
1. Costituisce ormai una sorta di tradizione di questo blog dedicare un post alla ricorrenza del 25 aprile.
Quale sia il valore da attribuire a questa occasione di celebrazione della Repubblica democratica italiana, fondata sul lavoro fin dal suo art.1, lo abbiamo precisato in passato.
Abbiamo cioè cercato di focalizzare la unicità della conquista generata dalla Liberazione.
Questa, infatti, si è rivelata come presupposto indispensabile, cioè necessario e sufficiente - fortunatamente per noi, e a differenza delle altre potenze "sconfitte" nella seconda guerra mondiale-, per innescare il processo Costituente sfociato nella Carta del 1948: una conquista che si è concretizzata e che, sia pure forse ancora per poco, vive nel nostro patrimonio di cittadini italiani, al di là di qualsiasi "ombra" che possa essere proiettata alla luce sia della successiva conduzione della politica economica del paese, sia del sopravvenire, per certi versi inevitabile, del quadro di vincoli di politica estera nello specifico settore strategico della difesa.
Questa, infatti, si è rivelata come presupposto indispensabile, cioè necessario e sufficiente - fortunatamente per noi, e a differenza delle altre potenze "sconfitte" nella seconda guerra mondiale-, per innescare il processo Costituente sfociato nella Carta del 1948: una conquista che si è concretizzata e che, sia pure forse ancora per poco, vive nel nostro patrimonio di cittadini italiani, al di là di qualsiasi "ombra" che possa essere proiettata alla luce sia della successiva conduzione della politica economica del paese, sia del sopravvenire, per certi versi inevitabile, del quadro di vincoli di politica estera nello specifico settore strategico della difesa.
E' ovvio che facciamo riferimento al trattato NATO che tanta parte gioca come presupposto geopolitico nella stessa costruzione europea (p.5), al di là degli slogan di circostanza (sulla mitologia propagandistica relativa all'improbabile finalità della costruzione €uropea di affrancarci dall'influenza politico-economica degli Stati Uniti), se solo si abbia riguardo al testo del trattato europeo (p.6).
2. Sta di fatto, che l'ordinamento costituzionale, è valso e vale tutt'ora, cioè fino a che la sua identità sistematica rimanga intatta - e come ciò sia ancora sostenibile a pieno titolo, lo abbiamo visto ne "La Costituzione nella palude"- a stabilire un obbligo di perseguimento della democrazia sostanziale (e non di quella filosofica-formale, scissa dal dato delle fonti di diritto immodificabili), a carico delle istituzioni di governo e di tutti i "pubblici poteri".
Questo obbligo, a Costituzione (ancora) vigente, trova il suo valore pregnante, nel fatto che la democrazia sostanziale, quella che afferma l'intangibilità del modello socio-economico fondato sul lavoro (abbiamo visto nel senso specifico di pieno impiego keynesiano) non potesse, e non possa, essere più soggetta ai capricci di qualsiasi esito elettorale e, a maggior ragione, delle contingenti scelte di politica estera perseguita mediante la conclusione di trattati internazionali di qualunque natura.
3. Questo chiaro, almeno un tempo, modello di giustizia sociale che la nostra democrazia è riuscita a conquistarsi, - nonostante la sostanziale sconfitta nel secondo conflitto mondiale, e nonostante le conseguenze in termini di piena sovranità che ciò ha indubbiamente determinato, e le scorie polemiche (mai sopite) della guerra civile che si intrecciò con la guerra di Liberazione dall'occupante tedesco-, è dunque il valore inscindibile insito nel 25 aprile, che priva di senso qualsiasi altra ragione di protratta polemica o dissidio politico.
Anzitutto perché questo tipo di dissidi rimane, a rigore di legalità, subordinato alla priorità unificante della Costituzione stessa; detto in altri termini, chi dimentica di difendere la conquista della Costituzione, (purché l'abbia voluta comprendere), per abbandonarsi alle polemiche politiche contingenti derivate dalla guerra civile, lo fa in modo miope, culturalmente deficitario e autolesionista.
Anzitutto perché questo tipo di dissidi rimane, a rigore di legalità, subordinato alla priorità unificante della Costituzione stessa; detto in altri termini, chi dimentica di difendere la conquista della Costituzione, (purché l'abbia voluta comprendere), per abbandonarsi alle polemiche politiche contingenti derivate dalla guerra civile, lo fa in modo miope, culturalmente deficitario e autolesionista.
Infatti, sul piano dell'intelligenza delle cose, un valore comune a tutti e, indubbiamente superiore ad ogni altro, come la democrazia e il benessere dell'intero popolo sovrano, va difeso e perseguito al di là di ogni appartenenza politica.
Sarebbe ottuso pensarla diversamente e perdere di vista qualcosa che appartiene a tutti e di cui tutti possono, o avrebbero potuto, avvantaggiarsi, per lo meno disponendo di una cultura storica, economica e giuridica sufficiente a resistere agli spettacolini annualmente inscenati per distrarci, insensatamente (e probabilmente in modo orchestrato), da questo esito positivo e condiviso della Liberazione.
4. Una precisazione storica: se il partito comunista si fosse realmente appropriato a titolo esclusivo della lotta per la Liberazione, strumentalizzandola al punto da aver pretesamente condizionato il processo costituente, - conclusione che la lettura dei lavori della stessa Costituente smentisce in modo clamoroso- come si spiega che questi (che vedete sotto riportati) fossero gli equilibri politici, non certo favorevoli al partito comunista, all'interno della stessa Assemblea?
E come si spiega che questa - secondo la sopra riportata valutazione di Caffè, che prese parte alla stessa redazione della fondamentale Costituzione economica e dunque sapeva quel che diceva- abbia adottato quel modello keynesiano che è, in sé, il principale strumento politico di ostacolo (lo ammette lo stesso Popper), all'affermazione e alla progressione verso la rivoluzione propugnata dai marxisti?
Per smentire questa estenuante, tristemente strumentale, e incolta ri-qualificazione ex post della Costituzione come prodotto dei "nipotini di Stalin", basta verificare alcuni semplici dati storici (e magari cercarsene altri, a conferma, sempre che si abbia la voglia di leggersi la Costituzione nella palude, inter alia...):
Sarebbe ottuso pensarla diversamente e perdere di vista qualcosa che appartiene a tutti e di cui tutti possono, o avrebbero potuto, avvantaggiarsi, per lo meno disponendo di una cultura storica, economica e giuridica sufficiente a resistere agli spettacolini annualmente inscenati per distrarci, insensatamente (e probabilmente in modo orchestrato), da questo esito positivo e condiviso della Liberazione.
4. Una precisazione storica: se il partito comunista si fosse realmente appropriato a titolo esclusivo della lotta per la Liberazione, strumentalizzandola al punto da aver pretesamente condizionato il processo costituente, - conclusione che la lettura dei lavori della stessa Costituente smentisce in modo clamoroso- come si spiega che questi (che vedete sotto riportati) fossero gli equilibri politici, non certo favorevoli al partito comunista, all'interno della stessa Assemblea?
E come si spiega che questa - secondo la sopra riportata valutazione di Caffè, che prese parte alla stessa redazione della fondamentale Costituzione economica e dunque sapeva quel che diceva- abbia adottato quel modello keynesiano che è, in sé, il principale strumento politico di ostacolo (lo ammette lo stesso Popper), all'affermazione e alla progressione verso la rivoluzione propugnata dai marxisti?
Per smentire questa estenuante, tristemente strumentale, e incolta ri-qualificazione ex post della Costituzione come prodotto dei "nipotini di Stalin", basta verificare alcuni semplici dati storici (e magari cercarsene altri, a conferma, sempre che si abbia la voglia di leggersi la Costituzione nella palude, inter alia...):
Assemblea costituente 02/06/1946 - Italia[1]
Elettori: 28 005 449 - Votanti: 24 947 187 (89,08%)
Liste/Gruppi | Voti | % | Seggi |
---|---|---|---|
Democrazia Cristiana (DC) | 8 101 004 | 35,21 | 207 |
Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) | 4 758 129 | 20,68 | 115 |
Partito Comunista Italiano (PCI) | 4 356 686 | 18,93 | 104 |
Unione Democratica Nazionale (UDN) | 1 560 638 | 6,78 | 41 |
Fronte dell'Uomo Qualunque (UQ) | 1 211 956 | 5,27 | 30 |
Partito Repubblicano Italiano (PRI) | 1 003 007 | 4,36 | 23 |
Blocco Nazionale della Libertà (BNL) | 637 328 | 2,77 | 16 |
Partito d'Azione (Pd'A) | 334 748 | 1,45 | 7 |
Movimento Indipendentista Siciliano (MIS) | 171 201 | 0,74 | 4 |
Concentrazione Democratica Repubblicana | 97 690 | 0,42 | 2 |
Partito Sardo d'Azione | 78 554 | 0,34 | 2 |
Partito dei Contadini d'Italia | 102 393 | 0,44 | 1 |
Movimento Unionista Italiano | 71 021 | 0,31 | 1 |
Partito Cristiano Sociale | 51 088 | 0,22 | 1 |
Partito Democratico del Lavoro | 40 633 | 0,18 | 1 |
Fronte Democratico Progressista Repubblicano | 21 853 | 0,09 | 1 |
ALTRE LISTE | 412 550 | 1,79 | 0 |
TOTALI VOTI VALIDI | 23 010 479 | 100,00 | 556 |
SCHEDE NULLE | 1 936 708 | ||
DI CUI BIANCHE | 643 067 | ||
TOTALE VOTANTI | 24 947 187 |
I tre maggiori raggruppamenti furono quello della Democrazia Cristiana, che ottenne 207 seggi, e il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, con 115 e il Partito Comunista Italiano, con 104.
Il 25 giugno 1946 venne insediata l'Assemblea Costituente con Giuseppe Saragat alla presidenza. Come suo primo atto, il 28 giugno elesse come Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola. Su 504 votanti, De Nicola (PLI) ottenne 396 voti, Cipriano Facchinetti (PRI) 40, Ottavia Penna Buscemi (UQ) 32, Vittorio Emanuele Orlando (sin.storica) 12, Carlo Sforza (PRI) 2, Alcide De Gasperi (DC) 1, Alfredo Proja (DC) 1. Le schede bianche furono 14, le nulle 6."
Basti vedere come questa assemblea di nipotini (o figli) di Stalin abbia eletto come primo presidente della Repubblica un liberale e, poi, basta verificare come la effettiva e decisiva redazione della Costituzione fosse affidata alla presidenza di Meuccio Ruini (secondo le vicende e le modalità sopra linkate), della Commissione dei 75.
5. La premessa e i richiami finora introdotti meritano l'insistenza che ho ritenuto di proporre e che può così sintetizzarsi:
"E dunque, comparando la situazione di Giappone e Germania alla vicenda della Costituente italiana, si può percepire come quest'ultima sia risultata una effettiva concretizzazione della indipendenza riconquistata dal nostro Paese: la effettiva esplicitazione di quella nuova sovranità democratica, sostanziata dall'obbligatorio perseguimento dei diritti fondamentali sociali dei suoi cittadini come obiettivo primario e irrinunciabile.
Questa indipendenza, politico-culturale, di paese che fece emergere una eccezionale (e forse transitoria) vitalità democratica, attestata dall'alto livello di libertà e di profondità del dibattito in Costituente; e quindi, questa sovranità democratica (nell'attuazione obbligato per le istituzioni che comunque vi fu), non solo consentì un periodo di prosperità crescente e senza precedenti ai cittadini italiani, ma demarcano una vittoria. Forse non piena, parzialmente irrealizzata alla luce della realtà che ne seguì, ma non di meno tangibile.
Il senso più profondo e vitale del 25 aprile sta dunque nella sua successiva trasformazione nel processo Costituente, cioè la parte del manifestarsi dello Spirito del popolo italiano che, realmente, per quel momento, si convertì in una vittoria: sulle ragioni della fallimentare esperienza della dittatura ma, ancora più, sulle sue cause prime. Che precedono storicamente la stessa "non casuale" parentesi fascista.
Questo, e dunque la Costituzione, è ciò che dovremmo celebrare consapevolmente il 25 aprile.
Questa vittoria, della democrazia sostanziale e dell'Umanesimo, in un raro momento di grazia collettiva, dovremmo sempre difendere".
6. Quest'anno, nel 2016, peraltro, la miopia autolesionista delle polemiche sul 25 aprile è particolarmente dannosa, perché si vota un referendum relativo a una vasta riforma costituzionale.
Delle problematiche che da tale riforma derivano abbiamo parlato in questo post. Sono numerose e particolarmente "insidiose", in modo quasi irrisolvibile, ove si volesse preservare il senso stesso della Costituzione e del suo modello socio-economico di democrazia sovrana.
Noi sappiamo, o dovremmo sapere, che in base all'art.139 Cost, la "forma repubblicana" non è soggetta a revisione costituzionale.
Come e perché questa riforma (ma non solo, anche quelle passate, tentate o realizzate) ponga in pericolo il vero senso di tale "forma repubblicana", lo possiamo comprendere dal modo in cui la dottrina costituzionalista (del passato, quella direttamente scaturente dalla partecipazione alla Costituente) e la stessa Corte costituzionale abbiano colmato la lacuna di significato che avrebbe potuto generarsi su questa formula.
La forma repubblicana, intangibile da qualsiasi potere di revisione, infatti, almeno secondo la logica giuridica più coerente con i principi interpretativi che una volta erano il patrimonio comune della civiltà giuridica, consiste, secondo Mortati:
"...in tutti i principi fondamentali, sia organizzativi che materiali, o scritti o impliciti, della costituzione: sicchè la sottrazione dell'esercizio di alcune competenze costituzionalmente spettanti al parlamento, al governo, alla giurisdizione,...de'essere tale da non indurre alterazioni del nostro stato come stato di diritto democratico e sociale (il che renderebbe fortemente dubbia la stessa ratificabilità del trattato di Maastricht e poi di Lisbona, ndr). Non è possibile distinguere, fra le disposizioni costituzionali, quelle che riguardino i diritti e i doveri dei cittadini e le altre attinenti all'organizzazione, poichè vi è tutta una serie di diritti rispetto a cui le norme organizzative si presentano come strumentali alla loro tutela (rappresentatività delle assembleee legiferanti; precostituzione del giudice, organizzazione della giurisdizione tale da assicurare la pienezza del diritto di difesa ecc.). Pertanto il trasferimento di competenze dagli organi interni a quelli comunitari in tanto deve ritenersi ammissibile in quanto appaia sussistente, non già un'identità di struttura tra gli uni e gli altri, ma il loro sostanziale informarsi ad analoghi criteri in modo che risultino soddisfatte le esigenze caratterizzanti il nostro tipo di stato".
A sua volta la Corte costituzionale si attiene, con tutte le ambiguità che abbiamo più volte evidenziato, a una formula essenzialmente derivata da quella di Mortati (per ora...e in linea di astratta teoria):
"Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso […] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione» (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali “controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale(artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988)."
7. La forma repubblicana, e cioè l'area di intangibilità del modello democratico di tutela dei diritti essenziali, in particolare socio-economici, che caratterizza la nostra Costituzione - e che è il frutto della "concordia" e dell'armonia che in occasione del 25 aprile avremmo interesse a difendere sopra ad ogni altra priorità -, ne risulta sufficientemente determinata, dissipando i dubbi che al riguardo aveva sollevato Calamandrei in sede di assemblea Costituente.
Alla luce di questo "diritto vivente" supremo (almeno nella perdurante giurisprudenza della Corte costituzionale), dovrebbe preoccuparci, ora e in occasione della ricorrenza del 25 aprile, che la riforma costituzionale determini un effetto di sbilanciamento sull'Esecutivo di decisioni che non solo sfuggiranno sempre più all'autonoma deliberazione parlamentare e alla indipendenza di giudizio degli organi costituzionali di garanzia, ma che sono assunte, in modo crescente e divorante, in sede sovranazionale, e quindi al di fuori del circuito di deliberazione dell'indirizzo elettorale, democratico e costituzionale:
8. Tornano perciò di particolare attualità, oggi più che mai - se si sanno mettere da parte le orchestrazioni contrappositive che obiettivamente servono a distrarre l'opinione di massa dalla "vera posta in gioco"- gli avvertimenti fatti da Calamandrei rispetto alla modifica della parte non revisionabile della Costituzione, una volta chiarita, come abbiamo visto, la portata effettiva della clausola sulla "forma repubblicana":
Ed allora, in termini socio-economici, istituzionali e storicamente giustificabili, - che si richiamano cioè all'autentico patrimonio comune e unificante della festa della Liberazione-, quello che stiamo oggi vivendo potrebbe essere l'ultimo 25 aprile.
Dopo di questo, infatti, la definitiva distruzione (quale limpidamente descritta da Calamandrei) della Costituzione originaria del 1948, potrebbe riportarci allo stato di fatto meramente politico, in cui le forze politiche sarebbero di nuovo in libertà senza avere più nessuna costrizione di carattere legalitario.
Solo che queste stesse forze politiche "in libertà" e prive di una superiore cornice legalitaria sovrana, consegnerebbero, in pratica, il paese alla prevalenza di interessi politici ed economici neppure propri di una parte delle forze politiche e di soggetti nazionali (per quanto minoritari) bensì a quelli impostici dalle prevalenti forze "dei mercati" sovranazionali.
Delle problematiche che da tale riforma derivano abbiamo parlato in questo post. Sono numerose e particolarmente "insidiose", in modo quasi irrisolvibile, ove si volesse preservare il senso stesso della Costituzione e del suo modello socio-economico di democrazia sovrana.
Noi sappiamo, o dovremmo sapere, che in base all'art.139 Cost, la "forma repubblicana" non è soggetta a revisione costituzionale.
Come e perché questa riforma (ma non solo, anche quelle passate, tentate o realizzate) ponga in pericolo il vero senso di tale "forma repubblicana", lo possiamo comprendere dal modo in cui la dottrina costituzionalista (del passato, quella direttamente scaturente dalla partecipazione alla Costituente) e la stessa Corte costituzionale abbiano colmato la lacuna di significato che avrebbe potuto generarsi su questa formula.
La forma repubblicana, intangibile da qualsiasi potere di revisione, infatti, almeno secondo la logica giuridica più coerente con i principi interpretativi che una volta erano il patrimonio comune della civiltà giuridica, consiste, secondo Mortati:
"...in tutti i principi fondamentali, sia organizzativi che materiali, o scritti o impliciti, della costituzione: sicchè la sottrazione dell'esercizio di alcune competenze costituzionalmente spettanti al parlamento, al governo, alla giurisdizione,...de'essere tale da non indurre alterazioni del nostro stato come stato di diritto democratico e sociale (il che renderebbe fortemente dubbia la stessa ratificabilità del trattato di Maastricht e poi di Lisbona, ndr). Non è possibile distinguere, fra le disposizioni costituzionali, quelle che riguardino i diritti e i doveri dei cittadini e le altre attinenti all'organizzazione, poichè vi è tutta una serie di diritti rispetto a cui le norme organizzative si presentano come strumentali alla loro tutela (rappresentatività delle assembleee legiferanti; precostituzione del giudice, organizzazione della giurisdizione tale da assicurare la pienezza del diritto di difesa ecc.). Pertanto il trasferimento di competenze dagli organi interni a quelli comunitari in tanto deve ritenersi ammissibile in quanto appaia sussistente, non già un'identità di struttura tra gli uni e gli altri, ma il loro sostanziale informarsi ad analoghi criteri in modo che risultino soddisfatte le esigenze caratterizzanti il nostro tipo di stato".
A sua volta la Corte costituzionale si attiene, con tutte le ambiguità che abbiamo più volte evidenziato, a una formula essenzialmente derivata da quella di Mortati (per ora...e in linea di astratta teoria):
"Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso […] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione» (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali “controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale(artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988)."
7. La forma repubblicana, e cioè l'area di intangibilità del modello democratico di tutela dei diritti essenziali, in particolare socio-economici, che caratterizza la nostra Costituzione - e che è il frutto della "concordia" e dell'armonia che in occasione del 25 aprile avremmo interesse a difendere sopra ad ogni altra priorità -, ne risulta sufficientemente determinata, dissipando i dubbi che al riguardo aveva sollevato Calamandrei in sede di assemblea Costituente.
Alla luce di questo "diritto vivente" supremo (almeno nella perdurante giurisprudenza della Corte costituzionale), dovrebbe preoccuparci, ora e in occasione della ricorrenza del 25 aprile, che la riforma costituzionale determini un effetto di sbilanciamento sull'Esecutivo di decisioni che non solo sfuggiranno sempre più all'autonoma deliberazione parlamentare e alla indipendenza di giudizio degli organi costituzionali di garanzia, ma che sono assunte, in modo crescente e divorante, in sede sovranazionale, e quindi al di fuori del circuito di deliberazione dell'indirizzo elettorale, democratico e costituzionale:
"Insomma il SONDAGGISMO arriva a sostituirsi al Potere Costituente primigenio, nato dalla Resistenza, rafforzando un "potere costituito" - cioè di revisione in via solo derivata della Costituzione, che, a rigore, sarebbe invece fortemente condizionato dall'attenersi necessariamente a interventi "puntuali"- il cui unico scopo è agevolare I TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA.
E quindi quello di ACCELERARE LO SMANTELLAMENTO DELLA CAPACITA' DI INTERVENTO DELLO STATO A PROTEZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI SOCIALI, QUELLI NON REVISIONABILI E PREVISTI NELLA PRIMA PARTE DELLA COSTITUZIONE.
Questa è la posta in gioco, non un semplice anti-parlamentarismo come atteggiamento politico di intolleranza alla discussione arricchita da vari punti di vista.
Oggi come oggi, tutta la classe politica presente in parlamento, abbraccia senza apparenti dubbi (e senza dar segno di capire) la logica dello smantellamento dell'intervento dello Stato, quale previsto nei principi fondamentali della Costituzione (anche l'opposizione che avversa la riforma per le ragioni sbagliate, cioè avulse dal denunciare la predeterminazione dell'indirizzo politico, e persino costituzionale, in sede sovranazionale)."
"Dunque, la forma repubblicana non si potrà cambiare: è eterna, è immutabile. Che cosa vuol dire questa che può parere una ingenuità illuministica in urto colle incognite della storia futura? Vuol dire semplicemente questo: che, se domani l'Assemblea nazionale nella sua maggioranza, magari nella sua unanimità, abolisse la forma repubblicana, la Costituzione non sarebbe semplicemente modificata, ma sarebbe distrutta; si ritornerebbe, cioè, allo stato di fatto, allo stato meramente politico in cui le forze politiche sarebbero di nuovo in libertà senza avere più nessuna costrizione di carattere legalitario, e in cui quindi i cittadini, anche se ridotti ad una esigua minoranza di ribelli alle deliberazioni quasi unanimi della Assemblea nazionale, potrebbero valersi di quel diritto di resistenza che l'articolo 30 del progetto riconosce come arma estrema contro le infrazioni alla Costituzione."
Ed allora, in termini socio-economici, istituzionali e storicamente giustificabili, - che si richiamano cioè all'autentico patrimonio comune e unificante della festa della Liberazione-, quello che stiamo oggi vivendo potrebbe essere l'ultimo 25 aprile.
Dopo di questo, infatti, la definitiva distruzione (quale limpidamente descritta da Calamandrei) della Costituzione originaria del 1948, potrebbe riportarci allo stato di fatto meramente politico, in cui le forze politiche sarebbero di nuovo in libertà senza avere più nessuna costrizione di carattere legalitario.
Solo che queste stesse forze politiche "in libertà" e prive di una superiore cornice legalitaria sovrana, consegnerebbero, in pratica, il paese alla prevalenza di interessi politici ed economici neppure propri di una parte delle forze politiche e di soggetti nazionali (per quanto minoritari) bensì a quelli impostici dalle prevalenti forze "dei mercati" sovranazionali.