
1. Oggi ho visto, su un canale televisivo in servizio permanente effettivo di talk-show di informazione ordoliberista, un espertone che, grazie all'introduzione ad hoc del conduttore, tirava fuori i "dati" che spiegherebbero la minore crescita italiana rispetto al resto dell'eurozona (in realtà anche rispetto all'UE, perché in queste trasmissioni non si distingue troppo sull'importanza di avere l'euro o no: se si è virtuosi, produttivi e competitivi, lo si è e basta. L'euro, si sa, "è solo una moneta"). Dunque, quali dati hanno estratto dal cilindro?
Ci si poteva aspettare che fossero quelli relativi al rispetto dei limiti imposti dal trattato o, peggio, dal fiscal compact al deficit pubblico

o quelli sul minor aumento della spesa pubblica (= calo della spesa reale), realizzato in Italia


Dato relativo alla spesa, su cui, - come le tivvì stranamente ignorano - abbiamo pure l'interpretazione autentica del Ministro più qualificato dell'attuale governo, che è stato responsabile economico dell'OCSE e s'è occupato di Argentina quando stava al FMI:
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o, ancora, quello sul calo delle retribuzioni reali (e quindi della spesa privata, cioè dei consumi, e dei risparmi e, quindi, degli investimenti):

No: l'espertologo si era preparato il dato sulla spesa pensionistica "mostruosa" italiana, adducendo che era la più alta d'€uropa rispetto al PIL. Conseguenza inevitabile: per tornare a crescere dobbiamo tagliare le pensioni ponendo un tetto massimo di 3000 euro, a prescindere dall'ammontare dei contributi versati nel corso della vita lavorativa.
2. Rammentiamo anzitutto la controvertibilità del dato comparato circa la presunta "maggior" spesa pensionistica italiana (che considerata la maggior aspettativa di vita italiana, al di là degli ormai abrogati regimi di pensionamento anticipato, avrebbe pure un significato positivo, circa il funzionamento complessivo del nostro welfare...in passato); e lo faremo ricorrendo alle parole, già viste, dell'economista che studia più seriamente la questione, il prof.Pizzuti:
"Anche in Italia si è verificata la stessa illusione statistica; attualmente la spesa sociale è pari al 28,4% del Pil, in linea con i valori medi europei.
Tuttavia, se confrontiamo il valore pro capite, il nostro paese registra un forte e crescente divario negativo: fatto pari a 100 il valore medio dell’Unione a 15 nel 1995, quell’anno il dato italiano era 84,1, ma da allora è calato fino a 75,8 del 2011.
In tutti i paesi europei, tranne l’Irlanda, la voce di spesa più importante è la previdenza (15,1% nell’EU-16); questa voce in Italia è pari al 18,8%, in Francia al 16,5% e in Germania al 13,6%.
La superiorità del nostro dato previdenziale di 3,7 punti rispetto alla media europea è tuttavia viziata da diverse disomogeneità presenti nelle statistiche.
I. Ad esempio, l’Eurostat include nella spesa pensionistica italiana i trattamenti di fine rapporto (pari all’1,7% del Pil) che non sono prestazioni pensionistiche.
II. C’è poi che le spese pensionistiche sono confrontate al lordo delle ritenute d’imposta, ma le uscite pubbliche sono quelle al netto.
Tuttavia, mentre in Italia le aliquote fiscali (sulle pensioni) sono le stesse che si applicano ai redditi da lavoro, per un ammontare trattenuto pari a circa il 2,5% del Pil, in altri paesi spesso sono inferiori e in Germania sono addirittura nulle, cosicché i confronti operati al lordo sovrastimano i nostri trasferimenti pensionistici che, in realtà, non sono affatto anomali.
In ogni caso, dopo le riforme del 1992 e 1995, fin dal 1998 il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali nette è sempre stato attivo; l’ultimo dato, del 2011, è di ben 24 miliardi di euro. Dunque, il nostro sistema pensionistico pubblico non grava sul bilancio pubblico, anzi lo migliora in misura consistente (pari a sei volte le entrate Imu sulla prima casa!)".
3. Soggiungiamo che comunque la spesa pensionistica è una componente positiva del PIL e quindi appare curioso predicare una maggior crescita italiana tagliando una componente del PIL; che tra l'altro, è appunto anche una componente complessivamente attiva del bilancio dello Stato, consentendo, in teoria, ove non si dovessero realizzare continui avanzi primari, record del mondo, il reimpiego di tale surplus in altri settori di intervento pubblico.
Ma gli avanzi primari record, quelli sì, spiegano la minor crescita italiana, cioè il maggior output-gap.
MA DI QUELLI NON SI PARLA.
Almeno in televisione (se non per illudere la massa che si tratterebbe di un evento positivo: facciamo più saldo primario e...torneremo a crescere!).

4. Senza ulteriormente approfondire, visto che nel mondo mediatico neo-orwelliano degli espertologi, i dati sono quello che sono, cioè strumenti di propaganda velenosa, priva di ogni collegamento coi meccanismi causa/effetto, in questo clima, nuovamente accelerato, si parla, come di una prospettiva ineludibile, dell'arrivo in Italia della trojka: l'unica entità dotata dell'alto profilo moralizzatore tale da poter imporre il taglio delle pensioni, la patrimonialona, e magari una disciplina stringente della contrattazione aziendale, legalmente autorizzata a regolare il rapporto di lavoro secondo le concrete esigenze della singola azienda (eliminando dal campo la stessa funzione dei contratti di solidarietà, che hanno l'immorale difetto di attenuare fiscalmente, cioè con l'odiata spesa pubblica "sociale, per un certo periodo transitorio, la brutale riduzione delle retribuzioni).
5. Ebbene, non temo l'arrivo in Italia della trojka.
Semplicemente perché, oggi più di ieri - in tempi di referendum che rischia di andare "storto" e di ricapitalizzazione MPS che va tirata per le lunghe in modo da andare al 2017, perpetuando così un ricatto emergenziale incombente sull'intervento pubblico, (discrezionalmente già interdetto "su misura" per l'Italia)- dobbiamo rammentare che la trojka è già qui:
"Ormai, infatti, mancano le risorse culturali collettive, e non esiste più quasi nulla che si opponga al dominio totalitario della versione infeudata 2.0. del Quarto partito...Abbiamo una trojka autoctona, incorporata con la sua religione, dentro alla parte più profonda delle istituzioni, del pensiero accademico, di ogni possibile comunicazione mediatica".

6. Più semplicemente, dobbiamo considerare che l'attuale governo, partiva da una piattaforma, il cui contesto generativo riassumemmo esattamente tre anni fa, incentrata su riduzione della spesapubblicabrutta e su misure supply side.
Ora, l'andamento della (non) crescita, - tutto sommato abbastanza scontato e connesso alla ottusa ostinazione diffusa in tutta l'eurozona nel seguire la pianificazione economica neo-ordo-liberista-, nonché il dispiegarsi degli effetti di ristrutturazione geo-economica determinati dall'Unione Bancaria, inducono a una certa circospezione nel proseguire questa linea, inasprendola nelle forme imposte dalle regole €uropee cui abbiamo zelantemente aderito.
Quindi, ci vuole una nuova emergenza su sprechi, spesa pubblica mostruosa e "abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità", per imporre, nel terrorismo mediatico mandato al massimo della sua potenza, l'attuazione brutale "autogestita" delle condizionalità €uropee come "male minore" rispetto al mitologico "arrivo della trojka".
7. Bisognerà vedere chi gestirà questa nuova fase di inasprimento: naturalmente "al riparo dal processo elettorale".
Ma in fondo, non ha neppure troppa importanza: tutti i salmi finiscono in gloria e ogni singolo elemento della "comunicazione brutale", che ci attende nei prossimi mesi, sarà volto a risolvere la fase finale dell'assedio:
Il pericolo non è l'arrivo della trojka che, come dovremmo ormai aver capito, è, nei fatti, già qui da un bel pezzo, (Monti ipse dixit); e forse non è neppure l'inasprimento inevitabile delle politiche attualmente imposte dall'€uropa ad opera del consueto governo tecno-pop, che farebbe ciò che sarebbe stato comunque fatto, solo con un po' più di brutalità nella comunicazione.
Il problema è che non c'è nessuno, ma proprio nessuno, capace di offrire un'alternativa risolutiva a questo scivolare verso il baratro. Peggio: è che non c'è nessuno, ma proprio nessuno, che sarebbe capace di trovare una linea di resistenza diffusa ed efficace a quella"comunicazione brutale" che sarà il perno della propaganda, già dilagante, dell'ennesima "svolta".
Una comunicazione che, come diceva Orwell, assume la forma dell'assedio.
