@AlbertoBagnai@LucianoBarraCar salve prof, questo è il pensieri di Gramsci sulla globalizzazione https://t.co/CcDvyxPGuMpic.twitter.com/K511QKsYyg— Luca (@smigol73) 18 febbraio 2017
1. E' veramente impossibile comprendere se il POTUS Trump stia svolgendo, o sia comunque intenzionato a svolgere, in modo coerente, le politiche che il suo programma lasciava intravedere.
In modo ancora più sostanziale, il messaggio vincente di Trump aveva a che fare con la rigenerazione della dimenticata middle-class, mediante la creazione di occupazione buona, in controtendenza dichiarata ad un assetto di economia aperta, e anzi epicentro del free-trade globalista (cioè istituzionalizzato per trattati voluti da governi rigidamente controllati dall'elite capitalista).
E dunque, la situazione compattamente oscurata dai media di entrambe le parti dell'Atlantico - e questo è oggettivamente il problema principale- era, ed è, che negli USA l'apparente dialettica bipartisan dissimulava, con piccole varianti (qui, p.5), per lo più ininfluenti sul costante peggioramento delle prospettive di vita della schiacciante maggioranza degli americani, la fine della mobilità sociale (pp. 6-8): si era così strutturata, fino all'inaspettata elezione di Trump, la creazione indiscussa di un consenso basato sugli "abbienti"e fanaticamente teso a circoscrivere ogni progressismo alle guerre (simili a quelle di religione del '500 europeo) sui diritti cosmetici (malthusiani, come ben evidenziava Bazaar).
2. Con una certa dose di "ottimismo della volontà", il recente bollettino EIR, evidenzia questa contrapposizione tra ipocrisia sui diritti cosmetici in chiave anti-Trump e "mosse" che quest'ultimo potrebbe/dovrebbe adottare, con priorità, per disinnescare la sollevazione, manovrata dalle elite finanziarie e mediatiche, per eliminarlo:
"Mentre gran parte dei media transatlantici continua a denunciare istericamente Trump come bugiardo, incompetente e una minaccia per la civiltà, e i suoi oppositori chiedono il suo impeachment o addirittura il suo assassinio, si sta forgiando la sua politica estera (vedi sopra).
Durante la campagna elettorale, Trump ha promesso di porre fine alla finta "guerra al terrorismo" neoconservatrice e alla politica di "cambiamento di regime" utilizzata dalle amministrazioni precedenti di George W. Bush e Barack Obama. Queste tattiche hanno provocato migliaia di vittime tra il personale militare, hanno ucciso centinaia di migliaia di persone nelle nazioni prese a bersaglio, e sono costate oltre 4 mila miliardi di dollari, che potevano essere spesi nello sviluppo infrastrutturale, nella reindustrializzazione, nell'istruzione e nel sistema sanitario.
Questa promessa è stata la chiave della sua vittoria elettorale, perché milioni di americani sono stanchi di guerre e disperati per il crollo dei loro livelli di vita, che Hillary Clinton e Barack Obama definivano una grande ripresa economica.
Per rendere possibili i cambiamenti invocati da Trump occorrevano due passi immediati. Il primo, porre fine alle minacce di guerra nei confronti di Russia e Cina, esemplificate dalla campagna di attacchi contro Vladimir Putin, alle sanzioni contro la Russia, all'espansione a Est della NATO e alla minaccia di scontro con la Cina nel Mar Cinese Meridionale.
Il secondo passo, essenziale perché il primo abbia successo, è togliere il potere ai cartelli finanziari globali, che utilizzano le guerre e la destabilizzazione politica, e impongono dure condizioni di austerità per concedere aiuti, al fine di mantenere il proprio potere.
L'arma migliore disponibile a Trump per fare questo è il ripristino della separazione bancaria con la legge Glass-Steagall, che imporrebbe una riorganizzazione fallimentare del sistema bancario, indebolendo la loro capacità di ricattare i governi, compreso quello di Washington. È in corso un dibattito sulla Glass-Steagall in questo momento, al Congresso e altrove (vedi EIR Strategic Alert 5,6/2017).
La spinta verso una "rivoluzione colorata" contro Trump proviene proprio da questa élite finanziaria globale, che teme che il nuovo Presidente possa mettere fine al proprio strapotere. L'ex Presidente Obama, per esempio, ha incoraggiato manifestazioni contro la nuova Amministrazione, mentre alcuni suoi alleati hanno presentato ricorso contro il bando all'immigrazione di Trump con dubbie motivazioni.
Uno di loro, l'ex consulente legale del Dipartimento di Stato Harold Koh, è la persona che ha scritto la difesa "legale" del programma illegale di Obama per assassinii extragiudiziarii con l'uso di droni e che ha addestrato John Yoo, l'avvocato che ha difeso l'uso della tortura.
Ci permettiamo di mettere in dubbio le loro credenziali sui diritti umani. Quanto alla protezione dei migranti, dove erano costoro quando i migranti venivano deportati durante l'Amministrazione di Obama e tutte le amministrazioni precedenti?"
Durante la campagna elettorale, Trump ha promesso di porre fine alla finta "guerra al terrorismo" neoconservatrice e alla politica di "cambiamento di regime" utilizzata dalle amministrazioni precedenti di George W. Bush e Barack Obama. Queste tattiche hanno provocato migliaia di vittime tra il personale militare, hanno ucciso centinaia di migliaia di persone nelle nazioni prese a bersaglio, e sono costate oltre 4 mila miliardi di dollari, che potevano essere spesi nello sviluppo infrastrutturale, nella reindustrializzazione, nell'istruzione e nel sistema sanitario.
Questa promessa è stata la chiave della sua vittoria elettorale, perché milioni di americani sono stanchi di guerre e disperati per il crollo dei loro livelli di vita, che Hillary Clinton e Barack Obama definivano una grande ripresa economica.
Per rendere possibili i cambiamenti invocati da Trump occorrevano due passi immediati. Il primo, porre fine alle minacce di guerra nei confronti di Russia e Cina, esemplificate dalla campagna di attacchi contro Vladimir Putin, alle sanzioni contro la Russia, all'espansione a Est della NATO e alla minaccia di scontro con la Cina nel Mar Cinese Meridionale.
Il secondo passo, essenziale perché il primo abbia successo, è togliere il potere ai cartelli finanziari globali, che utilizzano le guerre e la destabilizzazione politica, e impongono dure condizioni di austerità per concedere aiuti, al fine di mantenere il proprio potere.
L'arma migliore disponibile a Trump per fare questo è il ripristino della separazione bancaria con la legge Glass-Steagall, che imporrebbe una riorganizzazione fallimentare del sistema bancario, indebolendo la loro capacità di ricattare i governi, compreso quello di Washington. È in corso un dibattito sulla Glass-Steagall in questo momento, al Congresso e altrove (vedi EIR Strategic Alert 5,6/2017).
La spinta verso una "rivoluzione colorata" contro Trump proviene proprio da questa élite finanziaria globale, che teme che il nuovo Presidente possa mettere fine al proprio strapotere. L'ex Presidente Obama, per esempio, ha incoraggiato manifestazioni contro la nuova Amministrazione, mentre alcuni suoi alleati hanno presentato ricorso contro il bando all'immigrazione di Trump con dubbie motivazioni.
Uno di loro, l'ex consulente legale del Dipartimento di Stato Harold Koh, è la persona che ha scritto la difesa "legale" del programma illegale di Obama per assassinii extragiudiziarii con l'uso di droni e che ha addestrato John Yoo, l'avvocato che ha difeso l'uso della tortura.
Ci permettiamo di mettere in dubbio le loro credenziali sui diritti umani. Quanto alla protezione dei migranti, dove erano costoro quando i migranti venivano deportati durante l'Amministrazione di Obama e tutte le amministrazioni precedenti?"
3. Più prosaicamente, Zero Hedge (articolo di Michael Krieger) evidenzia i limiti di entrambi i contendenti: Trump come presunto outsider tutore della maggioranza (silenziata dai media più che "silenziosa") degli impoveriti dalla globalizzazione istituzionale, e l'establishment con il suo braccio armato mediatico. E lo fa partendo dall'ennesimo (stucchevole) articolo del New York Times, a firma di Nicholas Kristoff, (non a caso, un autocelebrato difensore dei diritti civili e delle donne), che dà per scontata la necessità dell'anticipata estromissione di Trump dalla sua carica come ripristino dell'ordine, addirittura, costituzionale (...dei mercati globalisti):
"Infine, qui Kristoff enuncia così la sua patetica istanza di rovesciare Trump:Cosa dire di una presidenza della quale, dopo un mese dal suo insediamento, noi stiamo già discutendo se possa essere anticipatamente terminata?No Nicholas, “noi” non stiamo discutendo di ciò. Lo stai facendo tu. Tu e i tuoi colleghi dei media. Il che mi porta al più irritante aspetto di ciò che sta accadendo nel discorso pubblico oggi in America. Cosa dovrebbe fare qualcuno come me a cui non piace Trump, ma a cui piacciono ancor meno i corporate media?Questa è la scomoda posizione in cui mi trovo attualmente e se mi ci trovo, lo stesso vale per milioni di altri.Trump comprende questo, ed è perciò che prosegue nel suo attacco implacabile agli elementi della grande industria dell'informazione.Personalmente, la mia antipatia per Trump sarebbe molto più acuta se non fosse per la mia totale repulsione per i media di proprietà dei miliardari.I giornalisti si suppone che siano avversari del "potere" in generale, non che selezionino e scelgano quali figure di "potente" sfidare basandosi sulla propria ideologia politica. L'industria dei media ha chiaramente ingannato il paese, sicché Trump sta tenendo una linea di saggezza nello scegliere di combatterla. Come ho tuttavia notato la scorsa settimana su Twitter (traduzione: Se Trump si sceglie come obiettivo le istituzioni elitiste vincerà.Se si sceglie la gente comune, perderà. Non è complicato):I've said this forever.— Michael Krieger (@LibertyBlitz) 17 febbraio 2017
If Trump targets elitist institutions, he will win.
If he targets average people, he will lose.
Not complicated.Ancora una volta, l'industria mediatica sta comprovando la propria inefficacia nel tentare di tutto contro un uomo, in quanto in opposizione al disastro sistemico costituito dalla società a controllo oligarchico in cui viviamo.L'attuale Presidente non sarebbe abbastanza carismatico e non utilizzerebbe nemmeno gli stereotipi giusti quanto bombarda donne e bambini musulmani. Questa costituisce, in apparenza, la linea rossa tracciata dai media.Se suona che io sia contro tutto e tutti, c'è una ragione. La nostra cultura è gravemente squilibrata e l'industria dei media merita per questo molta parte del biasimo.E infatti, qui abbiamo un articolo pubblicato l'anno scorso da Forbes che serve ad accelerare la comprensione di ciò che abbiamo realmente contro: Questi 15 miliardari possiedono le società americane dei media. (Ndr: 15 persone ci forniscono ogni singolo elemento dell'agenda in base alla quale possiamo credere di interpretare il mondo).E i miliardari non comprano gli "sbocchi" sul mercato dell'informazione per fare soldi: i soldi già li hanno. Li comprano per manipolare la pubblica opinione".
4. Sarebbe inutile rammentare quanto esposto in questa sede circa la "questione mediatica" e il controllo/manipolazione dell'opinione pubblica come sistema di pre-orientamento del sistema politico-elettorale in funzione della sovranità dei mercati (cioè dei pochi che si riparano dietro questa ipocrita terminologia impersonale) anzicché di quella popolare. Vale negli USA come in Italia.
Oggi, si arriva al tentativo di voler annullare con ogni mezzo, moltiplicato per via mediatica, l'espressione democratica del voto popolare. Pensate a quello che sarebbe escogitato nel caso (ipotetico, allo stato) che la Le Pen vincesse le elezioni presidenziali francesi!
Ma la sempre più manifesta difficoltà di continuare questo "metodo di governo" - senza il quale, ad esempio, la moneta unica non sarebbe mai venuta in vita e oggi, comunque, non esisterebbe più- si misura sull'insensatezza delle tattiche di breve termine (un "tiriamo a campare") che stanno utilizzando le elites coi loro eserciti mediatici: Trump è infatti un accettabile compromesso e sarebbe saggio lasciarlo lavorare piuttosto che ostacolarlo e comprimere ulteriormente la pentola a pressione del conflitto sociale.
"Rovesciare" Trump e pensare di rispristinare "l'ordine globale dei mercati" come unico titolo di legittimazione delle istituzioni nazionali, anche nello Stato più importante del mondo, significa ignorare il conto aperto con le masse in crescente dissenso rispetto a questo stesso ordine.
"Non dimentichiamo che Reich (qui, p.6) colloca questa presidenza come fase di ultimativa resistenza del sistema e prevede l'emergere di un vero candidato estraneo a...ESSI, solo nelle prossime elezioni presidenziali del 2020; e dopo una nuova crisi recessiva a epicentro finanziario..."
5. Come in Italia, dunque,è irrilevante, ciò che accade, in termini di spartizione di postazioni elettorali, all'interno delle forze €uropeiste e globaliste, - perché anche se si vincesse la "conta" non sarebbe mai possibile vincere il dopo-elezioni, contrassegnato dall'acuirsi TINA di politiche avverse agli interessi più elementari dell'elettorato!-, lo stesso vale negli USA.
Si può anche rovesciare Trump, specialmente se questi non sarà tempestivo nello svolgere politiche effettive a favore della maggioranza popolare, schiacciata dalle elites mediatico-globalista, ma il problema sostanziale rimarrebbe.
Il rigetto, da parte dei corpi sociali occidentali, delle politiche neo-liberiste globaliste, non potrà essere risolto con espedienti mediatici: ma neppure con la violenta repressione, già preannunziata dalle diffuse idee di censura, che le stesse elites non sarebbero in grado di portare utilmente fino in fondo, senza autodistruggersi.