
Il gelido inverno e le rivoluzioni...e Parigi nel suo Natale ghiacciato

1. Siamo alla vigilia di Natale.
Per la forza dei ricordi che (prevalentemente, non sempre), accumuliamo da bambini, ciò dovrebbe portarci a un momento di ricerca di serenità che, un po' episodicamente (a dirla tutta), si raggingerebbe nel cercare di far (un po') felici le persone più vicine e, volendo abbondare, il nostro prossimo.
Date queste circostanze, quindi, eviterò, almeno oggi, di approfondire il "groviglio" economico-finanziario e istituzionale che sta nascendo, non a caso, e comunque in modo paradigmatico (di un modus procedendi "sistemico"), intorno alla questione della ricapitalizzazione di Stato di MPS.
1.1. Quello che posso anticipare, - e qui mi fermo- è che la questione MPS vede l'intreccio di tre aspetti di simultanea e concomitante de-sovranizzazione del nostro Paese:
a) quello relativo all'aspetto fiscale, per cui si intrecceranno, nel corso del 2017, la questione della "correzione dei conti" relativa ai saldi strutturali del pubblico bilancio della nostra ultima legge di "stabilità", non approvati allo stato dalla Commissione UE, (onde, mai come quest'anno, in chiave €uropeista, la legge di stabilità risulta piuttosto "instabile") e il "piano di rientro" conseguente al concreto sforamento del fabbisogno (deficit) autorizzato con la strna procedura di cui abbiamo parlato nel precedente post;
b) quello relativo alla praticabilità, secondo la disciplina €uropea, di un intervento statale di ricapitalizzazione e, sottolineiamolo, di sostanziale "nazionalizzazione" con conseguente gestione pubblica del problema, ineludibile, dei "non performing loans" (prospettiva che, anch'essa, si preannuncia potenzialmente paradigmatica e sistemica);
c) quello, infine, relativo all'intrecciata questione della legittimità degli "aiuti di Stato", e quindi sotto il (paradossale) profilo della concorrenza, dello stesso pubblico intervento.
2. Come, da un tale intreccio asfissiante, ne uscirà la facciata residua della nostra sovranità, è l'interrogativo dominante che pone il 2017; frattalico alquanto, si può dire.
Rammentiamo che, secondo una lettura della nostra Costituzione rapportata alla più autorevole dottrina:
"il concetto di sovranità viene a designare il modo di essere proprio del potere statale e, se si tiene conto della duplice direzione verso cui esso assume rilievo, risulta contrassegnato, sotto un aspetto, dalla indipendenza dello Stato di fronte ad altri ordinamenti esterni al suo territorio, e, sotto un altro, dalla supremazia che ad esso compete di fronte ai singoli e alle comunità esistenti all'interno del territorio stesso".
Dunque:
"La potestà sovrana, necessaria a qualunque ente politico per il conseguimento del fine suo proprio di assicurare la pacifica coesistenza degli interessi vari, ed a volte contrastanti fra loro, che siano considerati bisognevoli di tutela, si estrinseca in con diversa intensità ed estensione...
Qualsiasi ente che si proclami sovrano riesce ad esserlo nei limiti che, da una parte, risultano imposti dalle situazioni di fatto, e, dall'altra, appaiono richiesti dalla stessa ragion d'essere del potere sovrano, che, mirando a realizzare un ordine in una società, non può non organizzarsi ed operare in modo ordinato, sottoporsi cioè ad una disciplina che...non cessa di essere giuridica pel fatto che provenga dallo stesso potere che vi si assoggetta".
E tutto questo, nei termini della nostra Costituzione, ci porta a rammentare che:
"Laddove, quindi, si afferma il principio di eguaglianza sostanziale, lo Stato, e lo strumento della sovranità, assumono altri fini e altre funzioni, che ne implicano un intervento attivo a favore di tutti i gruppi e le classi sociali; la sovranità è così volta, nella sua accezione interna, alla risoluzione effettiva del conflitto sociale, ammettendosene normativamente, al massimo livello giuridico, l'esistenza e la priorità rispetto al fine di "assicurare la pacifica coesistenza" di un numero il più possibile allargato di "interessi
Questa mutevole "ragion d'essere"(o causa) del potere sovrano, fa sì che anche nei rapporti esterni propri della sovranità, instaurati con qualsiasi altra "entità", il suo contenuto e i suoi fini caratterizzino diverse modalità dei rapporti (di diritto internazionale).
Perciò, i fini e le funzioni costituzionali (la concreta "ragion d'essere") di ciascun Stato, assumono una rilevanza tale che, in ragione di essi, quando si parla di riaffermazione della sovranità"esterna" (in tutti i casi "originaria" e "superiorem non recognoscens"), non si implica necessariamente di avere gli stessi obiettivi e gli stessi valori di riferimento rispetto a paesi che, nelle rispettive Costituzioni, abbiano strumentalizzato la sovranità ad una diversa e più ampia sfera di interessi da tutelare".
3. Abbiamo parlato di assicurazione della pacifica coesistenza degli interessi compositi dell'intera società (fine e giustificazione della sovranità di uno Stato democratico sociale e non "liberale", qual è il nostro) e ci riallacciamo al Natale-inverno che precedette la rivoluzione francese.
Siamo dunque nell'inverno nel periodo natalizio tra il 1788 e il 1789 (traggo dall'ottimo libro di Hillary Mantel "La storia segreta della rivoluzione", pag.219 e ss.). Da taluni definito il "più crudo del secolo" e considerato come una delle concause della successiva rivoluzione.
Sentite quanto certi meccanismi, come conseguenza della privazione della sovranità monetaria e fiscale dello Stato nonchè della ricerca del "pareggio di bilancio" ad ogni costo, - e sottolineo come conseguenza di questi "virtuosi" principi vincolanti- tendano a ripresentarsi nella Storia.
L'antefatto è quello del (tentato) risanamento delle casse dello Stato francese, provate dall'appoggio dato alla rivoluzione americana finanziando, in regime di gold standard, un conflitto globale, con truppe e flotta dispiegati in vari continenti.
4. E dunque, già nell'estate del 1788 (pag. 212, op. cit.):
"Necker, appena insediato, iniziò a negoziare un prestito all'estero. Il prezzo del pane aumenterà di 2 lire tornesi...", e iniziano le prime rivolte a Parigi:
"Anno nuovo. Uscendo per strada si pensa ecco, ci siamo, siamo alla bancarotta, al crollo, alla fine del mondo...I diseredati [sostanzialmente immigrati affluiti in massa dalle campagne, ndQ.] sono coloro che hanno lasciato le grotte, che hanno abbandonato i campi pietrosi ricoperti di neve dove non credono che crescerà più niente...Quelli che raggiungono Parigi [da vivi, dopo un cammino di gelide sofferenze, che eliminano fisicamente donne anziane e bambini, ndQ.] ancora in forze si mettono a cercare lavoro."Lasciano a casa i nostri operai" viene detto loro, "la nostra gente"; per quelli di fuori non c'è niente da fare....I nuovi venuti si radunano in luoghi riparati ma non discutono la situazione perché non c'è nulla da discutere. All'inizio di aggirano intorno ai mercati nel tardo pomeriggio; alla chiusura, quando il pane rimasto viene venduto a poco prezzo o dato via; le prime ad arrivare sono le ruvide mogli parigine. Qualche tempo dopo il pane finisce appena passato mezzogiorno. Ai nuovi arrivati viene detto che il buon duca di Orleans regala mille pagnotte a chi è senza un soldo. I mendicanti di Parigi, però, li lasciano un'altra volta a bocca asciutta: pelli indurite e gomiti acuminati, sono disposti a dar loro informazioni false e a calpestare quelli che rimangono a terra...Perfino i ricchi restano turbati: dare l'elemosina non sembra abbastanza; sulle vie alla moda giacciono dei cadaveri congelati. Quando scendono dalle carrozze, si tirano il mantello sul viso per riparare le gote dal freddo pungente e gli occhi dal miserabile spettacolo".
5. Ma c'è un aspetto ulteriore che va considerato: l'atteggiamento della classe intellettuale, in gran parte appartenente alla media borghesia dedita alle professioni liberali ("Il Terzo Stato"), e con l'aggiunta di vari esponenti più "impoveriti" della nobiltà (o colpiti da censura per vari intrighi politici di corte). C'è qualcosa di intensamente ambiguo e contraddittorio nelle pulsioni che contraddistinguono questo versante del malcontento (ce si rivelerà successivamente decisivo).
Louis Marie Stanislas Fréron, - un giornalista che si rivelerà un acuto rivoluzionario, ma anche un successivo fiero oppositore di Robespierre-, in un "salotto" tenuto a casa di D'Anton, fa questa analisi (pagg.199-200, op.cit.):
Louis Marie Stanislas Fréron, - un giornalista che si rivelerà un acuto rivoluzionario, ma anche un successivo fiero oppositore di Robespierre-, in un "salotto" tenuto a casa di D'Anton, fa questa analisi (pagg.199-200, op.cit.):
"Le idee che vent'anni fa erano considerate pericolose adesso sono luoghi comuni del dibattito istituzionale - ma ciononostante ogni inverno c'è gente che muore di fame. E noi, a nostra volta, militiamo contro l'ordine esistente soltanto perché non siamo riusciti a fare la scalata sui suoi sordidi pioli. Se Fabre [Fabre d'Églantine, commediografo e romanziere, piuttosto incline a fare della rivoluzione una vicenda di affarismo personale, fino alla...ghigliottina comminatagli, insieme allo stesso D'Anton, durante il "terrore" robespierrano, ndQ.], ad esempio, venisse eletto, domani, all'Accademia, vedreste in quattro e quattr'otto la sua brama rivoluzionaria trasformarsi nel conformismo più zuccheroso e disinvolto".
Questo era il "sentimento" diffuso nei vari strati sociali nel Natale del 1788.
Tanti dettagli che ci ricordano il presente: certo, mutatis mutandis, e frattalicamente, beninteso.
Un caro augurio di Buon Natale a tutti i lettori!