
1. Entro la serata di oggi, stando agli ultimi rivolgimenti della "trattativa" ed ai termini temporali finora previsti per il suo concludersi, si dovrebbe sapere che fine farà la Grecia.
Si tratta di una questione, è bene ricordarlo, che sorge ESCLUSIVAMENTE dall'impostazione prescelta nella UEM per risolvere gli squilibri commerciali, inevitabili e fisiologici, che sono sorti all'interno di un'area valutaria che, - secondo l'iniziale disegno perseguito fin dal Rapporto Werner del 1971, comunque puntualmente trasposto nel trattato di Maastricht- vieta, e ripetiamo VIETA (non basta mai, specie per la nostra classe politica che discetta senza aver letto i trattati), i famosi trasferimenti da parte di un (inesistente) governo federale verso, appunto, gli Stati commercialmente indebitati (quindi a titolo privato), in funzione di compensazione dello squilibrio stesso.
Il trasferimento significa che viene fornita, spostandola a titolo di politica fiscale "comune" (e non quindi come prestito oneroso) da un paese "lender" (sempre a titolo di transazione bancaria conseguente a un'operazione di esportazione) al paese "borrower" (sempre a titolo di indebitamento del suo sistema bancario finanziario e dei suoi operatori e cittadini, per un'operazione di corrispondente importazione), la liquidità necessaria per pagare questi debiti.
2. Nell'attuale soluzione €uropea, invece, la liquidità viene fornita a titolo di prestito oneroso da entità "sovranazionali" che divengono creditrici, e che dunque non incarnano alcun ruolo di "governo federale" (condiviso e solidale), A CONDIZIONE DI FAR DECIDERE AL CREDITORE LE POLITICHE, economiche e sociali, che questo ritiene opportuno imporre al debitore, e per il proprio interesse (bancario-industriale) alla piena restituzione.
La controversia tra greci e tedeschi verte solo su questo: se, cioè, l'intenzione greca di rispettare l'obbligo di restituzione sancito dal memorandum con la c.d. trojka, (un trio di entità esponenziali dei creditori, come ha evidenziato più volte De Grauwe), - memorandum concluso nel 2012 e soggetto a verifiche periodiche, una delle quali ha imminente scadenza il 28 febbraio prossimo-, sia rispettosa fino in fondo, cioè senza alcuna lesione dell'interesse dei creditori, della condizionalità del memorandum.
La Grecia, infatti, sostiene che intende restituire il debito contratto per il bail-out delle banche creditrici e trasformato in debito verso la trojka e l'ESM, (cioè il meccanismo di salvezza UEM, in cui è stata coinvolta come magna pars un'Italia che a tale situazione di credito commercial-bancario era prevalentemente estranea), ma continua, fin nella lettera inviata da Varoufakis all'Eurogruppo giovedì, a riservarsi la facoltà di evitare misure che "risultino recessive".
Il "prosieguo" dell'applicazione del memorandum, infatti, imponeva di adottare un'ulteriore riforma del lavoro, ampliando i poteri di licenziamento dei datori (ormai, leggasi, controllori esteri dell'economia greca), nuovi tagli alla spesa pubblica del welfare (pensioni e sussidi) e di introdurre inasprimenti fiscali nonchè di accelerare le privatizzazioni degli assets in mano pubblica.
Queste misure NON erano state adottate dal precedente governo greco filo-€uropeo, che non aveva potuto attuarle a causa della totale perdita di consenso, che si era spostato sulla linea "porre fine all'austerità" propugnata dal partito poi risultato vincitore delle elezioni anticipate, cioè Syriza (elezioni occasionate dal mancato accordo sull'elezione parlamentare del nuovo presidente della Repubblica ellenico).
A questo meccanismo si riduce l'aspra controversia tra Grecia e Germania: ovvero, potenzialmente, tra questa (e i suoi "Stati satelliti") e OGNI Stato appartenente all'UEM che sia in posizione debitoria, commerciale e finanziaria privata.
Ripeto questo non perchè i lettori di questo blog non l'abbiano ormai capito, ma perchè sappiamo che nuovi lettori si aggiungono e vari "ambienti" finiscono per leggere sempre più frequentemente i post qui pubblicati.
3. Chiarita sulla base di questi presupposti, la questione Grecia è l'evidente radiografia del funzionamento di un'area valutaria volutamente disfunzionale; che sia tale è pacifico.
Il PERCHE' si sia voluto aderire ad essa, per i "consapevoli" e informati (non la nostra complessiva classe politica) è altrettanto chiaro: si è aderito perchè la correzione degli squilibri, - chiamata ora recupero della "competitività", ora ricerca della "stabilità finanziaria" e della "credibilità"-, si attua esclusivamente attraverso l'abbassamento dell'inflazione relativa del paese debitore e la connessa distruzione del suo sistema di welfare.
Queste due "linee guida" della correzione (del debito privato interstatale) nell'area €uro, si compendiano nell'obiettivo strumentale della instaurazione di una considerevole disoccupazione strutturale, che costringa i lavoratori a cedere sul fronte dei livelli retributivi, essendo i lavoratori simultaneamente indeboliti, nella loro possibilità di resistenza, da riforme strutturali che portano alla totale flessibilità in uscita dal rapporto di lavoro ed alla privazione di coperture pensionistiche e preferibilmente anche sanitarie (effettive),
4. Si tratta dunque di un disegno, corrispondente al programma ordoliberista riflesso nei trattati (v.par.4), che esige un sistema coercitivo di imposizione, ai paesi debitori, di tali riforme strutturali: il sistema prescelto è quello della condizionalità.
Essa è direttamente modellata sulle "lettere di intenti" imposte dal FMI ai paesi bisognosi di liquidità in valuta di riserva (attraverso vari strumenti finanziari patteggiati dai paesi aderenti al Fondo, che qui non rilevano) proprio a causa del loro indebitamento con l'estero, sempre per motivi di importazioni eccedenti le esportazioni, e quindi del debito privato commerciale.
Il sistema della CONDIZIONALITA' dunque, pur avendo la veste, meramente formale, della determinazione di una "Agenzia" di diritto internazionale, corrisponde invariabilmente alla prevalenza degli interessi non tanto dei paesi creditori in sè, quanto dei rispettivi "prestatori", cioè dei soggetti finanziari e bancari e dei sottostanti complessi industriali, prevalenti nelle transazioni commerciali mondiali.
Per questo motivo, come abbiamo visto più volte in questa sede, si parla di "diritto internazionale privatizzato" (v.par.9), da parte di un attento studioso di politica economica internazionale come Lordon.
La condizionalità, dunque, è la ratifica, per via di accordi stipulati tra queste agenzie o "entità" prestatrici (in seconda battuta), delle conseguenze inevitabili del liberoscambismo, imposto dai detti complessi industriali e bancari dei paesi più forti nel quadro politico-economico mondiale.
Se dunque la "condizionalità", stile FMI, è ovviamente orientata a imporre un certo sistema di leggi e regole in campo economico e sociale che risulti conforme a tali interessi prevalenti, originariamente NEI CONFRONTI DEI PAESI DEL C.D. TERZO MONDO, o comunque "in via si sviluppo", il suo irrompere in Europa è dovuto essenzialmente all'adozione del trattato UE-UEM, in particolare della modalità, non certo indispensabile e coessenziale, della moneta internazionalizzata priva di un governo e di una fiscalità federali.
Questo tipo di moneta, come teorizzato da Hayek e dagli ordoliberisti della scuola di Friburgo fin dagli anni '40 (almeno), crea quello stato di necessità, per il paese debitore, cui lo Stato medesimo non può porre alcun rimedio, essendo privato della sovranità monetaria e del riequilibrio normalmente raggiungibile con la flessibilità del cambio.
A dimostrazione inoppugnabile di ciò, gli Stati che pure aderenti all'UE siano fuori dall'UEM, non risultano coinvolti in questo meccanismo di stato di necessità e condizionalità programmatico e, infatti, possono crescere ben al di là di quelli prigionieri dell'eurozona.
![Collegamento permanente dell'immagine integrata]()
A dimostrazione inoppugnabile di ciò, gli Stati che pure aderenti all'UE siano fuori dall'UEM, non risultano coinvolti in questo meccanismo di stato di necessità e condizionalità programmatico e, infatti, possono crescere ben al di là di quelli prigionieri dell'eurozona.

5. Creato lo "stato di necessità", la comunità statale (cioè l'intera popolazione) indebitata con l'estero, - specificamente coi paesi vicini (e comunque, com'è evidentemente normale, appartenenti alla stessa area di libero scambio che ha adottato la moneta unica), subisce la condizionalità e le "riforme strutturali" a tutela esclusiva del paese creditore.
Queste possono dunque essere imposte anche a Stati in precedenza sufficientemente autonomi e capaci di perseguire con le proprie forze la crescita e lo sviluppo, e comunque di sostenere il modello socio-economico programmato nelle rispettive Costituzioni.
La valuta unica dunque è un mezzo di imposizione della modifica di tale modello e, QUINDI, DI ALTERAZIONE, - PER VIA DI CONDIZIONALITA' DI DIRITTO INTERNAZIONALE-, DELLA STESSA SOVRANITA' DEMOCRATICA COSTITUZIONALE.
Ne deriva così un'alterazione, anzi un sovvertimentoche, in assenza di tale appartenenza all'area valutaria (volutamente e strumentalmente imperfetta), non avrebbe potuto verificarsi, almeno in tale misura di massivo svuotamento dei diritti fondamentali di tipo "sociale" perseguiti dalla moderna sovranità.
6. Ridotta alla sua sequenzialità inesorabile:
- instaurazione dell'area di libero scambio
- adozione di una moneta unica
- innesco degli squilibri commerciali
- stato di necessità insito nella privazione della moneta nazionale (come tale sovrana e democratica)
- accesso all'unica via di uscita delle riforme strutturali
- loro recepimento sanzionato dalla mancata concessione della liquidità necessaria per far fronte al debito verso i paesi creditori dell'area
la valuta unica europea è in pratica, una trappola, come tale dissimulata dal diversivo creato dalla promessa di fumosi vantaggi "espansivi" nella economia globale, nonchè dalla giustificazione in alti ideali completamente estranei al testo dei trattati.
7. Tipici alti ideali, utilizzati da una propaganda culturale e mediatica ormai veramente impressionante, sono la pace e la cooperazione in Europa, addirittura, e contro ogni evidenza del passato, attribuita retrospettivamente alla costruzione europea.
"Oggi" poi, contro ogni lapalissiana evidenza, la pace sarebbe asseritamente perseguita dall'applicazione della regole di condizionalità, che sono state l'inevitabile sviluppo dei trattati e che, invece, hanno portato in Europa il più grande dissidio tra Stati europei che si ricordi dalle vicende della seconda guerra mondiale.
"Oggi" poi, contro ogni lapalissiana evidenza, la pace sarebbe asseritamente perseguita dall'applicazione della regole di condizionalità, che sono state l'inevitabile sviluppo dei trattati e che, invece, hanno portato in Europa il più grande dissidio tra Stati europei che si ricordi dalle vicende della seconda guerra mondiale.
Alla faccia dell'internazionalismo liberoscambista e alla sgangherata pretesa del pacifismo insito, secondo il Manifesto di Ventotene, nell'ordine sovranazionale dei mercati.
E tutto ciò nella antistorica crociata contro l'assetto di Westfalia, la quale si ostina a ignorare come, in Europa, tale assetto, non può oggi essere compreso senza prendere atto dell'avvenuta trasformazione della sovranità degli Stati democratici in potere solidale di perseguimento dei diritti fondamentali, con l'esplicito e definitivo ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali (il che, com'è evidente, fa dubitare in radice della liceità della stessa adesione al trattato di Maastricht alla luce dell'art.11 della nostra Costituzione).
8. La vicenda Ucraina, la vicenda greca, e persino quella libica, ma soprattuto l'apparentemente inarrestabile declino italiano, dimostrano come questo apparato repressivo-impositivo, basato sullo "stato di necessità" creato in via economico-monetaria (scambi liberalizzati e moneta de-statualizzata), non portino altro che all'autosmascheramento di un disegno distruttivo delle democrazie sovrane.
Non a caso Karl Schmitt aveva evidenziato che "sovrano è colui che decide lo stato di eccezione", cioè chi può dichiarare e portare a conseguenza quella superiore necessità che impone di derogare e sovvertire l'ordine della legalità di uno Stato, corrispondente alle leggi che il suo popolo si era in precedenza democraticamente create.
L'€uropa, in questo quadro di minima ricognizione del senso della legalità costituzionale, a fronte dello spettacolo penoso dato dalla "trattativa" sulla Grecia, è dunque un nuovo tipo di TOTALITARISMO; naturalmente "internazionalista", dettato dai Paesi che, già forti, avevano imposto il contenuto dei trattati, per amplificare un'avida supremazia. Senza più democrazia.