
1. A volerla considerare razionalmente, la questione dell'euro è che l'Europa, - quella che è sempre esistita prima di questa follia subculturale ammantata di elitismo solo in apparenza sofisticato-, non tollera squilibri. Intendiamoci: ciò non significa che essa "possa" o, peggio, "debba" trovare un equilibrio; in sè stesso, questo trovare una sintesi definitiva delle sue diversità culturali, è un compito che nessuna costruzione a tavolino potrebbe assolvere.
L'Europa, dopo la caduta dell'Impero d'Occidente e della sua unica matrice unificante "reale" (la cultura romano-ellenistica), è divenuta una miniera di pluralismo, proprio perchè si è andata evolvendo sull'innesto della (a suo tempo variegata) componente germanica sulla civiltà mediterranea. Un innesto che, durato almeno 5 secoli (prima di una certa stabilizzazione), non risultò certo solo distruttivo, come l'appiattimento della prospettiva storica a distanza di tempo ha sintetizzato, cioè come si tende ad ri-raccontarlo nella narrazione a posteriori degli ultimi due secoli, dove la componente "barbarica" si è autorivalutata grazie al capitalismo in cerca di legittimità.
2. Dunque, questo pluralismo, (arricchito da intrecci millennari, dalla presenza del Papato universale, ma eurocentrico, alla interazione con l'Impero Ottomano succedutosi ai fondamentali, ma dimenticati, bizantini), è tale, che quando viene negato, - generalmente per il prevalere di una forza egemone al suo interno-, ha costantemente manifestato un rigetto violento.
Un rigetto che non ha magari portato, poi, ad una stabilità duratura, come insegnano i tre Sacri Romani Imperi (Carolingio, tedesco e asburgico), che si reggevano, in realtà, su un pluralismo feudale alla cui ombra prosperarono tutti i localismi trasformatisi poi nella stagione della rivendicazione delle Nazioni.
3. Quel che è certo, è che la soluzione di Westfalia, cioè quella serie di trattati che iniziarono a dare forma all'equilibrio dinamico delle diversità incoercibili dell'Europa più prospera, non ha mai potuto essere abbandonata senza creare tragiche ripercussioni: ogni tentativo di affermare un'egemonia ha condotto alle conseguenze più tragiche.
Questa sintesi storica potrebbe essere discussa a lungo ed è sicuramente discutibile.
Ma la sua essenza fenomenologica - cioè l'incoercibilità del pluralismo culturale europeo- non è solo difficile da negare, ma anche pericolosa da coartare.
Come sapete, qui si sostiene che la saggezza più elevata dell'Europa post-ancién regime (cioè successiva alla stessa Westfalia e, a maggior ragione, alla esperienza universalistica del feudalesimo), è bensì costata due guerre mondiali (denominate tali perchè gli imperialismi in concorrenza, nati in Europa, erano stati "esportati" nella loro versione prima mercantilista e poi capitalistica libero-scambista), ma almeno aveva condotto al costituzionalismo democratico.
4. Nonmi ripeterò a oltranza, sul punto: l'idea sbagliata di Ventotene che il male fossero gli Stati nazionali è intrinsecamente razzista.
Questa idea, cioè, identifica gli Stati-nazione col loro opposto, cioè i vari imperialismi vetero-europeocentrici (che le lotte indipendentiste dell'800avevano infatti combattuto), e trascura perciò, con indiretto ma evidente disprezzo, tutte le realtà nazionali che avevano dato senso all'idea di democrazia per la quale, pur tra molti tentativi e "torti", si era combatutto nell'800.
Chi sosteneva Ventotene aveva di fronte a sè solo l'idea degli Stati egemoni, dell'epoca mercantilista e liberoscambista, o quelli che aspiravano a diventarlo, reagendo ai primi, e ha ignorato tutti gli altri. Cioè, l'idea dell'Europa di Ventotene, nasce da una profonda e superficiale visione storica e condannava in partenza tutto ciò che non corrispondeva alla sua idea sfalsata di identificare gli Stati-Nazione con gli Stati comunque imperialisti.
Non a caso le comunità nazionali che stanno soffrendo con più evidenza, (o che si tengono comunque maggiormente alla larga "da"), l'imperialismo razzista, intrinseco nella visione "europeista", sono quelle che nell'800 avevano dato la prova del più vivace spirito di autonomia nazionale, sempre connesso al (primo) costituzionalismo.
5. Come sia stato possibile che un'idea così imperfetta, implausibile, implicitamente razzista, e culturalmente limitata, abbia potuto prendere il sopravvento è un qualcosa che gli storici del domani avranno il compito di spiegare.
Quello che possiamo dire è che pensare che un accordo, come l'UE, tra Francia, impegnata a controllare "politicamente"Germania, e quest'ultima, impegnata a ridimostrare la sua schiacciante superiorità culturale per via economica, (contando sul fatto che la si volesse per forza "associare" sul piano politico, errore negoziale imperdonabile di Mitterand), non arrivasse a creare una sommatoria di riserve mentali delle due parti "principali"è, in retrospettiva, un pensiero di una incongruenza colossale. Un tale accordo avrebbe dovuto terrorizzare tutti gli altri paesi europei.
E' nella natura stessa dei trattati di libero scambio l'effetto di rafforzare chi li promuove a danno di chi vi aderisce sul presupposto di non avere molta scelta.
5. Il punto, solo apparentemente misterioso, è che i "non francesi e tedeschi", a quel momento, la scelta l'avevano.
Non a caso, sia al Castello Sforzesco nel 1985, sia in sede di equilibri successivi a Maastricht, la più forte e quindi più lucida ed accorta delle "terze parti" escluse (dal vero accordo sottostante), il Regno Unito, ha sempre prescelto l'opting-out. E lo sta ribadendo anche ora, nel momento più tragico di emersione della natura fallimentare dell'Europa di Maastricht costruita ottusamente sulla moneta unica.
Insomma, perchè è mancata la ovvia (in altre circostanze...) lucidità sul fatto che, come dice Cesare Pozzi riguardo agli investimenti diretti esteri (argomento strettamente collegato), i trattati di liberoscambio non si invocano si "subiscono"?
E, a maggior ragione, perchè è mancata la lucidità sul fatto che una moneta unica è ancora più colonizzatrice a favore delle forze prevalenti del trattato?
6. Credo che la risposta sia nell'influenza dominante degli USA nel promuovere quella che, per loro, nella rudimentale visione loro propria (non dimentichiamo che, a lungo, si sono considerati il melting pot principalmente di una ingannevole fusione delle culture etniche europee, affluenti come immigrazione a costituire la nascita della "loro" nazione...anglo-conformista), era la praticabilità degli Stati Uniti d'Europa.
Come etichette culturali di grande suggestione, data l'epoca storica in cui i fondamenti dell'europeismo hanno avuto luogo, gli Stati Uniti hanno potuto, con successo, spendere varie spinte già presenti: l'anticomunismo, in Europa particolarmente alimentato dalla vicinanza alla Cortina di ferro e dai suoi "contraddittori e misteriosi" anni finali del terrorismo rivoluzionario rosso, e la logica della efficienza dei mercati.
7. Gli europei, intesi come opinioni pubbliche, ci sono (mediaticamente) "cascati"; dimenticando che il primo fenomeno, la minaccia, era in realtà il perno del cinismo pragmatico di Yalta (che li aveva comunque protetti dalla minaccia stessa, molto più di quanto la pressione mediatica non gli avesse fatto credere); mentre il "valore" della "concorrenzialità" era solo una vaga rimembranza utopistica, dai cui enormi e letali pericoli li aveva protetti proprio il costituzionalismo keynesiano e del welfare. Cioè la soluzione, anch'essa scaturita dalle sofferenze inflitte e dai tragici errori commessi da una classe politica identificatasi col capitalismo sfrenato, che si ritrova proprio nel "secondo costituzionalismo", quello moderno della sovranità che coincide con la tutela dei diritti fondamentali e col perseguimento della eguaglianza sostanziale.
Una soluzione che era a sua volta stata assentita (dagli allora ben più "cauti" poteri del mercato) come assicurazione politica contro la rottura dell'equilibrio di Yalta. Si faceva cioè il conto che nessun trattato poteva reggere solo come vincolo giuridico e militare (la NATO) se il substrato sociale interessato fosse stato calpestato dalla irrefrenabile avidità di potere (più che di profitto) del capitalismo che si contrapponeva al socialismo reale.
Una soluzione che era a sua volta stata assentita (dagli allora ben più "cauti" poteri del mercato) come assicurazione politica contro la rottura dell'equilibrio di Yalta. Si faceva cioè il conto che nessun trattato poteva reggere solo come vincolo giuridico e militare (la NATO) se il substrato sociale interessato fosse stato calpestato dalla irrefrenabile avidità di potere (più che di profitto) del capitalismo che si contrapponeva al socialismo reale.
8. Ora, se gli USA si trovano ad essere i propulsori, dietro le quinte (from behind), di questo antistorico e inevitabilmente claudicante progetto, entrambe le etichette culturali suggestive in questione sono venute meno: l'anticomunismo, di fronte ad un'€uropa afflitta dalla disoccupazione più alta che nella fase seguente alla crisi del '29, si rivela una burletta anacronistica e buona solo per oligarchi "locali" che blaterano di sindacati e costo del lavoro, senza avere nemmeno più la contezza di cosa significhi il vincolo monetario e di cosa abbia significato il gold standard.
Il mito dei "mercati", ancor più tragicamente, non riesce a trovare alcun mezzo - e nè potrebbe essendone generatore- alla finanziarizzazione distruttiva, come attesta il tasso di crescita dell'eurozona comparato con la fase pre-Masstricht (e, se vogliamo, pre SME e era delle banche indipendenti centrali), e affligge gli stessi USA.
Come può un controllore from behind che ha rinunciato al proprio costituzionalismo e al proprio pluralismo sociale e culturale, oggi come non mai, riportare in Europa le cose sotto controllo?
Come può un controllore from behind che ha rinunciato al proprio costituzionalismo e al proprio pluralismo sociale e culturale, oggi come non mai, riportare in Europa le cose sotto controllo?
Semplicemente non può, allo stato delle risorse di cui attualmente dispone la sua stessa classe dirigente.
9. Per questo dico che l'unica soluzione praticabile- e prima sarà tanto meglio- è la abrogazione/estinzione di tutti i trattati a partire dall'Atto Unico a arrivando fino a Lisbona e la rifondazione di un'Europa cooperativa sulla base del costituzionalismo democratico. Cioè del riconoscimento della reciproca sovranità nel tutelare i rispettivi livelli dei diritti fondamentali, e nello stabilire di cooperare laddove è, con evidenza e trasparenza, conveniente farlo: in particolare nel settore della difesa, ma a livello politico, cioè di Stati sovrani - e non certo di settore di mercato delle multinazionali-, e, purchè la democrazia sia lasciata intatta nel suo senso sostanziale, nel connesso settore della politica estera.
10. Entrambe queste aree di cooperazione, di sicuro, hanno forti implicazioni economiche, altrettanto internazionali: ma, la funzionalità di una cooperazione in questi campi potrebbe aversi solo se vi fosse un ben delimitato alveo di obiettivi fondamentali comuni, la cui chiarezza potrebbe nascere solo da una crescente integrazione culturale.
E quindi tale integrazione può nascere, a ben vedere,solo dalla previa cooperazione scolastica, nella formazione e nella ricerca.
Questa precondizione essenziale potrebbe operare solo stabilendo una compatta omogeneità dei livelli di spesa pubblica pro-capite nei vari paesi europei, cioè attraverso la preliminare costituzione di un bilancio confederale mirato a tali tre settori (nell'ordine logico di costruttività: istruzione e ricerca, difesa, politica estera).
E tutto questo con i tempi e con l'accuratezza che l'attuale esperienza fallimentare (e, in buona parte, già tragica), dovrebbero consigliare a uomini saggi e intrisi dei valori del costituzionalismo democratico.
10. Entrambe queste aree di cooperazione, di sicuro, hanno forti implicazioni economiche, altrettanto internazionali: ma, la funzionalità di una cooperazione in questi campi potrebbe aversi solo se vi fosse un ben delimitato alveo di obiettivi fondamentali comuni, la cui chiarezza potrebbe nascere solo da una crescente integrazione culturale.
E quindi tale integrazione può nascere, a ben vedere,solo dalla previa cooperazione scolastica, nella formazione e nella ricerca.
Questa precondizione essenziale potrebbe operare solo stabilendo una compatta omogeneità dei livelli di spesa pubblica pro-capite nei vari paesi europei, cioè attraverso la preliminare costituzione di un bilancio confederale mirato a tali tre settori (nell'ordine logico di costruttività: istruzione e ricerca, difesa, politica estera).
E tutto questo con i tempi e con l'accuratezza che l'attuale esperienza fallimentare (e, in buona parte, già tragica), dovrebbero consigliare a uomini saggi e intrisi dei valori del costituzionalismo democratico.
11. Possono gli Stati Uniti avallare questa salvifica "ri-costruzione" europea?
Possono i banchieri e gli euro-tecnocrati compartecipare a questa nuova fase?
Possono i banchieri e gli euro-tecnocrati compartecipare a questa nuova fase?
La risposta, allo stato, è NO.
Ci vuole, in via pregiudiziale, un ravvedimento per la classe dirigente USA, che parta proprio dalla "risoluzione delle sue contraddizioni interne" (qui: parr.VI-VIII), e ci vuole un nucleo di "rifondatori" che, nel modo più assoluto, non sia, (più o meno consapevolmente), portatore delle aspirazioni di rivincita del capitalismo sfrenato.
Yalta è morta da un pezzo, la Cortina è crollata; rinnovare la mitologia negativa del nemico sull'attuale Russia non servirà in alcun modo a guarire dalle contraddizioni del capitalismo sfrenato e a porsi al riparo dalle crisi ricorrenti di una finanza che ha fatto "perdere il controllo della situazione" (TTIP o non TTIP).
La razionalità e il senso della Storia, del diritto e dell'economia, dovrebbero consigliare tutto questo: per quanto oggi appaia difficile da praticare.
L'alternativa sarà un disastro di proporzioni immani. ESSI non possono pensare di vivere in eterno e di condizionare secoli di sviluppo e miliardi di destini umani e ricavarne una qualche utilità: ma forse per capirlo devono perdere tutto. E ce la faranno di questo passo...