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SPOSTARE IL FOCUS: DAI DIRITTI COSTITUZIONALI ALLA SOLITUDINE PERSONALE COME CONDIZION€ "INVIDIABIL€"

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E se devi diventare l'imprenditore...di te stesso, come per ogni bizantinismo autoconservativo (...la "formazione" dei...formatori), ne puoi fare un business ("chi sa fa, chi non sa...insegna" e, dunque "forma" . Ma la sostanza rimane quella: sei solo)
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Introduzione alla Parte II-  
Prosegue l'excursus di Francesco Maimone nell'esaminare il paradigma di ri-programmazione antropologica, prima ancora che economica (certamente importante in sé), cui ci sottopone l'appartenenza all'UE, intesa come stato avanzato dell'esperimento bio-sociale del globalismo neo-liberista
La sua crisi attuale, peraltro, ci deve rendere ancora più coscienti dei pericoli che un totalitarismo basato sul condizionamento cultural-accademico e mediatico, tenti di autodifendersi ricorrendo a forme crescenti di autoritarismo e di violenza morale...e, potenzialmente, non solo...
Ho inserito alcune parti in corsivo e alcuni links di ulteriore precisazione dei vari passaggi. Grazie a Francesco per il suo lavoro...

1. Spostare il focus: dai diritti costituzionali alla responsabilità (=solitudine) personale.
Nell’attuazione strategica di un siffatto programma, la più attenta dottrina giuslavoristica non ha mancato di denunciarne apertamente “… il tentativo di influenzare l’interprete mediante l’accorto impiego di strumenti semantici o di slogan – come si conviene in epoca di imperante egemonia mediaticaBasti pensare all’insistito ricorso a termini suadentiquali “modernizzazione”, “trasparenza”, “occupabilità”, “efficiente allocazione”, “codici di buone pratiche…” tendente in realtà a celare “… un filo rosso ideologico … ovvero una filosofia politica dotata di qualche coerenza sino a far affiorare una sorta di manifesto giuslavoristico di tipo neo-liberista[1].
L’introduzione forzata di parole e concetti nuovi dalla semantica accattivante anche nel campo del diritto del lavoro ha veicolato, soprattutto, una totalizzante visione etico-morale entro la quale le capacità individuali sono state fatte apparire come assolutamente determinanti, insieme allo spirito d’iniziativa e all’imprenditorialità soggettivi “… L’enfasi sull’occupabilità e il talento individuali riaffermano l’importanza della fiducia in sé stessibasata sul duro lavoro e sulle esortazioni morali, invitando le persone a utilizzare al massimo le proprie abilitàe i propri talenti. La figura del capitano d’industria come eroe è ritornata[2].

1.1. Lo stesso dicasi, in particolare, per il concetto di imprenditorialità, da considerare sempre come espressione con valenza etico-morale, ovvero come disponibilità della persona al rischio ed al continuo cambiamento: 
… queste virtù della fiducia in sé stessi e nel “farsi da sé” sono divenute una credenza nazionale dove, come nel contesto americano, la loro applicazione pratica ai fini del guadagno materiale è stata prontamente identificata con il mito conquista del Continente. Negli Stati Uniti l’uomo d’affari è divenuto un eroe i cui risultati materiali sono stati celebrati come vittorie morali. La maggioranza della popolazione è stata spinta ad emularlo, mettendo ogni uomo in competizione con i suoi pari[3].
Ancora una volta, nulla di nuovo. 
Nel 1942, sempre Luigi Einaudi, recensendo l’opera di Wilhelm Röpke [4] intitolata Die Gesellschaftskrisis der Gegenwart (trad.: La crisi sociale del nostro tempo), ci dimostra chiaramente a quale corrente di pensiero sia da attribuire la paternità delle citate elaborazioni ideologiche. Conviene in proposito riportare un passo della recensione al fine di dissipare eventuali dubbi del lettore:

… Il Röpke, che sa adoperare parole adatte a significare concetti esatti non chiama liberalismo il primo aspetto, ma “economia di mercato”; ed è concetto, il quale pare soltanto economico ma in realtà di séinforma tutti gli aspetti della vita. …Il sistema economico della concorrenza garantisce il successo solo a coloro i quali sanno fornire un equivalente servigio ai consumatorie nel tempo stesso assicura che i servigi difettosi abbiano la loro immancabile sanzione nelle perdite e alla fine, attraverso il fallimento, nella espulsione dal mercato… All’uopo il sistema si giova di un duplice strumento, da un lato la concorrenza e dall’altro l’accoppiamento della RESPONSABILITÀ E DEL RISCHIO, DELLE ALEE DI SUCCESSO E DI PERDITA
Come l’impiegato diventa infelice, insopportabile a sé ed altrui nel giorno in cui è forzato a mettersi in riposo, cosi’ l’imprenditore preferisce morire sulla breccia, fors’anco contemplando la decadenza della sua creazione, pur di non abbandonare altrui il bastone del comando. gli uni sono i soldati, gli altri i capitani dell’economia di concorrenza. …[5].

1.2. In tali elaborazioni socio-politiche, che pongono un marcato accento sul ruolo dell’individuo nella vita economica e sociale, non è difficile intravvedere la traccia del c.d. individualismo metodologico propugnato dall’economia neoclassica e che sostanzialmente ravvisa nei comportamenti degli attori economici - mossi da preferenze individuali endogene - l’espressione di razionalità coerenti con l’efficienza dei mercati. L’idea di base è che le istituzioni sociali sono il risultato spontaneo dell’azione umana, non di un progetto coscientemente voluto e riconosciuto; le istituzioni sorgono spontaneamente e non sulla base di progetti precisi e di atti legislativi i quali, invece, intervengono a confermare a posteriori uno stato di fatto già creatosi in un contesto sociale. Sono gli individui che, interagendo spinti da motivazioni di utilità personale, creano inintenzionalmente le istituzioni sociali [6].
NdQ: a livello di lessico di massa, il condizionamento assume la veste del seguente slogan pop, a forte suggestione (para)filosofica e psicologica, tanto ipersemplificata quanto efficace per indurre a rifuggire ogni solidarismo orizzontale e a condannarlo preventivamente accumulando anzi "livore", altrettanto preventivo, verso "l'altro" 
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1.3. Per il raggiungimento dei propri fini, la vulgata neoliberista aveva così necessità di colonizzare in modo strategico anche l’insegnamento accademico, risultando pervasiva e dominante, tanto che ormai 

… I principali testi istituzionali di Labour economics si incentrano sugli assiomi del pensiero neoclassico (anche se essi vengono rapportati alle specificità "istituzionali" del mercato del lavoro), che non a caso è detto ortodosso, e le scuole di Law & Economics fondano le proprie argomentazioni giuridiche su assunti che derivano, di massima, dal corpus teorico dell’economia neoclassica, A COMINCIARE DAL POSTULATO METODOLOGICO DELL’INDIVIDUO ISOLATO, massimizzatore razionale della propria utilità soggettiva …[7].
In tal modo le persone ristrutturatesono state progressivamente indotte a pensare di avere un dovere morale, una responsabilità personale, e soprattutto esclusiva, di regolare la propria esistenza in modo da poter ottimizzare le opportunità nel mondo del lavoro, un dovere di rischiare, di adattarsi ai mutamenti epocali della globalizzazione - vista a priori come incontrovertibile opportunità - e di accontentarsi, potendo (anzi, dovendo) prescindere da qualsiasi sostegno, a maggior ragione se proveniente dallo Stato: quest'ultimo, a un livello che discende da quello accademico a quello mediatico-pop, viene considerato come frutto di una costruzione posticcia e assunto per antonomasia, con apposito formatstudiato a livello sopranazionale, come soggetto atavicamente corrotto, inefficiente e dedito a sprechi.

1.4. La rivoluzione culturale, saturando la psiche collettiva con il concetto di occupabilità (e dei suoi intimi corollari) è stata collegata specularmente anche alle politiche educative tramite il mito della “formazione continua (cioè infinita ed a sbocco lavorativo improbabile), dal momento che proprio l’occupabilità è divenuta il primo obiettivo dei percorsi formativi [8].
NdQ: Notare come, da un lato, l'intera vita e la stessa "dignità" del lavoro siano proposte come un rapporto di "insufficienza" ontologica dell'individuo rispetto alla "realtà"; dall'altro come ciò tenda a rendere istituzionale l'assoggettamento della massa, scomposta in individui singolarmente responsabili, e quindi individualmente "difettosi", al senso di colpa. Campeggia poi il concetto antropologico, ma anche economico, di "programmazione", o più esattamente di ri-programmazione "d'autorità" di ogni singolo individuo:
http://bg.ac.rs/images/saradnja/llp.jpg
 http://bg.ac.rs/en/international/projects/llp.php
In coerenza con con una simile impostazione, la quale professa che ognuno ha la responsabilità personale e morale di “farsi da sé”, non di rado - anzi in modo preordinato e quasi automatico-  avviene che, in caso di insuccesso nel reperire un impiego, si tenda addirittura a “colpevolizzare la vittima”, secondo l’espressione utilizzata da Stiglitz [9].

2. Artifizi e raggiri si materializzano in norme giuridiche
Il fenomeno complessivamente descritto, dunque, ha il suo indubbio incipitnel processo di coordinamento delle politiche del lavoro degli Stati membriavviato a livello europeo con tutto il programma ideologico storicamente ad esso sotteso. Detto processo di indottrinamento collettivo dimostra la totale alterazione prospettica a poco a poco introdotta nella configurazione del diritto al lavoro e nella correlativa pretesa all’azione dello Stato.
Ciò, d’altronde, risulta in modo inconfutabile dalla trasfusione letterale dei citati concetti nell’attuale art. 145 del TFUE (ex articolo 125 del TCE) in base al quale, difatti, lo sviluppo dell’occupazione si realizzerebbe mediante la “PROMOZIONE DI UNA FORZA LAVORO COMPETENTE, QUALIFICATA, ADATTABILE e di mercati del lavoro in grado di rispondere AI MUTAMENTI ECONOMICIal fine di realizzare gli obiettivi di cui all'articolo 3 del trattato sull'Unione europea” (ovvero “l’economia sociale di mercato”, cioè quella preconizzata da Röpke, nonché propugnata da Einaudi, - v. pp. 8-10-, nell'esaltare Erhard e il modello tedesco, fin dagli anni '50) [10].

2.1. La selvaggia ristrutturazione psicologica e culturale di stampo neo-ordoliberista è stata quindi portata avanti dapprima (o in contemporanea) con la preparazione di un retroterra ideale e linguistico capillarmente diffuso grazie ad una compiacente ed unanime grancassa mediatica - di fatto rispolverando, come abbiamo visto, clichés vecchi di almeno due secoli ed aggiornati, in in funzione mimetica, dall’ordoliberalismo al fine diaggirare la rigidità delle costituzioni post-belliche-, per poi essere in maniera definitiva consacrata in via normativa a livello sia internazionale che nazionale.
E lo scopo ad essa sotteso è consistito senza alcun dubbio nell’orientare l’azione dello Stato – al quale è stata sottratta, tramite “vincolo esterno”, qualsiasi capacità di intervento economico e fiscale – e rendere in via esclusiva le persone “attraenti” ed “appetibili” per le imprese, attraverso una serie di interventi come il decentramento della contrattazione (da radicare a livello aziendale, con perdita di potere negoziale in capo ai lavoratori), la conseguente indiscriminata moderazione della retribuzione (deflazione salariale), la flessibilità assoluta ad effetti precarizzanti (anche mediante creazione di una pletora di forme contrattuali), l’offerta di percorsi formativi permanenti del tutto conformi alle richieste dei mercati come teorica (e retorica) dell’importanza del “capitale umano[11].

2.2. E così, mediante un concertato condizionamento culturale (eterodiretto dal crisma etico-morale, oltre che religioso, come vedremo), il concetto di “piena occupazione” come oggetto di obbligo a carico della "Repubblica" (che aveva contraddistinto il periodo keynesiano delle Costituzioni democratiche, cfr. gli artt. 3, comma II, e 4 di quella italiana) è stato definitivamente sostituito da quello neo-ordoliberista di tasso naturale di disoccupazione”. 
Secondo tale visione, la riduzione della disoccupazione non potrebbe essere ottenuta mediante il controllo della domanda, bensì attraverso politiche strutturali supply side, ragione per cui “…l’orientamento SUL LATO DELLA OFFERTA della politica europea del lavoro lascia assai poco spazio all’idea che lo Stato debba garantire il diritto al lavoro sostenendo la sicurezza del reddito o del lavoro[12].
Residuati della “vecchia scienza economica dell’800" (qui, in premessa), centrata sulla divinità del mercato (e messi senza equivoci alla porta nel nostro Paese in sede di Assemblea Costituente) si sono fatti strada, a tinte ordoliberiste, attraverso la “finestra europea”, cioè mimetizzati e, poi, addirittura reclamizzati con tratti onirici per essere integralmente trasfusi nella legislazione nazionale.
___________________________________
NOTE
[1] Così R. DE LUCA TAMAJO, Tra le righe del D.Lgs. n. 276/2003: tendenze ideologiche, in Rivista italiana di diritto del lavoro, Milano, 2004, 522, 539
[2] Così P. BROWN, A. HESKETH, The Mismanagement of Talent: Employabilityand Jobs in the Knowledge Economy, Oxford University Press, New York, 2004, 98 all’indirizzo https://books.google.co.uk/books?id=twrJS3VeR3sC&pg=PR3&hl=it&source=gbs_selected_pages&cad=2#v=onepage&q&f=false
[3] CosìR. BENDIX, Work and Authority in Industry, Wyley, New York, 1956, 440
[4] Wilhelm Röpke, economista, è stato un importante esponente dell’ordoliberismo, ideologia sulla quale sono fondate le istituzioni dell’Unione Europea, come ricorda anche B. VENEZIANI,Politica sociale (diritto dell’Unione Europea), in Enciclopedia del diritto, Annali VI, Milano, 2013, 657, secondo cui il modello “…europeo sovrastatuale si nutriva della cultura dell’ordo-liberismo…che aveva sottoscritto l’atto di nascita della Comunità. In essa si celebravano le virtù del libero mercato, si rifiutava l’idea di limiti posti dalla politica statale che fossero incompatibili con strategie macroeconomiche keynesiane volte alla piena occupazione, alla redistribuzione ed alla crescita…
[5] L. EINAUDI, Economia di concorrenza e capitalismo storico. La terza via fra i secoli XVIII e XIX, inRivista di storia economica, giugno 1942, 49-72
[6] Così A. PERULLI, La contrattazione collettiva “di prossimità”: teoria, comparazione e prassi, in Rivista italiana di diritto del lavoro, Milano, 2013, 918. Per una ricostruzione dell’individualismo metodologico nel pensiero di Hayek, si veda F. M. TEDESCO,La teoria del diritto di F. A. von Hayek, reperibile all’indirizzo http://www.unicap.br/rid/artigos2003/lateoria.pdf
[7] Così R. DEL PUNTA, L’economia e le ragioni del diritto del lavoro, 7, reperibile all’indirizzo http://www.consiglio.regione.campania.itcmsCM_PORTALE_CRCservletDocsdir=docs_biblio&file=BiblioContenuto_3842.pdf
[8] P. BROWN - A. HESKETH,The Mismanagement of Talent: Employability and Jobs in the Knowledge Economy, cit., 10. Sul concetto di “meritocrazia” si rinvia all’analisi di P. BARCELLONA il quale, in Parolepotere cit., 94, osserva “…la parola meritocrazia è soltanto uno strumento arbitrario per realizzare diseguaglianze e appiattire le attitudini singolari. Tornano alla mente le sempre attuali riflessioni di Schopenhauer sul sapere istituito e strutturato in modo sistematico dagli statuti disciplinari delle università, funzionale a cacciare fuori dal recinto del potere il Genio che interrompe la sequenza conformistica delle logiche quantitative e incrementali. Nel passaggio dal concetto di merito all’attuale formula della meritocrazia ad ogni costo c’è uno slittamento semantico che ha profonde implicazioni: il merito era stato introdotto in una visione che tendeva a contestualizzare le abilità di una persona in rapporto alle situazioni concrete in cui si svolgeva la sua vita, viceversa la meritocrazia è un sistema generale e astrattoDi fatto, la meritocrazia è uno strumento di emarginazione sociale, la cui perversione efficientista assume uno standard astratto e uniforme, impone di prescindere dalla personalità di chi deve essere valutato, dalle sue origini familiari, dall’ambiente in cui si è formato e dell’attività che ha svolto. È quindi uno strumento di riproduzione, come classe dirigente, della casta dei meritocrati, la nuova «aristocrazia» che costruisce un criterio di selezione, non certo per realizzare il miglior governo possibile della società, ma per garantire la continuità del proprio dominio
[9] Così J.E. STIGLITZ, Il prezzo della disuguaglianza, Torino, 2014, 363-364
[10] Si rinvia a L. BARRA CARACCIOLO, La Costituzione nella Palude, cit., 105 e ss., in cui l’Autore, ricostruendo le radici ideologiche e politico-economiche della costruzione europea, definisce l’economia sociale di mercato come “un biopotere antidemocratico
[11] L’apoteosi della razionalizzazione del comportamento individuale è teorizzata dall’economista della scuola di Chicago e premio Nobel G. BECKER, discepolo di Milton Friedman, ne Il Capitale Umano, Milano, 2008. L’idea fondamentale del modello di Becker consiste nel fatto che l’istruzione fa aumentare le conoscenze e le capacità degli individui e li rende più produttivi. Si veda, in proposito, l’articolo di G. BECKER Famiglia, istruzione e ricchezza delle nazioni, reperibile all’indirizzo http://www.bpp.it/Apulia/html/archivio/2005/III/art/R05III014.htm
[12] D. ASHIAGBOR, The Right to Work, in G. DE BÚRCA, B. DE WITTE (a cura di), Social Rights in Europe, Oxford, 2005, 249

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