

1. Su segnalazione di Alberto (di cui riproduciamo più sotto un commento svolto su Goofynomics e connesso al tema, in un modo che dovrebbe risultare evidente), pubblichiamo per intero un post tratto dal blog di "Correttore di bozzi".
La ragione per cui lo facciamo, trattandosi di un eccezionale episodio di post "esogeno", non sta nella semplice citazione ragionata di una serie di post di orizzonte48, richiamati come antecedenti per la comprensione del tema, quanto nella esigenza di "non dispersione" e di completezza del discorso intrapreso in questa sede.
Il post in questione si integra in tale discorso e consente dunque un arricchimento della comprensione asseverata da fonti preziose: da conservare, appunto...
Materiale sui rapporti fra fascismo e liberismo
Data la lunghezza, pubblico qui le citazioni di supporto alla risposta a questo commento su Goofynomics.
Oltre a quanto segue si consiglia la lettura di (almeno) questi articoli sul blog di Luciano Barra Caracciolo:
Oltre a quanto segue si consiglia la lettura di (almeno) questi articoli sul blog di Luciano Barra Caracciolo:
- ANTIFASCISTI SU MARTE: LA CECITA' SUL "PERCORSO A RITROSO" soprattutto dal punto 3 e dibattito nei commenti;
- V€RSO LA SCHIAVITU': DALL'ORDOLIBERISMO AL LAVORO MERCE in particolare i punti 4 e 5;
- LIBERISMO E LIBERALISMO: LA LIBERTA' NON E' UN BENE IN SE' MA LA INSINDACABILE RAZIONALITA' DEL MERCATO sulla (non) possibile —ed autoassolutoria— distinzione fra liberalismo e liberismo.
Dal libro di Raffaello Uboldi, La presa del potere di Benito Mussolini (p. 137 e seguente):
“Del resto non è che piaccia troppo questo romagnolo di dubbie origini e di dubbio credo, quello che vogliono i capitani d'industria è soprattutto tornare a lavorare e produrre adesso che lo spettro della rivoluzione è stato esorcizzato. Si vuole comunque capire —a pericolo cessato— dove il fascismo intende portare il paese, semmai arriverà al potere. Da qui le rassicurazioni, che non mancano, e non mancheranno, partendo dalla prospettiva di uno Stato «manchesteriano», cioè privatizzato, che Mussolini ha così delineato:
«Lo Stato ci dia una polizia, che salvi i galantuomoni dai furfanti, una giustizia bene organizzata, un esercito pronto per tutte le eventualità, una politica estera intonata alle necessità nazionali. Tutto il resto, e non escludo nemmeno la scuola secondaria, deve rientrare nell'attività privata dell'individuo».
Una affermazione di principio, un solenne articolo di fede cui ha fatto seguito la pubblicazione di un più preciso programma economico-finanziario fascista, redatto da due convinti liberisti, Massimo Rocca e Ottavio Corgini. Un programma che prevede l'abolizione dell'iniziativa parlamentare in materia di proposte di nuove spese, la riforma della burocrazia, la cessione ai privati delle aziende industriali di Stato, l'abolizione degli organi statali inutili, la razionalizzazione dei tributi e delle leggi che inceppano la produzione.”
Programma che prevede l'enunciazione di una teoria del trickle-downante litteram:
“E sul finire: «Nulla è più falso della pretesa di tassare i ricchi per risparmiare i poveri. In realtà tutti i produttori, del braccio e del pensiero, esecutori e dirigenti, sono legati alle sorti dell'economia nazionale, e la demagogia finanziaria che inceppa l'attività di questi, ricade fatalmente su quelli con i suoi danni presenti e senza alcun utile positivo».”
Uboldi precisa: “Non sarà questa, non al cento per cento, la politica economica dello Stato fascista, che annacquerà il liberalismo delle origine nelle pastoie del corporativismo.”
Certo, se hai dei propositi bellicosi, una politica economica che ti deprime l'economia e porta alla fame quelli che dovranno costituire il grosso del tuo esercito non è il massimo.
Poi spunta er padre della Patria che si esprime sulla Voce del Padrone:
“Si capiscono tuttavia le reazioni del mondo economico. Valga per tutti il commento del «Corriere della Sera». Per la penna di Einaudi si legge che «il programma … di Corgini e Rocca è un esempio di ritorno alle sorgenti. Nel caso nostro le sorgenti sono quelle liberali dell'economia classica, adattate alle necessità dell'ora presente».”
Ancora sul programma di Rocca e Corgini, questa volta tratto da Le politiche economiche e finanziarie del governo Mussolini negli anni ‘20 di Andrea Virga, ritroviamo la riduzione del perimetro dello Stato, il taglio delle tasse e il pareggio di bilancio:
“Il Fascismo Nazionale
...
Un altro documento di grande importanza è la relazione pel risanamento finanziario dello Stato, presentata da Massimo Rocca e Ottavio Corgini alla vigilia della Marcia su Roma[12] (Partito Nazionale Fascista, Per il risanamento della finanza pubblica, Roma, settembre 1922.). In primo luogo, esso lamenta il continuo peggioramento del disavanzo annuale dello Stato, per cui accusa le richieste di spesa del Parlamento, e al cui proposito raccomanda l’abolizione dell’iniziativa parlamentare, in favore del solo lavoro del Ministero delle Finanze. Oltre ai soliti appunti sulla necessità di riformare la burocrazia e snellire il sistema tributario, è rilevante il proposito di “equilibrare le tassazioni”, ovvero ridurre la pressione fiscale sulle classi capitaliste, in modo da colmare il deficit non già grazie alle imposte, ma grazie all’aumento della produzione e della ricchezza. Queste misure dovrebbero secondo i relatori eliminare il disavanzo fiscale, condizione questa indispensabile per limitare il ribasso della valuta e l’aumento del costo della vita.”
Poi ci fu la battaglia per la moneta forte:
“La "battaglia di quota novanta"
...
Un tale rafforzamento sgomentò lo stesso Volpi, il quale si interrogò circa l’opportunità di una simile rivalutazione, ma Mussolini insistette sul valore, ormai propagandistico, della "quota 90".
Gli effetti politici furono senz’altro positivi, soprattutto sul piano del consenso. Le conseguenze economiche, tuttavia, risultarono in una forte contrazione del credito e una pesante deflazione, con un aumento rapido e vertiginoso della disoccupazione da 241.889 (30 giugno 1927) a 341.782 (31 ottobre). Nonostante ciò, piuttosto che tornare a una svalutazione della lira fino a raggiungere un valore più favorevole, si preferì agire con tre provvedimenti principali: la riduzione dell’indennità caro-vita e dei salari, l’alleggerimento del carico fiscale e la riduzione degli affitti.”
Infine, tratto daMises on Fascism, Democracy, and Other Questions, il parere ben informato dei liberisti su quale sia la libertà a cui sono interessati e che il fascismo gli potrebbe garantire:
“Giretti’s initial support of the Fascist movement is highly illuminating:
Poi spunta er padre della Patria che si esprime sulla Voce del Padrone:
“Si capiscono tuttavia le reazioni del mondo economico. Valga per tutti il commento del «Corriere della Sera». Per la penna di Einaudi si legge che «il programma … di Corgini e Rocca è un esempio di ritorno alle sorgenti. Nel caso nostro le sorgenti sono quelle liberali dell'economia classica, adattate alle necessità dell'ora presente».”
Ancora sul programma di Rocca e Corgini, questa volta tratto da Le politiche economiche e finanziarie del governo Mussolini negli anni ‘20 di Andrea Virga, ritroviamo la riduzione del perimetro dello Stato, il taglio delle tasse e il pareggio di bilancio:
“Il Fascismo Nazionale
...
Un altro documento di grande importanza è la relazione pel risanamento finanziario dello Stato, presentata da Massimo Rocca e Ottavio Corgini alla vigilia della Marcia su Roma[12] (Partito Nazionale Fascista, Per il risanamento della finanza pubblica, Roma, settembre 1922.). In primo luogo, esso lamenta il continuo peggioramento del disavanzo annuale dello Stato, per cui accusa le richieste di spesa del Parlamento, e al cui proposito raccomanda l’abolizione dell’iniziativa parlamentare, in favore del solo lavoro del Ministero delle Finanze. Oltre ai soliti appunti sulla necessità di riformare la burocrazia e snellire il sistema tributario, è rilevante il proposito di “equilibrare le tassazioni”, ovvero ridurre la pressione fiscale sulle classi capitaliste, in modo da colmare il deficit non già grazie alle imposte, ma grazie all’aumento della produzione e della ricchezza. Queste misure dovrebbero secondo i relatori eliminare il disavanzo fiscale, condizione questa indispensabile per limitare il ribasso della valuta e l’aumento del costo della vita.”
Poi ci fu la battaglia per la moneta forte:
“La "battaglia di quota novanta"
...
Un tale rafforzamento sgomentò lo stesso Volpi, il quale si interrogò circa l’opportunità di una simile rivalutazione, ma Mussolini insistette sul valore, ormai propagandistico, della "quota 90".
Gli effetti politici furono senz’altro positivi, soprattutto sul piano del consenso. Le conseguenze economiche, tuttavia, risultarono in una forte contrazione del credito e una pesante deflazione, con un aumento rapido e vertiginoso della disoccupazione da 241.889 (30 giugno 1927) a 341.782 (31 ottobre). Nonostante ciò, piuttosto che tornare a una svalutazione della lira fino a raggiungere un valore più favorevole, si preferì agire con tre provvedimenti principali: la riduzione dell’indennità caro-vita e dei salari, l’alleggerimento del carico fiscale e la riduzione degli affitti.”
Infine, tratto daMises on Fascism, Democracy, and Other Questions, il parere ben informato dei liberisti su quale sia la libertà a cui sono interessati e che il fascismo gli potrebbe garantire:
“Giretti’s initial support of the Fascist movement is highly illuminating:
I am more than ever convinced that without economic liberty, liberalism is an abstraction devoid of any real content, when it is not a mere electoral hypocrisy and imposture. If Mussolini with his political dictatorship will give us a regime of greater economic freedom than that which we have had from the dominant parliamentary mafias in the last one hundred years, the sum of good which the country could derive from his government would surpass by far that of evil.
Thus, at this early point, Giretti, like the other liberisti, shared the interpretation of Fascism which one scholar has attributed to Luigi Albertini, editor of the influential Corriere della Sera, that it was “a movement at once anti-Bolshevik (in the name of the authority of the state) and economically liberal, capable, that is, of giving a new vigor” to the liberal idea in Italy.90
A major early Fascist figure who was also an economic liberal was Leandro Arpinati, leader of the squadristi of Bologna. Arpinati later broke with Mussolini over the latter’s increasingly interventionist policies.”
A major early Fascist figure who was also an economic liberal was Leandro Arpinati, leader of the squadristi of Bologna. Arpinati later broke with Mussolini over the latter’s increasingly interventionist policies.”
2. Questo poi il commento di Alberto Bagnai su un tema strettamente connesso e, purtroppo, oggi tornato di angosciante attualità (citerò poi altri commenti tratti dal dibattito generato da quel post, dibattito che invito a leggere integralmente):
"...Io non sto dicendo che le parti belligeranti nella seconda guerra mondiale si siano dichiarate rispettivamente liberista e antiliberista, per poi combattersi frontalmente come in un simpatico torneo medievale. Io sto dicendo una cosa un po' diversa, che nessuno mi sembra voglia capire (il che spiega, peraltro, perché si stia ripetendo):
[1] che il capitalismo presenta una sua intrinseca instabilità, che si esalta nel momento in cui le istanze "liberiste" (pro capitale) prendono il sopravvento schiacciando la distribuzione dei redditi da lavoro e aprendo la strada alla finanziarizzazione del sistema;
[2] che, a valle delle crisi che questo modello "liberista" cagiona, la risposta "liberista"è deflazionista;
[3] che a valle della spirale deflazionista, l'unico modo per far ripartire il sistema è una guerra, e che quindi, strutturalmente, la causa della guerra è un certo modo di gestire i rapporti sociali di produzione (modo che abbiamo deciso un po' sbrigativamente di identificare con il termine "liberista", sul quale ci sarebbe da discutere);
[4] che, a valle degli orrori della guerra, le forme umane senzienti mantengono una labile memoria del come ci si sia arrivati, e quindi producono Piani Beveridge e quant'altro, determinando "a ratifica" del conflitto una sua sostanziale rilettura funzionale in chiave "antiliberista" (perché l'esito del conflitto è COMUNQUE ANCHE che le politiche liberiste vengono temporaneamente accantonate pro bono pacis).
[5] che queste dinamiche si stanno riproducendo oggi nei loro tratti essenziali.
Spero che saremo d'accordo sul fatto che Roosevelt non ha fatto ripartire l'America perché era "cheinesiano antilibberista": l'ha fatta ripartire perché si è fatto tirar giù qualche naviglio in una isoletta che non saprei localizzare esattamente sulla carta geografica, dopo di che si è "dovuto" regolare di conseguenza.
Ci siamo, no?
Quindi, la risposta su chi e come scatenerà il prossimo conflitto antideflazionista mi pare sia piuttosto chiara: come nel caso precedente, gli Stati Uniti. Mi pare anche che ci stiano provando in ogni e qualsiasi modo e alla fine ci riusciranno. Lo scrivono sui loro giornali che c'è bisogno di una guerra per uscire dalla "secular stagnation". Lo avrà notato, no? Notarlo è il suo lavoro e sono sicuro che lei lo fa benissimo. Può sembrare paradossale, ma non lo è tanto: alla fine è il liberismo (capitalismo) che combatte se stesso per assicurare la propria sopravvivenza. E finora ha funzionato, con grande smarrimento di chi proponeva un modello alternativo".
[1] che il capitalismo presenta una sua intrinseca instabilità, che si esalta nel momento in cui le istanze "liberiste" (pro capitale) prendono il sopravvento schiacciando la distribuzione dei redditi da lavoro e aprendo la strada alla finanziarizzazione del sistema;
[2] che, a valle delle crisi che questo modello "liberista" cagiona, la risposta "liberista"è deflazionista;
[3] che a valle della spirale deflazionista, l'unico modo per far ripartire il sistema è una guerra, e che quindi, strutturalmente, la causa della guerra è un certo modo di gestire i rapporti sociali di produzione (modo che abbiamo deciso un po' sbrigativamente di identificare con il termine "liberista", sul quale ci sarebbe da discutere);
[4] che, a valle degli orrori della guerra, le forme umane senzienti mantengono una labile memoria del come ci si sia arrivati, e quindi producono Piani Beveridge e quant'altro, determinando "a ratifica" del conflitto una sua sostanziale rilettura funzionale in chiave "antiliberista" (perché l'esito del conflitto è COMUNQUE ANCHE che le politiche liberiste vengono temporaneamente accantonate pro bono pacis).
[5] che queste dinamiche si stanno riproducendo oggi nei loro tratti essenziali.
Spero che saremo d'accordo sul fatto che Roosevelt non ha fatto ripartire l'America perché era "cheinesiano antilibberista": l'ha fatta ripartire perché si è fatto tirar giù qualche naviglio in una isoletta che non saprei localizzare esattamente sulla carta geografica, dopo di che si è "dovuto" regolare di conseguenza.
Ci siamo, no?
Quindi, la risposta su chi e come scatenerà il prossimo conflitto antideflazionista mi pare sia piuttosto chiara: come nel caso precedente, gli Stati Uniti. Mi pare anche che ci stiano provando in ogni e qualsiasi modo e alla fine ci riusciranno. Lo scrivono sui loro giornali che c'è bisogno di una guerra per uscire dalla "secular stagnation". Lo avrà notato, no? Notarlo è il suo lavoro e sono sicuro che lei lo fa benissimo. Può sembrare paradossale, ma non lo è tanto: alla fine è il liberismo (capitalismo) che combatte se stesso per assicurare la propria sopravvivenza. E finora ha funzionato, con grande smarrimento di chi proponeva un modello alternativo".
3. Va soggiunto che, in uno scenario di potenze internazionali dotate di armi nucleari strategiche (ma anche "tattiche"), l'irresistibile deriva guerrafondaia può, logicamente e prevedibilmente, assumere caratteri ben diversi da quelli della seconda guerra mondiale (di cui condividiamo la definizione, originata da Karl Schmitt, di "guerra civile mondiale": per capire meglio questa acuta definizione, occorrerebbe uscire dalla visione europeo-centrica della stessa ultima guerra mondiale e verificare l'andamento del conflitto in altre, oggi più che mai, importanti aree del mondo).
Ma, anche questo, è un discorso già svolto in varie occasioni (che forse vale la pena di approfondire ulteriormente; per quanto questo sia un blog di analisi economica del diritto pubblico)...
ADDENDUM: ci pare giusto, per completezza di fonti direttamente attestanti l'analisi riportata nel post, questa citazione compiuta da Bazaar nei commenti:
ADDENDUM: ci pare giusto, per completezza di fonti direttamente attestanti l'analisi riportata nel post, questa citazione compiuta da Bazaar nei commenti:
"...riproduco qui, per ordine, il passo di Ludwig von Mises recentemente riportato:
«Non si può negare che fascismo e movimenti simili, finalizzati ad imporre delle dittature, siano pieni delle migliori intenzioni e che il loro intervento abbia, per il momento, salvato la civiltà europea. Il merito che il fascismo ha così ottenuto per sé, continuerà a vivere in eterno nella storia. Ma se la sua politica ha portato la salvezza, per il momento, non è della specie che potrebbe promettere di continuare ad avere successo. Il fascismo è stato un ripiego d'emergenza. Vederlo come qualcosa di più sarebbe un errore fatale.»
Mises maestro di Hayek (e anche consulente sull'euro ante-litteram del fondatore di Paneuropa) ammette, di fatto, che il totalitarismo nasce come risposta del liberalismo classico alle rivendicazioni socialiste e democratiche.