

1. In margine al "tradizionale" post del 25 aprile, raccolgo e riverbero (in fondo a questa mia "ispirata" introduzione) un commento di Francesco Maimone che merita di non essere disperso.
Il suo commento mi appare particolarmente capace di riflettere una serie di problematiche essenziali che sono così attuali e drammaticamente riflesse nelle nostre vite, pur laddove, come cittadini "comuni", ignorassimo alcuni principi fondamentali della scienza giuridica che, nei tempi moderni, ha dato luogo alle soluzioni di "giustizia nel diritto" e alla stessa idea del "costituzionalismo": cioè all'idea di una società garantita dall'assunzione, da parte delle costruzioni costituzionali, del ruolo di condurre un processo di democrazia partecipata e pluriclasse che non fosse soggetto alla continua revisionabilità o al continuo "stato di eccezione" imposto da poteri di fatto, cioè dai poteri economici prevalenti.
Cioè ESSI, se volete...
2. A introduzione del commento-post di Francesco, ribadisco i termini della questione "giustizia e diritto" quali analizzati in un post degli "inizi" di questo blog: mi conforta, tra l'altro, sapere che, a distanza di anni, qualche segnale di vita mi confermi di non essere più del tutto solo (Arturo e Bazaar, naturalmente voi siete eccettuati, come pure Sofia, perché da lungo tempo "corresponsabili" del blog e immersi nella mia stessa solitudine):
"Il problema è, mi accorgo, che questo non è un tempo per i Calamandrei, i Carnelutti, i Basso, i Ruini e i Mortati.
E forse ciò nasce dal fatto che le ideologie "borghesi" non sono più indotte alla "mediazione", cioè ad una concezione "redistributiva" reale, per assenza della minaccia del marxismo-leninismo-stalinismo, che certamente aveva sospinto le "elites liberali" che avevano combattuto il nazi-fascismo a prevenire la prospettiva di una nuova dittatura.
Però, rimane il fatto che un diritto "senza valori", intendendoli come qualcosa che si è consolidato e chiarito in conseguenza di lotte e sofferenze che hanno avuto, in forme più estreme, avversari non dissimili da quelli di oggi, rinuncia alla funzione di "giustizia" propria delle sue definizioni più alte.
Definizioni come quelle offerteci da uno dei massimi pensatori giuridici, Thomas Viehweg, nel già menzionato "Topica e giurisprudenza" (cap. VIII, pagg.118 ss.); citando, a sua volta, Josef Esser, uno dei fondatori della "giurisprudenza degli interessi", corrente di reazione al giuspositivismo e alla sua "neutralità" apparente, che si era prestata a legittimare persino il nazismo.
Viehweg chiarisce:
"...anche dei concetti che in apparenza sono di mera tecnica giuridica. dei semplici "elementi costruttivi", della giurisprudenza, ricevono il loro significato semplicemente dalla questione della giustizia.
...Per esempio nel quadro della determinazione concettuale "dichiarazione di volontà (concetto giuridico fondamentale, che vale per i contratti come per i trattati internazionali ndr.), è comprensibile soltanto se significa "la fissazione dei principi di giustizia nella questione del vincolo negoziale e della lealtà negoziale".
E questa giustizia si connota nella tutela dell'affidamento generato nei destinatari della dichiarazione e nella costante tutela della libertà di espressione della "volontà", esente da errori nonché da raggiri posti in essere dal "dichiarante" .
E' dunque questa la cornice in cui ha senso comprendere la questione del "vincolo esterno", acriticamente accettata dalla comunità dei giuristi italiani: quale libera volontà, esente da errori e raggiri, ha potuto esprimere la comunità nazionale su cui il vincolo è stato imposto?
Come si è veramente tenuto conto dell'affidamento in essa creato, cioè il "fogno" di pace e prosperità dei popoli europei, drammaticamente contradetto fino alle più estreme evidenze di sua negazione?"

3. Ecco dunque il commento di Francesco (che muove da un passaggio del post di ieri):
“Sta di fatto, che l'ordinamento costituzionale, è valso e vale tutt'ora, cioè fino a che la sua identità sistematica rimanga intatta - e come ciò sia ancora sostenibile a pieno titolo, lo abbiamo visto ne "La Costituzione nella palude"- a stabilire un obbligo di perseguimento della democrazia sostanziale (e non di quella filosofica-formale, scissa dal dato delle fonti di diritto immodificabili), a carico delle istituzioni di governo e di tutti i "pubblici poteri".
Il post tocca un punto fondamentale, un "a priori" che si riteneva fosse patrimonio ormai acquisito anche nella c.d. sfera laica (cioè anche di chi non è esperto di diritto) di un qualsiasi cittadino medio, ma che invece sembra (almeno dalle mie quotidiane esperienze) non abbia attecchito abbastanza nell'organo cerebrale.
Il dissolvimento dell’impianto sistematico della Costituzione (intesa come la più alta manifestazione giuridica di un ordinamento) trae infatti origine da una progressiva e foraggiata de-alfabetizzazione giuridica di cui il “sondaggismo” ne è la più compiuta espressione a valle.
Concetti quali diritto oggettivo, precettività di una norma giuridica (anche e soprattutto costituzionale, almeno dal 1956), vincolo giuridico, obbligatorietà ed efficacia del diritto vigente sono divenuti materia di “opinione”, in nome – s’intende – della libertà di un pensiero inesistente. Con il risultato che una qualunque norma nel codice della strada potrebbe essere avvertita come più vincolante di una norma costituzionale (che, si presume, veicoli interessi un ciccinin più importanti).
E’ davvero un rompicapo: un ordinamento giuridico decapitato ove il corpo pretende di sopravvivere senza la testa in disfacimento, un edificio che pretende di stare in piedi senza fondamenta, una legalità acefala.
E cos’è il sondaggismo se non un soggettivismo che termina nel nichilismo logico ed etico? Perfettamente congruente (e non per mera coincidenza, mi pare ovvio) con l’individualismo metodologico di Carl Menger e sodali.
Se la conoscenza è necessariamente frammentaria, parziale, se gli oggetti non hanno qualità intrinseche, ma il loro valore è il risultato di una proiezione delle credenze umane su di essi,allora ogni teoria sociale che sostenga la possibilità di ‘costruire’ una società orientata al perseguimento di un fine dato è destinata a fallire, perché ogni teoria sociale è (deve essere) riducibile ad una teoria dell’azione individuale (Hayek).
Una neo-sofistica in cui la Costituzione diviene oggetto di opinione, e non di necessaria applicazione (in quanto DIRITTO VIGENTE, EFFICACE, OBBLIGATORIO E VINCOLANTE), di carotaggio ad uso mediatico, e non di fedele osservanza da parte di TUTTI i consociati, legittima (com’è avvenuto ieri nelle dichiarazioni di alcune figure istituzionali) ad “opinare” a ruota libera anche su quello che è stata la Resistenza.
I diritti costituzionali fondamentali non abitano il mondo dell'opinabile così come non è opinabile l'assunzione di un farmaco salva vita. Discussione chiusa.
Tant'è, in principio fu la fisica, poi fu la metafisica ed oggi viviamo nel regno della patafisica."