo sia sostenuto almeno nel medio periodo, ma che si trova senza ombra di dubbio in rotta di collisione con la mega-correzione interna all’area euro, intessuta di rigida austerità fiscale e di violenta deflazione salariale, a cui è strumentale l’alta disoccupazione strutturale perseguita deliberatamente nell’area.
Come abbiamo visto, il “riarmo” non sarebbe orientato a creare necessariamente nuova occupazione di personale della difesa, ma piuttosto alla intensificazione delle armi tecnologiche (che assicurano la definitiva supremazia strategica e che funzionerebbero come deterrente-dissuasore nell’ambito di rapporti di forza sempre più chiari); dunque, è chiaro perché le “voci” USA siano alquanto critiche sulla questione Grecia, come anche sull'austerità UEM in generale, fino al punto da evidenziare, con ragionamenti del tutto simili a quelli svolti in questa sede, che quanto vale per la Grecia si applica anche agli altri paesi economicamente disastrati dalle politiche UEM.

Queste esplicite affermazioni si fanno sempre più frequenti e aperte mentre, invece, gli Schauble e i tecnocrati dei paesi creditori, si danno sempre più allo spettacolo di una intransigenza illogica ed intrisa di un moralismo unilaterale, di un “solipsismo del creditore”, che gli stessi USA non esitano a stigmatizzare (almeno mediaticamente). E l’esistenza di questa attitudine pare essere la implicita premessa dell’atteggiamento negoziale seguito da Varoufakis nella ben nota (per ora tristemente) “trattativa”…Salvo decifrare quanto posto nella premessa a questo post, già nelle prossime ore

5. In questa situazione, la crisi della forma di governo, extracircuito elettorale e incentrato su un Esecutivo sempre più forte verso il Parlamento, tanto quanto, invece, più debole verso la supremazia politico-economica dell’ordoliberismo tedesco (in cui traveste il suo irrinunciabile mercantilismo per trovare la complicità delle elites locali europee), si trova sempre più in crisi.
Diviene infatti sempre più evidente che lo schema che ci sta governando negli ultimi 5 anni, (parlo della fase più intensa di disapplicazione della Costituzione), abbia perso la sua ragion d’essere.
E non solo perché nella sua attuale versione rivela la sua impreparazione politico-culturale (aspetto veramente drammatico per la “salute pubblica”), ma perché in effetti non garantisce neppure più quella direzione di "risanamento" che gli USA si aspettavano, (peraltro sbagliando la valutazione), nell’assecondare l’idea liberista e neo-classica di “stabilità finanziaria”,proteggendo il solo versante dei creditori. E ciò a scapito di enormi sacrifici imposti alla popolazioni, chiamate a sopportare il costo di una crisi indotta dagli errori macroeconomici, in realtà, da sempre innescati nella stessa impostazione dei trattati.

6. Di questi problemi la nostra classe di governo non pare minimamente consapevole.
Si sta addirittura intensificando l’ottusa vulgata assecondata dai media, in particolare dalle televisioni, che racconta di fattori come la svalutazione dell’euro rispetto al dollaro, del calo del prezzo del petrolio, e della truffaldina “flessibilità”, asseritamente concessa dall’€uropa ai vincoli di bilancio degli Stati UEM.
In verità si tratta di una flessibilità che è solo un’attenuazione quantitativa, (appena rilevante se non irrisoria), della teoria dell’austerità espansiva e della “crisi” imputata al “debito sovrano” che non può che apparire ridicola agli occhi di qualsiasi serio osservatore esterno. E risulta, in più, “truffaldina” perché applicata SOLO PER L’ITALIA,  ribadendo e non smentendo il paradigma del consolidamento del bilancio a ogni costo in fase recessiva. E tutto ciò con, in sovraccarico, la beffa di far passare il nostro paese, l’unico che ha cercato di rispettare gli obiettivi di raggiungimento del demenziale pareggio di bilancio (costituzionalizzato), come il grande malato d’€uropa.
Lo spettacolo più squallido è che siano politici ed “esperti” italiani a raccontare in questi termini questa versione della crisi, in un esercizio di auto-denigrazione che raggiunge ormai l’autorazzismo.

Dal punto di vista delle violazioni costituzionali e quindi del grave decadimento della democrazia che ciò comporta, una conduzione di politiche come quelle attuali non ce le possiamo più permettere: la deindustrializzazione, - non attenuata da episodici “ritorni” di fabbriche “cacciavite” occasionati dalla violenta (e nascosta all’opinione pubblica) deflazione salariale-, è troppo grave perché l’intera Nazione, possa e debba sopportare ancora una classe politica del tutto a digiuno della consapevolezza degli effetti della deliberata “distruzione della domanda interna”,a vantaggio di potenze straniere. E di poche mani forti industriali le cui sedi, amministrative e fiscali, sono sempre più localizzate all’estero.

7. Ma, ripetiamo, se questi interessi interni, dopo oltre 30 anni di dittatura del “vincolo esterno”, sono ormai tranquillamente ritenuti sacrificabili, il peso dell’Italia e, ovviamente, dell’intera eurozona, come “palla al piede” dello sviluppo economico globale, si inserisce ormai negativamente nel Grande Gioco geo-politico di riassetto degli equilibri all’interno delle più importanti aree economiche del pianeta, vecchie e nuove.
La Grecia, nel suo “piccolo”, richiama clamorosamente l’attenzione sulla follia tedesca, ma è sempre stata troppo debole per sopportarla; il problema, in effetti divenuto geo-politico alla luce degli sviluppi di questa rinnovata tensione politico-economica mondiale, diventa proprio l’Italia.
Il Bel Paese è il vero convitato di pietra della grottesca trattativa sulla “estensione” o “alleggerimento” della posizione debitoria greca.
Anche se i nostri politici fanno finta di niente.

La lotta ferina tra paesi creditori e paesi debitori sul famoso “saldo primario”, nella situazione attuale, segna la verità fallimentare (e non nascondibile coi soliti ideali cosmetici) che l’€uropa altro non è che un sistema di paesi creditori che addossano ai paesi debitori ogni prevedibilissimo costo di un’area monetaria che in partenza generava altissimi rischi (evidenziati da subito dai più grandi economisti degli ultimi decenni). Ma ciò solleva, inevitabilmente, il problema della sovranità democratica, cioè della stessa esistenza di una legittimazione dei paesi debitori a svolgere politiche autonome di interesse nazionale e ad essere, appunto, interlocutori strategici e anche militari del Paese dominante (behind the curtain): gli USA.
Ma sta anche a loro accorgersi di aver sbagliato a sostenere, in modo strumentale, questa costruzione europea, e di aver portato, nelle mani tedesche, lo strumento fino al punto in cui ha assorbito ogni altro “fine”: compresa la stessa convenienza strategica ed economica degli USA.

8. Probabilmente, una parte consistente degli ambienti di vertice americani ha realizzato ciò.
Quello che sembra frenarli dal trarne le dovute ed urgenti conseguenze, è però la vulgata (cialtrona e auto-razzista) di un’Italia ancora bisognosa di riforme, in testa quella della precarizzazione totalitaria del lavoro.
Si rassicurassero gli USA:è stata già raggiunta e con gli ultimi “rivolgimenti” legislativi, abbiamo superato la Germania e la Spagna. E con un grave danno che, a casa loro, (negli USA, dove tale modello è nato), stanno appena adesso cercando di correggere.
Al punto in cui siamo, dovrebbero auspicare, al più presto, un ricambio di classe dirigente che ponga l’Italia in grado di essere quell’interlocutore di cui, specie nel Mediterraneo, avrebbero un grande bisogno.
Più a lungo rimangono irresoluti, più la loro stessa strategia rischia di fallire. Per aver puntato, con prolungata miopìa, sui cavalli sbagliati.
Almeno smettessero di fidarsi, - laddove si “decide”-, di personaggi come i Friedman e i Luttwak, che sproloquiano di Italia senza averne mai toccato la dura realtà se non per “sentito dire” e senza avere sufficiente cultura economica per comprenderla. Personaggi che finiscono per portare incautamente soccorso ad una classe politica totalmente “non all’altezza” (come loro stessi, nell’auto-qualificarsi “esperti” di cose italiane), perpetuando la trita storiella delle “riforme”.
Almeno non ce li mandassero più a fare passerelle da liberisti anti-Stato, fuori tempo massimo, in televisione: dalla lettura dei maggiori giornali USA si comprende che ci sono “esperti” e commentatori americani più intelligenti e preparati di così

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