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I QE "FLIRTING WITH DISASTER": GLI OSTACOLI INSORMONTABILI ALLE "OPZIONI" DI SALVEZZA NELL'ITALIA IN SVENDITA

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L uomo confuso di affari cerca una soluzione al labirinto

1.Repetita iuvant. Di fronte al disastro imminente più che mai...
Naturalmente occorre ragionare in termini di ciclo economico e considerare la struttura indotta dalle politiche economiche seguite ormai da un lungo periodo. In €uropa e non solo.

Come stimolo alla discussione - che, date le variabili in campo, consente molteplici approcci ma, poi, si incentra su ben precisi elementi strutturali (appunto)- vi propongo il link a questa analisi di Mauro Bottarelli: ci parla della vana rincorsa USA (già analizzata qui), alla ripresa dell'economia reale, da parte del QE della Fed, pur in presenza di (almeno iniziali) di stimoli fiscali e ampi deficit del budget federale, e lo rapporta al paradosso dell'€uro-QE, dove più aumentano gli acquisti, più cadono i rendimenti, piùdiminuiscono i "titoli eleggibili" all'acquisto. 
E tutto ciò dato il limite inevitabile insito nel "floor" stabilito dai tassi di deposito (overnight) presso la BCE, che rende impraticabile l'acquisto di titoli con rendimento inferiore al - (meno) 0,20.
La progressiva scarsità di obbligazioni acquistabili potrebbe determinare, già nella seconda parte dell'anno in corso, un "tapering" da parte della stessa BCE. 
Il problema, dunque, rimane quello della liquidità, bloccata (in €uropa per...definizione) dalle politiche dei bilanci pubblici in cornice fiscal compact, e intrappolata dalla caduta della domanda che scoraggia gli investimenti produttivi (e quindi, la ripresa effettiva di occupazione, profitti e circolazione di liquidità...).

2. Persino i BRICS, gli "emergenti", risentono della mancanza diffusa della domanda mondiale, cosa che rende alquanto fragile e a rischio sia l'opportunità del loro mercato equities (transitoriamente meno "gonfiato"), sia di quello obbligazionario: i fattori di rischioconvergente risiederebbero "nel livello di aumento della leva (anche sull'azionario-industriale) e del finanziamento estero, la debolezza strutturale della domanda e la fine di fatto del denaro a costo zero da parte della Fed". 
Quest'ultimo fattore, per la verità, alquanto ondivago su tempi e modi, almeno a vedere il balletto delle interpretazioni mediatico-specialistiche che i media USA intessono sulle dichiarazioni della Yellen (tra un rinvio e l'altro del rialzo dei tassi e un aggettivo sulla "pazienza" della banca centrale, v.qui par.3).

Ma se l'impostazione di Bottarelli si fonda sulla logica intrinseca (certo collegata alla non-ripresa dell'economia reale) dei mercati finanziari, - cosa abbastanza naturale in un "ambiente" globalizzato in cui la finanza "guida" ed ha perduto il suo carattere strumentale ed ausiliario dell'attività produttiva in senso reale- ci piace ricordare quanto avevamo da poco riproposto in termini di paradigma macroeconomico ("l'equilibrio della sotto-occupazione") che non lascia scampo alle fantasie su una ripresa "mondiale" (e meno che mai a epicentro €uropeo). 
Lo stesso Bottarelli fa riferimento alla trappola della liquidità in cui sono piombati i risparmiatori giapponesi (famiglie, sempre di meno, e sistema delle imprese sempre di più, com'è naturale in un sistema deflazionista basato sulla competitività estera. Cioè, - detto tra noi, dato che la governance UEM non vuole capirlo-, esattamente quello che si sta cercando di instaurare nell'area euro. 

3. Al riguardo, (nel post da ultimo linkato) avevamo riportato quanto analizzato dal New York Times:
"La caduta del risparmio in Giappone ha coinciso con l'erosione nelle retribuzioni e nella sicurezza per molti, specialmente giovani lavoratori".
Le famiglie giapponesi risparmiavano quasi un quarto dei loro redditi a metà degli anni '70. E mentre il tasso di risparmio declinava, rimaneva tuttavia più alto di quello di altri paesi fino agli anni '90 (ndr; esattamente come in Italia).
L'anno scorso il rateo nazionale di risparmio delle famiglie è scivolato all'1,3% (!), secondo le stime governative dello scorso dicembre...
Il Giappone non è sul punto di esaurire la liquidità risparmiata: grazie agli alti risparmi del passato, rimangono assets finanziari delle famiglie per circa 1400 trilioni di Yen.
Le imprese hanno sostituito le famiglie come accumulatori di risparmio. In un'era di rallentamento della crescita, esse vedono però poche opportunità di investimento; così i profitti semplicemente si accumulano nelle banche. Il risparmio "corporate" in liquidità ammonta a circa il 40% del valore del mercato di borsa giapponese, cioè il doppio di quello degli Stati Uniti.
Uno degli obiettivi della Abenomics, è di riportare questa liquidità di nuovo nelle mani degli individui - e in ultima analisi a scorrere nell'economia- in forma di aumenti salariali o di ritorni più elevati per gli investitori
Il primo ministro ha fatto un duro lavoro di lobbying sulla questione delle paghe, agevolando incontri tra gli executives delle corporations e i leaders sindacali, facendo intravedere la prospettiva di tagli alla tassazione sulle società come ricompensa agli aumenti di paga."
3.1. Rilievi a cui seguiva questa analisi:
"Quello che se ne ricava, e che ora più che mai vale la pena di ribadire, è quanto segue:
"Ora, come vedete, questo tentativo di correzione, per quanto non affidato a misure keynesiane tradizionali, tende a basarsi sugli stessi presupposti "diagnostici" e sugli stessi concreti effetti "terapeutici"delle teorie, per l'appunto, keynesiane. 

A conforto si potrebbero rammentare i ben diversi livelli di deficit fiscale mantenuti dal Giappone negli ultimi anni.

Ma per comprendere la attuale politica "mediatoria e sollecitatoria" di Abe, dobbiamo rammentare che, in presenza di un mercato del lavoro eccessivamente deflazionistico, cioè precarizzato al massimo, disattivando istituzionalmente ogni reale efficacia della tutela sindacale (v. infra, par.8 e grafici relativi), persino la politica fiscale espansiva - e non solo, com'è scontato, quella monetaria- riesce scarsamente efficace

Ciò perchè la liquidità aggiuntiva immessa coll'indebitamento pubblico, viene privata in modo strutturale (esattamente come le...riforme) di quella attitudine redistributiva che agevola la collocazione del prodotto così accresciuto verso le fasce sociali che hanno maggior propensione al consumo e che, perciò, stimolano maggiormente la domanda e la connessa trasformazione del risparmio in investimento.

Insomma, la politica europea di oggi, sta tristemente flirtando con un disastro (già) annunciato, appunto, dagli esiti delle politiche adottate in passato in Giappone: la miopia è di voler oggi insistere in queste politiche fallimentari, di stagnazione e indebolimento strutturale della domanda, nonchè della stessa fondamentale base demografica del Paese, come abbiamo visto più sopra.
La linea a cui oggi si è dovuto adeguare il governo giapponese mostra l'incoscienza e l'imprevidenza di chi oggi governa l'Europa: è ovvio che mutare il mercato del lavoro, e quindi perseguire la deflazione salariale che questo oggi comporta, è un compito impraticabile all'interno dell'€uro.
Di certo, il prezzo da pagare, da parte dell'intera area euro, all'ossequio al modello del "gold standard di fatto" (cioè alle correzioni degli squilibri commerciali tra i diversi paesi aderenti mediante svalutazione dei tassi di cambio reale ottenuta agendo sull'aumento della disoccupazione-sotto-occupazione e il calo delle retribuzioni, (adde: che vediamo ben confermato QUI),è troppo alto: e ciò in termini di distruzione della capacità di risparmio e di conseguente propensione all'investimento (e quindi alla stessa ricerca e innovazione tecnologica). E l'esempio "in avanscoperta" del Giappone dovrebbe servire ai governanti europei. Ma non pare che sia così."

4. In questo "stato delle cose", cosa ti vanno a pensare in Italia? A tagliare la spesa pubblica(sempre poi per tagliare le tasse )!  
Ovviamente, la pressione più forteè sull'aggregato di spesa che, contabilmente appare più eclatante, cioè quello pensionistico.
Preliminarmente, un primo interrogativo: se mi trovo in una crisi di domanda che innesca una trappola della liquidità e, da ciò, una debt deflation che minaccia in modo esplosivo la stessa stabilità finanziaria (cioè la possibilità di restituzione dei debiti e la conseguente salute del sistema bancario), che faccio? 
Taglio l'unico sistema di aumento della liquidità che è realisticamente percorribile, cioè la spesa pubblica?
Ovviamente, sottostante a tale "perspicua" linea di intervento, c'è l'idea che la spesa pensionistica sia "improduttiva" e come tale illimitatamente "spiazzabile" (sarebbero più corretto dire "tagliabile", finora), essendo un parassitario "trasferimento": come se questa forma di assicurazione pubblica che convoglia una enorme quantità di risparmio si traducesse poi in una mera passività di sistema, cioè come se i pensionati non avessero alcuna propensione al consumo che sostiene fatturati e occupazione
Ma ancor più, come se la contribuzione non fosse altro che un fattore da considerare in modo alterato, cioè un onere "a vuoto" che non porterà altro che, appunto, a passività parassitarie (illimitatamente comprimibili, con beneficio di tutto il sistema....).
Peccato che le cose non stiano così: in realtà si vuole solo risparmiare risorse pubbliche in funzione contabile "fiscal compact", e da qui la più generale e rinnovata enfasi su una spending review che, da sempre, consiste solo in "tagli" al bilancio pubblico (cioè nella misura fiscale più recessiva e di più ampia drenatura della liquidità).

5. Una serie di interessanti commenti di Flavio (che riprende cose che qui abbiamo, invano, più volte enfatizzato) ci restituisce una vana (perchè inascoltata) verità:
"Stamattina in auto ascoltavo RadioAnchio su RadioUno. Ospite in studio Tito Boeri (dove è andato a finire? Ah, presidente dell'Inps, ecco perchè al tempo non pubblicò qualcosa di qualcuno, ma è altra storia). 
Si parlava di INPS, pensioni, busta arancione in arrivo ecc... Viene mandato in onda l'intervento del prof. Felice Roberto Pizzuti, docente La Sapienza Roma, colui che cura annualmente il cosiddetto Rapporto sullo Stato Sociale. Bene, l'intervento è stato interessante, preciso, puntuale.
Pizzuti ha definito una "bomba sociale" l'attuale piega che si sta prendere in Italia sul versante previdenziale e ha snocciolato diversi dati davvero interessanti, spiegando al paradosso per cui, di fronte a redditi medi e pensioni medie calanti, si continuino a lodare come salvifiche ulteriori modifiche che vanno a rendere ancora più insostenibile, in termini monetari così come pure di disuguaglianza, il sistema previdenziale italiano
Specifica attenzione poi è stata data al fatto che nella maggior parte delle volte, in Italia (sui media), si diano numeri a caso, agglomerando assieme dati previdenziali uniti a quelli per le prestazioni sociali (che sono ben altra cosa)
Il dato che più mi ha colpito è stato un numero: 21 (o 24, v.infra), come i miliardi che lo Stato ogni anno incassa, dalla differenza (in attivo) fra entrate contributive (da leone fa il fondo dei precari, anche da me/noi finanziato) e prestazioni previdenziali (pensioni da lavoro, se non ho capito male). Quante manovre sono 21 miliardi? Vogliamo sommarle ai circa 100 di interessi sul debito pubblico? Quanto fa'?. Ecco, allora, a chi (stra)parla dicendo: "Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità", d'ora in avanti abbiamo anche un numero, +21mld, con cui rispondere prontamente. 
Per chi volesse approfondire, qui anche un articolo relativo, e qui un excursus del professore su Sbilanciamoci...
"...ecco qui (tratto da uno degli articoli di Pizzuti appena linkati, ndr.) il passaggio (mi piace molto l'ultima considerazione):
"Anche in Italia si è verificata la stessa illusione statistica; attualmente la spesa sociale è pari al 28,4% del Pil, in linea con i valori medi europei
Tuttavia, se confrontiamo il valore pro capite, il nostro paese registra un forte e crescente divario negativo: fatto pari a 100 il valore medio dell’Unione a 15 nel 1995, quell’anno il dato italiano era 84,1, ma da allora è calato fino a 75,8 del 2011
In tutti i paesi europei, tranne l’Irlanda, la voce di spesa più importante è la previdenza (15,1% nell’EU-16); questa voce in Italia è pari al 18,8%, in Francia al 16,5% e in Germania al 13,6%. 
La superiorità del nostro dato previdenziale di 3,7 punti rispetto alla media europea è tuttavia viziata da diverse disomogeneità presenti nelle statistiche (numerazione romana aggiunta, ndr.). 
I. Ad esempio, l’Eurostat include nella spesa pensionistica italiana i trattamenti di fine rapporto (pari all’1,7% del Pil) che non sono prestazioni pensionistiche
II. C’è poi che le spese pensionistiche sono confrontate al lordo delle ritenute d’imposta, ma le uscite pubbliche sono quelle al netto
Tuttavia, mentre in Italia le aliquote fiscali (sulle pensioni) sono le stesse che si applicano ai redditi da lavoro, per un ammontare trattenuto pari a circa il 2,5% del Pil, in altri paesi spesso sono inferiori e in Germania sono addirittura nulle, cosicché i confronti operati al lordo sovrastimano i nostri trasferimenti pensionistici che, in realtà, non sono affatto anomali. 
In ogni caso, dopo le riforme del 1992 e 1995, fin dal 1998 il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali nette è sempre stato attivo; l’ultimo dato, del 2011, è di ben 24 miliardi di euro. Dunque, il nostro sistema pensionistico pubblico non grava sul bilancio pubblico, anzi lo migliora in misura consistente (pari a sei volte le entrate Imu sulla prima casa!)".
6. Ma se questa questione non accenna a essere "inquadrata"cum grano salis (eufemisticamente parlando), - proseguendosi in una campagna strumentale che mal dissimula la folle politica di taglio della spesa pubblica, (nel caso "anche" pensionistica), per rientrare nell'altrettanto controproducente pareggio strutturale di bilancio-, un altro interessante (more solito) commento di Flavio, ci riporta al "cuore" del problema
E cioè al "ridisegno" suicida della realtà economica e sociale italiana, conseguente alla logica €uropea della limitazione dell'intervento dello Stato - questo implicando il principio centrale dei Trattati - art.3, par.3, TUE- della "economia sociale di mercato fortemente competitiva"- e quindi delle privatizzazioni (col pendant inevitabile del mitico INVESTITORE ESTERO) e dei tetti al deficit. 
7. Arricchiamo, anche questa volta, il commento con correlativi links sui vari punti:
"Ieri sera, questa volta ritornando a casa da lavoro, ma sempre su RadioUno (stessa trasmissione), discutevano in studio un altro professore (ci cui non ricordo il nome) e Mucchetti, sulla questione Pirelli, ma più in generale sulla questione IDE.
Così come Ansaldo STS, anche per Pirelli si è detto in queste settimane che "il matrimonio (perchè così si dice, acquisizione risulterebbe troppo drastico, anche se tale è) renderà la società più forte". 
Io non ho mai visto un pesce piccolo che, una volta inglobato all'interno di uno più grosso, si sia rafforzato. L'ho visto sempre morto. 
In ogni caso anche in studio si è fatto lo stesso ragionamento (non è rafforzamento, ma acquisizione). 
Di Mucchetti mi è piaciuto (effimero) il passaggio in cui ha detto che, "arrivati a questo punto, per onestà intellettuale - chi ce l'ha ancora, ha aggiunto - bisogna parlare di svendita all'estero, di decentramento delle attività decisionali fondamentali, di de-industrializzazione pesante e massiccia del nostro apparato produttivo". 
Si è parlato di IRI (seppur riportandosi a "quando funzionava", cioè quando al comando non c'erano i neoliberal che ora guidano la campagna di svendita), di CDP e del loro ruolo. 
Laconico Mucchetti alla domanda: "Ma non potevano scalarla gli italiani?", ha replicato "Eh, già, ma con quali soldi?!?!Chi c'aveva 7 miliardi per comprarsi Pirelli?". 
Tranchant anche una frase di cui riporto il senso, per cui si soggiungeva che oramai è "nostalgia" il fatto di voler chiamare ancora l'Italia come la seconda manifattura d'Europa e che una politica industriale su industrie al cui capo ci sono oramai gli stranieri risulta alquanto effimera, se non inutile
Ma io dico: ma con tutti questi miliardi di avanzo primario pubblico e di INPS di cui parlavamo ieri, perchè non si è potenziata la CDP ed il Fondo Strategico Italiano per acquisire all'estero aziende o trattenere quelle a rischio scalata che sono (erano) appunto strategiche per l'interesse nazionale
Eh no, troppo facile, meglio ingrassare i soliti noti con l'immobiliare o con le banche, gli stessi che poi girano in Audi, Mercedes, BMW e hanno gli Iphone, e magari il loro lavoro giornaliero sono le telefonate e la presenza nei CdA. Mentre la gente non arriva a fine mese, spaccandosi la schiena 8 o più ore al giorno e, pur lavorando più dei propri genitori, non arrivano a fine mese e non risparmiano il becco di un quattrino.
8. Qui, per concludere, dovremmo rammentare il lungo discorso sulle "politiche industriali" (che a "qualcuno", al solo nominarle, fanno venire, testuale, "la pelle d'oca"), che pure consentirebbe alcune - per quanto ormai "disperate"- "opzioni" di salvezza
Ma non a queste vogliamo riallacciarci. Attualmente, sarebbe un inutile esercizio di wishful thinking.
- l'ordoliberismo che, - per ammissione non ufficiosa degli stessi massimi organi di governance UEM, oltre che per espressa previsione delle norme fondamentali dei trattati-, è (nelle intenzioni irremovibili di tale governance) destinato a solidificarsi nell'area UEM, è una costruzione ormai altamente instabile.

- Essa, nella rigidità delle intenzioni programmatiche confermate dopo le recenti elezioni (contro ogni evidenza dei suoi risultati), implica un modello deflattivo salariale accelerato che passa per il mantenimento di un'alto tasso di disoccupazione, con una meramente formale lotta contro la deflazione - irrealisticamente curata dalle nuove misure di Draghi, volte in realtà alla difficilissima costrizione della Germania alla reflazione-, e il perseguimento prioritario delle riforme liberalizzatrici "finali" del lavoro (sostanzialmente totale liberalizzazione del licenziamento in ogni settore, voluta dagli USA anche come precondizione essenziale del futuro Ttip, cioè dell'area di liberoscambio USA-UE);

- poichè tale complesso di misure, - sempre ambiguamente rilevabili tra le righe, dovendo l'ordoliberismo per sua natura esprimersi in modo tattico e dissimulato dai media-, ha come effetto l'acuirsi nel tempo dei problemi di caduta della domanda interna nell'area UEM, e (semmai) lo stabilizzarsi di un surplus commerciale complessivo dell'area stessa, le stesse misure sono destinate ad un fallimento estremamente doloroso per i popoli europei

- Fallimento doloroso in particolare per il nostro, che essendo fortemente patrimonializzato (almeno nelle valutazioni dello "ieri") e (l'unico) super-fedele nella realizzazione dei vincoli fiscali, va sicuramente incontro a fasi di recessione alternata a stagnazione, per un lungo e insostenibile periodo, cui sarà inevitabilmente accompagnata la svendita dei suoi, sempre più svalorizzati, asset patrimoniali pubblici e privati, resi convenienti per i paesi creditori e gli investitori finanziari esteri, secondo la logica del "tacchino da spennare" (inutile sottolineare l'enfasi che, anche oggi, personaggi come Fortis o Prodi, pongono sugli IDE come presunto sistema di rilancio della nostra economia e persino dell'occupazione!);

- dovendo considerare la compatta ortodossia delle forze politiche italiane a questo modello, prima di dichiarare fallimento, c'è il rischio concreto che passino degli anni e che l'Italia sia perciò, in tale breve periodo, ridotta a "fabbrica cacciavite" e a hub turistico a controllo estero (naturalmente), subendo una deindustrializzazione irreversibile che non le consentirà più di riprendersi il suo posto tra le maggiori potenze industriali europee e mondiali.

- Nondimeno, il costo del fallimento ineluttabile del modello deflazionistico-mercantilistico imposto dall'UEM, quand'anche scontassimo le pressioni USA sulla correzione reflattiva del surplus della Germania (comunque contraddittorie rispetto alla ripresa della domanda interna, essendo affidate alla sola politica monetaria ed irremovibile sul problema del costo del lavoro), rispondendo a calcoli e terapie già rivelatesi sbagliate su entrambe le sponde dell'Atlantico, condurrà la Germania a prendere atto dell'eccessivo rischio di intervento, ancorchè indiretto, a sostegno finanziario degli altri maggiori paesi, in particolare della Francia

- Quest'ultima, a sua volta, essendo già soggetta a forti tensioni politiche interne, non potrà ancora a lungo gradire un sistema che comunque non le consentirebbe di correggere a sufficienza la propria competitività extra-UEM (dato il corso dell'euro rispetto al dollaro, non mitigabile realisticamente con le politiche intraprese dalla BCE), per finire sotto l'influenza finanziaria dominante della Germania, secondo un'inesorabile proiezione, quale ci ha evidenziato Brigitte Granville.

- Risultato: l'Italia ha la altissima probabilità di finire nella situazione sintetizzata da Churchill alla vigilia della seconda guerra mondiale ("potevate scegliere tra la guerra e il disonore: avete scelto il disonore e avrete la guerra"). Cioè sarà ridotta a manifatturiero "cacciavite", espropriata del controllo dei principali gruppi industriali, costretta a livelli di reddito irrecuperabili rispetto al periodo ante-entrata nella moneta unica, e DOVRA' COMUNQUE FRONTEGGIARE L'EURO-BREAK, innescato dalla Germania o dalla stessa Francia!
Appunto, la Francia (per dire...):

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