
1. La follia terroristica di Parigi (l'ennesima, come ben sappiamo), induce a fare il punto sulle decisioni di politica internazionale, nazionale e "europea", conformi (auspicabilmente) alle regole di civiltà della comunità internazionale, che potrebbero essere razionalmente intraprese.
Avevamo già esaminato le varie opzioni che questo tipo di terrorismo implica sul piano del diritto internazionale "moderno": anche se si può dubitare, tristemente, che quest'ultima definizione abbia ancora un senso di fronte alle trasformazioni indotte dalla spinta al "mondialismo", cioè alla instaurazione di un governo mondiale che faccia da poliziotto sull'intera umanità. Da poliziotto: non da garante del benessere, finalità che, in teoria, risulta ancora lo scopo più importante e caratterizzante delle Nazioni Unite, in base all'art.55 della Carta. Il mondialismo affida alla infallibile legge autoregolatrice dei mercati la realizzazione di ogni possibile e incontestabile "benessere".
2. Anche se la spinta emotiva dell'oggi rende poco probabile che si ragioni sulla base di principi giuridici , ribadiamo perchè non si tratti di una "guerra":
"La controversia internazionale che può dare luogo all'attacco armato, e quindi alla guerra, rilevante per il diritto internazionale, infatti, può aversi solo TRA STATI. Questi possono aderire a trattati di difesa comune militare (l'esempio più noto è la Nato), sicchè l'attacco armato ad uno Stato "alleato" può trasformarsi in una controversia, anche in forma armata, che coinvolge tutta la "coalizione".
Ma rimane il fatto che occorre pur sempre individuare uno Stato aggressore...
Il punto è che la cittadinanza dei ribelli (per essere tali, normalmente, sono proprio della stessa cittadinanza del paese nel cui territorio agiscono usando la violenza) o delle unità "irregolari" non è rilevante: fossero stati, come pare che in effetti siano, francesi o algerini o siriani o altro ancora, gli stessi non avrebbero comunque compiuto un attacco armato riconducibile allo stato di guerra.
Semplicemente perchè si ricade, con tutta evidenza, nell'ipotesi di non riconducibilità ad uno Stato determinato nemmeno della violazione del divieto di ingerenza,(diversamente, sulla base di una serie di accertamenti di fatto reclamati dagli Stati Uniti, sotto il principio della legittima rappresaglia, è stato ritenuto per il caso dell'Afghanistan).
Attribuire all'intero Islam, in sè considerato, la fornitura di assistenza, armi, logistica ai gruppi di ribelli (se cittadini dello Stato in cui agiscono) o di truppe irregolari e mercenarie coinvolti nell'ondata di attentati attuale, è semplicemente impossibile: sia come giudizio di fatto (che implicherebbe l'accertamento di un'altra serie infinita di fatti, tra cui anche quello di una "intelligenza" unitaria ed organizzata di tutti i credenti in tale religione), sia sotto un corretto piano giuridico.
Non esiste, infatti, un soggetto internazionale, meno che mai uno Stato, identificabile come "Islam".
Non esiste neppure un territorio dell'Islam giuridicamente identificabile, come non esiste un solo Stato islamico, e neppure, infine, è del tutto chiaro e consolidato un univoco concetto di Stato islamico, (distintivo rispetto a tutti quelli con popolazione appartenente in maggioranza a tale religione). In ogni modo: se anche uno Stato - riconosciuto come tale dalla comunità internazionale, badate bene- a maggioranza musulmana si dichiarasse "islamico", poi, non esisterebbe, attualmente, la prova del suo aperto e diretto coinvolgimento nei fatti di Parigi.E comunque, se pure qualcosa risultasse, non sarebbe allo stato univocamente accertabile in termini di identificazione di un preciso Stato che si "ingerisce", compiendo la "violazione minore" del divieto di uso della forza (l'Algeria? La Siria nel caos? L'Iran che è sciita e pare del tutto estraneo a questi attentati? L'Iraq altrettanto nel caos totale? L'Arabia saudita in relazione alle diffuse voci di emuli di Bin Laden nel farsi finanziatori dei movimenti terroristici?).
La questione è cruciale: la guerra è una controversia tra Stati condotta mediante l'uso della forza armata da parte degli Stati coinvolti.
La violazione del divieto di ingerenza, col supporto a forze ribelli ed eversive che agiscano sul territorio altrui, richiede comunque la identificazione dello Stato che si "ingerisca"."3. Sul punto della non qualificabilità come "guerra" degli episodi cui stiamo assistendo, proprio in funzione della cittadinanza dei terroristi coinvolti anche in questa ultima mostruosità, la cronaca ci fornisce qualche immediata conferma. Tra coloro che sono stati allo stato idenficati come autori delle stragi:
"ci sono un 29enne francese di origini algerine e due francesi residenti in Belgio. Gli altri due sono francesi che vivevano in Belgio, avevano 20 e 31 anni."
Se i terroristi che agiscono in Francia sono essenzialmente di cittadinanza francese, si ha l'evidente conferma che si tratti di un problema di pubblica sicurezza: e non si dica che possono esistere rilevanti aspetti di connessione con territori e organizzazioni non francesi, quanto a addestramento e supporto logistico di questi terroristi, perchè ogni forma di terrorismo, come ci insegna la stagione italiana delle Brigate rosse, è costantemente sospettata di questi aspetti (mai ben chiariti...), cioè di strumentalizzazione di cittadini di uno Stato da parte di entità straniere per destabilizzare questo stesso Stato.
Rimane il fatto che l'eventuale violazione del principio di non ingerenza commessa in questo modo, esige l'accertamento univoco e obiettivo (cioè delle prove esposte alla opinione pubblica in modo trasparente e credibile), della responsabilità di un preciso Stato che finanzi l'addestramento e l'armamento dei terroristi, identificandone pure l'indispensabile movente strategico (cioè quale "movente" e quale obiettivo persegua lo Stato che si ingerisce, promuovendo il terrorismo mediante cittadini di un altro Stato che agiscono sul territorio di quest'ultimo).
4. Ma il fatto che cittadini di uno Stato prendano le armi in preda a furia omicida nei confronti di propri connazionali, è certamente ed evidentemente un problema di ordine pubblico(v.qui al punto 11.3): e, attenzione, lo sarebbe anche se i terroristi non fossero cittadini dello Stato "colpito", laddove, come abbiamo visto, non si abbia la prova, ma nemmeno l'ipotesi, che il "diverso" Stato alla cui nazionalità appartengono i terroristi sia coinvolto con azioni attribuibili alla chiara responsabilità del suo governo.
Ad esempio, dopo l'11 settembre, infatti, pur essendo Bin Laden un cittadino saudita nessuno propose il bombardamento dell'Arabia Saudita.
Sta di fatto che non si può ignorare che i cittadini francesi (o belgi) accusati allo stato di essere autori delle stragi sono immigrati (presumibilmente di seconda generazione)di origine mediorientale o nordafricana, cioè provenienti da territori a religione islamica prevalente e, ovviamente, dichiaratamente musulmani "integralisti".
E' allora ragionevole domandarsi come e perchè questo tipo di immigrazione si converta in un problema di sicurezza pubblica di tale gravità, e, ancor più perchè lo diventi ORA, in questi anni, trattandosi di seconde o terze generazioni, laddove la presenza di Maghrebini o mediorientali, provenienti da territori ex coloniali, non è certo una novità in Europa e certamente non in Francia.
Dunque perchè "ora", viene generato un problema così devastante?
5. La risposta più logica ha a che vedere con l'accumulo di rabbia, proprio perchè assistiamo a un tale livello di cieca violenza. E tale rabbia a livello sociale ha spiegazioni non troppo difficili da fornire, usando un po' di buon senso (punto 11) guardando alle condizioni attuali de:
"...gli immigrati in Occidente, scacciati dalla loro terra per gli effetti di impoverimento permanente determinato dalle ex e post colonizzazioni, imposte dagli spietati "mercati".
Come può un esercito comune europeo risolvere questo problema di...coesione sociale?
8. Di tutto questo, in parte (a differenza di chi nel parlamento europeo, come abbiamo visto, invoca la soluzione dell'esercito europeo...), pare iniziare ad essere cosciente qualcuno tra gli stessi europeisti (critici ma in termini di "questa"€uropa, come se ce ne potesse essere mai stata un'altra): ad esempio Mucchetti che svolge questa ragionevole osservazione:
9. Naturalmente rimangono le obiezioni all'esistenza dello "stato di guerra", in senso internazionale (tant'è che Hollande non ha dichiarato alcuna guerra, ma semmai lo "stato di emergenza" che è il potere eccezionale più tipico di ordine pubblico interno); tuttavia, dire che il diritto alla sicurezza viene prima del pareggio di bilancio ha alcune conseguenze che dovrebbero essere chiare a chi propugna tale soluzione.
Siano essi di prima o di seconda generazione, questi immigrati non soffrono "soltanto" della mancata integrazione determinata da omissione o fallimento di presunte politiche sociali e culturali (ovviamente cosmetiche), quanto della IMPOSSIBILITA' strutturale di un'integrazione che deriva da impostazioni di politica economica rigide e insensate, incentrante sull'idea della deflazione, della competitività e della connessa riduzione dello Stato sociale.
Tutti insieme, immigrati e strati crescenti della stessa popolazione autoctona dei paesi occidentali, soffrono di impoverimento e della arrogante imposizione della "durezza" del vivere da parte di una governance che vive nel più sfacciato privilegio della rendita economica (anche in Italia).
Gli immigrati, specie della seconda generazione, finiscono per sbattere contro il muro della FINE DELLA MOBILITA' SOCIALE IMPOSTA DAL PARADIGMA NEOLIBERISTA: quando si accorgono di essere destinati a un irredimibile destino di lavoratori-merce, che si aggiunge alla continua tensione razziale e culturale con gli strati più poveri della popolazione del paese "ospitante", sono nella condizione "ideale" per abbracciare l'Islam integralista. L'adesione restituisce loro dignità, identità e una risposta alle frustrazioni della tensione con gli "impoveriti" del paese ospitante.Questa tensione è tanto più acuìta quanto più questi ultimi, gli "autoctoni", sono essi stessi assorbiti nella voragine del lavoro-merce.Come esito di tale processo ormai ultraventennale, gli immigrati sono posti, pur essendo (teoricamente) in condizioni materiali diverse da quelle dei disperati concittadini (o ex tali) delle terre di orgine, nella stessa attitudine di rabbia e disperazione dei diseredati dei paesi più impoveriti del mondo.
Gli immigrati, specie della seconda generazione, finiscono per sbattere contro il muro della FINE DELLA MOBILITA' SOCIALE IMPOSTA DAL PARADIGMA NEOLIBERISTA: quando si accorgono di essere destinati a un irredimibile destino di lavoratori-merce, che si aggiunge alla continua tensione razziale e culturale con gli strati più poveri della popolazione del paese "ospitante", sono nella condizione "ideale" per abbracciare l'Islam integralista. L'adesione restituisce loro dignità, identità e una risposta alle frustrazioni della tensione con gli "impoveriti" del paese ospitante.Questa tensione è tanto più acuìta quanto più questi ultimi, gli "autoctoni", sono essi stessi assorbiti nella voragine del lavoro-merce.Come esito di tale processo ormai ultraventennale, gli immigrati sono posti, pur essendo (teoricamente) in condizioni materiali diverse da quelle dei disperati concittadini (o ex tali) delle terre di orgine, nella stessa attitudine di rabbia e disperazione dei diseredati dei paesi più impoveriti del mondo.
Lo scatenarsi, anche nella forma del fanatismo religioso terroristico, di sub-conflitti "sezionali", tra credenze teologiche, stili di vita, pregiudizi razziali e etnici, sono solo il sottoprodotto di società globalizzate votate a destrutturare gli Stati democratici pluriclasse dell'Occidente (ex illuminista?): questi sono, o erano, gli Stati aventi come obiettivo sia la mobilità e la giustizia sociali "interne", in Occidente (dove si era affermato questo tipo di democrazia), sia quello di autolimitarsi dall'intraprendere azioni che stabilizzassero tali ingiustizie nel c.d. Terzo Mondo."
5.1. Dunque la "durezza del vivere", come cifra dei rapporti sociali promossi attualmente dagli Stati occidentali, ed in particolare europei post Maastricht, nei confronti di immigrati - considerati (tutt'ora: anzi, in accelerazione) "utili" per la realizzazione di quel mercato del lavoro-merce, che è la priorità assoluta del neo-liberismo propugnato dai trattati-, viene unita alla umiliante intrasigenza morale e culturale che si connette allo smantellamento programmatico degli Stati sociali.
Il disoccupato e il sottoccupato, non solo sono "bloccati" socialmente nell'ambito del codice di successo darwinista (pop, cioè pubblicitario e iper-consumista), ma frustrati in ogni aspetto più intimo che potrebbe dar loro dignità umana, a prescindere cioè dal successo economico che premia solo i sopravvissuti alla prova della durezza del vivere.
Come può un esercito comune europeo risolvere questo problema di...coesione sociale?
Pensarlo appare totalmente fuori luogo.
Eppure c'è chi lo pensa e lo propugna ora, affidando al "più €uropa" una direzione che nulla ha a che fare con la radice dei problemi e che, anzi, dimostra una incapacità di scorgerla che, oltretutto, dimentica che la Francia è inserita nella Nato, a pieno titolo (essendo terminata la lunga fase della "separazione" gaullista ed essendo rientrata dal 2003 nel comando militare integrato).
Se il problema è di tipo militare, e non lo è, perchè ciò che proprio gli europei hanno già promosso e rafforzato in decenni di spinta cooperativa dovrebbe essere meglio concepito, rispetto alla già esistente soluzione Nato, in questa UE attuale percorsa da dissidi e incomprensioni senza precedenti nella sua storia?
6. Rammentiamo allora quanto precedentemente detto in risposta a un commento che tratta dei problemi che in UE, e specialmente nella "fantastica" eurozona, si verificano in progressione inarrestabile.
Anche, quindi, a voler considerare correttamente il problema come di sicurezza interna, cioè di prevenzione e di intelligence, oltrechè, certamente, di controllo del proprio territorio in termini di apparato di ordine pubblico:
"Politiche comuni su sicurezza e investigazione ci sono già, e si è visto con quale spirito di cooperazione ed efficienza; v. artt.67-76 TFUE, con tanto di Comitato PERMANENTE istituito, ex art.70 TFUE, "in seno al Consiglio" (organo esecutivo e normativo supremo).
L'Europol, a "sostegno" delle "polizie e servizi" dei paesi aderenti, nell'ambito della "cooperazione di polizia", è stata già istituita in base all'art.88 TFUE: tra l'altro, esplicitamente con funzioni di "prevenzione e lotta contro...il terrorismo".
E' come il cooordinamento delle politiche economiche e sociali nella ricerca della piena occupazione: in UE le intendono sempre e solo come fa comodo a loro, cioè SOLO come flessibilizzazione massima del mercato del lavoro e qualche modesta politica supply side.
Cosa volete che possano fare con Europol e intelligence varie in comune di più di quanto fatto dopo il 9/11 avendo come principio irrinunciabile e supremo il pareggio di bilancio, e cioè"ognuno paghi per sè"?
In ogni modo, invocare ciò che c'è già, dimostra la consueta ignoranza dei trattati e la consueta mancanza di realismo su come sono nati e come li si vorrà sempre applicare..."
7. Ma la "durezza del vivere" e il "pareggio di bilancio" sono duri a perdere il controllo assoluto delle politiche €uropee.
Questi caposaldi "irrinunciabili" della costruzione europea, causativi, nel corso di decenni di esperimenti di ingegneria sociale ordoliberista, dello scollamento sociale delle crescenti frange di disperati, hanno già agito come desertificatori della cultura solidaristica.
Al limite, a quanto pare, sarebbero ridiscutibili solo quando si tratti di rilanciare i progetti dell'industria militare europea (l'unica spesa pubblica "buona" a quanto pare).
Eppure, a rigor di logica, visto che tutti vogliono una qualche "azione" degli Stati e "iniziative", misure eccezionali "pubbliche" e quant'altro, la durezza del vivere e il pareggio di bilancio, dovrebbero oggi risultare di evidente ostacolo alla soluzione del problema del terrorismo.
E certamente, a monte, in termini di pressione sociale sul territorio europeo, di ostacolo anche alla razionale soluzione del problema dell'immigrazione no-limits: sempre che la mera accoglienza continui ad essere considerata l'unica questione rilevante, dimenticando la spesa pubblica in politiche di piena occupazione, di pubblica istruzione, di edilizia pubblica, etc, che, pure, sono la parte più importante della soluzione.
8. Di tutto questo, in parte (a differenza di chi nel parlamento europeo, come abbiamo visto, invoca la soluzione dell'esercito europeo...), pare iniziare ad essere cosciente qualcuno tra gli stessi europeisti (critici ma in termini di "questa"€uropa, come se ce ne potesse essere mai stata un'altra): ad esempio Mucchetti che svolge questa ragionevole osservazione:
"...se la Francia e l'Europa sono in guerra, i vincoli di finanza pubblica del patto di stabilità perdono il loro già scarso senso. Se ci sentiamo in stato di guerra, sia pure di una guerra asimmetrica, di un conflitto di tipo nuovo, non possiamo sperare di non sopportarne gli oneri. Chi guardasse la curva del debito pubblico del Regno Unito vedrebbe due picchi spaventosi: sono quelli delle due guerre mondiali. L'Unione europea deve allargare le maglie. Già la questione dell'immigrazione l'ha stretta alle corde. Parigi e' la prova d'appello.Piangere i morti di Parigi a finanza pubblica invariata equivale a versare lacrime di coccodrillo.Il diritto alla sicurezza viene prima del pareggio di bilancio."
9. Naturalmente rimangono le obiezioni all'esistenza dello "stato di guerra", in senso internazionale (tant'è che Hollande non ha dichiarato alcuna guerra, ma semmai lo "stato di emergenza" che è il potere eccezionale più tipico di ordine pubblico interno); tuttavia, dire che il diritto alla sicurezza viene prima del pareggio di bilancio ha alcune conseguenze che dovrebbero essere chiare a chi propugna tale soluzione.
L'euro si regge sulla costrizione alla correzione degli squilibri commerciali mediante svalutazione interna e quindi mediante deflazione salariale realizzata con lo strumento fiscale della riduzione del deficit e dunque della domanda interna.
La pesante leva della spesa pubblica militare - o in apparati di ordine pubblico più ampi e strutturati- non pare compatibile con questa evidente strumentalitàdelle politiche fiscali a mantenere in vita l'euro.
10. Ebbene, sia invece chiaro che nella lettera del Presidente del Consiglio europeo che definisce la posizione dell'UE nel G20 di Antalya in svolgimento in questi giorni (ieri e oggi), lettera diretta a tutti i capi di Stato e di governo europei, non c'è alcuna traccia di questa impostazione e di questi evidentissimi problemi; anzi, si propugna in sostanza maggior apertura al commercio internazionale come soluzione ai problemi di disoccupazione diffusa e di mancata inclusione sociale.
Sull'euro, e sul suo tipo di mercato del lavoro come punto di arrivo delle politiche fiscali (e sociali) di pareggio di bilancio, non c'è neppure una parola.
In altri termini, si va avanti così, sulla durezza del vivere, insistendo su questo paradigma e sulla sua realizzazione. Come se nulla fosse...
E i greci e portoghesi lo stanno imparando molto bene. E anche tutti gli altri popoli europei; composti sempre più dalla programmatiche masse di immigrati che accelerano il processo di svalutazione salariale per realizzare il grande benessere della competitività esterna e del free-trade.
11. Non c'è dunque nulla che può scuotere la "facciata marmorea" del progetto di ridisegno sociale €uropeo: nulla che induca a interrogarsi sulle implicazioni anche più tragiche del modello economico del rigore e delle riforme per attirare gli investimenti stranieri.
Nulla che accenni solo lontanamente al ruolo dello Stato di garante della sopravvivenza (ormai anche fisica) e del benessere delle comunità sociali.
Qualsiasi tipo di Stato: anche quello federale €uropeo, di cui infatti non si parla, infranto da anni sulla prevista assenza di qualsiasi spirito solidale di reciproca "contribuzione" al bilancio comune, cioè substrato sociale.
In altri termini, la Francia, finanziariamente è sola, e sola resterà di fronte alle sue stragi e al sangue nelle sue strade. Come qualsiasi altro paese dell'eurozona.
Questa chimera del rigore e della disattivazione dell'intervento solidale dello Stato democratico nazionale non muore mai: neppure di fronte alle stragi e alle emergenze, sempre considerate nell'effetto finale (il terrorismo come la "accoglienza"), e mai nelle loro cause.