
1. Ringrazierò sempre Smigol per la sua preziosa opera (svolta su twitter) di raccordo costante e di memoria storica del discorso del blog: l'attuale situazione, come mi ha rammentato con tempismo, appunto, Luca-Smigol, ci ha portato a questo riassunto schematico delle alternative disponibilialle comunità sociali, in precedenza organizzate intorno alla democrazia "sostanziale" (e ORA NON PIU'):

"Ci si aggira sempre intorno allo stesso problema: a livello inter-etnico che rinvia, in pratica, a quello interstatale, (supponendo la tendenziale omogeneità culturale degli Stati-Nazione; cosa che vale di più proprio nell'Europa occidentale e meno altrove), ricostruire una qualche forma di democrazia, è un percorso sempre "artificiale" e pretestuoso, se istituzionalizzato con un trattato economico, contrabbandato con idealismo utopico (e quindi senza operare attraverso i Poteri Costituenti che i popoli possono solo esprimere in base al proprio profondo e spontaneo impulso).
E' più facile che sia, questo disegno di fusione, in funzione distopica, cioè con fondato su democrazia idraulica e "doppia verità"; e certo tu rammenterai Kalergy...
Poi il discorso sui grandi Stati territoriali derivanti dalle ex aree coloniali (fenomeno extraeuropeo), è un po' diverso da quel che vale per l'Europa (come ben indica Rawls).
Peccherebbe anzi di un opposto schematismo accomunare la composita macroregione europea a queste realtà (si pensi agli anglo-sassoni aggregati continentali come USA e Australia) e cercare una soluzione unitaria "semplificante".
Oggi, il problema globale è se le comunità statali ESISTENTI, comunque assortite, siano o meno governate in nome del costituzionalismo, cioè quello democratico dei diritti fondamentali a epicentro "lavoristico-umanistico" (le due cose sono inscindibili e sinonimiche), ovvero dall'internazionalismo dei mercati.
Riportare verso il costituzionalismo democratico il baricentro della stessa comunità internazionale (di Stati; e senza doverli sempre assoggettare a "organizzazioni" create per i mercati) è la sfida dei nostri giorni.
Paradossalmente, la ancora permanente realtà storico-culturale europea, agevolerebbe questa rinnovata istanza democratica (sostanziale) proprio nell'area UEM. Cioè proprio laddove la distopia si è istituzionalizzata al più alto grado.
Non c'è niente di "meglio" di un fallimento della distopia "reale", di un respingimento di massa della realtà orwelliana istituzionalizzata, per riportare la coscienza collettiva verso la propria autonomia democratica di popoli: pacificamente conviventi nell'"armonia complessa" delle rispettive Costituzioni.Eh sì, è emozionante vedere come questa aspirazione avesse trovato un alto grado di realizzazione in quel "raro" momento di illuminazione collettiva che fu la nostra Costituente..."
Questa risposta, datata 8 aprile 2015, era maturata di fronte alla discussione del modello empirico di descrizione del sistema attuale riassumibile nel trilemma di Rodrik."
2. Vale la pena di sottolineare la omogeneità, con questa appena riportata, della successiva risposta fornita in occasione dei commenti ad un ulteriore post, proprio di ieri, che affrontava il problema "sistemico" sotto il punto di vista della decifrazione dellla strategia del mainstream.
Ne emerge, necessariamente, un'angolazione del problema più legata alla implacabilità della traiettoria che dobbiamo fronteggiare.
Quindi, una risposta (ad un interrogativo sempre presente nelle preoccupazioni di chi sia consapevole) implicitamente più drastica riguardo alle effettive soluzioni disponibili nell'attuale "realtà"(politico-istituzionale: globalizzata e, nello specifico, €uro-internazionalista):
"Il problema dell'eliminazione dell'"impossibile"è presente in ogni campo cognitivo, (cioè è questione molto più complessa e incerta di quanto non implichi...Conan Doyle con la sua semplificazione apparente, cioè ad effetto): ma lo è maggiormente nelle previsioni economiche, comunque calibrate sul "probabile".
In concreto,i modelli stocastici mainstream, immettono regolarmente l'ipotesi di libera e piena concorrenza (su economie accentuatamente aperte, e considerando decisivo il lato dell'offerta, peraltro), come dato presupposto e/o come traguardo delle "riforme": ma data la consapevole artificiosità dell'assunto, tali modelli sarebbero di per sè nel campo dell'improbabile (non proprio dell'impossibile).
Tuttavia, storicamente, quando prevale tale modello ideologico (il mainstream), gli si accompagna invariabilmente un intenso controllo istituzionale (attualmente internazionalizzato): da qui, in sede di attuazione e di (scontata) correzione politico-economica dei risultati deficitari, i frequenti colpi di coda, propri delle banche centrali (in stretta consultazione coi grandi gruppi finanziari; veri "controllori" istituzionali sostanziali; BCE docet...).
Dunque, rispetto alla, pur auspicabile, realizzazione di una previsione probabile (cioè ragionevole), alternativa alle stime ideologiche del mainstream, occorre scontare, in controtendenza, i metodi per tirare un calcio alla lattina che autodifendono il mainstream stesso (o anche il tirare fuori il coniglio dal cilindro: incluso un QE-4, ad esempio).
Metodi che oggi consistono anche nella diffusione del wishful thinking mediatico, per diffondere quel clima di "fiducia" che è un altro presupposto fondamentale dello schema ideologico mainstream.
Ma tutto ciò (politiche delle BC e "fiducia" indotta in via mediatico-informativa) non funziona "sempre", e non sempre con "tutti", nonostante il potere istituzionale enorme che hanno accumulato. ESSI."
Qui sta l'incertezza sistemica che viviamo attualmente: un potere costretto ad autoperpetuarsi, ma intrinsecamente fallimentare (come dimostrarono Keynes, Hansen e, in modo più storicamente connotato, Marx), nella sua fase di massima affermazione istituzionale, tende inevitabilmente al cupio dissolvi: cioè ad essere distruttivo ed anche autodistruttivo...Ma ciò dopo una lunga lotta, in definitiva, contro tutto e tutti, compresi i propri stessi interessi di lungo periodo".
.
3. La differenza riscontrabile tra queste due risposte deriva, ovviamente, dal contesto in cui sono state fornite.
Si tratta, rispettivamente:
- nella prima risposta, di un contesto originato da un approccio logico-sintetico, fornito di completezza dei rationalia su cui è basato (il trilemma di Rodrik, logicamente antitetico alla manipolazione selettiva del mainstream);
- nel post più recente, invece, di un contesto che muove dal cercare di capire lo stesso fenomeno sul piano della patologia, psicologica e cognitiva, che è intrinseca al "governo sovranazionale dei mercati".
Sia che si tratti della patologia diffusa indotta nella massa (effetto Dunning-Kruger), sia che si tratti del vizio cognitivo e percettivo osservabile nell'approccio dei "controllori" (anosognosia).
4. Vale la pena di rammentare che un simile approccio incentrato sulle motivazioni psicologiche è stato già operato, in modo magistralmente "asciutto" e diretto, da Galbraith.
Ve lo rammento, traendolo da un altro ben noto (ai lettori) post:
"La reazione degli imprenditori al Social Security Act segnò l'inizio di un mutamento nei rapporti tra gli economisti e il mondo imprenditoriale (rapporto oggi pienamente recuperato, peraltro ndr.); da questo momento in poi ci sarebbe sempre stato un certo grado di tensione. Gli economisti non sarebbero stati più la fonte di una benigna razionalizzazione in senso classico degli eventi economici...C'era stata un'indicazione di questo ruolo contrario nel caso dell'acquisto dell'oro da parte dello Stato; ora, con il sorgere dello Stato assistenziale, tale ruolo diviene manifesto. E, ben presto, con John Maynard Keynes, lo sarebbe diventato in modo lampante.
Si pone la domanda del perchè il mondo imprenditoriale abbia opposto resistenza a misure economiche così dichiaratamente volte a difendere il sistema economico, domanda che si sarebbe riproposta in modo insistente e pressante in rapporto all'azione keyesiana.
Questa resistenza è stata attribuita tradizionalmente alla miopia -o, nel modo di esprimersi di chi non si fa tanti problemi nella scelta dei vocaboli, alla stupidità- degli imprenditori, e in particolare dei loro portavoce influenti (in Italia assistiamo oggi alla loro unica voce come suprema istanza di giudizio su tutto, ndr.).
Questa però è una spiegazione limitata.
L'interesse pecuniario personale non ha un'importanza assoluta su questi problemi; anche la convinzione religiosaha un ruolo.
Per i protagonisti del mondo economico il sistema classico era - e rimane- qualcosa di più di un'organizzazione per la produzione di beni e servizi e per difendere la remunerazione personale.
Esso era anche un totem, una manifestazione di fede religiosa. Perciò doveva essere rispettato e protetto. Imprenditori, dirigenti di società, capitalisti, si innalzarono al di sopra dell'interesse materiale per difendere la fede.
E molti si comportano così anche oggi.
C'era ancora un'altra ragione per il loro atteggiamento.
L'attività economica non è solo una ricerca di denaro, ma è anche una ricerca di posizione sociale e della conseguente stima di sè. E' un fatto sgradevole ma inevitabile che, nel valutare se tali risultati siano stati o no conseguiti, i successi relativi siano più facilmente percepibili nella cattiva che nella buona sorte.
In periodi di generale avversità, l'uomo d'affari di successo può vedere chiaramente che cosa, grazie ai suoi sforzi (o a quelli di un predecessore di valore), sia stato compiuto e che cosa non sia stato coronato dal successo.
Se tutti avessero grandi doti, ovvero anche solo qualche dote per quanto modesta, quest'esercizio di autoapprovazione risulterebbe meno gratificante.
Verrebbe infatti a mancare il pensiero remunerativo. "L'ho fatto io" o la possibilità che un'azione rifletta le qualità superiori che l'hanno resa possibile.
Attribuire a miopia intellettuale o a un angusto interesse pecuniario la resitenza del mondo imprenditoriale alle tendenze assistenziali della Social Security (e in seguito di Lord Keynes) significa fraintendere molte cose che sono importanti nella motivazione concorrenziale e capitalistica.
Qualcosa, forse molto, va attribuito anche al piacere di vincere in un gioco in cui molti perdono".