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BREXIT-DELIRIUM. IL FANTASMA MOLTO VIVO DELLA COOPERAZIONE ECONOMICA EXTRA-UE (L'Islanda e la Svizzera guerrafondaie?)

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http://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2016/02/grecia-sciopero-generale.jpg

Nobel per la pace all’Europa, l’ironia di Twitter: i tweet più cattivi [FOTO]

1. La storia della Brexit deve dare molto fastidio. 
Abbiamo visto come i principali infastiditi siano gli USA che, nel manifestare la propria contrarietà, devono ammettere che il Regno Unito dentro l'UE serve a guidarla meglio (cioè "ancora" meglio), verso i propri interessi.

Non risulta perciò sorprendente che si animi, nel sistema mediatico europeista "a prescindere" (dai fatti e dai dati), un singolare quadro di deterrenza propagandistica anti-Brexit
Nella consueta scissione tra stime espertologiche, alquanto "pop", e  argomenti, molto più aderenti ai fatti dell'economia reale e della finanza pubblica, che animano l'effettivo dibattito nel Regno Unito, su "Affari &; Finanza" de La Repubblica, si ipotizza che l'uscita dall'UE dovrebbe "costare circa 11 miliardi in tariffe doganali e l'equivalente di una perdita di circa 176 sterline l'anno per ogni cittadino e di 426 sterline per ogni famiglia".
Gli europeisti, che esistono anche in UK e che, secondo l'articolo, alla fine trovano i loro principali esponenti nei "mercati finanziari" e nella Bank of England - e già questo dovrebbe significare "qualcosa"- ammoniscono che "l'uscita dall'Unione precipiterebbe questo paese in una condizione da Corea del Nord comunista, distruggendo il suo import-export".

2. Non solo, ma trattandosi di preoccupazioni provenienti da ambienti molto finanziari (che più finanziari non si può), il monito sulla "distruzione dell'import-export" si estende curiosamente a un aspetto che, forse anche per un lettore di Repubblica, dovrebbe risultare alquanto "singolare", in quanto contraddittorio. 
Sentite un po': "Un'analisi della banca di investimenti Goldman Sachs (che è tra i finanziatori della campagna per il sì alla Ue, dunque non un commentatore neutrale) avverte che il Brexit (Britain exit, cioè Britannia esce - sottinteso dall' Europa) provocherebbe un ritorno della sterlina a livelli non più visti dal lontano 1985".
E dunque, mettendo insieme gli argomenti dell'articolo, siccome una banca d'affari USA come G&S dice che la sterlina si svaluterebbe, ne conseguirebbe una distruzione dell'import-export: ma come, tutti e due insieme e a seguito di una svalutazione?
Ma non ci stanno ora dicendo che il QE di Draghi, svalutando l'euro rispetto al dollaro, sarebbe alla base della "lenta e moderata" ripresa dell'eurozona in quanto favorisce le esportazioni (extra-UEM)? 
Perchè dunque svalutare la sterlina dovrebbe distruggere l'export britannico?

3. Si implica: perché quest'ultimo sarebbe assoggettato a forti dazi come rappresaglia, cioè come decisione politica, adottata, si deve supporre, compattamente dagli ex partners UE.
Peccato che, su un primo piano giuridico ed economico, questa minaccia sia altamente irragionevole: attualmente, infatti, come abbiamo visto (p.7), i britannici  "sanno di essere il mercato di esportazione leader per l'Unione europea (cioè sono forti importatori dai partners UE)".  
Evidentemente non lo sanno, o non lo dicono, i giornalisti italiani.
L'importante è che lo sappia l'Istat del Regno Unito. La realtà infatti ci offre questo dato, laddove per ben oltre il 50%, il saldo passivo delle partite correnti britanniche è realizzato nei confronti dei paesi UE:

http://cdn.static-economist.com/sites/default/files/imagecache/original-size/images/print-edition/20150110_BRC644.png


graph_UK_current_account
E il peggioramento del saldo, in coincidenza con la svalutazione dell'euro e la rivalutazione corrispondente della sterlina, lo si può vedere nel 2015, proprio rispetto al mercato dei "beni"(escludendo i servizi e i redditi da investimenti che sarebbero il settore più "forte" di saldo attivo UK):

 http://chart.finance.yahoo.com/z?s=EURGBP=X&t=5y&l=on&z=m&q=l

https://content.markitcdn.com/corporate/Company/Files/NewsCommentaryContentImage?cmsId=70e4d5c4c7c443899d1907030511ead7&version=1

4. Insomma, il Regno Unito non si troverebbe svantaggiato da una svalutazione della sterlina, considerata l'incidenza di questo fattore rispetto ai suoi principali partners UE, che sono essenzialmente degli esportatori in saldo attivo verso i britannici, secondo le ben note linee del mercantilismo nord-UE(M), e considerato quanto sia un grosso e reale problema, per UK, l'accumulo di deficit delle partite correnti:

http://www.economicshelp.org/wp-content/uploads/blog-uploads/2012/11/oecd-changes-current-account-2008-12.png
E con ciò cade la connessione dell'argomento "G&S", relativamente alla distruzione dell'import e, più che altro, dell'export; argomento irreale (o, come spesso accade nel pensiero €uropeo, surreale, o dadaista) basato sulla svalutazione della sterlina.  
Una svalutazione che certo non fa piacere ai rentiers finanziari globali, perchè una moneta forte non è abbastanza deflazionista: mentre una moneta più debole tende a essere, più o meno, re-flazionista, nella misura in cui le importazioni costano certamente di più, ma, per ciò stesso, vengono ad essere inibite dall'effetto di svalutazione monetaria, esattamente come questo favorisce le esportazioni del paese medesimo.

5. Ma l'altro aspetto da considerare è questa storia dei forti dazi che verrebbero imposti a merci e servizi UK
Sorge spontanea la domanda: perchè i paesi esportatori in attivo verso il Regno Unito dovrebbero autolimitarsi ulteriormente questo mercato di sbocco, in aggiunta all'effetto della svalutazione, solo per "punire" le sue esportazioni? 
Questo non ha nè senso economico, nè giuridico, in corrispondenza del quadro del diritto internazionale, nonché delle relazioni politico-commerciali intraeuropee, esterne all'UE, e neppure del quadro del diritto "europeo".

In questo quadro, anzitutto, il referendum non implica, a norma dei trattati, l'effetto automatico della Brexit.  
Il suo esito sarebbe solo il presupposto "interno"per avviare la procedura di recesso di un paese membro prevista dall'art.50 del TUE.
Ma come abbiamo visto in lungo e in largo ne "La Costituzione nella palude", questa procedura, "serenamente" praticabile da uno Stato non aderente all'eurozona (perché non soggetto al ricatto della BCE sul modello "Grecia"...e, allo stato, anche "Italia"), pone capo a un trattato ulteriore e diverso che, a norma del paragrafo 2 dell'art.50, non regola solo le modalità concrete del recesso ma anche le "future relazioni con l'Unione".

6. E come mai potrebbero essere regolate queste relazioni? Ricorrendo, come implica l'articolo di Repubblica al trattamento di massima chiusura doganale e tariffaria, stile "Corea del Nord"?
A prescindere dalla comune adesione dell'UE e del Regno Unito alla regolazione liberalizzatrice dei commerci del WTO, e per rimanere al quadro attuale dei trattati, l'accordo in questione tra UE e UK, dovrebbe rimanere quantomeno ancorato alla lunga tradizione della"cooperazione economica, finanziaria e tecnica con i paesi terzi", quale prevista dall'art.212 del TFUE
"...l'Unione conduce azioni di cooperazione economica, finanziaria e tecnica, comprese azioni di assistenza specialmente in campo finanziario, con i paesi terzi diversi dai paesi in via di sviluppo" (art. 212, par.1). 
Ed infatti "Nell'ambito delle rispettive competenze,  l'Unione e gli Stati membri collaborano con i paesi terzi e con le competenti organizzazioni internazionali. Le modalità della cooperazione dell'Unione possono formare oggetto di accordi tra questa e i terzi interessati" (par.3).
Nel caso specifico, non semplicemente "possono", ma "devono" essere oggetto di accordo, in virtù della vista previsione esplicita di accordo regolatore del recesso e delle "future relazioni" nell'ambito della procedura ex art.50 TUE.

7. D'altra parte, non si vede perché, per tutti i motivi di convenienza economica sopra visti, i paesi "esportatori" UE debbano adottare verso il Regno Unito un atteggiamento più duro di quanto, nel quadro normativo dei trattati, abbiano finora riservata a paesi come, ad esempio, Norvegia e Svizzera.
Forse che tali paesi, - che a differenza di UK, sono tra l'altro tendenzialmente (in disparte la crisi dei prezzi petroliferi , per la Norvegia, e le rivalutazioni monetarie "obbligate" per la Svizzera) esportatori netti verso l'UE-, hanno visto il loro import-export (che non sono mai lo stesso fenomeno) "distrutto" ed il loro ruolo equiparato a quello della Corea del Nord?

8. Tutt'altro: in passato c'era stata - e in parte ancora opera-, l'Associazione europea di liberoscambio, (AELS, in Italia viene utilizzato l'acronimo EFTA dall'inglese European Free Trade Association): 
"...fondata il 3 maggio 1960 come alternativa per gli stati europei che non volevano, o non potevano ancora, entrare nella Comunità Economica Europea, ora Unione europea; la sua sede è a Ginevra, ma l'associazione ha uffici a Bruxelles e nel Lussemburgo.
La Convenzione di Stoccolma fu firmata il 4 gennaio 1960 da sette stati: Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e Regno Unito. L'anno successivo, la Finlandia si associò all'AELS, diventandone un membro a tutti gli effetti nel 1986. Nel 1970 entrò a farne parte l'Islanda e nel 1991 fu il turno del Liechtenstein
Già nel 1972 Danimarca e Regno Unito decisero però di lasciare l'Associazione, preferendole la CEE; lo stesso fecero il Portogallo nel 1985 e l'Austria, la Finlandia e la Svezia nel 1995 (nel frattempo la CEE aveva preso il nome di UE - Unione europea). 
Quindi l'AELS è attualmente costituita da quattro stati: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera; ovviamente nessuno di questi fa parte dell'UE. La Convenzione di Stoccolma fu successivamente sostituita dalla Convenzione di Vaduz."

9. Successivamente, ai sensi dell'attuale art.217 del TFUE, questo accordo è stato esteso, nel senso della maggior integrazione economica e commerciale, con un ulteriore trattato per creare lo "Spazio Economico Europeo".

"Note sintetiche sull'Unione europea - 20161
LO SPAZIO ECONOMICO EUROPEO (SEE), LA SVIZZERA E IL NORD.
Lo Spazio economico europeo (SEE) è stato istituito nel 1994 allo scopo di estendere le disposizioni applicate dall'Unione europea al proprio mercato interno anche ai paesi dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA). La legislazione dell'UE relativa al mercato interno diventa parte della legislazione dei paesi SEE una volta che questi ultimi accettano di recepirla. 
L'attuazione e la concreta applicazione sono quindi assoggettate al controllo di appositi organismi EFTA e di un Comitato parlamentare misto.
L'UE è inoltre legata a due dei suoi partner SEE (la Norvegia e l'Islanda) da varie «politiche settentrionali» e forum incentrati sulle aree più settentrionali dell'Europa, in rapida evoluzione, e sulla regione artica nel suo insieme. La Svizzera, pur non facendo parte del SEE, resta un membro dell'EFTA. 
Gli oltre 120 trattati bilaterali settoriali che legano il paese all'UE includono per lo più le stesse disposizioni adottate dagli altri paesi SEE nei settori della libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali. Le relazioni bilaterali sono state, tuttavia, messe a dura prova a seguito dell'iniziativa anti-immigrazione lanciata nel febbraio 2014 e il cui esito ha messo in discussione i principidella libera circolazione e del mercato unico su cui si fondano tali relazioni.
BASE GIURIDICA
Per il SEE: articolo 217 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (accordi diassociazione)
Per la Svizzera: accordo in materia di assicurazione del 1989, accordi bilaterali I del 1999, accordi bilaterali II del 2004
IL SEE
A.Obiettivi
La finalità dello Spazio economico europeo (SEE) è estendere il mercato interno dell'UE ai paesi dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA) che non intendono aderire all'UE o che non l'hanno ancora fatto.
B.Contesto
Nel 1992 gli allora sette membri dell'EFTA negoziarono un accordo che consentiva loro dipartecipare all'ambizioso progetto del mercato interno della Comunità europea, avviato nel 1985 e completato alla fine del 1992. 
L'accordo relativo allo Spazio economico europeo (SEE) fu sottoscritto il 2 maggio 1992 ed entrò in vigore il 1° gennaio 1994. 
Il numero dei membri EFTA/SEE era però destinato a diminuire nel giro di breve tempo: la Svizzera scelse di non ratificare l'accordo a seguito dell'esito negativo di un referendum in materia, mentre l'Austria, la Finlandia e la Svezia aderirono all'Unione europea nel 1995. Rimanevano così nel SEE solo l'Islanda, la Norvegia e il Liechtenstein (e tali sembrano senz'altro destinati a rimanere, mentre la Svizzera, ancora membro dell'EFTA, come vedremo, ha una storia di trattati sua "peculiare", ndr.).
I dieci nuovi Stati membri che hanno aderito all'UE il 1° maggio 2004 sono diventati automaticamente anche membri del SEE, così come la Bulgaria e la Romania quando hanno aderito all'Unione nel 2007 e la Croazia nel 2013.
Nel giugno 2009, anche l'Islanda si è candidata ad aderire all'UE come via d'uscita dalla crisi finanziaria globale del 2008. Il Consiglio ha accettato la candidatura dell'Islanda il 17 giugno 2010 e i negoziati sono iniziati nel giugno 2011. 
Tuttavia, a seguito delle elezioni parlamentari dell'aprile 2013, la nuova coalizione di centro-destra, formata dal Partito dell'indipendenza e dal Partito progressista, ha interrotto i negoziati subito dopo il suo insediamento, rilasciando una dichiarazione nel maggio 2013 e ritirando ufficialmente la domanda di adesione nel marzo 2015. Il governo ha sostenuto che la richiesta di adesione fosse stata solo una mossa da parte del precedente governo socialista, senza un ampio sostegno da parte della popolazione, e che gli interessi islandesi fossero meglio salvaguardati restando aldi fuori dell'UE. Sebbene in quel momento il ritiro abbia scatenato grandi proteste — avendo evitato l'iter parlamentare e il referendum — il dibattito interno sulla questione sembra essersi affievolito e così sembra essere destinato a rimanere, se non per sempre, almeno fino alla fine dell'attuale mandato di governo.
C.Ambito di applicazione del SEE
Il SEE trascende i tradizionali accordi di libero scambio (ALS) in quanto estende l'insieme dei diritti e degli obblighi legati al mercato interno dell'UE ai paesi EFTA (ad eccezione della Svizzera). Il SEE include le quattro libertà del mercato interno (libera circolazione di beni, persone, servizi e capitali) e le relative politiche (concorrenza, trasporti, energia nonché cooperazione economica e monetaria). 
L'accordo include politiche orizzontali strettamente correlate alle quattro libertà: le politiche sociali (inclusi la sanità e la sicurezza sul lavoro, il diritto del lavoro e la parità di trattamento tra uomini e donne), le politiche in materia di protezione dei consumatori, ambiente, statistica e diritto societario, nonché una serie di politiche di accompagnamento come quelle relative alla ricerca e allo sviluppo tecnologico, non sono basate sull'acquis dell'UE o su atti giuridicamente vincolanti, ma sono attuate mediante attività di cooperazione.
 
D.I limiti del SEE
L'accordo SEE non detta disposizioni vincolanti in tutti i settori del mercato interno o in riferimento ad altre politiche previste dai trattati dell'UE. Più specificamente, le sue disposizioni vincolanti non riguardano:
la politica agricola comune e la politica comune della pesca (sebbene l'accordo contenga disposizioni in materia di scambi commerciali di prodotti agricoli e ittici);
l'unione doganale;
la politica commerciale comune;
la politica estera e di sicurezza comune;
il settore della giustizia e degli affari interni (anche se tutti i paesi EFTA fanno parte dellospazio Schengen); oppure
l'unione economica e monetaria (UEM)."

10. La Svizzera, poi, invece di essere relegata allo status di "Corea del Nord", "stranamente", ha svolto una vasta attività negoziale di integrazione commerciale e tariffaria con l'UE, inclusa l'adesione, da paese non UE, al trattato di Schengen (tra l'altro). Questo è un quadro riassuntivo i cui dettagli possono essere agevolmente verificati sulla fonte ufficiale del governo della Confederazione:
"I principali accordi bilaterali Svizzera-UE
I primi Accordi
1972 Libero scambio dei prodotti industriali
Abolizione degli ostacoli sui prodotti industriali (dazi doganali, contingenti);
1989 Assicurazioni
Stessi diritti di stabilirsi per le compagnie di assicurazione (eccetto il settore dell’assicurazione vita);
1990 (integralmente riveduto nel 2009) Facilitazione e sicurezza doganali 
Regole sui controlli e sulle procedure doganali (regola delle 24 ore);
 Interesse: Accesso reciproco al mercato

Libero scambio
Contenuto:
• L’accordo crea una zona di libero scambio tra la Svizzera e l’UE per prodotti esclusivamente industriali.
Vieta dazi doganali e misure di effetto equivalente per i prodotti industriali con origine nel territorio di entrambe le parti contraentinonché qualsiasi restrizione quantitativa all’importazione o all'esportazione (contingenti).
Portata dell’Accordo:
Importante per l'economia svizzera poiché nel 2014 il 55 per cento delle esportazioni svizzere (circa 114 miliardi di franchi) erano dirette verso l'area UE e, viceversa, 73 per cento delle importazioni svizzere (circa 131 miliardi di franchi) provenivano dall'UE.
Entrata in vigore: 1973."

11. Naturalmente, tutti questi principi economici e giuridici, e questi rilevantissimi precedenti negoziali che li concretizzano, valgono sia per la Gran Bretagna che, nelle medesime condizioni, per la stessa Italia
L'esempio svizzero smentisce, in base a un pronostico di ragionevolezza e di rispetto dei principi di diritto internazionale comuni alle Nazioni civili, che l'import e l'export siano "vendicativamente" regolati in termini punitivi e non cooperativi al di fuori dell'appartenenza all'UE (e in occasione dell'accordo di recesso previsto dall'art.50 del trattato in caso di Brexit).

E notare che questo alto grado di integrazione economica, obiettivamente cooperativo, non ha implicato alcuna questione relativa alla "cessione di sovranità" dei paesi cooperanti. E anche soddisfatti, a quanto ci attestano i fatti storici, di queste reciproche relazioni.

Avete mai sentito di nazionalismi aggressivi di Svizzera, Norvegia o...Islanda? Insomma, Westfalia e guerra coincidono solo nelle predicazioni tese a conservare un federalismo imperniato sull'asimmetrica dominanza tedesca.

Rimane il fatto che, la storia dei rapporti negoziali e commerciali tra paesi europei, anche successivamente alla venuta ad esistenza dell'UE, indica come la cooperazione economica, doganale, tariffaria e finanziaria sia un fenomeno del tutto naturale, come lo è sempre stato anche in passato e senza passare necessariamente per l'imposizione di un federalismo.
Stati democratici e sovrani, vicini tra loro e forti di una tradizione di scambio economico e culturale che risale a molti secoli prima dell'UE, instaurano, appunto "naturalmente", rapporti di cooperazione economica: molto più elastici, stabili e convenienti di quanto si stiano rivelando quelli fondati sui trattati europei.
Cioè, proprio al di fuori dell'eurozona e dell'UE, si è naturalmente instaurato un tipo di relazioni veramente cooperative, e non mercantilistiche a favore dei paesi più forti, che impongono il contenuto dei trattati in chiave di integrazione "politica" e di "vincolo esterno": proprio perchè queste relazioni si svolgono nell'ambito di trattati a CONVENIENZA RECIPROCA ED EGALITARIA, come prescrive l'art.11 della Costituzione. 

LA SOCIETA' APERTA? NEGARE IL CONFLITTO SOCIALE PER DISTOGLIERE L'ATTENZIONE DALLA GERARCHIA

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/nas/wp/www/cluster 41326/cssr/wp content/uploads/2015/08/mont pelerin society

Pubblichiamo questo post di Bazaar come introduzione a una serie di approfondimenti sul paradigma liberista e sulla sua etica del relativismo
L'illusione che ogni individuo possa da sé dettare le regole per meglio governare il proprio particulare è sempre propagata al fine di preservare il governo effettivo dei pochi sui molti. 
Si dà luogo, in questo modo, a un processo continuo e inarrestabile (per necessità di autoconservazione del potere sociale) per cui ogni fenomeno sociale, e persino psicologico, deve essere fatto oggetto di ribaltamento o dissimulazione.
E ogni disvelamento di tale meccanismo diventa "complottismo": e ognuno di tali complottismi, in questa pretesa visione di tolleranza (ossimorica), si connetterebbe (nell'intera storia dell'umanità!) a forme psicotiche che minacciano l'ordine sociale "naturale" (che come tale non ammette conflitti, se non come deviazioni patologiche).
Alla base di questa para-logica, infatti, c'è un Dio, molto poco trascendente e del tutto storicizzabile, che tuttavia deve farsi "assoluto", senza che tale processo sia manifesto o percepibile: il mercato. Un Dio che ci deve apparire soffuso di apparente apertura e tolleranza, per farsene legittimamentederivare ogni altro ribaltamento e dissimulazione.
Per i brani in inglese trovate la traduzione in nota. 
La lettura delle note è, in ogni caso, fortemente consigliata.




Introduzione: lo studio della storia come processo di revisione.

«Non mi intendo di inconscio e di profondo, ma so che pochi se ne intendono, […] non so, e mi interessa poco sapere, se nel mio profondo si annidi un assassino, ma so che  vittima incolpevole sono stato ed assassino no; so che gli assassini sono esistiti, non solo in Germania, e ancora esistono, a riposo o in servizio, e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale o un vezzo estetico o un sinistro segnale di complicità; soprattutto, è un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità.»,  Primo Levi, “La zona grigia

«Hitler confessò di sperare che un giorno, in Germania, fosse considerato un disonore fare il giurista, queste sue parole erano perfettamente coerenti con il sogno di un Paese ridotto a un perfetto sistema burocratico.» Hannah Arendt, “Alcune questioni di filosofia morale”, p.13, ET Saggi, 2003

 Si cercherà di fornire qualche spunto di riflessione che metta in collegamento il liberalismo, il suo rifiuto sostanziale[1]nella Costituzione repubblicana, e il suo ritorno imposto dall'esterno.

Non è ovvio constatare che tramite l'analisi economica del diritto e l'indagine scientifica che sottende, possa essere interessante revisionare tanto la storia del pensiero economico e filosofico, quanto la Storia tout court.

Il problema è evidente: tra la Storia e la memoria storica c'è di mezzo la propaganda (narrazione in politichese corretto).

Ciò che è da propagare (da “narrare”) dipende da come viene risolto il conflitto sociale: la classe dominante della nazioni dominanti controlla tanto i mezzi di comunicazione, quanto  l'istruzione fino ai livelli superiori.

Possiamo così semplicemente dedurre che lo studio storiografico necessita di una continua revisione, non tanto di fatti – ovvero la ricostruzione documentata di eventi, la cronaca –  quanto della loro analisi ed interpretazione; sulla ricostruzione è necessario poggiarsi sul lavoro degli storici in senso stretto, dei geografi, degli archeologi, ecc., mentre per la loro analisi sono necessarie competenze specialistiche di altre scienze sociali come quelle dei sociologi, degli etnologi, dei demografi o – con un rilievo particolare per la storia moderna –  degli economisti.
Gli economisti, però, forniscono metodi analitici diversi in funzione del paradigma ideologico e scientifico abbracciato. Così come i sociologi e gli scienziati sociali in genere.

Uno storico liberale tendenzialmente arriverà a conclusioni differenti dello storico marxista: lo studio della storia dovrebbe essere per definizione un processo di revisionismo: è sufficiente accettare o meno la legge di Say per aver un quadro opposto e contraddittorio nelle analisi delle dinamiche storiche.

Non pare quindi necessario sostenere come gli allievi di Derrida che «i fatti non hanno realtà, conta solo il testo che li racconta»: c'è un doppio aspetto, uno positivo(che invalida l'interpretazione letterale dell'asserzione derridiana, lapidariamente relativista e “orwelliana”), ed uno di carattere analitico che è, ad esempio, funzione del paradigma scientifico di riferimento (che a sua volta dipende dall'ideologia – dall'etica e dal particulare– dello scienziato sociale).


1 – “L'inestimabile contributo di Popper” (cit. Dugin) e il cospirazionismo.

«Il nostro secolo manca di veri filosofi, liberati dagli indottrinamenti e dai giochi di appartenenza a una scuola, attenti alla vita che ci circonda, felici di affrontare i veri problemi, mettendo a repentaglio se stessi» F. Braudel, “Storia, misura del mondo

«Sono un nemico della società aperta.», Bazaar

 Questa brevissima riflessione sul “revisionismo” porta con sé un corollario: qualsiasi argomentazione controla narrazionemainstreamnon puòche essere  “cospirazionista”. Ovvero, se un fattoide, un frame o un meme diventa virale,è obbligo indagare se questo favorisce interessi particolari, vantaggi materiali ad un determinato gruppo sociale o, quantomeno, se tali schemi "culturali" siano diffusi con il cosciente sfruttamento dell'inclinazione opportunistica, il particulare.

La fallacia logica o meno delle argomentazioni, il loro carattere scientifico, è ovviamente dirimente. 
In proposito si fa notare che Karl Popper –  nell'affermare l'ovvio ricordando la necessaria “falsificabilità” di qualsiasi argomentazione sui fatti sociali – mette in relazione il totalitarismo[2] con la “teoria cospirazionista della società”, entrando a gamba tesa nella dialettica tra propaganda e controinformazione: pare sfuggirli che la “caccia alle streghe” - dagli untori, ai pogrom - sia stata generalizzata e assurta addirittura a pilastro della politologia con la massima divide et impera[3]. Però, quasi in spregio delle scienze sociali, con la scusa di criticare lo “storicismo”, si premura di attaccare i pilastri del pensiero statuale(Platone-Aristotele, Hegel e Marx), in cui i conflitti sociali sono gestiti politicamente e in cui, in ultimo, si individua nelle classe sociale dominante il... dominus: ovvero l'oppressore da combattere politicamente: cioè si nega de factol'evidenza per cui in una società gerarchizzata i Pochi, i masters– nonostante i conflitti interni – tendono ad organizzarsiall'oscuro della consapevolezza dei Molti, gli workmen
Eppure il noto epistemologo non disdegnava la cravatta di“Adam Smith”[4]. Come possiamo definire le argomentazioni sociologiche di Popper? Un fondamentale contributo al totalitarismo rovesciato[5]?


2 – L'eclettismo di von Hayek: mentre con Milton Friedman lavorava alla “struttura”, con Popper provvedeva alla “sovrastruttura”.

«Essere nemici della società aperta non significa essere amici della “società chiusa”: grazie Karl per averci dato un'identità!»,  esegesi delle riflessioni di A. Dugin su Popper


Analizziamo come Karl Poppersia stato il volto “buono” del liberalismo estremo e revanscista della Mont Pelerin Society, fornendo una cosmesi democratica ai liberali classici durante la frustrante  convivenza con la repressione finanziaria, la democrazia sociale e l'incredibile successo delle teorie keynesiane durante Les Trente Glorieuses.

Estratti da: “The Open Society and its Enemies” (1945)

« This theory is widely held; it is older even than historicism (which, as shown by its primitive theistic form, is a derivative of the conspiracy theory). In its modern forms it is, like modern historicism, and a certain modern attitude towards ‘natural laws’, a typical result of the secularization of a religious superstition. The belief in the Homeric gods whose conspiracies explain the history of the Trojan War is gone. The gods are abandoned. But their place is filled by powerful men or groups – sinister pressure groups whose wickedness is responsible for all the evils we suffer from – such as the Learned Elders of Zion, or the monopolists, or the capitalists, or the imperialists.[6]»

Secondo Popper la sociologia conflittualista– che ha tutti i requisiti epistemologici della scienza sociale, tanto che Karl Marx ne è considerato il padre insieme a Max Weber– sarebbe da paragonare all'ideologia propagandata dai nazisti fondata sul “complotto giudaico” che emergerebbe dai famigerati “Protocolli dei Savi di Sion”: l'oligopolio capitalistico, ovvero il “complotto” sui prezzi per eccellenza, sarebbe sociologicamente da classificare come disturbo paranoide. Così come l'imperialismo.   
Ovvero la centralità del conflitto distributivo da risolvere tramite l'azione politica garantita da uno Stato capace di intervenire a regolare l'attività economica, sarebbe da ritenere una teoria paranoica dell'economia:Keynes agente segreto dell'Ochrana[7]? Pericoloso nemico delle società aperte e propugnatore di idee funzionali al totalitarismo?

D'altronde:

«The dogma that economic power is at the root of all evil must be discarded[8]

Secondo Popper, che la miseria imposta alle classi meno abbienti sia alle radici delle sofferenze sociali va scartato, altrimenti pare non si sia popperianamente democratici.

«But I wish to add here that economic intervention, even the piecemeal  methods advocated here, will tend to increase the power of the state. Interventionism is therefore extremely dangerous. This is not a decisive argument against it; state power must always remain a dangerous though necessary evil.»[9]

L'interventismo è estremamente pericoloso, mentre liberismo e liberoscambismo che avevano appena generato due guerre mondiali, pare proprio di no
Ma si sa, il free tradenon ha nulla  a che fare con la bilancia dei pagamenti e i conflitti bellici: porta pace ventoteniana. O no?

Su certe “perle” da cui sono estratti questi passi, non è necessario soffermarsi oltre, dopo aver ricordato la pessima opinione da ambo i lati ideologici stando con Leo Strauss e Walter Kaufmann  in riferimento alla “preparazione” di Popper in relazione alle critiche a Platone ed Hegel[10], o su altre pregevoli considerazioni sull'evoluzione del capitalismo, o, da rabbrividire – considerando che si ha a che fare con uno dei maggiori epistemologi moderni – sulle sue critiche alla “meccanica quantistica”.(In relazione a quest'ultima gaffe si potrebbe trovare agevolmente un certo filo conduttore tra positivismo e determinismo... e relativismo[11]).

Si nota che usa spregiudicatamente, come fa notare  Kaufmann, i medesimi metodi della propaganda totalitaria: «The calamity in our case is twofold. First, Popper’s treatment contains more misconceptions about Hegel than any other single essay. Secondly, if one agrees with Popper that “intellectual honesty is fundamental for everything we cherish” (p. 253), one should protest against his methods; for although his hatred of totalitarianism is the inspiration and central motif of his book, his methods are unfortunately similar to those of totalitarian “scholars” and they are spreading in the free world, too»[12].

Mentre per i fenomeni naturalipuò essere stata effettivamente l'ignoranza che ha fatto impersonificare le catastrofi con degli dèi più o meno antropomorfi – e il positivismopopperiano acquisterebbe pure un senso – con i fenomeni socialil'identificazione di queste “calamità” con alcuni gruppi sociali in posizione di minoranza, è stato storicamente usato per motivi politici: l'ignoranza in cui venivano tenute le classi subalterne era strumentale a quelle forme di ingegneria sociale ante litteram chiamata “caccia alle streghe” o, meglio, ricerca del “capro espiatorio sociale” proprio a creare quelle tensioni “sub-sezionali” che distogliessero l'attenzione dal gruppo sociale dominante. Ovvero quello che impone decisioni politiche che, dai tempi di Platone, veniva stigmatizzato  per  perseguire i propri interessi materiali senza curarsi della comunità sociale di riferimento. Ovvero quello degli oligarchi.

È quindi un caso che proprio ciò che sarebbe nato “ontologicamente” anticapitalista come il nazionalsocialismo, trovasse come obiettivo fondamentale l'effettiva distruzione del gruppo sociale ebraico? Ovvero del gruppo sociale che, per eccellenza, è stato usato come “maschera” del capitalismo finanziario?

No, e analizzeremo in seguito il motivo; basti ora ricordare la nota citazione di Bebel: «L'antisemitismo è il socialismo degli imbecilli»[13].  1893.

Nel caso, come già ricordato, possiamo trovare le radici del “cospirazionismo” volto al divide et impera proprio a fondamento della Costituzione USA con Madison che, chiarendo l'essenza del federalist n°10 a Jefferson in una missiva, spiega: «Divide et impera, the reprobated axiom of tyranny, is under certain qualifications(quando il tiranno “sono io”?, ndr), the only policy, by which a republic can be administered on just principles(i principi “tecno-naturali” del capitale e del darwinismo sociale?, ndr)»[14]. Che ironia,  sembra che ci siano dei “cospiratori” che trovano utili il risultato pratico delle “teorie del complotto”: d'altronde federalisti e liberali pare avessero la paranoia della cospirazione democratica.

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[1]      “Sostanziale” nel senso di “strutturale”, in quanto fondato sul liberismo economico: la “forma” istituzionale è stata in gran parte mantenuta nei suoi tratti distintivi.
[2]      Il “complotto giudaico” è stato un fattoidefondamentale per infiammare l'antisemitismo, strumento riduzionistico a scopo identitarista posto a fondamento dell'ideologia improntata  alla “teoria delle razze” propagandata dai nazifascisti.
[3]      Il potere costituito di carattere oligarchico trova funzionale incanalare – manipolando debolezze emotive e culturali - il dissenso delle classi subalterne verso individui e gruppi sociali da “sacrificare” affinché venga distolta l'attenzione dalle responsabilità della classe sociale dominante sul disagio sociale: “i capri espiatori” diventano un innocente parafulmine su cui scaricare le tensioni sociali.
[4]      I liberisti sfrenati come Milton Friedman, successore di Hayek alla Mont Pelerin Society, usavano portare una cravatta con raffigurato Adam Smith che, ne “La ricchezza delle nazioni” (1776)  evidenziava, analizzando il conflitto distributivo, che i padroni (masters) si riescono ad organizzare meglio dei lavoratori (workmen): [11] «Quali siano comunemente i salari dei lavoratori, dipende ovunque dal contratto che abitualmente viene perfezionato tra le due parti, i cui interessi non sono affatto i medesimi. I lavoratori desiderano guadagnare il più possibile, i padroni pagare il meno possibile. I primi sono disposti ad unirsi al fine di aumentare, questi ultimi al fine di diminuire i salari dei lavoratori.»
        [12] «Non è, tuttavia, difficile prevedere quale delle due parti ottiene, generalmente in tutte le occasioni, il sopravvento nella controversia, e costringe l'altra in conformità dei suoi desiderata.I padroni, essendo meno numerosi, possono unirsi molto più facilmente [Adam Smith complottista?, ndt]; e la legge, inoltre, autorizza, o almeno non vieta loro, di associarsi, mentre lo vieta ai lavoratori. Non abbiamo leggi del Parlamento contro le associazioni per abbassare il prezzo del lavoro; ma molte contro le associazioni per elevarlo. In tutte queste controversie i padroni possono resistere molto più a lungo. Un proprietario terriero, un agricoltore, un imprenditore, un commerciante, se non impiegano un solo lavoratore, potrebbero generalmente vivere un anno o due grazie alle scorte che hanno già acquisito. Molti operai non potrebbero sopravvivere una settimana, pochi potrebbero sopravvivere un mese, e quasi nessuno un anno senza lavoro. Nel lungo periodo l'operaio può essere necessario al suo padrone come il suo padrone lo è a lui; ma la necessità non è così immediata.»
[5]      Il concetto viene chiarito in seguito.
[6]      «Questa teoria è largamente condivisa; è più vecchia anche dello storicismo (del quale, come mostrato dalla sua primitiva forma teistica, è un derivato dalla teoria del complotto). Nelle sue forme moderne è, come lo storicismo moderno, e un certo atteggiamento moderno nei confronti delle “leggi naturali”, un tipico risultato della secolarizzazione religiosa. La credenza negli dèi omerici  i cui complotti spiegano la storia della Guerra di Troia è finita. Gli dei vengono abbandonati. Ma il loro posto è riempito da uomini potenti e gruppi – gruppi di pressione sinistri [un po' come quelli  che finanziavano proprio la Mont Pelerin Society del buon Popper?, ndt] -la cui malvagità è responsabile di tutti i mali che soffriamo – come i “Savi di Sion”,  i monopolisti,  i capitalisti o gli imperialisti».
[7]      Con buona certezza il documento relativo al contenuto delle riunioni segrete dei “Savi di Sion” pare sia un falso fabbricato a fini persecutori dalla polizia segreta zarista, l'Ochrana.
[8]      «Il dogma che il potere economico sia alla radice di tutti i mali deve essere rifiutato»: in realtà nella sociologia conflittualistale “condizioni sociali” dipendono dalla struttura economica e dal risultato del conflittodistributivo. L'uso del termine “dogma” e della locuzione “radice di tutti i mali” permettono di far associare al lettore –  rispettivamente – gli attributi di “fanatismo” e “infantilismo” ad una scienza sociale. Evidente il tentativo di associare l'ideologia e l'autoritarismo sovietico altotalitarismo nazifascista screditando contemporaneamente la prospettiva del conflitto in favore del funzionalismo liberale. Che al socialismo reale non fosse corrisposta egual socializzazione del potere non significa che negli ordini liberali questo sia avvenuto: anzi, i presupposti costituenti sono proprio opposti. Il regime liberale vede tendenzialmente identificato il potere reale con quello economico a differenza dello Stato sociale che – tramite lo Stato interventista – promuove l'equità distributiva e progressivamente socializza il potere.
[9]      «[NdT: Non sono un economista...] Ma desidero aggiungere che l'intervento economico [dello Stato in economia, ndt], anche nei metodi parziali sostenuti qui, tenderà ad aumentare il potere dello Stato. L'interventismo è quindi estremamente pericoloso. Questo non è un argomento decisivo a sfavore; il potere dello Stato deve rimanere un pericolo – ma necessario – male».
[10]     «[...] Il saggio anti-hegeliano in questione è La società aperta e i suoi nemici (1945). Qui Hegel – in buonacompagnia di Platone e Marx – viene accusato di una serie di nefandezze politiche e di recenti catastrofi di cui sarebbe una specie di mandante morale. Sostanzialmente: di essere un proto-fascista, o un proto-comunista. Cosa che per l'epistemologo austriaco naturalizzato britannico non sembra fare una gran differenza. Per l’occhiuto e poliziottesco Popper, Hegel è, né più né meno, che “l’anello mancante tra Platone e le moderne forme di totalitarismo”.
        La casa editrice Modern Library ha saputo premiare, come solo le istituzioni americane sanno fare, questo bel saggione in difesa dell’uomo-bianco-civile-tollerante-buono-e-democraticoliberale, inserendolo nella hit parade dei 100 migliori libri di non fiction del secolo (dove al primo posto svetta The education of Henry Adams, libro autobiografico sugli psicodrammi di un superlaureato di Harvard, che rimpiange di aver sprecato gli anni a studiare materie umanistiche, quando sarebbe stato meglio darsi alle scienze hard).» Tommaso Tuppini, “Hegel”,
[11]     Gran parte dei modelli che interpretano la meccanica quantistica non sono “deterministici” come la fisica classica o anche quella relativistica: nella prima metà del '900 , con la quantistica anche nelle scienze dure viene introdotta un'incertezza “irrisolvibile” a causa del “fattore umano”. L'uso spregiudicato del positivismo nelle scienze sociali – data la loro “doppio natura” come proposto precedentemente, dovendo incorporare anche l'arbitrio etico-politico, ovvero il “fattore umano” – tende a nascondere la potenziale “indeterminatezza” del conflitto distributivo: questa non disinteressata forzatura spinge di converso al “relativismo etico” (se non esiste un “libero arbitrio” nella sfera dell'agire umano in conseguenza della causazione deterministica di principi fisici, tutta la struttura etica si sfalda nel nichilismo e si impone il relativismo morale: l'etica smette di avere influenza politica e l'individuo, come soggetto decisionale e dotato di volontà, si deresponsabilizza). Della stessa fallacia ideologica è affetta la critica di Popper, nel momento in cui tenta di arginare “positivisticamente” il carattere assolutistico del totalitarismo con argomenti “liberali”, e propone de facto il relativismo... assoluto.
[12]     [12]«La catastrofe nel nostro caso è duplice. In primo luogo, il trattato di Popper contiene più idee sbagliate su Hegel rispetto a qualsiasi altro singolo saggio. In secondo luogo, se si è d'accordo con Popper che “l'onestà intellettuale è fondamentale per tutto ciò che abbiamo a cuore”, si dovrebbe protestare contro i suoi metodi (p.253); infatti, anche se il suo odio verso il totalitarismo è ispirazione e motivo centrale del suo libro, i suoi metodi sono, purtroppo, simili a quelli degli “studiosi” dei regimi totalitari – e si stanno diffondendo anche nel mondo libero», Walter Kaufmann, 1959, “The Hegel Myths and Its Method”.
[13]     Un po' come ai giorni nostri “l'islamofobia è il sovranismo dei diversamente furbi”.
[14]     «Divide et impera, il riprovevole brocardo della tirannia, è sotto determinate circostanze, l'unica politica tramite la quale una repubblica può essere amministrata solo su principi» Un “dividi e regna” a cui sono funzionali enormi spazi, giganteschi mercati del lavoro, differenti esigenze economiche legate a geografia e territorio, localismi e, su tutti, l'immigrazione. Potersela prendere con afroamericani ed ispanici per la criminalità è assolutamente più immediato che comprendere come certe condizioni sociali trovino responsabilità politica nell'élite economica. Il razzismo è l'altra faccia del liberalismo.  

L'EURO-CONTINUITA' LIBERISTA: DETERMINISMO ATTIVAMENTE NICHILISTA IN QUANTO COSTRUTTIVISTA

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Questo post di Bazaar è complesso e va riletto più volte (comprese le note a piè di pagina, che ho in parte integrato per una migliore comprensione di chi volesse approfondire). Ma ne vale la pena. 
Non credo abbia bisogno, il post, di ulteriori commenti introduttivi: tratta di temi che, in questo blog, ricorrono continuamente e cerca di farne il punto. Teorico ma anche molto pratico. 
La "continuità" dell'aspirazione strutturale neo-liberista è un processo in evoluzione, ma costante nei suoi principi informatori (che implicano un'idea riduzionistica dell'Uomo che tendono a realizzare "ad ogni costo": da qui il costruttivismo che caratterizza i suoi esiti totalitaristici conformi alle sue irrinunciabili premesse).
Perciò, calato nella Storia, assume forme (sovrastrutturali) solo apparentemente nuove, sicché nulla è più fuorviante, - e genera l'incapacità delle democrazie di impedire "che tutto questo si ripeta"-, che combattere, o stigmatizzare ritualmente, le sue forme "vecchie" (precedenti) come fossero una deviazione, peggio ancora se vista come irrazionalismo inspiegabile
Nei meccanismi che contraddistinguoo il liberismo, si tende irresistibilmente a raggiungere sempre lo stesso "equilibrio allocativo", proiettato su dimensioni crescenti (ovvero, oggi, mondialiste), e a riprodurre la stessa natura gerarchica che disconosce l'eguaglianza sostanziale; cioè nega, implicitamente ma necessariamente, il valore della vita dei singoli individui (esseri umani in quanto tali), in favore dell'eguaglianza formale, che è solo un altro modo, socialmente accettabile (e solo in certe fasi) per denominare la gerarchia anti-umanitaria.
(Le parti in campo giallo corrispondono alle variazioni dell'ultima versione rielaborata da Bazaar).




1 – Le scienze sociali: struttura e sovrastruttura.

« Se c'è qualcosa di certo, è che io non sono marxista», Karl Marx, 1882

Si è visto come rispetto a qualsiasi “maschera indossata” per confondere gli avversari nel conflitto distributivo (streghe, untori, “politici corrotti”, ebrei, musulmani, rettiliani, ecc.) la società gerarchizzata vede impersonalmenteun conflitto permanente in cui l'identità di classe, la coordinazione e – in definitiva – la coscienza sociale non sono diffuse equamente. Ovvero esiste una determinante asimmetria informativa tra la classe dominante e quelle subalterne.

Se esiste una classe sociale dominante – che politicamente “cospira” per definizione, indipendentemente dalle Istituzioni contestuali al momento storico – esiste anche una gerarchia sociale che tendenzialmente manipola cultura e informazionein modo più o meno marcato: in un regime totalitario, ovviamente, il “marcato” diventa totale.

Braudel sosteneva che: «Quando vogliamo spiegare una cosa, dobbiamo diffidare ad ogni istante della eccessiva semplicità delle nostre suddivisioni. Non dimentichiamo che la vita è un tutto unico, che anche la storia deve esserlo e che non bisogna perdere di vista in nessuna occasione, neppure per un attimo, l’intrecciarsi infinito delle cause e delle conseguenze. […] Noi studiamo la società e al nostro studio, in quanto tale, non possono bastare i mezzi di ogni singola scienza presa separatamente»

Ovvero la complessità sociale vuole un approccio multidisciplinare[1].

Affinché questo “tutto unico” possa essere analizzato negli aspetti principali in cui si declina, è necessario utilizzare una qualche forma di riduzionismo; ovvero ridurre la varietà dei criteri ad un unico modello semplificato.

«La vita è fatta di correnti che scorrono a velocità diverse: alcune […] mutano di giorno in giorno, altre di anno in anno, altre di secolo in secolo. [] geografia, civiltà, razza, struttura sociale, economia e politica. Tale classificazione si basa sulla velocità, più o meno grande, che caratterizza le diverse storie: all’inizio della serie, al massimo livello di profondità, le più lente, le meno condizionabili dall’intervento dell’uomo; alla fine, quelle che sono maggiormente influenzate, ovvero l’economia e la politica.»

La storia delle civiltà può essere quindi analizzata con diverse metodologie come la geopolitica, l'approccio etnico – di cui la teoria delle razze è la sua variante “estrema” – il liberalismo o il marxismo. Anche le religioni propongono propri modelli riduzionisti.

Liberalismo e marxismo riducono le dinamiche storiche all'economia: quella che, prendendo in prestito gli strumenti cognitivi messi a disposizione da Marx[2], viene definita struttura:l'organizzazione della società gerarchizzata in funzione del modo di produzione. Ovvero «l’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale»

Il modo di produzione «condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita».

Con sovrastruttura si intendono «tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato» così come le ideologie, condizionanti la percezione del reale e con funzione anestetizzante rispetto la dissonanza cognitiva degli individui e dei gruppi sociali che le subiscono passivamente. L'ideologia introiettata diviene falsa coscienza.

Hayek non si è inventato niente, ha solo ricordato ciò che è sempre stato pacifico sia tra i liberali – esotericamente– sia tra i marxisti, essotericamente[3].

Ovvero, anche tra i liberali – con buona pace di Popper– è comunemente accettato il “materialismo storico” (che di base nulla ha a che fare con l'ateismo, a differenza di ciò che credono alcuni “tradizionalisti”: mentre ha molto a che fare con le istituzioni religiose).

Questa convergenza economicistica tanto liberale quanto marxiana illumina anche il motivo per cui la nostra Costituzione trova la sue norme fondanti a tutela dei diritti fondamentali proprio nella cosiddetta costituzione economica.

Il ciclo retroattivo struttura, sovrastruttura e coscienza inquadra ancora perfettamente, ai giorni nostri, il fenomeno mediatico.

Chi controlla la struttura economica, controlla i mezzi di informazione e «ciò per cui gli uomini  debbano credere e per cui si debbano affannare»: controlla le ideologie dominanti, ovvero il sistema di valori e la coscienza della comunità sociale.

Poiché questo processo ha una retroazione - come era già chiaro ai socialisti di fine '800, e, “ingegnerizzato” nel mondo liberale da maestri della propaganda come Bernayse Lippmann –  tanto la sovrastruttura politica, quanto la propaganda ideologica manipolatrice delle coscienze, potevano cambiare fino a rivoluzionare la struttura economica.

Bene, così è più chiaro perché la propagandaci incita a fare le “riforme”... strutturali.[4]


2 – Chi non comprende la Storia è destinata a riviverla: coscienza storica è coscienza politica.

«Fu soltanto durante la guerra, dopo che le conquiste nell’est europeo avevano reso possibili i campi di sterminio e messo a disposizione enormi masse umane, che la Germania fu in grado di instaurare un regime veramente totalitario […] Il regime totalitario è infatti possibile soltanto dove c’è sovrabbondanza di masse umane sacrificabili senza disastrosi effetti demografici» H. Arendt, Le origini del Totalitarismo, pp. 430-431.

Si è già nominato in precedenza il  totalitarismo rovesciato e verrà meglio focalizzato in seguito: a proposito Chris Hedges e Joe Sacco  (in “Days of Destruction, Days of Revolt.”, 2012), sostengono che in questo regime:

a) ogni risorsa naturale ed ogni essere umano è mercificato e sfruttato all'estremo;
b) i cittadini sono espropriati della loro libertà e della loro partecipazione politica tramite l'eccesso di consumismo e di sensazionalismo.

Il sensazionalismo può essere a suo volta considerato “consumismo applicato alle informazioni” – informazioni come “beni di consumo di massa” – e il consumismo stesso come mera sovrastruttura volta al controllo della fase keynesiana dello sviluppo capitalistico. Ovvero, il consumismonon ha sostanzialmente nulla a che fare con la struttura economica “keynesiana” e con il consumo di massa identificato con la domanda aggregata.

La propaganda, la manipolazione dell'informazione, della cognizione e della coscienza diventano strumenti per creare – insieme a modi di produzione nuovi – un utopico (o distopico...) “uomo nuovo”.

Un “uomo” palingeneticamente trasformato tanto nella psicologia quanto, per vie eugenetiche, biologicamente: Simona Forti elabora questo pensiero di Hannah Arendt: « “la vera natura del totalitarismo” sembra infatti corrispondere a un'esplosiva combinazione di determinismo e costruttivismo[5]razionalistico. La volontaristica asserzione per cui tutto è possibile, anche trasformare "la condizione umana", si farebbe forte del richiamo alle irresistibili e inarrestabili leggi della Natura e della Storia, e si invererebbe nel tentativo di generare, per la prima volta, una nuova natura dell'uomo. Grazie al deserto prodotto dal terrore, da una parte, e alla ferrea logica deduttiva dell'ideologia, dall'altra, il totalitarismoriesce in ciò che per la metafisica era rimasto sempre e soltanto un sogno, un'ipostasi del pensiero: la realizzazione di un'unica Umanità, indistinguibile nei suoi molteplici appartenenti. Nei campi di concentramento gli esseri umani ridotti a esemplari seriali di una stessa specie animale perdono completamente quell'unicità e quella differenza che sono la conseguenza del fatto che "non l'Uomo, ma gli uomini abitano la terra"[6]»

Al di là della imprescindibile distinzione che la stessa Arendtfarà in seguito per l'esperienza stalinista che, da “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme”, distinguerà nettamente dal totalitarismo nazifascista per motivi eticirelegandola ad una forma classica di autoritarismo, la differenza da aggiungere – e magari correlare – sono le differenze di carattere strutturale ben rimarcate da Kalecki rispetto agli «ignoranti» che equiparano l'interventismo statalista del nazifascismo a quello sovietico.

Il “nazifascismo”, a differenza di ciò che viene comunemente condiviso dai “nostalgici” nonostante le strabordanti evidenze storiche, proponeva sì una certa propaganda anticapitalista (a cui però veniva sovrapposto l'antisemitismo) ma, appunto, goebbelsiana sovrastrutturaelevata sopra la struttura di un sistema capitalistico eticamente sfrenato che cercava di internazionalizzarsi finanziando cinicamente una folle politica imperialista.

D'altronde, l'adattabilità del liberismo economico in funzione del contesto geostoricoha dimostrato anche nella storia moderna di usare strumentalmente lo Stato come Leviatano funzionalmente alla libertà del capitale e al contestuale asservimento del lavoro: dal neoliberismo imposto con la violenza nel Cile di Pinochet, all'ordoliberismo che, insieme alla retorica dell'irenismo kantiano del federalismo, è stato progettato per servirsi di un autoritario Stato burocratizzato volto all'instaurazione di un mercato libero da finalità sociali.[7]

Dato il disgusto morale (o, forse, “estetico”) per le sovrastrutture ideologiche promosse dal nazifascismo, pare che a Friburgo l'élite abbia studiato una soluzione diversa e più correct; ma i fini sono strutturalmente i medesimi: la liberalizzazione dei capitali con ogni mezzo e l'asservimento dei lavoratori.

Le proposizioni nell'ordoliberismo sono usate come fossero complementari – ad es. “libero mercato” E“giustizia sociale”, “stabilità monetaria” E“piena occupazione”[8]– mentre, per motivi strutturali, qualsiasi sovrastrutturagiuridica non potrà obbligare gli organi di governo ad eseguire entrambi gli obiettivi, essendo per motivi “tecnici” mutuamente esclusivi. Poiché il capitale è naturalmente più forte del lavoro, la spoliticizzazione del governo delle comunità sociali permette di relativizzare l'ordine giuridico in funzione degli interessi del capitale del Paese dominante.

Questo spiega anche in breve il funzionamento dell'Unione Europea.


3 – Il totalitarismo liberale.

«Finché tutti gli uomini non sono resi egualmente superflui - il che, finora, è avvenuto solo nei campi di concentramento, l’ideale del dominio totale non è raggiunto»,  Hannah Arendt, “Le origini del totalitarismo”, Ed. di Comunità, Milano 1996, p. 626

Date queste premesse, si propone che il totalitarismo non è altro che la fase assoluta a cui tende il sistema capitalistico liberale – senza freni e limiti – nel momento in cui viene mercificato e monopolisticamente prezzato qualsiasi oggetto sensibile, da qualsiasi risorsa naturale, all'uomo, dalle norme morali, ai sentimenti.

Sheldon Wolin, il grande teorico politico americano recentemente scomparso, all'inizio degli anni 2000, analizzando la proiezione degli Stati Uniti sul mondo, propose la definizione di “totalitarismo rovesciato”,  secondo le più accettate nozioni del concetto sviluppato inizialmente nell'Italia fascista da Giovanni Amendola, da Sturzo, da un giovanissimo Lelio Basso (che ha coniato il neologismo) e, in seguito, da Carl Schmitt durante la Germania nazista. Fino ai politologi dei giorni nostri.

Vediamo ad esempio C. Friedrich e Z. Brzeziński (1956) sul significato storico di totalitarismo, proponendo già alcuni spunti di riflessione tra parentesi quadre:

a) un'ideologia onnicomprensiva che promette la piena realizzazione dell'umanità; [tipo il “mondialismo”?]
b) un partito unico di massa, per lo più guidato da un capo, che controlla l'apparato statale e si sovrappone a esso;
[tipo il “PUDE”, il “PUO” o il partito unico liberale con a capo il Grande Fratello, ovvero il Mercato?]
c) un monopolio quasi totale degli strumenti della comunicazione di massa;
d) un monopolio quasi totale degli strumenti di coercizione e della violenza armata;
e) un terrore poliziesco esercitato attraverso la
costrizione sia fisica sia psicologica, che si abbatte arbitrariamente su intere classi e gruppi della popolazione;
f) una direzione centralizzata dell'economia.
[Possiamo chiamare anche questo “monopolio” di un mercato massimamente concentrato che pianifica produzione e fissa i prezzi?].

Ovvero, secondo Simona Forti
«Il totalitarismo è messo in moto e tenuto in vita da un terrore che, a differenza della normale violenza politica, non mira a ottenere semplicemente la sottomissione. Se appare “assurdo” e “delirante” è perché non sembra rispondere a nessun tipo di necessità razionale, ma alla volontà di rendere superflue intere categorie di persone che con la loro semplice presenza disturbano il compimento del progetto totalitario(v. Maffesoli, 1979; v. Ferry e Pisier-Kouchner, 1985). Tale terrore si dimostra pertanto inscindibile dall'ideologia. Vero e proprio principio politico del regime, il progetto ideologico si pone l'obbiettivo di una destrutturazione radicale del presente e di una sua ricostruzione finalizzata all'edificazione della nuova storia,della nuova società e del nuovo uomo

E la seguente proposizione potrebbe essere anche presa come didascalia all'ordoliberalismoe al diritto internazionale subordinato ai trattati liberoscambisti:

«[..]il regime totalitario fa convivere una preoccupazione formalistica per il rispetto del diritto positivo con una sostanziale negligenza della legge scritta».

Il totalitarismo è volto «all'annientamento dell'identità psicofisica individuale

E sull'identità, che sia di classe o nazionale (o di genere?), ci si ritornerà (v. nota 5).


4 – Democrazia controllata e totalitarismo rovesciato.


Le differenze che trova Sheldon Wolin in forma di attributi di segno inverso nell'attuale totalitarismo sono principalmente tre:

1 – Le grandi imprese sostituiscono lo Stato come principale attore economico e, tramite attività di lobbying, controllano il governo senza che ciò sia ritenuto corruzione;

2 – Non viene più ricercata una costante mobilitazione di massa, ma la popolazione viene tenuta in uno stato perenne di apatia politica;[9]


L'unico momento in cui vengono coinvolti i lavoratori è al momento delle elezioni, in cui il parossismo mediatico raggiunge il suo culmine e l'ordinamento formalmente democratico permette di far accettare “idraulicamente” il programma imposto dall'élite.

Avendo noi rudimenti economici tali da poter strutturalmente analizzare questo pensiero al di là del dato meramente politologico, sociologico e storico, possiamo agevolmente proporre che “il totalitarismo nazifascista” sia stato una contingenza storica fondata su un imperialismo basato sul nazionalismo statualista in quanto peculiare ad una struttura socioeconomicaespressione, a sua volta, di un capitale non ancora sufficientemente internazionalizzato.

La famosa reductio ad Hitlerum di Leo Straussè da considerarsi nefasta non semplicemente come fallacia logica introdotta per un uso “eristico” nella dialettica di chi non ha argomenti, ma per motivi esattamente oppostia quelli portati avanti dagli educatori “liberal[10]che hanno incominciato ad ingrossare le file dei socialisti dopo la seconda guerra mondiale: infatti, oltre ad innumerevoli storici, attentissimi teorici politici come la Arendthanno giustamente osservato che stigmatizzare etica, pensieri ed idee riconducibili agli orrori della seconda guerra mondiale (in breve “ad Hitler”), poteva servire ad evitare che certe aberrazioni ideologiche fossero di nuovo funzionali ad un nuovo Olocausto.

Ma perché questa comune argomentazione abbia senso, è necessario affermare – come alcuni storici hanno fatto – che le responsabilità dell'Olocausto sia da attribuire nella sostanza ad Hitler e alla sovrastrutturaideologica del nazifascismo.

Usando noi l'analisi economica come metodo scientifico volto all'ermeneutica delle sovrastrutturegiuridiche, politiche ed ideologiche, possiamo quindi altrettanto stigmatizzare come fallace questa posizione: si attribuisce alla struttura storica una genesi sostanzialmentesovrastrutturale, che – come abbiamo postulato inizialmente – dovrebbe solo in termine “retroattivi” conformare le dinamiche storiche, ovvero in termini di retroazione della coscienza sociale  sui modi di produzione da cuiè stata sostanzialmente creata.

Questa “retroazione” ha avuto come accidente Hitler e la sovrastrutturaideologica antisemita, producendo l'apparente incomprensibile orrore della Shoah; resta fondamentale a supporto la dimostrazione empirica a sostegno della metodologia analitica qui proposta: John Maynard Keynes ne “Le conseguenze economiche della pace” predice la sostanza delle imposizioni economiche del Trattato di Versailles.

Non poteva prevedere qualitativamente cosa sarebbe successo, essendo – appunto – ancora da verificarsi l'ascesa al potere di Hitler: ma l'analisi di profilo economicistico, nonostante errori e approssimazioni, permise di anticiparne con largo anticipo la sostanza tragica.
   
Ridurre tutti i fenomeni ad Hitler– al di là della fallacia logica e dell'uso propagandistico – significa non aver compreso le fondamenta strutturali della società capitalistica moderna.

Significa – paradossalmente rispetto alle preoccupazioni espresse da studiosi come la Arendt– non contribuire a produrre la coscienza necessaria affinché questo genere di orrori non si ripeta mai più.

Il capitalismo pare essere “funzionale” soltanto fino a che è funzionale al capitale: il concentrazionismopotrebbe essere la sua naturale evoluzione.

« Arbeit macht frei” [...] “Il lavoro rende liberi”. […] Tradotta in linguaggio esplicito, [la scritta] avrebbe dovuto suonare press’a poco così: “il lavoro è umiliazione e sofferenza, e si addice non a noi, [Ubermenschen], [razza] di signori e di eroi, ma a voi [Untermenchen]. La libertà che vi aspetta è la morte”.
In realtà, e nonostante alcune contrarie apparenze, il disconoscimento, il vilipendio del valore morale del lavoro era ed è essenziale al mito fascista in tutte le sue forme. Sotto ogni militarismo, colonialismo, corporativismo sta la volontà precisa, da parte di una classe, di sfruttare il lavoro altrui, e ad un tempo di negargli ogni valore umano. [...]
Questa volontà appare già chiara nell’aspetto antioperaio che il fascismo italiano assume fin dai primi anni, e va affermandosi con sempre maggior precisione nella evoluzione del fascismo nella sua versione tedesca, fino alle massicce deportazioni in Germania di lavoratori provenienti da tutti i paesi occupati, ma trova il suo coronamento, ed insieme la sua riduzione all’assurdo, nell’universo concentrazionario.
Il carattere sperimentale dei Lager è oggi evidente, e suscita un intenso orrore retrospettivo. Oggi sappiamo che i Lager tedeschi, sia quelli di lavoro che quelli di sterminio, non erano, per così dire, un sottoprodotto di condizioni nazionali di emergenza (la rivoluzione nazista prima, la guerra poi); non erano una triste necessità transitoria, bensì i primi, precoci germogli dell’Ordine Nuovo. Nell’Ordine Nuovo, alcune razze umane [...] sarebbero state spente; altre [...] sarebbero state asservite e sottoposte ad un regime di degradazione biologica accuratamente studiato, onde trasformarne gli individui in buoni animali da fatica, analfabeti, privi di qualsiasi iniziativa, incapaci di ribellione e di critica.
I Lager furono dunque, in sostanza «impianti piloti» anticipazioni del futuro assegnato all’Europa nei piani nazisti. Alla luce di queste considerazioni, frasi come quella di Auschwitz, «Il lavoro rende liberi», o come quella di Buchenwald, «Ad ognuno il suo», assumono un significato preciso e sinistro. Sono, a loro volta, anticipazioni delle nuove tavole della Legge, dettata dal padrone allo schiavo, e valida solo per quest’ultimo.
»[11]Primo Levi, in «Triangolo Rosso», Aned, novembre 1959.


ADDENDUM: le obiezioni storiche e logiche di Arturo, che trovate nei suoi primi due commenti, sono correttamente fondate sulla completa considerazione di fatti di indubbia rilevanza economica e sociale.
Certamente, e in questa sede lo abbiamo evidenziato, la seconda guerra mondiale si accompagna alle conseguenze della crisi del 1929, ma questa crisi può essere vista, a sua volta, - senza che occorra rimproverare a Keynes di (non) essere un "veggente", prima ancora che uno scienziato di straordinaria intelligenza-, come il sussulto dell'ostinazione ad aderire al paradigma marshalliano e al connesso (se non altro sul piano storico-politico) gold-standard.  
  
Il fascismo e, come per molti versi evidenzia Bazaar, il nazismo, sono figli, partoriti nel"panico"(di perdere il "controllo": ciò che costituisce la negazione stessa del liberalismo), dell'equilibrio della sottoccupazione.
Un fenomeno, quest'ultimo, che, solo più tardi (rispetto alle"conseguenze economiche della pace"), Keynes avrà evidenziato: certo non poteva spettargli di poter predire le "conseguenze"politico-ideologiche concretamente innescate, per l'autoconservazione del paradigma (cioè Bruning e la sua follia, innescante una controfollia già contenuta, però, in quel paradigma), in conseguenza della incurabilità sociale e politica di tale ipotetico equilibrio. 
Ma quell'autoritarismo è un fenomeno insito nelle premesse scientifico-politiche del liberismo, una volta che il capitalismo (l'oligarchia) si trovasse, inevitabilmente, a dover sottrarre ciò che aveva concesso, a causa della sua capacità automatica di produrre crisi economico-finanziarie.

Di fronte alla consequenzialità della crisi del '29 dall'assetto socio-politico neo-classico (che è la scienza del tardo '800, come ci conferma Ruini in Costituente), possiamo ritrovare nella pace di Versailles una continuità sintomatica, cioè un  antecedente significativamente omogeneo (l'imperialismo free-trade produce la guerra e la guerra implica l'eliminazione possibilmente definitiva del concorrente, senza pensare a effetti geopolitici, che non rientrano nel calcolo del mercantilista imperiale).
Ma altrettanto questa omogeneità si ritrova negli  sviluppi successivi alla crisi, in Germania come in ogni altro Stato "occidentale": usando il "metro" di Bazaar,vogliamo parlare di una dialettica interna al paradigma, geograficamente differenziata quanto alla sovrastruttura?
 
Cioè, nella "reazione" alla crisi stessa, i paesi non di (lunga) tradizione imperialista seguono una via di socializzazione che è evidentemente strumentale e contingente; vale a dire, funzionale a ripristinare al più presto, su basi geopolitiche più estese, i principi dell'equilibrio neo-classico (lo stesso potremmo dire dei paesi imperialistico-coloniali tradizionali, ma in forme che matureranno molto più tardi: e solo dopo che la vittoria militare avrà consentito di prendere tempo rispetto al problema "principale" che, comunque, poneva il socialismo reale sovietico).
In buona sostanza, se sono riuscito a spiegarmi, il problema non è tanto individuare fatti storici eclatanti che possano costituire, sul piano del nesso causale, i fattori strutturali decisivi a spiegare il totalitarismo e la seconda guerra mondiale (e la loro comune genesi della crisi del '29), quanto individuare l'elemento strutturale che ne costituisce il tratto comune, complessivamente intesi: cioè dall'imperialismo colonialista, al gold standard, alla prima guerra mondiale, alla pace di Versailles, al fascismo, alla crisi del '29, alle strategie strumentali che variamente ne conseguirono, fino alla seconda guerra mondiale.

Da questo punto di vista, mi pare eloquente questa sintesi di George Bernard Shaw:


  



[1]      [1]Un esempio per  “ingegneri”: i decisori delle classi dominati che prendono le decisioni politiche si trovano a far delle “derivate” per comprendere come “spingere la Storia”, chi è escluso dal processo decisionale e vede la Storia “dall'esterno” (ovvero “la subisce”), si ritrova a far degli “integrali”...
[2]      “Per la critica dell’economia politica”, K. Marx, 1859
[3]      Mentre nel marxismo viene esplicitato come l'economia sia da ritenere minimo comun denominatore di tutti i fenomeni sociali, nel liberalismo questo viene lasciato implicito
[4]      Lo si diceva che “l'unico ad aver letto e capito Marx sono stati i banchieri”....
[5]      TINA: “There is no alternative”, non esiste alternativa: un determinismo storico, attivamente nichilistain quanto “costruttivista”, alla base delle passate esperienza di totalitarismo.
[6]      Si potrebbero fare una moltitudine di considerazioni, in particolare sul virgolettato finale il cui concetto ha già ispirato alcune sintetiche riflessioni: l'ingiustizia sociale porta naturalmente al relativismo morale.
        Invertendo la proposizione arendtiana, si può parlare di Uomo se e solo se tutte le persone sono eguali nella sostanza. Ovvero non esiste una pluralità di uomini formalmente differenti se la loro esistenza non ha nella sostanza pari dignità.
        Un altro spunto di riflessione sul principio per cui “l'uguaglianza formale” distrugge l'identità, cristallizza il funzionalismo sociale – e l'immobilità tra classi che questo comporta –  è che rende moralmente accettabili le politiche di controllo sociale di carattere malthusiano.
        Si può quindi proporre  che il principio esposto per cui “insistere sull'uguaglianza formale, produce maggiore disuguaglianza sostanziale”, sarebbe stato rinvenibile nell'art.3 Cost. nel momento in cui non fosse stato enunciato il secondo comma: ovvero si può supporre che si sarebbe progressivamente sviluppata quella logica antidemocratica su cui sono stati fondati gli ordini liberali come quello USA e che ora vengono presi a modello per l'unificazione europea.
[7]      Giusto un promemoria: il liberista thatcheriano, hayekiano, friedmaniano, einaudiano, ecc., che sproloquia di “concorrenza perfetta” e  “Stato minimo”, si scorda che il liberismo(o meglio i suoi corollari, come le privatizzazioni...) è il passaggio  ultimo dopo che sono stati imposti i trattati di libero scambio. (Anche la Germania nazista stava costruendo la sua area di free trade con moneta unica, il Lebensraum). Quindi nei processi di liberalizzazione esiste un'asincroniatra libero scambio e laissez-faire. Il paradiso dei liberali, però, si tradurrà a livello globale, con un centrocomunquefortemente burocratizzato e una periferia con, effettivamente, uno “Stato minimo”, tipo lo Zimbabwe (che ovviamente “non ha fatto le riforme” perché non c'è nulla“da riformare”...).
          Lo Stato può essere storicamente visto come semplice albero di trasmissione del potere: dove serve, quando serve... in funzione delle esigenze di chi lo controlla.
[8]      Si insiste sull'uguaglianza formaletra capitale e lavoro nonostante i fattori della produzione siano sostanzialmentediversi.
[9]      Cfr. con “The crisis of democracy”.
[10]     Si potrebbero fare riflessioni interessanti sull'evoluzione del trotzkijsmo o su come la Scuoladi Francoforte e la tradizionale critica socialista si siano lentamente spostate dalla critica alla “struttura” alla critica delle “sovrastrutture”...
[11]     Grazie a Winston Smith per la segnalazione sulle riflessioni del nostro Primo Levi.

"IL SEGNALE" E LA SOPRAVVIVENZA: IL RIPIEGAMENTO ANTI-AUSTERITA' E' GIA' DISPERATAMENTE INIZIATO

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https://ilmalpaese.files.wordpress.com/2016/01/10931554_10152690919972903_2483055322693906559_n.jpg?w=600

1. Vorrei partire da questa notizia; ovvero, da chi e "come" l'ha data (le notizie sono i fatti per come interpretati dai media: prima di tutto sulla loro rilevanza e poi con riguardo al risalto e al contesto in cui porli in evidenza. Frame e spin dominano e non lasciano alcuno scampo ai "fatti" intesi come dati della realtà storicamente oggettivi, comunque inevitabilmente selezionati):

Questa "notizia"è la conseguenza naturale di un frame spinnato senza risparmio a livello "sovranazionale" (ma probabilmente ben alimentato dall'interno, da forze nazionali disparate ma mosse da convergenti interessi): 
Ci sono segnali che ci dicono che la pazienza dell’Italia con la Ue e la Germania, in particolare, si sta esaurendo il primo ministro Matteo Renzi ha attaccato apertamente le politiche della Ue in materia di energia, sulla Russia, sul deficit di bilancio e sul dominio tedesco dell’intero apparato. Non è solo la crisi dell’euro che ha portato l’Italia sull’orlo di mettere in discussione la sua posizione nell’Eurozona. Si tratta di una combinazione di più crisi ed è probabile che crescerà dal dibattito sulla Brexit”.
Si tratta di un modo tortuoso, tipicamente neo-liberista, di esporre il problema (Munchau si aggira sull'euro sempre per criticarlo a metà: l'inadeguatezza dei PIGS non è mai in discussione veramente).

2. "The Economist", il grande inquisitore a cui la sinistra italiana affida il proprio specchiarsi nell'approvazione internazionalista di cui si fanno vanto (quando c'è), aveva iniziato molto prima:

Saltando gli attacchi "intermedi", oggi lo stesso intensifica lo spin:

In quest'ultima occasione, il succo,  è questo: uno slogan rituale, applicabile a qualsiasi governo italiano che volesse anche solo sopravvivere elettoralmente: 
"But Italy’s tremendous national debt leaves it little credibility to demand the freedom to spend more and tax less. And apart from Mr Renzi’s vague calls for a “more socially oriented Europe”, his alternative to the current EU remains frustratingly unclear.").

3. In tutte queste "evidenze", la proposta-risposta italiana viene progressivamente ricalibrata
Infatti, alle posizioni iniziali, riportate qui sotto (relative a bad-bank e fondi aggiuntivi per la Turchia, perchè sappiamo come, in entrambi casi sia andata a finire):

consegue, come abbiamo visto, un duplice arretramento: alquanto inglorioso e significativo del velleitarismo di iniziative improntate all'autonomia della linea politica italiana,anche quando ne vanno di mezzo i più importanti e sensibili interessi nazionali (cioè la possibilità di evitare il tracollo sistemico del sistema bancario ed economico nonché di evitare una destabilizzazione sociale da immigrazione, in situazione di economia stagnante o sull'orlo di un riacutizzarsi della recessione).

3.1. Si va quindi a questa "mossa", più o meno ufficiale, che manifesta un'intenzione italiana, rigorosamente unilaterale, di aprire un ampio negoziato (successivo a quello sulla Brexit; questa, a sua volta, a effetti fantomatici e inconcludenti): 
"...La questione numero uno è l’Unione bancaria. L’entrata in vigore del «bail-in», ovvero l’obbligo di far pagare il fallimento delle banche a chi ne è azionista o (ricco) correntista, è in linea di principio è una buona idea: attenua i rischi di domino finanziario, e il legame fra rischio sovrano e rischio bancario. Ma può funzionare se nel frattempo da Berlino parte la richiesta di porre un limite al possesso di titoli statali nei bilanci delle banche e si rimanda al 2028 l’istituzione di una garanzia comune sui depositi? «Per i tedeschi ognuno dovrebbe agire per conto suo: i depositi tedeschi garantiti dai tedeschi, gli italiani dagli italiani», diceva Padoan in una intervista alla Stampa poco prima di Natale. «Ma se non si condividono i rischi nel lungo termine non sopravvivrebbe nemmeno l’unione monetaria». Di recente il governatore della Bundesbank Jens Weidmann e il suo collega francese hanno proposto l’istituzione di un ministro del Tesoro europeo con forti poteri di controllo sui bilanci nazionali. 
«Per fare quel mestiere c’è già la Commissione», sottolinea una fonte del Tesoro. Il governo considera quella posizione la classica fuga in avanti di chi vuol farsi dire no
Il documento formula una proposta diversa: una figura al quale dare il potere di gestire risorse comuni, assicurare la stabilità finanziaria ed evitare gli squilibri macroeconomici fra i Paesi dell’Unione. Si scrive squilibri, si legge Germania: da tempo l’Italia (ma lo ha fatto ufficialmente anche la Commissione) lamenta l’enorme surplus commerciale di Berlino. 
La Germania esporta più di quanto venda in patria, limitando di fatto le opportunità di crescita e occupazione fuori dei suoi confini. I chiodi fissi di Padoan sono crescita e occupazione, impossibili da ottenere oggi senza un aumento degli investimenti pubblici.  
Il documento non può dire che il piano Juncker è un flop, ma chiede un passo avanti: l’introduzione dei project bond, titoli di debito europei per finanziare infrastrutture comuni. 
Infine c’è il tassello della libertà di movimento: senza Scenghen, e senza un sussidio di disoccupazione europeo, finirà per venir meno. La proposta italiana prevede un sostegno di almeno sei mesi pari al 40 per cento del salario percepito. «Bisogna convincere i cittadini che l’Europa non è il problema ma è parte della soluzione», dice spesso Padoan. Un vasto programma, di questi tempi.

4. Ci si potrebbe chiedere che risposta abbia avuto questa proposta che, tra l'altro, non intende, esplicitamente, modificare i trattati
Eccola qui la risposta, in termini molto pratici, al 23 febbraio 2016. Cioè un chiaro "intanto che fate i compiti, le regole non si toccano":
"Il Country report sull'Italia che sarà diffuso mercoledì evidenzia che la spending review è stata poco efficace e fare business è più difficile che altrove a causa di inefficienze e corruzione (!!!). Risultato: "La debolezza strutturale della Penisola potrebbe avere conseguenze sulle altre economie europee".
"Sono, secondo le anticipazioni de La Stampa, alcuni dei punti principali del Country report della Commissione Ue sull’Italia che sarà inviato a Roma mercoledì, due giorni prima del vertice tra il premier Matteo Renzi e il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker."
5. E dunque? 
Ebbene, appare più utile, per comprendere, tornare alla notizia iniziale sulle risatine della stampa estera...
Se la bad bankè sfociata in un compromesso al ribasso a imposizione €uropea, e non decolla ancora (ma tanto non è realmente risolutiva, incidendo su una parte degli effetti e lasciando inalterate le cause), se la politica aperturista verso il finanziamento aggiuntivo del "tappo turco" all'emigrazione dei rifugiati, risulta una mossa a dir poco improvvida, se la "grande riforma" ad iniziativa italiana non sposta di un millimetro la Commissione e, prevedibilmente, il Consiglio UE, dalla consueta litania su debito, inefficiene e corruzione...che si fa
Ebbene, si ricorre alle ulteriori riforme
Le più complete e avanzate possibili che possano risultare gradite agli USA che, nonostante wikileaks, rimangono il "protettore" di ultima istanza che ha la forza di impedire (o di non innescare) il ripetersi del trattamento Berlusconi; col ripetersi di un "piano Geithner" come nel 2011 e la Germania, più ancora che la Francia, esecutrice: occorre rammentarlo.
6. Ecco allora, il segnale, opportunamente posto in risalto proprio sulla stessa fonte che spinna le "risatine"; un segnale che appare riferirsi agli uomini ma in realtà allude ai "programmi":
Non è infatti difficile esplicitare gli sviluppi di questi temi programmatici.
La legge sulla rappresentanza sindacale allude alla riforma d'imperio (cioè promossa dal governo bypassando le parti sociali)della contrattazione collettiva e all'introduzione di quella decentrata a livello aziendale; essa trova il suo naturale complemento, deflattivo, nel salario minimo, cioè nel livello di fondo che prescinde dalle qualifiche e dalle progressioni della ex-contrattazione collettiva, e che pone dunque un tetto solo alla caduta dei salari che la disarticolazione sindacale di categoria implica naturalmente. 
7. Cioè, l'occupazione neo-ordo-liberista è quella che porta a una striscianteriduzione dell'occupazione "buona" (quella capace di attenuare la crescita esponenziale dei working poors e la caduta della domanda interna), accentua la deindustrializzazione e la perdita delle competenze, come si addice a un'area coloniale.
La riforma del fisco, in questa ottica di "obbedienza" (ormai rassegnata), è un modo, all'interno dell'0vvio linguaggio della "illusione finanziaria" di predisporre una manovra super-correttiva in funzione degli obiettivi intermedi (già programmati) di pareggio strutturale di bilancio: si tratterebbe dell'aumento dell'IVA, della drastica riduzione di detrazioni e deduzioni fiscali e della riforma del catasto per aumentare le basi imponibili dell'imposizione patrimoniale.
Il tutto già programmato, appunto, nel Def dell'aprile dello scorso anno e in parziale stand-by per quest'anno, in attesa di un responso sulla "flessibilità"€uropea che sembra ormai, nella visione ridivenuta pragmatica del governo, un discorso chiuso,
8. Gli USA vogliono l'UE, vogliono l'euro - magari in cambio di una mano sugli esiti potenzialmente disastrosi dell'Unione bancaria, attraverso la longa manus del "clemente" Draghi, forse indotto a "nuove tipologie di acquisti" nell'ambito del QE- e ammettono solo esecutori "efficienti"(appunto non come Berlusconi nel mirino nel 2011) delle inevitabili riforme.
Altrimenti, altro che risatine! 
Salviamo il salvabile, dai...

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FINANZIAMENTI COMUNITARI: CONDIZIONALITA' SENZA FRONTIERE (almeno per l'Italia)

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1. Oggi segnaliamo la pubblicazione del libro di Romina Raponi il cui titolo è lo stesso di questo post (e di cui vedete la copertina nell'immagine di apertura). 
Alberto Bagnai, autore della prefazione al libro, ha già fatto una incisiva recensione a cui rinviamo.

In questa sede faremo qualche approfondimento sulla concreta attualità del libro e per vari buoni motivi:
a) il libro è appena uscito, (teorica disponibilità in libreria e sui vari siti di acquisto on line), il 25 febbraio, cioè ieri;
b) l'autrice altri non è che Sofia, autrice di tanti interessanti (e straordinariamente accurati) post su questo blog. 
Insomma, ci mancherebbe che non fosse qui ospitato il suo libro che, in termini di approccio generale, è anch'esso (come "La Costituzione nella palude") figlio legittimo di questo stesso blog;
c) quello che espone il libro non solo getta luce su aspetti "insospettabili" della realtà della finanza "para-fiscale"€uropea, in quanto accuratamente "rimossi" dalla grancassa ital-mediatica pop, (ordoliberista-autorazzista e anti-Stato democratico-costituzionale), ma viene curiosamente confermato dalla cronaca degli stessi giorni in cui esce il libro. 


2. Migranti, il ministro degli Esteri polacco a Radio 24: «Renzi ci ricatta. si informi prima sui fatti»
"Il Ministro degli Esteri polacco Witold Waszczykowski in un'intervista a Radio 24, il Ministro degli Esteri polacco Witold Waszczykowski attacca il governo italiano e il premier Matteo Renzi.
L'ipotesi del premier italiano Renzi di un taglio dei fondi strutturali ai Paesi dell'Est che bloccano i ricollocamenti dei migranti «è un ricatto, totalmente ingiustificato, che deriva da una mancanza di conoscenza. I fondi strutturali europei sono parte dei Trattati Ue. Renzi non li può cancellare. Il premier Renzi probabilmente non sa che per ogni euro che arriva dall'Europa in Polonia, 70-80 cents ritornano a Ovest. In secondo luogo, il problema dei migranti e dei rifugiati non ha nulla a che vedere con le politiche europee, è una prerogativa nazionale e di sicurezza. Infine, il premier Renzi non sa che la Polonia ospita già un milione di ucraini sul proprio territorio. Consiglio a Renzi di informarsi sui fatti. Confido che la mia visita a Roma a marzo migliorerà la sua opinione sulla Polonia».
Alla domanda di Sergio Nava di Radio 24 su come Varsavia reagirebbe nel caso l'Italia desse seguito all'ipotesi di taglio dei fondi UE, il Ministro degli Esteri polacco Witold Waszczykowski ha così risposto: «È impossibile legare fondi UE e migranti, va contro i Trattati. Inoltre, la solidarietà è bidirezionale: se si chiede a noi di essere solidali sui migranti, voi dovete essere solidali sul fronte orientale, dove c'è un conflitto tra Ucraina e Russia, migliorando la sicurezza della Polonia. Manderete qui le vostre truppe? Se lo fate, possiamo discutere di altre questioni. Ma la solidarietà deve essere bidirezionale».

3. Il punto che sfugge all'intervistatore (cioè la realtà dei "fatti" su cui il ministro invita da informarsi), e che ben poteva essere approfondito,è che la questione dei migranti non è affatto impossibile da legare ai fondi UE quali previsti dal Trattato: si tratta infatti, in particolare a norma dell'art.174 TFUE (norma giustificativa della parte più importante dei c.d. fondi strutturali), di una materia strettamente connessa alla "coesione economica, sociale e territoriale" e che influenza, a seconda delle condizioni di mercato del lavoro (cioè di livello della disoccupazione) in cui il flusso di migranti interviene, proprio la possibilità di "ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite". Tant'è vero che il "Fondo europeo di sviluppo regionale è destinato alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nell'Unione, partecipando allo sviluppo e all'adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo nonchè alla riconversione delle regioni industriali in declino" (art.176 TFUE).

4. E qui già si possono segnalare rilevanti aspetti di politica economica indotti dall'adesione all'UE che ben rendono legittimo per l'Italia ridiscutere i fondi strutturali, senza che si possa oggettivamente negare il legame dei loro obiettivi (riequilibrare le differenze strutturali tra aree economiche di diversi paesi in funzione di una coesione sociale complessivamente intesa come obiettivo fondante dell'Unione) con la enorme rilevanza che l'immigrazione ha sul mercato del lavoro e sulla conseguente crescita economica, che ne viene inevitabilmente influenzata sotto molteplici aspetti, demografici, deflattivo-salariali, di spesa fiscale, di sostenibilità del suo immediato impatto sociale e finanziario (come ben sa la Merkel nei suoi disegni quantomeno iniziali):

a) la Polonia è fuori dall'area euro e perciò può fruire di una flessibilità del cambio che, in termini di crescita e di sviluppo, ha consentito di registrare risultati ben diversi da quelli italiani, ponendo drammaticamente un'assoluta priorità di riequilibrio proprio delle aree svantaggiate del sud d'Italia. Un riequilibrio che può essere realizzato SOLO  attraverso politiche strutturali autonomamente adottate dallo Stato italiano, nell'ambito di doveri che sono sanciti dalla stessa Costituzione, ma che sono precluse sia dal sistema fiscale imposto dall''€uropa sia, in aggiunta, dai saldi (svantaggiosi e in forte passivo) rigidamente stabiliti dal sistema stesso dei fondi europei;
b) la  Polonia, pur fruendo dell'enorme vantaggio della maggior elasticità valutaria e fiscale che deriva dalla mancata adesione alla moneta unica e avendo registrato progressi nello sviluppo e nel risanamento strutturale, a differenza dell'Italia (afflitta, a seguito del consolidamento fiscale e poi dell'austerità, imposte dall'UE-UEM dai problemi esattamente opposti), è un contribuente passivo ai vari fondi derivanti dal bilancio dell'UE, mentre l'Italia è un forte contribuente netto.

5. Ergo, la solidarietà, una volta ricostruiti (per sommi capi) i fatti salienti che caratterizzano la situazione economico-fiscale dei vari paesi, dovrebbe logicamente agire in senso esattamente opposto a quello richiamato dal ministro polacco. E proprio nell'ambito di quel coordinamento delle poltiche economiche e sociali che i fondi europei e, più in generale il trattato, impongono ai vari Stati aderenti: chi ha registrato più crescita e più sviluppo dovrebbe venire incontro ha chi incontra difficoltà, come l'Italia, e per di più proprio in quanto rimane nel quadro delle regole europee (anche se la Commissione ne adotta, solo nei confronti dell'Italia, una interpretazione rigidissima e distruttiva di ogni futura possibilità di crescita)

6. Ma più ancora, e qui torniamo al tema del libro, una volta correttamente posta la questione in termini di dovuto coordinamento delle politiche economiche al fine di non acuire gli squilibri, la Commissione UE ha ritenuto che la condizionalità legata ai fondi- cioè l'insieme delle regole di adeguamento imposte ai percettori degli stessi, SPECIE SE PERCETTORI NETTI COME LA POLONIA, se il principio solidaristico e l'equità sostanziale hanno un senso all'interno dei trattati- non è solo "interna" (cioè connessa all'insieme degli obiettivi e delle modalità di impiego dei fondi) ma anche esterna, cioè, e questo è una delle rivelazioni più significative elaborate nel libro, apportatrice di obblighi di adeguamento relativi alle politiche economico-fiscali generali dei paesi aderenti all'UE.

7. Vi riporto perciò il passaggio del libro dove ciò viene chiarito sviluppandone poi una serie di conseguenze e corollari (economico-normativi) che gettano una luce "inquietante" sulla conservazione della sovranità e, specie per un paese come l'Italia che sia un forte contribuente netto (cioè che dà all'UE molto più di quanto possa mai ricevere), sulla legittimità costituzionale di un sistema di "solidarietà" che funziona, per l'Italia, solo in "uscita" e verso gli altri, pur essendo l'Italia sottoposta a condizionalità così incisive e che ne limitano la crescita e lo sviluppo oltre qualsiasi metro di ragionevolezza.
Le "condizionalità" sui fondi europei cui è parso alludere il premier italiano, in questo quadro, appaiono obiettivamente più che legittime e previste dalla disciplina derivante dai trattati. Certo, riuscire da attuare questo indirizzo dipende dalla forza politica e dalla capacità di "ascolto", da parte delle istituzioni UE, di chi le propone...ma non pare consentito parlare di ricatto: a meno che anche l'Italia non possa invocare questa terminologia rispetto al tipo di condizionalità che qui di seguito è illustrata:
"paragrafo 7.2.
...tra le condizionalità vi è anche quella che attiene al coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri e al rispetto dei parametri macroeconomici e di finanza pubblica previsti nell’ambito della governance economica[1]...

Infatti la Commissione europea, può chiedere a uno Stato membro di rivedere l’accordo di partenariato[1]e i relativi programmi operativi, ove necessario per renderlo coerente con idocumenti strutturali del Semestre europeo, ossia il programma nazionale di riforma (PNR), il Programma di stabilità e di convergenza, l’Analisi annuale della crescita, la Relazione sul meccanismo di allerta e le Raccomandazioni specifiche per Paese (CSR - Country Specific Recommendations) adottate dal Consiglio sulla base dei medesimi programmi e rivolte a orientarne la politica economica in coerenza con gli indirizzi europei sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici (ad esempio con riferimento al patto di stabilità e agli impegni sulla riduzione del deficit di bilancio), o finalizzata a massimizzare l'impatto dei Fondi SIE sulla crescita e sulla competitività.
............
Tali Raccomandazioni, che hanno la propria base giuridica negli artt. 121 e 148 del TFUE (per quanto attiene rispettivamente alla rispondenza delle politiche economiche degli Stati membri agli indirizzi di massima elaborati dal Consiglio e agli orientamenti cui attenersi in materia di occupazione), rappresentano l'atto conclusivo del Semestre europeo e un elemento fondamentale del coordinamento e della sorveglianza delle politiche macroeconomiche degli Stati membri in cui consiste il c.d. "braccio preventivo" del Patto di stabilità............... 
...mentre con il sistema delle osservazioni agli accordi di partenariato (di cui si dirà) l’UE finisce per richiamare gli Stati affinché si attengano strettamente agli obiettivi fissati soprattutto nel QSC,attraverso le raccomandazioni finiscono per imporre l’inserimento del raggiungimento di finalità ben più ampie nell’ambito dei programmi relativi ai finanziamenti comunitari.
Sostanzialmente, attraverso le raccomandazioni, l’UE impone modifiche strutturali al sistema normativo e amministrativo interno dello Stato membro (lavoro, pensioni, istruzione, organizzazione della pubblica amministrazione ecc) e a garanzia del rispetto delle stesse; i contratti di partenariato finiscono per esserne influenzati e condizionati tanto da prevedere la sospensione e/o la revoca dei finanziamenti in caso di mancata esecuzione delle raccomandazioni."




[1]Regolamento (UE) n. 1303/2013, art. 23, comma 1. È interessante osservare il permanere della dizione «contratto», laddove tutto il Regolamento ricorre, nel testo italiano, al termine «accordo». Probabilmente una svista di traduzione.


[1] Regolamento (UE) 1303/2013, art. 23.

Paragrafo 7.3.

Le condizionalità strettamente intese entrano a pieno titolo nel campo dei fondi strutturali a partire dal processo di riforma della governance promosso dal «Rapporto Barca»[1], delle quali costituiscono uno dei 10 pilastri su cui si articola la proposta di lavoro. L’apporto dei Fondi è ricondotto a un approccio place-based di tipo «contrattuale» fra Commissione e singoli Stati membri.
Da un lato, si disegna un insieme di condizionalità ex ante, rivolte a garantire che gli Stati membri/le istituzioni beneficiarie locali dispongano di risorse normative e organizzative tali da garantire piena adesione alla strategia della UE ed effettiva realizzabilità degli investimenti sostenuti dai Fondi.
Gli attori sono dunque vincolati a una analisi preventiva dello stato delle condizioni richieste e, in caso di non conformità, alla assunzione di obbligazioni rivolte al loro allineamento.
Dall’altro lato, una quota di risorse è assegnata attraverso un meccanismo di natura premiale, a fronte del dimostrato raggiungimento di determinati obiettivi di programmazione.
…………..
La Commissione ‹‹valuta la coerenza e l'adeguatezza delle informazioni fornite dallo Stato membro sull'applicabilità delle condizionalità ex ante e sull'adempimento di dette condizionalità nell'ambito della sua valutazione dei programmi e, se del caso, dell'accordo di partenariato››[2].
………….
In linea teorica le condizionalità non si dovrebbero tradurre in prescrizioni, ma in valutazioni oggettive. Eppure lo stesso sistema sanzionatorio previsto in caso di mancato raggiungimento comporta che non si possa che trattare di prescrizioni vincolanti.
…………….
A contrario, qualora la verifica dimostri che ‹‹vi è stata una grave carenza nel conseguire i target intermedi di detta priorità inerenti esclusivamente a indicatori finanziari e di output, nonché alle fasi di attuazione principali stabilite nel quadro di riferimento dell'efficacia dell'attuazione››, la Commissione può sospendere del tutto[3] o in parte un pagamento intermedio relativo a una priorità di un programma[4], sino alla soppressione del programma stesso, secondo la procedura di cui alle norme specifiche di ciascun Fondo.
……………
Fino ad arrivare al sistema di condizionalità su visto del 2013 altrettanto fumoso, da cui non possono che nascere alcune considerazioni: l’UE, consapevole – sulla base delle esperienze pregresse – di non riuscire a fornire alcuna giustificazione in merito al mancato raggiungimento degli obiettivi fissati prima a livello di QFP e poi QSC (anzi, le Relazioni del periodo 2007-2013 su viste finiscono per essere la totale ammissione del fallimento delle politiche europee di cui, il sistema di finanziamenti comunitari, è solo uno strumento), sia per l’insufficienza del bilancio europeo sia per l’inadeguatezza del sistema dei finanziamenti, ha finito per spostare l’onere della dimostrazione del raggiungimento degli obiettivi direttamente sugli Stati.
Attraverso il sistema di condizionalità, se risulta che gli obiettivi non sono raggiungibili o non sono stati raggiunti, la «colpa» non potrà più essere attribuita alle politiche europee, al sistema di bilancio europeo, all’inadeguatezza del sistema di apparenti trasferimenti operati con i fondi comunitari, ma sarà ricondotta agli Stati e alle inefficienze di questi.






[1]Barca F. (2009), An Agenda for a Reformed Cohesion Policy. A place-based approach to meeting European Union challenges and expectations, Independent Report prepared at the request of Danuta Hübner, Commissioner for Regional Policy, working document
[2]Regolamento (UE) n. 1303/2013, art. 15, comma 3.
[3]Reg. UE 1303/2013 art. 142 prevede la sospensione nel caso in cui «non siano portate a termine azioni volte a soddisfare una condizionalità ex ante secondo le condizioni fissate all'articolo 19».
[4]Regolamento (UE) n. 1303/2013, art. 15, comma 5.

IL "PIANO" Sì', MA PIANO PIANO VERSO LA TRAMVATA. MUNCHAUSEN E IL G20 OSSIMORICO

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1. Il racconto della tregua Italia-UE, una volta che debba cercare delle spiegazioni in termini di "principio di realtà" (in psicoanalisi, è il principio dominante nella vita psichica dell'adulto, successivo e sostitutivo, nello sviluppo psichico dell'individuo, del ridotto principio di piacere, che domina invece la vita psichica del lattante. Il principio di realtà richiede l'accettazione di uno stato di tensione in cambio, in un prossimo futuro, di un piacere maggiore o di un dolore minore.), assume risvolti comici.

Anzitutto, dovendosi attribuire una razionalità globale al sistema...globale, La Repubblica lo aggancia al G20, l'ultimo in ordine di apparizione sulla scena del grande pensiero-unico bla-bla-bla, che si esercita nello sport preferito dai neo-ordo-liberisti internazionalisti: formulare proposizioni apparentemente complementari ponendo obiettivi plurimi a realizzazione congiunta tecnicamente impossibile: la crescita attraverso le riforme (invariabilmente liberalizzatrici del lavoro e privatizzatrici della ricchezza e degli interessi collettivi)! 

2. E, perciò, formulando una sorta di ossimoro a significato manifesto genericissimo, mediaticamente sbandierato come "positivo!", ma destinato a nascondere il perseguimento dell'unico obiettivo reso possinile, contro ogni logica di correzione congiunturale, ovverosia quello conforme all'assetto strutturale del capitale finanziarizzato che controlla totalitariamente le istituzioni (e fa uno strano effetto vedere il G20 che si fa fare la fotografia conclusiva di rito, tra risate e facete cordialità fra "grandi", tipo la Lagarde che accorre giocosa per sedersi accanto ad un banchiere centrale dopo aver, più o meno, litigato con Visco sul fatto che la crescita non si fa con la BCE ma con le riformeeeeee!...).

Ma si sa,"il principio di realtà e quello di piacere non sono da considerarsi antitetici, non agiscono in contrapposizione fra loro. Piuttosto il primo contribuisce a ridimensionare il secondo, costringendolo a tener conto di quelle che sono le condizioni reali di azione. Il principio di realtà non vieta al principio di piacere di esprimersi ma lo riporta entro certi limiti di azione". Epperbacco, l'importante sono i "limiti", anzi i "vincoli"!

3. Dunque, Lagarde e Schauble stigmatizzano che la mancata crescita deriva esclusivamente dalla consueta mancanza di tempestive e integrali riforme: perchè, insomma, "nuovi stimoli", provenienti dalle banche centrali, (in effetti con il prevedibile backfire del peggioramento delle condizioni, e la conseguente restrizione del credito, derivanti dai tassi negativi sulle riserve depositate presso le stesse BC), potrebbero essere controproducenti.
Ma il "problemino", certamente legato ai tassi negativi sui depositi overnight delle riserve bancarie presso le banche centrali, può essere risolto senza per questo impedire, ad esempio, alla BCE diacquistare categorie di titolidiversi da quelli sovrani, ma sempre ben dotati di rating, a discrezione di M.me Lagarde, dietro le quinte delle agenzie tanto attendibili: e tra questi ulteriori titoli, magari, quelli privati bancari, possibilmente legati alla cartolarizzazione dei crediti in sofferenza e, sempre possibilmente, italiani.

4. Apriti cielo preventivo!  
Ma, insomma, alla fine, dopo questi (fin troppo) significativi enunciati di complementari apparenze (memento semper: riforme=crescita!), bisognerà enunciare, a fine G20, la formulettta magica neo-liberista: soluzione win-win (il banco vince sempre ma non si deve capire "come") e obbligo di por mano a una nuova ondata di riforme.

L'importante è offrire la cosa in modo creativo e non far trasparire l'ottusità del voler negare l'efficienza causale delle riforme rispetto alla crisi, chiamatela pure da debt-deflation o da equilibrio perverso della sottoccupazione strutturata, che le riforme stesse hanno determinato...per cui la cura, come ci ostina a dire da oltre 20 anni, è sempre e comunque una dose aggiuntiva dello stesso veleno.

5. Mischiando l'accordo molto vago raggiunto con Juncker e le proposizioni ossimoriche uscite dal G20 (ed è già qualcosa che, a ben vedere, gli accadimenti della colossale crisi incombente, siano letti come a epicentro UEM, persino quando si parla di contrarietà alle nuove guerre di svalutazione monetaria, innescate dal QE di Draghi), La Repubblica mischia varie mezze verità e le connette a soluzioni che, per vaghezza, assomigliano, in un deja-vù umoristico involontario, appunto, al piano di investimenti di Juncker.
Che non ha risolto nulla - nè la mancata crescita nè la disoccupazione- e nè avrebbe mai potuto, e che non si sa che fine abbia fatto con tutte le sue maxi-iniziative che, più che alle imprese del barone di Munchausen assomigliano alla sindrome intitolata allo stesso: attribuisci al bambino o a te stesso la malattia inventata, in modo da "punire" infliggendo i rimedi desiderati e conformi ad una patologia simulata e non corrispondente al reale.

6. Il tutto da non confondere col trilemma di Munchausen, che si basa sull'intreccio di proposizioni apparentemente logico-dimostrative intese a sorreggersi reciprocamente, ma nessuna delle quali è dimostrabile: l'esempio pratico lo avevamo individuato per l'Italia in questo post:

PUD€ NEL TRILEMMA "COMPETITIVO". CREDIT CRUNCH, DEFLAZIONE SALARIALE, DEVASTAZIONE DEL TERRITORIO

Ma per cogliere la tragicomicità della situazione ci viene ora prospettato un (ennesimo) piano di salvezza della crescita proveniente da Padoan: ridurre le tasse e farlo in modo coordinato in UEM.  

Questo popolarissimo mantra, per la verità già perseguito con un certo successo nella nostra penisola (basti pensare agli 80-euri-80 ai redditi medio-bassi e allo sgravio fiscale triennale sulle nuove assunzioni che non si sa, o meglio ben si può immaginare, che esito avrà al suo termine di efficacia), avrebbe, a quanto pare, solide ragioni di opportunità politico-economica e La Repubblica ce le espone "tutte d'un fiato": 

"Anche perché - sono i ragionamenti di questi giorni - permane un effetto psicologico sui consumatori: tendono a non indebitarsi più e a mantenere una riserva di garanzia nei loro conti correnti. Si sentono ancora feriti da quello accaduto dal 2008 ad oggi. 

E non vogliono più correre rischi. Il secondo elemento, che costituisce la piattaforma "politica" su cui tutti i leader dell'Unione europea stano ragionando, è costituito dall'avanzare nei paesi occidentali dei fronti populisti e anti-austerity. E dal rischio "instabilità". L'ultimo esempio è stato offerto dall'Irlanda. Nelle elezioni di venerdì scorso - nonostante le recenti buone performance economiche di quel Paese il cui Pil cresce del 7% - la coalizione di governo non solo è uscita sconfitta, ma sono stati premiati proprio i partiti che più hanno attaccato i sacrifici imposti negli anni precedenti. Risultato: ingovernabilità. 

Una condizione temuta anche in Spagna dove il ritorno alle urne è ormai un'opzione concreta. In Francia, dove l'ultima tornata amministrativa ha messo in crisi lo storico sistema bipolare a favore della destra di Le Pen. In Gran Bretagna, dove il prossimo referendum sull'adesione all'Ue è un macigno pesantissimo. E nel nostro Paese dove le forze antisistema formano un blocco permanente che supera il 30 per cento degli elettori. Ma anche negli Usa dove il successo di Trump sta scuotendo il Partito Repubblicano. E forse non è un caso che la recente proposta "rigorista" del ministro tedesco della Finanze Schaeuble di imporre il tetto del 25 per cento ai bond detenuti dalle banche, sia stata rapidamente respinta."

 

7. Ullalà! E' questo che intendevano Schauble e la Lagarde con accelerare sulle riforme? Dipende... 

Considerata la natura delle riforme, la goldenstraightjacket ideata dal Washington Consensus ed evolutasi nelle condizionalità a carico dei debitori deliberatamente resi tali attraverso i vincoli monetari, pare proprio di no. A meno che....

Il "problemino", è la copertura degli sgravi. Ovviamente un po' più serio in Italia che non in Francia(dove continua imperterrita la Vaudeville del deficit NEL fiscal compact the French Way), o in Irlanda, o in Spagna: da noi la manovra fiscale "in pareggio di bilancio" (al netto del saldo primario e sulle entrate e uscite correnti di bilancio, beninteso), e, infatti, tesa a realizzare surplus di pubblico bilancio record del mondo,è un'abitudine; anche se poi, appena possono, ci rammentano del debito/PIL che in tutta questa austerità aumenta - e ci mancherebbe, benedetti figliuoli! Noi obbediamo continuando a tacere.

 

8. Mentre, tutta l'UEM continua nello "svacco" del deficit a piacere (come le domande all'esame dello studente che non ha palesemente studiato),  insomma, l'Italia prova una mossa astuta:sgravi fiscali omogenei per tutti e si dovrebbe sperare deficit eguali per tutti, implicitamente dando nuovo vigore alla flessibilità per riforme

Ma attenzione: è una mossa alquanto disperata, essendoci di mezzo l'ital-tacchino da spennare definitivamente, via divieto di bail-in che rende tutti insieme debitori patrimonialmente responsabili i correntisti italiani e le loro proprietà immobiliari.

Dunque, nel ragionamento, forse per non doversi sentire dire di no da subito (basterà farselo dire "dopo", e magari ottenere una flessibilità ripetibile di 0,2, dicasi 0,2, punti di PIL per qualche annetto di rallentata liquidazione del nostro sistema produttivo), si mettono un po' le mani avanti. Sentite come, nella cronaca di Repubblica "ci si aggira":
"Nelle bozze in esame, infatti, nessuno prende in considerazione l'ipotesi limite di scorporare dal calcolo del deficit i soldi stanziati per far scendere la pressione fiscale. L'idea, semmai, è quella di rendere ancora più cogente la regola della "flessibilità". Del resto, già nelle due ultime leggi di Stabilità l'Italia ha usato alcune clausole - come quella per le riforme - al fine sostanziale di provare a comprimere le imposte. Si tratta di un percorso, nel quale a Trattati invariati si incida su tutte le alternative che gli stessi Trattati già presentano. Secondo Palazzo Chigi, ad esempio, questo è stato il percorso seguito con la discussa misura sugli 80 euro. Ma altre strade sono percorribili nel pacchetto di normative europee. Con un solo obiettivo: tagliare le tasse e mantenere inalterati i simboli dei parametri europei".

 

9. E, infatti, poi viene il bello: che è l'enigma di come diavolo faccio a non decrescere una volta, che, Haveelmo docet, il moltiplicatore del taglio della spesa pubblica sia il doppio di quello dello sgravio fiscale, (cosa che, a lume di naso, sta affondando la Grecia in modo accelerato):
"In tutte le ipotesi esaminate, comunque, viene scartata la possibilità di finanziare il taglio delle tasse con la sola sforbiciata alla spesa pubblica. La spending review non può essere sufficiente. Anche perché il governo registra un effetto boomerang sul Pil: almeno un terzo della riduzione della spesa si riflette sulla mancata crescita (...???) I dati offerti dall'Economia indicano per il 2016 la possibilità di incidere in negativo sul Prodotto interno lordo per lo 0,5 per cento. Ma la partita fiscale è solo all'inizio."

 

10. Come, come, come?  

Perché (solo) un terzo della riduzione della spesa si riflette sulla mancata crescita? 

Se taglio la spesa pubblica, QUALUNQUE SIA IL TIPO DI SPESA PUBBLICA CHE TAGLIO, la riduzione del PIL sarà pienamente corrispondente al doppio dell'espansione dello stesso sperata dai tagli alle tasse che avrò così finanziato (certo, poi, potrebbe andare peggio, a seconda del periodo di riscontro degli effetti che considero e del tipo di spesa, corrente o in conto capitale, che taglio, ma tendenzialmente questo è il risultato invariabile che ottengo). 

Il concetto di effetto boomerang, però, entra nel lessico del giornalone di turno. Sarebbe già qualcosa rispetto a debito-pubblico-brutto-stato-minimo-bello-sprechi-casta-corruzione

Forse perché quelli che, almeno in Italia, qualcosina ancora contano, hanno cominciato a dire:  

THE €URO CHALLENGE: TRA BOOMERANG E REDDE RATIONEM PER L'ITALIA (REMEMBER SINN)

"Non possiamo sacrificare sull’altare del “vincolo europeo” anche quello che di buono abbiamo in Italia. Sicuramente non possiamo sacrificare la nostra Costituzione. E neanche la “salute” della nostra economia: avere banche solide è essenziale per avere una economia sana e vigorosa. Se dobbiamo scegliere tra Weidmann e Calamandrei non abbiamo dubbi: noi scegliamo Calamandrei e i nostri padri costituenti che recepirono la necessità di “scolpire” nella nostra Costituzione la tutela del risparmio."
Queste righe sono state scritte da un banchiere su un giornale locale di proprietà del gruppo L'Espresso. Evidentemente qualcuno sente chaud aux fesses (pardon my French...). Sarà abbastanza per smuovere veramente qualcosa?"
E consoliamoci, perchè per la Grecia il boomerang era andato molto peggio:

IL BOOMERANG (INEVITABILE) DI UN REFERENDUM QUANDO LA SOVRANITA' COSTITUZIONALE SIA GIA' COMPROMESSA

 

11. Temiamo però che il wishfulthinking de La Repubblica sia un po' troppo ottimista. Diciamo che assomiglia alla "metafera" del solito barone di Munchausen che si tirava fuori dalle acque della palude traendosi per i suoi stessi capelli.

Ma nella nuova €uropa che ha paura dei "populismi", l'ostinazione a vincere facile non può essere minata da un piano..."italiano", per di più. 

Sia quel che sia, i grandi trasferimenti, cioè l'ital-tramvata, devono aver luogo...e valgono, agli occhi dei partners "solidali", molto di più della paura dei "populismi": che, curiosamente, fanno più paura in Italia dove, pure, sono ben meno incisivi che negli altri paesi che, alla fine dei conti, possono comunque spolpare l'Italietta acquiescente ed €urofila uber alles.

Il conto alla rovescia è già iniziato. Draghi o non Draghi...

E ADESSO? WHAT NOW? (ATTALI LIBERO E GRAMSCI IN GALERA)

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1. ESSI dicono di avere tutto sotto controllo e la soluzione è: "più riforme" (fare presto!).
Com'è noto, ESSI convincono la stragrande maggioranza dell'opinione di massa che è ben alimentata dai media orwelliani; e anche dai cibi scaduti e prossimamente (nel breve periodo) da insetti.




2. Parlavo poche sere fa con Mattia Corsini e dicevamo di quanto fosse ingannevole basarsi su una propria TW-line, dove l'impressione "selettiva"è che tanta gente abbia capito; mentre invece è ampiamente vero il contrario.

Nondimeno, ringrazio coloro che seguo su twitter per la loro inquietudine, che dà luogo a un mosaico le cui tessere restituiscono l'immagine del presente ragionevolmente decodificata.
Questa "tessera" la dice lunga sullo stato di salute dell'euro, l'epicentro del neo-Reich millennario: il QE, almeno nelle sue intenzioni dichiarate, che risponderebbero al criterio, statutario e dei trattati, del mandato a mantenere un certo target, il 2%, di inflazione, è miseramente fallito:


Il fine ovviamente era un altro. Alquanto mercantilista e, in altri tempi, si sarebbe detto, "guerrafondaio". 

RENZI, MERKEL E IL MODELLO GERMANIA (mercantilismo anti-italiano)

Trasposto nel super-Stato €-federalista (Stato forte nelle politiche pro-export, ma massimamente minimo nelle politiche sociali e del lavoro), questa rincorsa alla competitività esportativa, significa infatti questo:

a)  "l'avvento dello Stato nazionale fu accompagnato dalla stretta, intima, associazione tra l'autorità statale e l'interesse dei mercanti" (pag.47), "...Lo Statoè una creatura dei contrastanti interessi commerciali, che avevano in comune l'obiettivo di uno Stato forte, a condizione di poterlo manovrare a proprio eslcusivo vantaggio" (pag.48). 

a1) L'interesse nazionalistico organizzato nello Stato e nella sua sovranità escludenteè una fondamentale caratteristica del mercantilismo, in sè palesemente antitetica alla cooperazione necessaria in un'unione economico-monetaria

a2) Piegarsi al modello tedesco significa amplificare e propagare questa NON COOPERAZIONE, con ciò minando lo stesso scenario della "pace" tra i popoli europei, sempre più spinti verso l'interesse nazionale-commerciale incarnato egoisticamente dal proprio Stato contrapposto agli altri ("competitori"; enunciato che per la verità troviamo nell'art.3, par.3 del TFUE, e fa dubitare della conformità a costituzione del Trattato stesso ai sensi dell'art.11 Cost.);

b) "nel pensiero e nella pratica mercantilistici i salari contavano poco o nulla...Non c'era nulla su cui costruire una teoria dei salari; e infatti nessuna teoria del genere figurò in una posizione di rilievo nel pensiero mercantilistico." (Pag.50);

c) pur nella ovvia attualizzazione del mercantilismo innestato sullo Stato nazionale moderno, e coscienti dell'evoluzione tecnologica e produttiva, vale ancora il seguente "decalogo" del mercantilista (pag.56, elaborato da Mun, in England's Treasure, nell'800):

- "un eccessivo consumo di merci straniere nella nostra alimentazione e nel nostro abbigliamento.."va scongiurato;

-  "se il consumo debba essere eccessivo che lo sia dei nostri propri...manufatti...dove l'eccesso del ricco può essere il lavoro del povero";

- "vendi sempre agli stranieri a caro prezzo quel che non hanno, a buon mercato quel che possono ottenere altrimenti...dove possibile, compera a buon mercato da paesi lontani anzicchè da mercanti dei vicini...";

- "non dare occasioni di affari a concorrenti che operano nelle tue vicinanze".

3. Anche perché se voglio vincere sul resto del mondo e creo masse di diseredati a casa mia e, anzi, non bastandomi quelle che creo, importo pure un'ulteriore massa di super-diseredati (unica importazione fortemente incentivata, "non avendo nulla su cui costruire una teoria dei salari"), distruggendo la domanda interna, non è che poi sono così stabile, socialmente e finanziariamente, da non dover minacciare la stabilità sociale e finanziaria del resto del mondo:

http://image.slidesharecdn.com/putting-the-euro-area-on-a-road-to-recovery-141124120418-conversion-gate01/95/putting-theeuroareaonaroadtorecovery-8-638.jpg?cb=1417153451

4. Quindi il successo, non dichiarato, è ovviamente mantenere la disoccupazione  a due cifre nell'eurozona. Si chiama competitività deflattivo-salariale, in guerra valutaria col mondo (che si vince quando il calo relativo della quota salari è maggiore che nelle altre aree "concorrenti"); dunque, un successone cui Draghi e la Lagarde accoppiano l'invito, appunto, ad accentuare il tutto mediantele riforme che, a questo punto, debbono attaccare salario indiretto (sanità pubblica) e salario differito (pensioni), costituzionalmente sanciti, per istituire il reddito di cittadinanza €uropeo, finanziato dalla distruzione del welfare che, a maggior ragione, deve andare avanti con inarrestabile moralismo. 

5. E perciò vediamo "in action"il non-Stato federale, super-etico e veramente contrattualista, dato che più contrattualista di un trattato a pretese super-costituzionali non ce n'è:

http://soldielavoro.soldionline.it/pictures/20151006/disoccupazione-ue-giugno-2015_1.gif



6. Qui e lì, però, qualche crepa:



E pensare che lo Stato etico (ovviamente "brutto-brutto" se nazionale, ergo guerrafondaio in OGNI sua manifestazione, senza eccezioni), viene oggi fatto coincidere con quello che includerebbe come contenuto legale del matrimonio l'obbligo di fedeltà
Come se questo fosse un fine statale arbitrario e autoritario (anzi: guerrafondaio) e non la funzione giustificativa naturale, da millenni, che distingue il matrimonio da altri, pur legittimi, rapporti affettivi e sessuali tra coppie di esseri umani; mica per altro, ma in quanto presupposto, accettato e formalizzato dalla specie umana nella sua dinamica sociale (che include la riproduzione per la sua perpetuazione filogenetica, anche se non bisognerebbe precisarlo....), per la filiazione e la trasmissione dell'educazione e del patrimonio da parte dei genitori. 
Non ci sarebbe neppure bisogno di spiegarlo, ma questi non sono tempi normali. Sono tempi eccezionali di super-Stato etico federalista, monetarista e a favore della piena occupazione (neo-classica= disoccupazione strutturale a due cifre). 

7. E, infatti, siccome ci sono le crepe, chiamiamo diritti civili i diritti cosmetici a costo zero e, per meglio distrarre dalla distruzione dei diritti sociali - che sono gli unici che contraddistinguono la democrazia sostanziale- si pianifica e si censura a tolleranza zero la funzione naturale della filiazione e del matrimonio caratterizzato da stabilità come suo presupposto:



Oggi l'intolleranza €uro-propagandistica (anti-Stato democratico e pro-super-trattato-etico) farebbe forse incarcerare Gramsci per ben diverse ragioni?
8. Non cambio argomento ma, anzi, rimango strettamente in tema, se perciò vi invito a leggere questo studio:

Se l’Italia non fosse mai entrata nell’Euro sarebbero stati guai per la Germania(...specialmente, ma anche per Giappone, Cina e Corea)



L'AMMASSO TOTALITARIO: CALAIS, HARTZ E IL DIO MERCATORUM PER I "RIFUGIATI".

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1. L'€uropa dell'austerità ordoliberista (che è poi neo-liberista, in quanto applicata allo smontaggio degli Stati sociali e alla restaurazione del lavoro-merce, con la gradualità necessaria a far ingollare la "durezza del vivere") collassa ma non cede
Nelle intenzioni, non cederà mai: si rifugierà nel bunker di Berlino-Francoforte-Bruxelles e rilancerà all'infinito se stessa...autoelogiandosi.
Non mi dilungherò a ripetere cose già dette. 
Ma è interessante notare come, avendo messo in piedi (p.2,infine),  un sistema di contraddizioni dissimulate, cioè trasposte in enunciazioni di obiettivi formalmente complementari ma a realizzazione congiunta tecnicamente impossibile , l'€uropa riveli sempre più il carattere del totalitarismo, che annichilisce l'essere umano in quanto irrilevante come individuo.

2. E questo totalitarismo, lo abbiamo visto, è il prodotto naturale del neo-liberismo: a cominciare dall'effetto naturale del lavoro-merce, cioè della mercificazione dei sottoposti alla illimitata durezza del vivere (cioè, tutti i non appartenenti alla oligarchia in modo indifferenziato) che, applicata alla globalizzazione (o al federalismo €uropoide: sono la stessissima cosa), mentre teorizza implicitamente un grande mercatone del lavoro-merce senza frontiere (guai i muri! Prima si creano le guerre per motivi economici, poi i diseredati, e poi bisogna deportarli in massa e quindi accoglierli "perchè ci arricchiscono"), deve poi, apertamente, teorizzare e organizzare le conseguenze di "ammasso" (fisico) dei vari "non aventi titolo"...alla sicurezza e al benessere, in quanto non efficienti per il miglior equilibrio allocativo delle risorse...dell'oligarchia.

3. Certo per indurre l'essere umano a rinunciare ai livelli minimi dell'esistenza (dignitosa), - sia che vivesse nell'inammissibile bambagia dello Stato sociale-brutto, sia che vivesse nella sua terra in un relativo benessere che ci si è occupati accuratamente di destabilizzare (perlomeno attraverso FMI e WB, oltre che esportando la democrazia armata)-,  e a farlo sentire egoista se persino ci fa caso, bisogna fare un'operazione intensiva di condizionamento delle coscienze; intensiva come l'allevamento animale a cui si ispirano ESSI quando, dall'alto di "istituzioni" internazionali predicano le "riforme".

"Un “uomo” palingeneticamente trasformato tanto nella psicologia quanto, per vie eugenetiche, biologicamente: Simona Forti elabora questo pensiero di Hannah Arendt
«“la vera natura del totalitarismo” sembra infatti corrispondere a un'esplosiva combinazione di determinismo e costruttivismo[5]razionalistico. 
La volontaristica asserzione per cui tutto è possibile, anche trasformare "la condizione umana", si farebbe forte del richiamo alle irresistibili e inarrestabili leggi della Natura e della Storia, e si invererebbe nel tentativo di generare, per la prima volta, una nuova natura dell'uomo.  
Grazie al deserto prodotto dal terrore, da una parte, e alla ferrea logica deduttiva dell'ideologia, dall'altra, il totalitarismoriesce in ciò che per la metafisica era rimasto sempre e soltanto un sogno, un'ipostasi del pensiero: la realizzazione di un'unica Umanità, indistinguibile nei suoi molteplici appartenenti
Nei campi di concentramento gli esseri umani ridotti a esemplari seriali di una stessa specie animale perdono completamente quell'unicità e quella differenza che sono la conseguenza del fatto che "non l'Uomo, ma gli uomini abitano la terra"[6]»
...
D'altronde, l'adattabilità del liberismo economico in funzione del contesto geostoricoha dimostrato anche nella storia moderna di usare strumentalmente lo Stato come Leviatano funzionalmente alla libertà del capitale e al contestuale asservimento del lavoro: dal neoliberismo imposto con la violenza nel Cile di Pinochet, all'ordoliberismo che, insieme alla retorica dell'irenismo kantiano del federalismo, è stato progettato per servirsi di un autoritario Stato burocratizzato volto all'instaurazione di un mercato libero da finalità sociali.[7]

Dato il disgusto morale (o, forse, “estetico”) per le sovrastrutture ideologiche promosse dal nazifascismo, pare che a Friburgo l'élite abbia studiato una soluzione diversa e più correct; ma i fini sono strutturalmente i medesimi: la liberalizzazione dei capitali con ogni mezzo e l'asservimento dei lavoratori.

Le proposizioni nell'ordoliberismo sono usate come fossero complementari– ad es. “libero mercato” E“giustizia sociale”, “stabilità monetaria” E“piena occupazione”[8]– mentre, per motivi strutturali, qualsiasi sovrastrutturagiuridica non potrà obbligare gli organi di governo ad eseguire entrambi gli obiettivi, essendo per motivi “tecnici” mutuamente esclusivi
Poiché il capitale è naturalmente più forte del lavoro, la spoliticizzazione del governo delle comunità sociali permette di relativizzare l'ordine giuridico in funzione degli interessi del capitale del Paese dominante.
Questo spiega anche in breve il funzionamento dell'Unione Europea."
4. E tanto lo spiega che, puntualmente, e senza alcuna fuorviante "reductio ad Hitlerum", i campi di concentramento divengono un inevitabile passaggio che segna il peggioramento delle condizioni proprio e persino per quei"rifugiati"che pure scapperebbero dalla tragedia.  
E quindi, dobbiamo (?) aiutarli(quelli che lo enunciano, con la metallica luce dei fanatici negli occhi di latta, implicano sempre "dovete, voi"): ma in pareggio di bilancio: quindi tagliando la spesa sociale degli impoveriti e rendendo tutti egualmente poveri. 

La "tragedia" diviene la dimensione globale, estesa su territori indistinti e omogeneizzati, ma accomunati dalla legge della miseria crescente, per tutti e ovunque essi si spostino...

5. E infatti, li "aiutano", i rifugiati, mettendoli in condizioni più "dure" di quelle da cui fuggono. 
Almeno sul piano delle attuali e future prospettive di vita: ma come può un'€uropa votata alla "durezza del vivere" e che distrugge le sicurezze dei suoi "irrilevanti" cittadini, offrire qualcosa che non sia questo disegno di sub-umanizzazione globalizzata?  

Calais - Smantellamento della giungla nella Zona Sud

Ed ecco la "chicca" sull'altro fronte del sacro romano impero (al netto dell'ironia emergono cose ben più significative della qualità del cibo):
"Sono arrivati in Germania in cerca di una vita migliore. Adesso lasciano la Germania alla ricerca di cibo migliore.
Per chi di voi sia in cerca di un po’ di leggerezza da aggiungere alla discussione in corso sulla crisi europea per i rifugiati, può scorrere questa notizia del LA Times: Sull’ondata crescente di profughi fuggiti alla guerra e alla miseria e arrivati in Germania, cresce anche il numero di chi adesso fa ritorno alla guerra e miseria, perché “la Germania fa schifo”.
Ci sono molte ragioni per cui un numero crescente di rifugiati sta diventando sempre più ostile riguardo la nuova patria: la scarsità di alloggi, la mancanza di opportunità economiche, la sfiducia da parte dei cittadini locali, l'isolamento da amici e familiari.

Ma anche: "Il cibo era terribile, così disgustoso che nemmeno non dovrebbero darlo nemmeno agli animali.”
La gente è pronta a tornare in Iraq, dove rischi di saltare in aria a un funerale per colpa dell’ISIS, piuttosto che tollerare una settimana di più di questa sbobba: "Sono stanco di essere trattato come un animale, di vivere in una stanza gigante con altre centinaia di persone, farmi docce fredde e ricevere cibo orribile”."

6. Insomma, se la solidarietà €-ordoliberista è la gran fuffa che i sottoccupati Hartz ben conoscono, ai "rifugiati" si attribuisce, e non poteva essere diversamente, solo ciò che resta del fondo del barile che hanno accuratamente svuotato con il sistema dei trattati e con le clausole senza senso imperniate sul Dio-mercatorum
Il Dio che esige il sacrificio umano, TINA; del pareggio di bilancio e delle "riforme".
"L’ispirazione per molte di queste riforme è stato il programma di riforme della Germania dei primi anni 2000 – le riforme Hartz del mercato del lavoro. A parte casi particolari, l’impostazione generale di rendere il mercato del lavoro più flessibile riducendo le tutele è oggi comunemente vista come la chiave del successo economico tedesco (la crescita economica è accelerata e la disoccupazione è scesa) e come un esempio da seguire per il resto d’Europa. Per coloro che vogliono comprendere i dettagli dell’esperienza economica tedesca, il paper di Christian Dustmann et al, dal titolo “Da Malato d’Europa a Superstar Economica” è una buona analisi accademica. Come viene spiegato nel paper, non solo le riforme Hartz, ma la natura decentralizzata dei sindacati tedeschi hanno contribuito a produrre questi effetti.
Ma, come anche mostra il loro documento, l’aumento dei tassi di crescita e il calo della disoccupazione non hanno portato a un aumento dei salari. Ecco un grafico tratto da un’altra valutazione delle riforme Hartz, di Tom Krebs e Martin Scheffel:
Free Lunch_ The rise of the precariat 2

7. Insomma, che potrebbero mai raccontare i tedeschi sulla loro visione della durezza del vivere, riservata ai loro stessi "sudditi", che non verrebbe automaticamente applicata e anzi intensificata rispetto alla "accoglienza" della "indispensabile" immigrazione di massa? Un'accoglienza preceduta, dicevamo, dalla fabbricazione seriale di "rifugiati che fuggono...ecc, ecc. e che poi qui trovano il neo-liberismo orwelliano dell'austera e competitiva durezza del vivere? 
Non sono forse gli stessi "riformati" Hartz relegati nei loro bei ghetti urbanistico-edilizi, un "paradiso" dal quale non "devono" mai uscire e che deve essere importato in terra italica (ma con condizioni di vita notevolmente peggiori in applicazione dela logica del fiscal compact)?

8. Il bello è che la distopia, perfettamente traducibile oggi in €utopia, quando va a fare i conti con la "natura umana" che nega (programmaticamente), finisce per scontentare tutti, anche gli esponenti del governo della Merkel. Come potrete constatare dalla notizia finale riportata nell'ultimo rapporto EIR- Strategic Alert (che, con una certa ingenuità, trascura che l'austerità, per necessità programmata da...sempre, serve a mantenere l'euro, non solo in Grecia, e dunque coincide con esso):

Dopo molti anni di brutale austerità e tagli al bilancio senza creare la minima crescita economica, alcune personalità di spicco nell'UE e nell'OCSE chiedono un cambiamento di politica.
Ad esempio, l'ultimo numero dell'Interim Economic Outlook, pubblicato dall'OCSE il 18 febbraio, chiede investimenti pubblici nelle infrastrutture per aumentare la sostenibilità del bilancio
L'attuale politica delle banche centrali, dice il rapporto, "darà come frutto un equilibrio a bassa crescita, caratterizzato da bassa domanda, bassi investimenti, bassa inflazione, risultati insoddisfacenti nel mercato del lavoro e debole crescita della produttività. In questo contesto, gli auspicati miglioramenti nei livelli di vita e nella distribuzione del reddito sono improbabili. Sono necessari una ripresa degli investimenti nel settore privato e aumenti salariali affinché acceleri l'attività economica."
La politica monetaria, incluso il Quantitative Easing e i bassi tassi di interesse, non hanno ottenuto "una crescita soddisfacente" mentre gli investimenti pubblici nelle infrastrutture "sosterrebbero la crescita futura, compensando la carenza di investimenti dopo i tagli imposti a tutti i paesi avanzati negli ultimi anni."
Un grafico del rapporto simula i risultati di un aumento del livello di investimenti pubblici per due anni equivalente allo 0,5% del PIL: una crescita del PIL fino allo 0,8% per gli Stati Uniti e dello 0,6% per l'Eurozona. L'effetto sulla riduzione del debito dell'Eurozona è dello 0,4% (calcolato come media ponderata tra Germania, Francia e Italia).
La Grecia è il tragico esempio della mancata crescita prodotta dalla politica di austerità. Bruxelles e la BCE hanno imposto un'austerità draconiana al Paese, producendo un crollo nei livelli di vita, ma ciononostante continuano a negare aiuti finanziari, ignorando il drammatico fardello della crisi umanitaria dei rifugiati. Il Presidente greco Prokopis Pavlopoulos ha attaccato nuovamente la politica dell'UE, chiedendo un drastico intervento pubblico per combattere la crisi economica. La politica di austerità, ha denunciato, ha portato l'Eurozona sull'orlo di una crisi economica e del "soffocamento" monetario.
In Germania il vicecancelliere e ministro dell'Economia Sigmar Gabriel ha criticato il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble e la sua politica di "deficit zero". In un'intervista al Wiesbadener Kurier del 26 febbraio Gabriel ha detto che è inaccettabile che Schäuble sfrutti le spese extra per un milione di rifugiati arrivati nel 2015 come pretesto per negare fondi alla costruzione di nuove case, per migliorare la situazione fiscale degli enti locali e aumentare le pensioni."





IMPERIALISMO, SISTEMA MONETARIO INTERNAZIONALE E SHOCK DOCTRINE- PARTE I (neo-guida a orizzonte48)

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http://image.slidesharecdn.com/divarionordsudcaritasvicenza-140310134339-phpapp01/95/divario-nord-sud-a-cura-della-caritas-vicenza-7-638.jpg?cb=1394459089


Questo bellissimo post di Bazaar ha il ruolo dichiarato di servire da guida sia ai lettori più fedeli ed attenti, sia a quelli "sopraggiunti" e che hanno perso l'inizio dell'elaborazione del blog (protrattasi ormai da 4 anni).
Piuttosto che ripetermi con una lunga introduzione e riassumere in una prefazione il suo notevole sforzo di toccare così tanti punti fondamentali, ho preferito arricchire l'esposizione del post, in base agli spunti che esso fornisce nel suo dipanarsi, con delle "note di Quarantotto" [ndQ...]
Con esse, estendo, a beneficio di ogni categoria di lettore, l'esplicitazione di certi presupposti cognitivi di analisi economica del diritto (ovvero, di approccio economico istituzionalista), apprestando i links correlati.
La serie di post che culmina in questa Parte I (e nella seguente e, come vedrete, nei citati post antecedenti dello stesso Bazaar), svolge, così, anche il ruolo di costituire una nuova e più aggiornata guida al blog medesimo.

http://img.over-blog-kiwi.com/0/78/04/34/20140523/ob_d7c626_globalizzazione-iniqua.jpg 



1- Introduzione: imperialismo, sistema monetario internazionale e shock doctrine.


«Nel 1977 mia moglie ed io, con i nostri due bambini, abbiamo trascorso la prima di molte estati nella confortevole e rilassante casa di Nicky e Clarissa Kaldor a 2 Adams Road. Anche Nicky aveva lavorato con Keynes da giovane, e amava discutere (o meglio spiegare) l'Economia. Era ossessionato dalla necessità di salvare il mondo dai mali del “monetarismo”, e avrebbe sviluppato questo tema per molte ore consecutive.
Avrò fatto domande che probabilmente considerava  da ignoranti o da incompetenti – o da entrambi – ma che gli davano rinnovata opportunità di inveire contro Milton Friedman e altri vari economisti “neoclassici” e liberisti. Nicky soffriva di narcolessia, e spesso si addormentava in piena foga del discorso, solo per riprendere dieci o quindici minuti dopo, esattamente dal punto in cui era rimasto. Era un meraviglioso e generoso insegnante ed amico, e ho imparato molto da queste lezioni, sebbene avessi un forte sospetto che stava combattendo una battaglia persa contro le forze delle tenebre.» Robert Skidelsky,
 “John Maynard Keynes: 1883-1946: Economist, Philosopher, Statesman”,(2003)


1.1. Si voleva speculare sulla condizione umana e sull'esoterismo inteso come strumento politico, solo come chiosa di questa riflessione: in verità sembrerà un ritorno alla realtà materiale dopo aver riflettuto sul ruolo della monetanel conflitto tra classi.

Dopo aver provato a chiarire alcuni strumenti cognitivi e cercato in via teorica di comprendere alcuni macro-aspetti dell'evoluzione storica che ci vede passivamente protagonisti, si inquadreranno i più importanti pilastri strutturali su cui sono edificate le sovrastrutture politiche, giuridiche ed ideologiche dell'ultima globalizzazione.

Continueremo a costruire un modello di analisi economica in un paradigma sociologico conflittualista, nei suoi vari aspetti storici e istituzionali, approfondendo come le naturali congiure dei gruppi sociali dominanti trovino simmetricaresponsabilità nella passività politica delle classi subalterne: ovvero le riforme strutturali vengono imposte a svantaggio della collettività a causa della mancanza di coordinazione di una società stordita dalla terapia dello shockpermanente[1].

1.2. La partita è doppia: ESSI vivono ← perché → NOI dormiamo.
In questo modello di studio la Costituzione Italiana sarà assunta come archetipica, come se fosse adottata da tutti gli stati nazionali democratici che compongono la comunità internazionale. 
[NdQ: e non per caso, dato che, a differenza dell'insieme dei provvedimenti del New Deal e del ben noto Rapporto Beveridge (qui p.1), la Costituzione italiana stabilizza a livello supernormativo e nel modo più compiuto, cioè superiore alla legge del parlamento, la risoluzione paradigmatica del conflitto sociale
Ciò, a livello politico-ideologico, occupa, in nome della democrazia pluriclasse e "partecipata", esattamente quello spazio che si fa coincidere con la titolarità della sovranità: dunque, il ruolo costituzionale dello Stato costituzionale democratico esclude, in modo strutturale, l'applicabilità dell'assetto che la teoria neo-liberista di Hayek e di tutti i suoi sussidiari epigoni, fa risalire alla "Legge", cioè ad una fonte, pur essa ritenuta superiore alla legislazione del parlamento, ma esclusivamente legittimata dal bio-potere razional-naturalistico e organicamente antidemocratico, che fa capo alla pretesa di assetto allocativo predicato dalle oligarchie.]

1.3. Come primo passo procederemo ad integrare l'analisi economica con la teoria del circuito monetario, in modo da proporre spunti di analisi in un modellocoerente – in primis – a livello nazionale.
Questo ci permetterà, nella dialettica tra dominanti ed asserviti, di fare un'ulteriore distinzione all'interno delle classi dirigenti.

I paradigmi mainstreamin quanto naturali sovrastrutturedei rapporti di produzione – rimarranno sullo sfondo della trattazione, presentandone solo gli effettistrutturali che, data la loro natura normativa piuttosto che predittiva-previsionale,“retroattivamente” inducono a supportare: le riforme in favore delle classi dominanti.

Ricorderemo come l'art.11 Cost. sia stato forzato tanto dall'esterno quanto dall'interno dell'unità nazionale.
Si lascerà sullo sfondo la dialettica della doppia verità, tanto dal punto di vista etico-politico, quanto da quello dell'educazione e dell'istruzione.
[NdQ: i paradigmi mainstream, oltre che aver trovato un'esposizione organica nel libro "Euro e(o?) democrazia costituzionale", sono stati riportati all'interno della illustrazione della principale riforma, - quella che si potrebbe definire "madre"-, a valore normativo e istituzionale che caratterizza la restaurazione, perché di questo in sostanza si tratta, del paradigma (neo)liberista rispetto alle Costituzioni sociali quantomeno europee: cioè la dottrina (normativa) della banca centrale indipendente, corollario essenziale del predicato monetarista e delle altre teorie mainstream più recenti]

1.4. In seguito ipotizzeremo che Keynes– figura paradigmatica del XX secolo –  sia stato osservatore  di due snodi fondamentali in cui rapporti di forza da “tettonica delle placche” si sono riassestati contestualmente alla due grandi guerre mondiali: il Trattato di Versailles (1919) e la conferenza di Bretton Woods(1944).

Se, dall'analisi del primo, l'economista inglese intuì con saggezza l'evolversi delle dinamiche socioeconomiche e politiche europee (ovvero mondiali), la risoluzione del secondo snodo – propedeutico alla pace di Jalta (1945) – fu anch'esso oggetto delle sue critiche, a partire dal momento in cui le soluzioni da lui proposte per il sistema monetario internazionale furono rigettate.

Si proporrà che la valanga che ci sta investendo trova negli accordi di Bretton Woods la palla di neve che già dagli anni '70 si trasformerà in una dottrina dello shockcon cui forzare globalmente un'asimmetria sociale e politica riconducibile un dispotismo oligarchico a carattere totalitarista.

 2 – Capitalismo, sovranità e moneta endogena.
  

«I monetaristi, in stretta analogia con Walras, sostengono che la sovrastruttura della moneta creditizia varia in modo strettamente proporzionale alla base monetaria. […]
In tale situazione raggiungere gli obiettivi monetari non sarebbe un problema: essi verrebbero automaticamente raggiunti determinando o razionando il volume di monete emesse ogni giorno. Ma, in realtà, la banca centrale non può rifiutare lo sconto di titoli primari...»  N. Kaldor, “Il flagello del monetarismo”, 1984

2.1. In un sistema capitalistico non temperato dall'intervento distributivo dello Stato, la classe dominante vede tendenzialmente al vertice del processo decisionale chi controlla il capitale finanziario, ovvero coloro che – attraverso l'emissione di credito– detengono il controllo della prima fase del processo economico capitalistico che, per definizione, è basato sul debito.

Questo ruolo di primo anello del processo produttivo è conteso con lo Stato-nazione democratico che – come tutte le comunità sociali autogovernantesi – rivendica e ipostatizza la propria sovranità  nella capacità di “battere moneta” e di raccoglierla tramite l'imposizione fiscale.

Esistono due importanti tipi di moneta: quella emessa dalla Banca Centrale[2]e quella emessa dal sistema bancario in forma di credito[3].

2.2. La moneta bancaria – ovvero il credito bancario – sta alla fonte del sistema capitalistico: in partita doppia, ad ogni debito corrisponde un credito
Poiché la variazione di domanda, da parte del pubblico, di contanti e depositi bancari, deve trovare risposta diretta dall'offerta monetaria, questa, in una economia a moneta creditizia, è endogena – ovvero varia in funzione della domanda di credito di famiglie ed impresee a garanzia della stabilità del sistema bancario sta la banca centrale, ovvero l'ente strumentale e organo dello Stato che si occupa delle funzioni di tesoreria del “sovrano”. 

Se sovranoè il popolo, la banca centrale svolge funzioni di mutuante di ultima istanza nei confronti del sistema bancario[4](art.47 Cost.) e monetizza il debito pubblico, attravero la funzione di "tesoriere" dello Stato  (democratico in senso sostanziale).
[NdQ: sulla funzione di tesoreria, come distinta da quella di "prestatore di ultima istanza" rivolta al solo sistema bancario, all'interno di un paradigma di Stato non oligarchico, ma costituzionalmente orientato alla tutela dell'intera comunità sociale, si veda qui e qui].
 
2.3. Se sovrana è l'oligarchia finanziaria, la banca centrale [NdQ: o il Ministero del tesoro, o equivalente, nel più frequente regime istituzionalizzato di separazione tra governo e banca centrale, quale predicato dalla dottrina delle BC indipendenti] colloca i titoli del debito pubblico sul mercato finanziario privato (a tassi sensibilmente più alti) e può rifiutare lo sconto di titoli primari che le vengono presentati dalle Casse di sconto (è il caso della "indipendenza" che potremmo definire "semplice", quale riscontrabile in Italia  a seguito del divorzio tesoro-Bankitalia, o come è previsto in banche centrali fondamentali quali la Fed o la BoE). 
Ovvero, la banca centrale deve, rifiutare tale acquisto [NdQ: o l'equivalente, - in termini di emissione monetaria a favore dello Stato-, concessione di "scoperti di conto"], in ogni forma diretta, in base ad un esplicitodivieto [NdQ: pretesamente supernormativo, in funzione monetarista e quindi liberista-oligarchica, come nel caso dell'imposizione ex art.123 del TFUE]. 
In quest'ultimo caso la banca centrale può essere definita indipendentepura” (come la BCE), ovvero coattivamente indipendente dal popolo in quanto sovrana è l'oligarchia finanziaria, e, quindi, il sistema delle banche commerciali può fallire in caso di carenze di liquidità. Con quest'ultima eventualità si frantuma tanto l'unità politico-statuale (arché) quanto la struttura sociale (come nel caso tipico di default statali).

2.4. Politica monetaria e politica fiscale sono il simbolo del potere sovrano in quanto possono essere garantite “dalla spada”, ovvero tramite il monopolio della forza: sia che il sovrano sia il signore medievale, sia che il sovrano sia il popolo, sia che sovrana sia un'oligarchia.

Ad oggi, il monopolio della forza è preceduto dal monopolio dei mezzi di comunicazione, che ne fa le veci.

Sovranità, potere e libertà di una comunità sociale sono il medesimo concetto visto da prospettive diverse. (artt. 1,11 Cost.).
[NdQ: sul punto ribadiamo quanto già linkato sopra ed esposto nel post: COSTITUZIONI, BANCHE E SOVRANITA']


Chiedere “cessioni di sovranità” significa pretendere impotenza e asservimento: questo è una tipica imposizione in caso di sconfitta bellica, con resa incondizionata.
[NdQ: l'equivalenza alla "debellatio" militare della cessione di sovranità imposta mediante trattato che sottragga prima la sovranità monetaria, - istituendo una valuta sovranazionale non statale e affidandone la gestione a una banca centrale indipendente pura, che opera sul presupposto esclusivo della conservazione di tale moneta-  e quindi, per necessità, la sovranità fiscale, impedendo ogni possibile soddisfazione delle esigenze di sostegno alla domanda in funzione anticiclica, è illustrata in questo post: I POMPIERI CIECHI DELL'€UROPA E I NEO-LIBERISTI CAPACI "DI TUTTO"].

2.5. Dati gli ordini formalmente democratici, però, ad oggi nessuno ha dovuto dichiarare la guerra a Stati nazionali europei: poiché il conflitto di classe si caratterizza dall'ascondimento da parte della classe dominante della violenza esercitata sulle classi subalterne (cfr. con “la scrittura reticente” nella letteratura liberale), il processo di oppressione e asservimento indicato dalle pressanti richieste di “cessioni di sovranità”, ci porta – in questa congiuntura storica – ad identificare l'imperialismo nazionalista con il conflitto di classe:  stando con il prof. Ernesto Screpanti, abbiamo a che fare con  un imperialismo globale.

Tale processo è garantito dalla globalizzazione finanziaria a trazione USA.

2.6. Libero mercato e dottrina della banca centrale indipendente– agendo in modo concertato rispettivamente dall'esterno e dall'interno rispetto alla sovranità statuale –  si dimostrano  funzionali alla tirannia di un governo sovranazionale a vocazione mondialista.

Questo è il motivo per cui il federalismo interstatale viene usato come grimaldello di ipocrita ideologia irenica, anti-nazionale e anti-sovrana:  la sovranità che viene rigettata- ovvero assorbita e distrutta- è quella del popolo, ovvero si impedisce “tecnicamente” quella forma di governo chiamata democraziain cui ilpoteresovrano viene socializzato.

2.7. [NdQ: Sul concetto di sovranità democratica, legato, dalle Costituzioni pluriclasse e solidaristiche, alla tutela primaria dei diritti sociali, cfr.; il citato "Euro e(o?) democrazia costituzionale" e i post: NON BISOGNA MAI DIMENTICARE nonchéSOVRANITA' DEMOCRATICA, CITTADINI EUROPEI (only), COLLABORAZIONISTI
Da quest'ultimo rammentiamo:

"Come si definisce la capacità-attitudine di un gruppo-comunità territoriale di perseguire i propri interessi (anche) rispetto agli altri Stati? Sovranità.

Se con un trattato, eliminandosi ogni termine finale dei vincoli che impone, vengano stabiliti PER SEMPRE i rapporti di forza tra gruppi sovrani, si sarà, solo per questo, anzitutto eliminata la ragion d'essere della stessa sovranità; ma con questo si sarà anche eliminata la dignità e tutelabilità degli interessi che la sovranità perseguiva, come sua naturale funzione.

OVVIAMENTE QUESTO SOLO PER CHI NEL RAPPORTO DI FORZA SIA LA PARTE "DEBOLE": per chi sia in posizione prevalente, si avrà, al contrario, una riaffermazione rafforzativa della sua sovranità.

Godendo dunque della SOVRANITA' DEMOCRATICA - quella che, sul piano del diritto internazionale esclude il ricorso alla guerra offensiva e sul piano interno riconosce l'eguaglianza sostanziale dei cittadini (art.11 e 1-3 Cost.) - i cittadini si danno delle istituzioni (elettorali) per perseguire, anche e specialmente, sul piano del diritto internazionale, tali interessi democratici (se non altro perchè inclusivi, nel senso della massima rappresentatività delle istituzioni rispetto agli interessi dell'intero corpo sociale). 

Invece, gli stessi cittadini, all'interno di un'organizzazione internazionale che stabilisca per sempre la crescente distruzione della sovranità, come riflesso della inevitabile cristallizzazione dei rapporti di forza tra gli Stati contraenti, perdono di ogni rappresentanza e possono solo adeguarsi alla prevalenza ed alla realizzazione di interessi diversi da quelli del gruppo, oramai assoggettato, di cui si trovano a far parte.



In altri termini, i trattati a fini generali economici (liberoscambisti) possono ottenere dei risultati che, spesso neanche le guerre riescono a raggiungerein favore del "vincitore": sia per l'ampiezza degli interessi prevalenti affermati (in capo ad uno o più Stati dominanti), sia per la stabilità di tale risultato.



Il sacrificio definitivo e perenne degli interessi (solo) del popolo il cui Stato agisce considerando la sovranità un bene rinunciabile, e tale rinuncia un valore positivo,è dunque ciò che, nella sostanza, sostengono coloro che, pur appartenendo a quello stesso popolo (!), si dicono cittadini "europei", cioè di questa UE.
L'UE risulta perciò un'organizzazione non sovrana in senso democratico sostanziale , ma solo in senso strumentale e oligarchico, poichè, in base all'oggettivo contenuto del trattato, non persegue gli interessi pluralistici dell'intero gruppo sociale degli "europei"che il Trattato, in alcuna sua parte, neppure in via di enunciato formale e teorico, riconosce come corpo sociale detentore della sovranità.

Questa organizzazione, in effetti, com'è inevitabile, semplicemente maschera gli interessi dello Stato (o "degli Stati") che ha potuto affermare la prevalenza della propria sovranità nell'assetto del trattato, e cioè la prevalenza dei propri interessi. 
E, a loro volta, questi interessi, corrispondono a quelli, più ristretti, propri della oligarchiadei paesi che rafforzano la propria prevalenza economico-politica]

Ovvero «Federalismo interstataleEDemocrazia» sono realizzazioni politiche che – per motivi strutturalinon possono essere complementari: cioè, o «”federalismo”O “democrazia”». Tutto il resto è “narrazione”, “propaganda”: ovvero falsa coscienza.

 3– Tradimento e collaborazionismo: il Quarto Partito e il piede nella porta dell'articolo 11 Cost.  


«I voti non sono tutto [...]. Non sono i nostri milioni di elettori che possono fornire allo Stato i miliardi e la potenza economica necessaria a dominare la situazione. Oltre ai nostri partiti, vi è in Italia un quarto partito, che può non avere molti elettori, ma che è capace di paralizzare e rendere vano ogni nostro sforzo, organizzando il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l'aumento dei prezzi e le campagne scandalistiche. L'esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l'Italia senza attrarre nella nuova formazione di governo – in una forma o nell'altra – i rappresentanti di questo quarto partito» De Gasperi in versione complottista nel celebre discorso del maggio 1947.


3.1. Il “grimaldello federalista” è stato possibile utilizzarlo perché, in realtà, era stato posto già un “piede nella porta” della sovranità popolare da quel gruppo sociale che trovava rappresentanza in ciò che il primo capo di governo dell'Italia repubblicana aveva chiamato il “quarto partito”.

Ovvero si constatava che il Capitale nazionale, “tenendo la spada dalla parte dell'elsa” nei rapporti di produzione, metteva pressione affinché le sovrastrutture giuridiche e politiche si conformassero ai suoi interessi. Interessi convergenti con il Capitale internazionale ma che la Costituzione del 1948 subordinerà a quelli del Lavoro: interessi che, come annoterà in seguito Lelio Basso, congeleranno l'attuazione della Costituzione stessa.

Questi “entristi” rappresentavano e rappresentano un gruppo sociale che avrà tendenzialmente interesse a collaborare con forze sovranazionali ed estere; rappresentano una classe incline alla sovversione.

3.2. Ne consegue che i grandi liberali-federalisti-liberisti– mandatari del grande capitale – potevano diffusamente agire dall'interno delle istituzioni per spingere i “cammelli” dei Trattati dalla cruna dell'ago dell'art.11 Cost.

Così Augusto Grazianievidenzia che, dopo Jalta: «Tutti i ministeri economici vennero affidati a uomini di sicura fede liberista. Einaudi lasciò il governo della Banca d'Italia a Menichella e assunse la direzione del nuovo ministero del Bilancio: Del Vecchio, autorevole studioso di eguali tendenze liberiste, assunse il ministero del Tesoro; i ministeri delle Finanze e dell'Industria andarono rispettivamente a Pela e a Merzagora, ambedue legati agli ambienti della grande industria del Nord. A questo governo spettò di prendere nei mesi immediatamente successivi i provvedimenti di maggiore portata, e di realizzare la famosa svolta deflazionistica del 1947[5]

3.3. Prendiamo spunto da questa autorevole citazione in cui liberismo, grande capitale e deflazionesono strettamente legati, per rimarcare che il liberismo è sovrastrutturaideologica del grande capitale, o meglio – a riguardo alla connotazione “deflazionista” – del capitale finanziario: la deflazioneè naturale conseguenza della stabilità monetaria, permette contemporaneamente di non veder svalutati i grandi investimenti, e di disciplinare sindacati e rappresentanti politici delle classi subalterne, quelle lavoratrici.

Inoltre, nel caso siano protratte per lungo tempo, le politiche deflattive si rivelano funzionali al controllo sociale e demografico[6].




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[1]      Non è che se dei neocon usano lo slogan della “rivoluzione permanente” quindi Trotskij era un fascista ultraliberista... o viceversa.
[2]      Ovvero la moneta legale, ovvero quella “battuta” dal sovrano: regola i rapporti  economici tra i privati e lo Stato. Lo Statoin una democrazia socialeè la comunità sociale nel suo complesso. Poiché tutto si risolve in un circuito che costituisce “l'apparato circolatorio” della struttura economica, in quest'ultimo caso la raccolta fiscale sarà necessariamente informata a criteri di progressività (art.53 Cost.), in favore di un'equità sociale funzionale alla stabilità del sistema: inoltre la propensione al risparmio è tanto maggiore quanto maggiore è il reddito, sottraendo moneta agli investimenti. Se la moneta non ritorna in circolo diffusamente, si favorisce la “necrosi” del sistema produttivo: le insolvenze.
[3]      Questa moneta è scritturale: può essere creata ex nihilo – dal nulla – e regola internamente i rapporti tra privati.
[4]      « Una volta valutata la solvibilità della clientela, e stabilito un congruo ricarico sul tasso di interesse di riferimento fissato dalla banca centrale, le banche commerciali non sono mai vincolate (nella concessione di prestiti) dal rapporto tra riserve immediatamente disponibili e depositi. Laddove necessario, le riserve vengono sempre costituite ex post mediante ricorso a prestiti elargiti da altre banche ovvero tramite cessione di titoli alla banca centrale (la quale non può far altro che assecondare le necessità del sistema bancario). In effetti, in un sistema compiutamente capitalistico non soltanto la quantità di mezzi monetari è fuori dalle possibilità di controllo della banca centrale, essendo creata endogenamente dal sistema, ma la moneta perde anche qualsivoglia agganciamento metallico. È, per contro, possibile stabilire un’equivalenza tra valore aggiunto monetario della produzione in un dato periodo e la quantità di lavoro vivo erogato nel processo produttivo», Marco Veronese Passerella.
[5]      Citazioni filologicamente selezionate da Arturo.
[6]      « Si può di conseguenza affermare che in tutti i paesi ove le entrate annuali delle classi lavoratrici non siano sufficienti per allevare in piena salute le famiglie più numerose, la popolazione è effettivamente frenata dalla difficoltà di procurarsi i mezzi di sussistenza» Thomas Malthus, “Saggio sul principio di popolazione”

MESSAGES TO ALBERTO AND TO CESARE

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https://seaglassinthemidst.files.wordpress.com/2013/04/message-in-a-bottle.jpg

1. Ho fiducia in loro e gli sono pure molto amico: se fossimo in un mondo ideale di sovranità democratica, applicativa della nostra Costituzione del lavoro, inteso in tutte le sue forme, ritornerei tranquillo a fare solo il mio, di lavoro, sapendo che loro si curano dei nostri interessi democratici per svolgere politiche economiche e industriali.

2. Alberto, con un paio di grandi post, che vi invito a leggere (linkati negli incipit sottostanti), ci dice, tra l'altro:
a) Il nodo centrale, quello che dovrà venire al pettine, è estremamente semplice, e l'ho espresso svariate volte in questi anni (e naturalmente in entrambi i libri): dalla crisi non potremo uscire se non rilanceremo la domanda con un massiccio intervento di investimenti pubblici (preferibilmente in piccole opere) finanziato con moneta.
Che occorra rilanciare la domanda (cioè la capacità di spesa dei cittadini) mi sembra un punto non contestato da alcuno. Che non lo si possa fare aumentando il debito pubblico, che l'austerità ha aggravato (come previsto), mi sembra altrettanto ovvio: il debito pubblico, che non è stato la causa della crisi, ne è però diventato una conseguenza potenzialmente pericolosa
Che non esistano spazi politici per un'azione fiscale coordinata, da realizzarsi attraverso piani Juncker, o eurobond, o roba del genere, a noi è sempre stato chiaro, per il semplice motivo che i paesi forti non hanno alcun interesse a indebolire la propria egemonia aiutando quelli deboli. Quindi l'idea che esista la possibilità di rilanciare la domanda in deficit "mutualizzando" il carico finanziario dell'operazione è del tutto fuori dal mondo.
D'altra parte, le politiche monetarie effettuate "stampando moneta" per immetterla nel circuito finanziario, prima attraverso l'LTRO, poi attraverso il QE, non hanno avuto impatto sull'economia reale né potevano averne.
..
...Il punto è che in entrambi i casi le somme erogate dalla BCE sono rimaste all'interno del circuito finanziario, e non ci si poteva aspettare che facessero altro. Per questo non era difficile prevedere che la cosa sarebbe finita in deflazione! Non è la moneta "stampata" che fa aumentare il prezzo dei beni e dei servizi, ma quella spesa per acquistare beni e servizi (non strumenti finanziari), cioè quella che si trasforma in domanda effettiva, e, quindi, in reddito (del venditore di beni e servizi). Come ci siamo detti mille volte, in una crisi deflattiva un governo può essere certo che la moneta che stampa venga spesa nell'economia reale (da res, "cosa" in latino) solo se la spende lui. In altre parole, solo se il deficit viene monetizzato.

b)  Un'altra proposta di Bossone mi trova pienamente d'accordo: l'idea che l'obiettivo di inflazione venga gestito in modo simmetrico, ovvero che venga penalizzato tanto chi lo supera, quanto chi, come la Germania, si tiene sistematicamente al disotto, effettuando una svalutazione reale competitiva (come qui diciamo da tempo, e ora dice perfino Bofinger).
...L'unico sistema nel quale la Germania non è incentivata a deflazionare la propria economia è quello a cambi flessibili, per motivi che erano chiari a Meade nel 1957. L'unico sistema che garantisce che il tentativo della Germania di praticare una deflazione salariale competitiva venga frustrato è quello nel quale la Germania ha una sua valuta, che si apprezza quando la svalutazione dei salari manda il paese in surplus. Punto.
Il problema non è costringere la Germania a inflazionare. Il problema è disincentivarla dal deflazionare."

3. Per chi non l'avesse già letto, questo post ha suscitato in me questo commento:
"Se ti può consolare (ma ragionevolmente non credo), tutta la classe accademica,è oggi lontana, per azione, o più spesso per omissione, dal concetto di democrazia stabilito nella nostra Costituzione.

Si è rivelato sufficiente reinterpretarla - e senza dirlo in premessa- come subordinata agli slogan messi su dai banchieri centrali (intesi come terminali di una macchina ideologica), cioè subordinarla agli slogan di cui sono intessuti i trattati; di conseguenza si produce una copertura comoda che consente agli economisti di ragionare su rationalia istituzionali di cui non possono più dubitare e andare avanti nella indifferenza che tu segnali (verso la democrazia sostanziale).

Notare che è un processo circolare: i banchieri centrali (proiettati in ogni possibile ruolo di rappresentanza negoziale degli Stati), - che sono dei "terminali" e che scrivono de facto i trattati-, dettano i criteri di reinterpretazione ai giuspubblicisti; questi"pongono in sicurezza" istituzionale le neo-costruzioni restauratrici degli economisti...fino a rafforzare ogni lettura giuridico-politica successiva.

Inutile dire che si crea, prima o poi, un corto-circuito: questa impostazione ideologica, ovvero questo sistema culturale, serve a restaurare e, quindi, riporta prevedibilmente alla luce problemi che, dopo 150 anni di lotte sanguinose) le Costituzioni avevano affrontato (e risolto).

Solo che, svuotando il senso economico e sociale delle Costituzioni, non solo le analisi degli economisti non dispongono più dei limiti normativi che li vincolano a indicare delle soluzioni (basti vedere la chiarezza di un Caffè), ma gli stessi giuristi sono costretti, per non contraddirsi, a non poter usare i principi evidenti che, sul piano della legalità ANCORA VIGENTE, obbligherebbero a quelle stesse soluzioni.

Questo corto circuito, poi portato al livello dei politici (solo formalmente decidenti) si rivela, in più, un intreccio self-defeating: e qui entra in gioco la propaganda mediatica per nascondere la sconfitta...

Siamo soli, sì; e la cosa strana che siamo in tanti ad essere soli. Praticamente tutto il popolo sovrano..."

4. Questo quadro culturale ed istituzionale, rileva sia sul piano macroeconomico, sia su quello del dettaglio delle politiche fiscali e industriali che potrebbero essere messe in atto.
Cesare, seguendo una sua visione di economia "applicata", esprime cose non dissimili da quelle dette da Alberto al punto a), anche ponendo attenzione, come giustamente egli ritiene, all'indispensabile concomitanza di politiche industriali e  infrastrutturali, mirate e consapevoli, sui settori più vitali della nostra economia, rimasti in piedi (o da rimettere in piedi). Me lo (ri)scrive via mail, ma l'avevamo già visto in questo lungo dialogo:
"il punto io credo, è che ciò che servirebbe da ora in avanti è una strategia Paese che possa essere sostenibile nel tempo che metta a sistema le politiche industriali, infrastrutturali, di welfare, finanziarie e così via; tu mi hai rassicurato sul fatto che ci sono margini nei trattati per forzarne l'attuazione, ovviamente sarebbe necessario che le imprese la cui mission è determinata dal Governo si muovessero in maniera coerente con questa linea primaria e fondamentale. 
Il problema della valuta richiede di aver pianificato una linea di azione rapida e condivisa con i giusti interlocutori se e quando qualcun altro dovesse prendere la decisione di "buttarci fuori" dall'euro o quando la moneta unica dovesse sfaldarsi, ma avendo già intrapreso un cambio radicale di programma.
L'Italia, secondo me, non è più in grado ora di proporre l'uscita dall'euro accompagnandola con una strategia Paese vaga e da far partire..."

5. Al che, entro i miei limiti di comprensione, mi trovo a riversargli addosso la mia angoscia sull'implacabilità del presente in cui siamo stati precipitati (e i lettori del blog ne sanno qualcosa...). Integro la risposta con dei links ai vari post in argomento:
"Caro Cesare,
siamo d'accordo sulla questione del presupposto di politiche di "ricostruzione industriale" (conseguenti alla devastazione determinata dall'agire dei vantaggi comparati in un'area liberoscambista, naturalmente asimmetrica, e all'averne subito il forte aspetto istituzionale).
Credo che tra coloro che hanno analizzato (seriamente) l'euroexit sul piano scientifico, nessuno lo neghi.
Il dubbio riguarda i politici che avrebbero abbracciato, a singhiozzo, questa idea senza consapevolezza di tutte le implicazioni (cosa che gli fa molto comodo per straparlare).

Quanto alla effettiva possibilità di forzare i trattati, era un ragionamento rebus sic stantibus, riportato a due anni fa, quando appunto lo ipotizzammo (v.punto C.1.).
Oggi, le cose stanno diversamente per due motivi sopravvenuti: il QE e l'Unione bancaria, col divieto di salvataggio pubblico se prima non c'è il bail-in...fino all'8% minimo delle perdite da porre a carico di obbligazionisti e correntisti.
Poi potresti intervenire a livello statale ma sempre rispettando il pareggio di bilancio: cioè lo Stato italiano comunque non potrebbe intervenire se non reperendo risorse straordinarie - patrimoniali e privatizzazioni in svendita- con effetti distruttivi e antitetici alle politiche industriali che propugniamo.
Con alcune pesanti conseguenze che mutano il quadro rispetto a 2 anni fa.

Politiche espansive (come quelle di rilancio industriale), infatti, sono soggette alla ben più pesante sanzione (ricatto implicito dei mercati, rappresentati dalle agenzie mondialiste) del de-rating dei titoli pubblici italiani sotto BBB-,che comporta l'esclusione automatica dal programma di acquisti...e lo scontato risalire vertiginoso degli spread.
Basti pensare, in questa prospettiva iperspeculativa, che le perdite sui titoli acquistati nel QE NON sono a carico della BCE ma di Bankitalia (qui.p.3): la BCE fornisce la valuta in euro e la rivuole in euro per il suo valore nominale, indipendentemente dall'andamento dei titoli detenuti dallla BC nazionale con l'acquisto...
E gli euro ce li ha solo la BCE che, come insegna la Grecia, per rilasciarli, impone le condizionalità di privatizzazione totale e di riforme distruttive che tutti sappiamo...

Dal QE, combinato con misure espansive (sul piano industriale) contra fiscal compact, nasce dunque il connesso svalutarsi dei valori di bilancio dei titoli detenuti dalle nostre banche che sarebbero costrette a ulteriori aumenti di capitale e di immobilizzi in riserva, quando sono già strozzate dai NPL. E sarebbe il collasso.

Notare che, rimanendo nell'euroarea, la Germania punta già comunque a questo effetto, in quanto ha convinto la Commissione a fare un euro-rating di rischio dei titoli sovrani dell'area fiscal compact (la scusa sarebbe Basilea-4), per arrivare comunque alla ponderazione e svalutazione di rischio di quanto detenuto nei bilanci delle nostre banche.

Quindi la situazione è divenuta un incastro mortale, proprio per impedirci qualsiasi alzata di ingegno: la moderata e apparente (in quanto finchè ho un avanzo primario, non finanzio in deficit la spesa pubblica corrente ma solo, semmai, una parte dell'onere degli interessi sul debito pubblico) politica di deficit "irregolare" perseguita da Renzi, - che verrà ora sanzionata comunque con un'approvazione condizionata che prelude a una manovra correttiva e, sicuramente, a una pesantissima finanziaria 2017, ne sono la conferma.
Comunque la si metta, per evitare le cannonate che in ogni modo ci verranno indirizzate rimanendo dentro l'areaeuro, per via di un crescendo normativo programmato e inarrestabile, dovremo realizzare dei saldi primari assurdi: e saldo primario comunque equivale a output-gap, mentre un saldo record equivale a deindustrializzazione "selvaggia".

Per chiarire questi aspetti .. vedi qui:
http://orizzonte48.blogspot.it/2016/01/lerf-ci-attende-alla-fine-del-qe-e-se.html
http://orizzonte48.blogspot.it/2016/01/basta-un-invito-non-esagerare-quando-ti.html

Insomma, a prescindere dall'aspetto monetario in sè, comunque impeditivo di manovre espansive, ormai è proprio il quadro di obblighi aggiuntivi e crescenti che ci impongono, e il quadro non tanto di sanzioni, ma di ricatti, che ne consegue, a rendere insostenibile rimanere nell'euro.
Probabilmente perché la Germania non ne può più (di immigrati e di imposizioni NATO) e vuole indurre l'uscita PIGS per poter rivalutare i suoi crediti target-2 (invece del contrario, se uscisse unilateralmente lei)...
un abbraccio,
Luciano

SISTEMA MONETARIO INTERNAZIONALE E NEO-FEUDALESIMO DELLE ISTITUZIONI FREE-TRADE

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http://franklycurious.com/media/1/20140707-feudalismthennow.jpg

Per chi fosse alla ricerca di un riassunto del lungo discorso che si è qui (e su Goofynomics...ma non garantisco personalmente, pur essendo amico di Alberto) svolto nel corso di questi anni, consiglio la lettura, rigorosamente reiterata, di questo ulteriore post di Bazaar, incluse le note
Ho aggiunto varie osservazioni, soffermandomi in particolare sul concetto di "istituzione", che ho colto l'occasione per focalizzare, essendo alla base della "intenzione" cognitiva posta alla base di questo blog (intendiamoci: l'ordine sociale non è totalmente assorbente della dimensione umana: anzi, l'essenza della vita, come fenomeno autoesplicativo e autosufficiente al principio di coscienza individuale, esige un intento che sappia difendersi dalla invadenza dello stesso ordine sociale. Conoscere l'essenza delle scienze sociali, può essere uno di questi modi per difendersi e ricalibrare progressivamente la percezione di sé e la descrizione del mondo che ne consegue...)

Preambolo di raccordo col precedente post
Riprendiamo il filo... dialettico.


« [L'Istruzione in una Società Scientifica:] Gli uomini e le donne ordinarie, saranno, secondo le attese, docili, industriosi, puntuali, spensierati e contenti. Di queste qualità probabilmente il contegno sarà considerato la più importante. Per produrlo saranno chiamati in causa tutte le ricerche in psicoanalisi, comportamentismo e biochimica […] Tutti i ragazzi e le ragazze impareranno in tenera età ad essere ciò che si dice “cooperativi”, cioè disposti a fare ciò che fanno tutti gli altri. La propria iniziativa sarà scoraggiata in questi fanciulli ordinari, e l’insubordinazione sarà scientificamente abolita in essi, senza l’uso di punizioni. [...]
In quelle rare occasioni in cui un ragazzo o una ragazza, che abbia superato l’età entro la quale è agevole determinare lo status sociale, mostri una marcata abilità tanto da sembrare un pari dei dominanti, si presenterà una situazione difficile, che richiederà un’attenta considerazione.
Se il giovane sarà contento di abbandonare i suoi compagni e di gettarsi di tutto cuore nel campo dei dominanti, potrà, dopo opportune valutazioni, essere promosso; ma se mostrerà una qualche forma deprecabile di solidarietà con i suoi compagni d’un tempo, i dominanti dovranno in modo riluttante concludere che nulla può essere fatto per lui all’infuori di spedirlo alla camera letaleprima che la sua intelligenza indisciplinata abbia il tempo di diffondere il seme della rivolta. Questo sarà un compito doloroso dei dominanti, ma penso che essi vi lavoreranno senza cedimento» Bertrand Russell, 1931, “The Scientific Outlook” [...e le teiere kalergiche]
 Nella puntata precedente abbiamo cominciato a introdurre il concetto di monetaevidenziandone l'endogenità, e alcuni aspetti fondamentali di organi, enti ed istituti che la controllano e la gestiscono, a loro volta oggetto di contesa tanto istituzionale quanto extra-istituzionale. Si è ripreso il concetto degasperiano di “quarto partito”.

L'arena di lotta politica rappresentata dallo Stato-nazione, emerge per essere l'unica cornice istituzionale dove effettivamente possono manifestarsi con evidenza, [tale cioè da essere criticamente percepibile], la doppia verità, l'amoralità e, necessariamente, la massima delle illegalitàad opera delle classi dominanti, ovvero quella costituzionale.

L'obiettivo è individuare la centralità della moneta nel conflitto tra classi.

In questa puntata si introdurrà la teoria del circuito monetario in modo da delineare il conflitto distributivo in funzione dell'istituzionemonetaria e integrarla con alcune fondamentali dinamiche sociologiche.

1 – Il circuito monetario e il conflitto tra classi: «ma sono tra chi le dà o tra chi le prende?»


«La saggezza del mondo insegna che è cosa migliore per la reputazione fallire in modo convenzionale, anziché riuscire in modo anticonvenzionale», J.M. Keynes, “La Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta”, 1936

«I lavoratori spendono ciò che guadagnano, i capitalisti guadagnano ciò che spendono»[1],
 Michał Kalecki

1.1. Alcune ricerche hanno suggerito che parte della classe mediaè convinta di far parte della classe dirigente, mentre parte dell'élite non è convinta di essere tale: secondo il sociologo Charles Wright Mills, quest'ultima sarà composta da soggetti più motivati a far di tutto per rimanere i soli al potere, mentre la prima, evidenziamo noi, sarà tendenzialmente funzionale alla scarsa mobilità sociale e incapace di perseguire i propri interessi.

Avendo individuato nel controllo del credito il primum agens (ovvero “la causa prima”) nel plasmare i rapporti di produzione, possiamo concentrare l'attenzione sui soggetti coinvolti nel conflitto distributivo e, per farlo, rimaniamo conAugusto Graziani, il prestigioso economista esponente della tradizione post-keynesiana italiana: 
«[...] i meccanismi del mercato [possono       essere descritti] come un circuito monetario, rigettando la teoria marginalista della distribuzione e definendo il denaro come un'istituzione e non come un prodotto spontaneo del mercato (Lüken Klassen, 1998)».
Ovvero la moneta non è neutrale: parteggia dal lato di chi la controlla.
1.2. [NdQ: appare opportuna una precisazione sul concetto di "istituzione": nell'epigrafe di questo blog, il termine istituzioni è riferito a quelle "formali", in particolare giuridicamente regolate (cioè istituzioni "visibili" regolate dal diritto prodotto dallo Stato: sul piano politico, sono le più significative, ovvero dotate di effettività secondo il criterio della legittimità). 
In teoria generale del diritto, si evidenzia che il riconoscimento del diritto positivo, cioè statuale, in modo diretto, o indiretto (ipotesi che, come più volte si è qui sottolineato, vale anche per le fonti del diritto europeo e internazionale; cfr; artt.10 e 11 Cost. ) - cioè un riconoscimento anche ex post rispetto alla realtà comportamentale regolata, in quanto preesistente, es; il "possesso" o la "famiglia" o, de facto e storicamente, la stessa moneta-  è un'aspirazione costante per la c.d. effettività dell'istituzione: ciò gli conferisce, infatti, una radicazione stabile nel determinare aspetti fondamentali dell'equilibrio o della conservazione dell'assetto sociale.
Ma sul piano dell'analisi sociologica, a cui pare obiettivamente far riferimento Graziani, il fenomeno della "istituzione" dà luogo ad una tassonomia che, per quanto controvertibile (essendo più ampia di quella ricavabile dal dato positivo di una norma statuale che la disciplina), ci consente di comprendere meglio la pluralità di attitudini al comportamento "regolato" cui dà luogo la moneta.

Come vedrete, posto sul piano delle istituzioni, l'aspetto sociale della moneta coinvolge non solo una serie di strutture fondamentali, entro cui si svolge il nostro vivere secondo determinati "ruoli" e secondo regole di comportamento, ma anche la più generale finalità di organizzare l'intero orientamento dei comportamenti sociali intorno a un equilibrio che può essere "conservato" - assetto allocativo statico e, pretesamente, ottimale, predicato dai liberisti- o "promosso" - sviluppo accrescitivo della ricchezza generale, in una dinamica di allargamento costante della sua distribuzione, secondo la teoria keynesiana. 
L'istituzione moneta può assolvere a entrambe le funzioni: e il discrimine tra "assetto allocativo" e "sviluppo-crescita-redistribuzione"è il perseguimento, o meno, della stabilità (del suo valore) che si compendia in assenza di inflazione, ovvero (ma è una pretesa che sta fallendo sotto i nostri occhi), assenza di variazione dell'inflazione rispetto a un target arbitrariamente costante:


L'istituzione è qualcosa di più generale di un ente, è un comportamento oggettivato
L'oggettivazione può avvenire tramite due tipologie di strutture:
  • le strutture visibili (organizzazioni pubbliche e private, oppure gruppi primari come la famiglia)
  • le strutture simboliche (i contenuti culturali condivisi, come l'inno nazionale, i rituali come i riti religiosi ed il linguaggio come la lingua italiana).
L'istituzione è quindi una regola di comportamento oggettivata in strutture diverse. Se un comportamento istituzionalizzato è "una cosa da fare" esso rappresenta una regola vincolante, una norma sociale a cui adeguarsi.
Le istituzioni si identificano con uno scopo e una durata che trascendono la vita e le intenzioni umane, e con la creazione e l'applicazione di regole che governano il comportamento umano. In quanto strutture e meccanismi di ordine sociale, le istituzioni sono uno dei principali oggetti di studio delle scienze sociali, tra cui sociologia, scienze politiche ed economia.
Come meccanismo di cooperazione sociale, le istituzioni si manifestano sia come organizzazioni formali, e reali, come il Parlamento della Repubblica Italiana, la Chiesa Cattolica Romana o la Banca d'Italia, che come organizzazioni e ordini sociali informali, che riflettono la psicologia, cultura, usi e costumi degli esseri umani.
[NdQ: notare che si prescinde dal carattere della positività normativa statale e si pone attenzione su quella "sociale": sul piano della decisione politico-legislativa, tuttavia, difficilmente un'istituzione formale che sia fonte di un'ampia produzione di regole di comportamento, non riceverà una regolazione statuale: è pur vero che l'istituzione si manifesta, come fenomeno di assetto comportamentale regolato, finchè è effettiva, al di là del contenuto storico delle regole statali che la disciplinano
Va però aggiunto che caratteri giuridici fondamentali, sul piano fenomenologico, si presentano costanti nei secoli se non nei millenni: il modello del diritto romano, ad es;  è ovunque osservato in forma giuridicamente cosciente o anche solo "consuetudinaria", in istituzioni che tendono a conformare i comportamente per garantire de facto, la pace sociale; ad es; il possesso di beni mobili o immobili, non necessariamente corrispondente alla proprietà formale, e la stessa famiglia, garantita dall'obbligo di fedeltà che è funzionale alla identificazione della legittimità dei figli, inscindibilmente legata all'istinto di riproduzione]

Matrimonio e famiglia, come insieme di istituzioni, coprono aspetti sia formali che informali, sia oggettivi che soggettivi. Sia le istituzioni governative che quelle religiose creano e attuano regole riguardanti il matrimonio e la famiglia, creano e regolano vari concetti su come le persone si relazionano l'un l'altra, e su quali possano essere di conseguenza i loro diritti, obblighi e doveri.

La sociologia ha tradizionalmente analizzato le istituzioni sociali in termini di ruoli e aspettative sociali interconnesse. Le istituzioni sociali sono create e composte da gruppi di ruoli o comportamenti attesi. La funzione sociale delle istituzioni è servita dal soddisfacimento dei ruoli. 
Le richieste biologiche basilari per la riproduzione e la cura dei giovani, sono servite dall'istituto del matrimonio e della famiglia, creando, elaborando e prescrivendo i comportamenti attesi da marito/padre, moglie/madre, figli, eccetera.
L'istituzione, intesa come complesso di valori, regola non solo i rapporti reciproci nel gruppo, ma anche quei rapporti e comportamenti che un insieme di soggetti terzi hanno ed avranno nei confronti di tale gruppo. In tal senso, una istituzione come quella del matrimonio, definisce da un lato i rapporti fra i coniugi e gli obblighi esistenti fra loro come nascenti dal vincolo istituzionale, dall'altro i rapporti che gli altri soggetti estranei al matrimonio debbono tenere nei confronti degli sposi ogni qualvolta ne abbiano a che fare.
Tra le istituzioni più importanti vi è la "proprietà", che può essere pubblica o privata. Queste, considerate in astratto, possiedono sia aspetti oggettivi che soggettivi: esempi comprendono il denaro e il matrimonio
L'istituzione del denaro [NdQ: rectius: della moneta] abbraccia molte organizzazioni formali, comprese le banche, i dipartimenti governativi del tesoro e le borse, che possono essere denominate "istituzioni", così come esperienze soggettive, che guidano la gente nella propria ricerca del benessere economico personale. 
Istituzioni potenti sono in grado di attribuire un certo valore ad una valuta cartacea, e ad indurre milioni di individui alla produzione cooperativa e al commercio, per perseguire i fini economici che tale valuta rappresenta. L'esperienza soggettiva del denaro è così penetrante e persuasiva, che gli economisti parlano di "illusione del denaro" e cercano di liberare da esso i loro studenti, in preparazione all'apprendimento dell'analisi economica.

L'analisi economica identifica comunemente le istituzioni con i "padroni del gioco". Secondo questa visione comune, le istituzioni possono essere considerate come le creatrici ed attuatrici di norme, leggi e regolamenti, e le creatrici, in effetti, di un gioco in cui gli individui agiscono in modo strategico, ma prevedibile. Le istituzioni ben funzionanti dirigono e contengono questo comportamento auto-interessato, in modi che producono risultati positivi che scaturiscono dalla cooperazione sociale. Altre istituzioni, come i feudi, possono essere considerate come risultati negativi di un fallimento nello sviluppare forti istituti di cooperazione sociale. La teoria della scelta pubblica, una branca dell'economia strettamente legata alla scienza politica, analizza il comportamento delle istituzioni politiche nel compiere le proprie scelte, applicando concetti della teoria dei giochi per identificare le fonti di difetti sistematici. (NdQ: le asserzioni di quest'ultimo periodo, sono da prendere col beneficio d'inventario: solo una rigorosa analisi storica, non appiattita sulla reinterpretazione delle fonti secondo il criterio selettivo imposto dalle ideologie del presente, consente di ritenere accertate simili conclusioni,della cui pretesa "universalità"è compito delle scienze sociali proprio dubitare, per spingersi ad un costante recupero di dati interdisciplinarmente trattati che consentano di (tentare di) ricostruire la vera fenomenologia di fenomeni diversi e non costanti nel tempo passato]

1.3. Oltre alla funzione numeraria (di c.d. "unità di conto"), la moneta ha due funzioni:

1 – è un mezzo di pagamento in sé e non un mero mezzo di scambio;

2 – è una forma di ricchezza (c.d. riserva di valore) che può essere temporaneamente posseduta sotto forma di liquidità da investire opportunamente.

Possiamo quindi individuare tregruppi sociali distinti in cui rapporti di produzione determinano una  subordinazione, interessi contrapposti ed una conflittualità:

1 – le banche, ovvero gli istituti di credito: valutano la (ri)concessione o meno del credito e del relativo tasso di interesse;

2 – le imprese: decidono quantitàe livello dei prezzi delle merci;

3 – i lavoratori salariati: subisconol'esito del conflitto tra banche ed imprese.

In questo modello le transazioni non sono bilaterali tra chi compra ed acquista come nell'economia di baratto, ma sono intermediate dagli istituti di credito: compratore ←→ banca ←→ venditore. 
È immediato intuire la centralità che riveste il sistema bancario.
Si evidenzia che non possono esistere depositi se prima non è stato concesso un credito.

I lavoratori salariati, in funzione della loro propensione marginale al consumo, tendenzialmente non restituiranno interamente la moneta– ovvero il loro salario– al sistema delle imprese tramite l'acquisto dei beni di consumo prodotti, in quanto vi sarà una preferenza per trattenere liquida una parte del loro reddito: il risparmio trattenuto dai lavoratori non potrà quindi essere usato dalle imprese per estinguere i debiti contratti inizialmente con il sistema bancario. [cfr. nota 3 puntata scorsa]

Le imprese – ricordando che  Y = C + I + G – T + X – M, con C = Cº + cY[2]  –  dovranno quindi:

arivolgersi nuovamente al sistema bancario per veder collocate presso le famiglie emissioni obbligazionarie a fronte di un interesse (che, in partita doppia, è «un costo per le imprese E→QUINDI un ricavo per le famiglie»[3], ovvero valorizzano quel risparmio (S) tutelato dall'art.47 Cost.;

bcontare sulla spesa pubblica (G), ovvero sulla domanda di beni e servizi da parte dell'ente statale (settore pubblico);

cesportare (X), ovvero contare sulla domanda estera.

1.4. Se il popolo è democraticamente sovrano(art.1 Cost.), la rigidità salariale[4]congiunta ad un intervento pubblico di spesa a deficit, contribuisce alla stabilità del sistema economico: il sistema delle famiglie e delle imprese possono estinguere i debiti inizialmente contratti con gli istituti di credito.

La rigidità salariale viene garantita da una forte azione sindacale (art.39 Cost.) e da una decisa politica in difesa della stabilità lavorativa e del potere di acquisto salariale (artt. 35,36,37 Cost.)

L'intervento pubblico di spesa deve essere volto a favorire la piena occupazione (artt. 1,3,4 Cost.), l'erogazione di redditi indiretti in forma di Stato sociale (artt. 31,32,34,38 Cost.) e l'assorbimento della sovrapproduzione causata dal sottoconsumo.[5]

A supporto del perseguimento degli obiettivi (costituzionali e democratici), la Banca Centrale– secondo le direttive dell'Esecutivo nella forma istituzionale del dipartimento del Tesoro del ministero dell'Economia e delle Finanze – adeguerà politica valutaria (per mezzo della gestione delle riserve in valuta pregiata – vedi X-M) e, in primis, monetaria(fissando il costo del denaro, ovvero il tasso di sconto) al fine del raggiungimento degli obblighi costituzionali medesimi.

1.5. Se “sovrana” è un'oligarchia bancaria, la spesa pubblica verrà tagliata, l'imposizione fiscale verrà aumentata (tendenzialmente gravando maggiormente sulle classi subalterne con minor capacità di elusione, oltre che contributiva)[6], redditi (C) e risparmi (S) verranno compressi, gli investimenti (I) crolleranno e  lo Stato sociale verrà smantellato. (Punti 1 e 2)

L'unico sistema produttivo che potrà sopravvivere sarà quello che riuscirà ad esportare secondo la logica dei vantaggi comparati[7]. (Punto 3)


2 – Banca centrale indipendente, deflazione e redde rationem tra capitalisti.


« La società può permettersi un saggio di inflazione meno elevato o addirittura nullo, purché sia disposta a pagarne il prezzo in termini di disoccupazione » Robert Solow

«la valorizzazione del capitale, per i capitalisti come classe, può derivare unicamente da scambi che i capitalisti effettuino al di fuori della propria classe, e quindi nell’unico scambio esterno possibile, che consiste nell'acquisto di forza-lavoro. Soltanto nella misura in cui i capitalisti utilizzano lavoro e si appropriano di una parte del prodotto ottenuto, essi possono realizzare un sovrappiù e convertirlo in profitto.  Il profitto dei capitalisti “può nascere soltanto dalla differenza fra quantità di lavoro totale impiegato e quantità di lavoro che torna al lavoratore sotto forma di salario reale”. Come poi il plusvalore sociale creato (in potenza) nella produzione si distribuisca tra le imprese dipenderà, di volta in volta, dallo specifico sistema di fissazione dei prezzi relativi“che riguarda esclusivamente i capitalisti nei loro rapporti reciproci» Augusto Graziani, “Riabilitiamo la teoria del valore”, citato da Marco Veronese Passarella.
2.1. Il grande capitale finanziario ama la deflazione perché non vuole veder svalutati i suoi crediti, ovvero i suoi investimenti: il lavoratore preferisce veder svalutato il salario reale a causa dell'inflazione piuttosto che non goderne proprio, come accade quando si è disoccupati. Specialmente se è indebitato, magari perché ha acceso un mutuo per acquistare un'abitazione.

Il passaggio da un'economia wage-led (in cui i consumi sono sostenuti da un livello salariale che cresce adeguatamente con la produttività), ad una economiadebt-led (in cui la quota salari diminuisce rispetto a quella dei profitti)[8],  può essere considerata non solo come la “sconfitta” del lavoro contro il capitale, ma, dal momento in cui la famiglia si rivolge direttamente al sistema finanziario (indebitandosi) per sostenere i consumi, possiamo individuare una “vittoria” del capitalismo finanziario su quello produttivo
Poiché la partitaè sempre doppia, il fatto che le aperture di credito vengono concesse alle famiglie piuttosto che alle imprese, comporta che una parte di risparmio venga raccolto e reinvestito in attività finanziare che non rappresentano l'economia reale, quella delle imprese: si genera un “reddito fittizio” fintanto che accorrerà del nuovo risparmio a gonfiare quello che non è altro che una bolla sul modello dello schema Ponzi.

2.2. Viene trasferita ricchezza direttamente dalla famiglie agli oligopoli della gestione del risparmio o dell'intermediazione mobiliare (non più disgiunti dagli istituti di credito), mentre il sistema delle imprese, senza moneta, va “in necrosi”.

Lo strumento fondamentale per raggiungere questi obiettivi di natura oligarchica è quello che sfrutta la curva di Phillips: poiché la dinamica dei salari monetari (wage) è correlata a quella dell'inflazione – ovvero all'aumento generale del livello dei prezzi – le strette creditizie producono deflazione, in quanto le imprese avranno più difficoltà a finanziarsi e aumenteranno i fallimenti creando disoccupazione: i consumi effettivi (ovvero la “domanda aggregata”) vengono compressi[9],  quindi si producono nuovi fallimenti, nuova disoccupazione, in un circolo vizioso fintanto che l'esercito dei disoccupati avrà raggiunto una dimensione tale da comprimere il livello dei salari a sufficienza da rendere il sistema economico “competitivo”... con i Paesi sottosviluppati.


2.3. Una stretta monetaria da parte della Banca Centrale (“indipendente”, ovvero controllata da un'oligarchia finanziaria) può essere funzionale ad infiammare questo processo.

L'eccesso di capacità produttiva conseguente implicherà la distruzione dei fattori della produzione per obsolescenza, perdita di competenze nel lavoro specializzato a causa della disoccupazione, e degrado dell'istruzione di massa(Art.34 Cost.↔ G, NdQ: cioè inevitabile taglio della spesa pubblica che, per prima, consentirebbe la "resistenza" alla pressione deflattivo-salariale), in un processo di deflazione da debiti che deindustrializzerà il Paese con maggior intensità tanto questo è collocato alla periferia del sistema economico internazionale. Nei Paesi periferici l'oligarchia bancaria nazionale si vedrà, in ultimo, anch'essa cannibalizzata da quella maggiormente internazionalizzata dei Paesi del centro.

Non esiste genialità imprenditoriale o finanziaria che tenga: la microeconomia è strutturalmentesubordinata alla macroeconomia. (Che per i liberisti, infatti, manco esiste: essendo la doppia verità contenuta nel dogma dell'individualismo metodologico[11], una semplice arma ideologica in difesa degli interessi del Capitale).

2.4. Alla polarizzazione della ricchezza tra classi, si affiancherà la polarizzazione di potere politico, economico e militare, tra centro e periferia; la tecnologia fornisce un alto valore aggiunto alla produzione e un vantaggio militare, e le aree che vedono il proprio tessuto industriale irreversibilmente compromesso dovranno esportare tendenzialmente materie prime, nel caso non ne fossero in possesso, dovranno esportare il fattore lavoro: ovvero favorire l'emigrazione.



Questo processo viene innescato dal free trade, ovvero dal libero scambio, ovvero dallo scambio libero dalla repressione finanziaria a tutela dell'equilibrio della bilancia dei pagamenti nei rapporti commerciali tra Stati nazionali.

Poiché l'emissione monetaria della banca centrale può essere considerata come una “corda”, una stretta monetaria può distruggere valore e tasso di inflazione  (“trattenendo”), ma– poiché la moneta non è una “merce” – non potrà creare valore “spingendo” (la cordicella monetaria de) l'economia: ovvero dalle spirali deflattive si esce generalmente con l'economia “keynesiana” di guerra. 
Di Keynes ci si ricorda solo sul campo di battaglia. Quando è troppo tardi.

3 – Conclusioni, tra epistemologia ed esoterismo .


« Il poeta conduce solennemente i suoi pensieri sul cocchio del ritmo: di solito perché non sanno andare a piedi», F. Nietzsche, “Umano, troppo umano”

Non dovendoci noi preoccupare di far carriera nella professione economica, possiamo evitare il paradosso di Zenone(Bagnai, 2012) che potrebbe portare ad un'esoterica matematizzazione del piccolo modello che stiamo sviluppando: infatti, tramite un'analisi multidisciplinare, possiamo essere assertivi come Logica impone, identificando  la matematizzazione neoclassica stessa come mero strumento volto al controllo delle carriere accademiche e al relativismo“scientifico”; ovvero a quel cancro culturale che ci ha regalato il “permeismo”: data una giusta dose di astrazione infondata, si può “dimostrare” anche che l'emissione di moneta generi sempre inflazione, che il liberismo persegua gli interessi generali, che l'austerità sia espansiva e che  «il movimento non esiste»
Ma a noi il buon senso – e l'istinto alla sopravvivenza – ci fa affidare a Diogene mentre si attende l'avvento di Leibniz.

«[...] Se il simbolo, in quanto conforme allo scopo, raggiunge lo scopo, esso è realmente indivisibile dallo scopo - dalla realtà superiore che esso rivela; se esso invece non rivela una realtà, ciò significa che non ha raggiunto lo scopo, una forma, e significa che, mancando questa, non è un simbolo, non è uno strumento [...]
[Nella formalizzazione, ndr] come in ogni strumento della cultura, è compresa strutturalmente la sua conformità allo scopo: ciò che non è conforme allo scopo non è neanche un fenomeno della cultura
Pavel FlorenskijIconostasis, 1922

Ovvero, che l'economia mainstream sia una pseudoscienza, è naturale conseguenza delle scienze sociali stesse.  

Qualsiasi correzione e falsificazione di questa modellizzazione non può che migliorare la stessa.

Fintanto che il Capitale non ci avrà comprato. 



(Ma anche questo scenario è compreso nel modello → e lo convaliderebbe...)





______________________________



[1]    Kalecki sinteticamente spiega che “maggiore è il livello della produzione, maggiori saranno i profitti”.
[2]     Il PIL, ovvero il Prodotto Interno Lordo (Y), è uguale ai consumi (C), più gli investimenti (I), più la spesa pubblica (G), più le esportazioni (X) meno le importazioni (M), ricordando che la propensione marginale al consumo (c) dipende dal reddito. Tanto basta per analizzare gli aspetti politici ed istituzionali in esame.
[3]     Un'identità contabile (I) è un'identità (I): I→I . Ovvero Dio odia i moralistiperché ama la logica formale.
[4]     «La teoria [neo]classica ha infatti generalmente fondato il supposto carattere autoriequilibratore del sistema economico sull’ipotesi di flessibilità dei salari monetari; e, nel caso di salari rigidi, ha attribuito a questa rigidità la responsabilità dello squilibrio.[…]» J.M.Keynes, “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”.
[5]     Il sottoconsumoè il tipico risultato del conflitto nel distribuire il reddito tra i fattori della produzione [ricordando che, usando un'elementare annotazione neoclassica, la quantità prodottay = ƒ (K,L) ]: se i lavoratori hanno la peggio nella lotta di classe, il salario perde la propria quota sul reddito prodotto in beneficio del capitale.
[6]     Si ricorda il teorema di Haavelmo per cui per cui in pareggio di bilancio–  ovvero in situazione di saldo nullo nella differenza tra entrate ed uscite del bilancio pubblico – ogni taglio della spesa pubblicaΔG = ΔT = ΔY: ovvero il taglio (Δ, delta, il differenziale, ovvero la variazione)  della spesa pubblica corrisponde ad uno sgravio fiscale di medesimo importo e ad una uguale contrazione  del PIL. Ovvero, col pareggio di bilancio in Costituzione, «chi  vuole eliminare gli “sprechi dello Stato spendaccione” per alleviarti dalla pressione fiscale, ti sta contestualmente togliendo  dal portafogli una somma di pari importo» (Bazaar, 2016). In generale, poi, poiché il moltiplicatore (keynesiano) del reddito della spesa pubblica è maggiore di quello fiscale, è molto più dannoso per il PIL tagliare la spesa pubblica che, in proporzione, inasprire il sistema fiscale.
[7]     La logica ricardiana dei vantaggi comparati impone che – date le disomogeneità del fattore tecnologico in un'area di libero scambio –  secondo un processo dicausazione circolare e cumulativa , progressivamente si deindustrializzeranno le aree periferiche, specializzandosi in prodotti a basso valore aggiunto: sostanzialmente estrazione di materie prime, turismo e lavoro a basso livello di competenze (ovvero “si specializzeranno a non specializzarsi”, se non nella fornitura di abili da arruolare). Di converso il centro si specializzerà sempre più nei settori ad alto contenuto tecnologico (come quello militare) e ad alto valore aggiunto. Se in un'area di free trade così descritta si aggiungono degli agganci valutari, si innescherà amplificato quel ciclo minskyanochiamato “ciclo di Frenkel”, portando il fenomeno economico alle sue estreme conseguenze neocoloniali.
[8]     Per una trattazione più articolata, “L'Italia può farcela”, A.Bagnai,  2015, Imprimatur
[9]     O “distrutti”, se i tuoi idoli sono Himmler ed Eichmann.
[10]    Noto brocardo dell'economia sociale di mercato. (Soc€m)
[11]     «L'uomo ha bisogno continuamente del sostegno degli altri e se lo attendesse unicamente dal beneplacito degli altri lo attenderebbe invano. Sarà molto più sicuro rivolgersi al loro interesse personale, e persuaderli che il loro stesso vantaggio personale richiede che essi facciano ciò che egli desidera da loro. Negli altri uomini ci rivolgiamo non alla loro umanità, ma al loro egoismo; a loro non parliamo mai dei nostri bisogni, ma sempre del loro vantaggioAdam Smith, che anticipa come l'etica del padrone debba essere necessariamente introiettata da chi si desidera totalmente schiavo: questo verrà portato proprio alle sue estreme conseguenze con il consumismo, che è stato proprio funzionale all'omologazione morale dei servi rispetto ai signori; ovvero si è fatto leva sull'egoismo individualista per vendere la morale-merce“egoistica-individualista”. Geniale.

IL QE NEL DESERTO. E LE DISTANZE DA CAFFE' (cittadini come gli indiani nelle riserve)

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http://www.liberoquotidiano.it/resizer/480/-1/true/1392020127113.jpg--.jpg 
A proposito delle"giraffe dal collo corto" di Keynes, che secondo Caffè sono le "pecore di Okun"...

1. Draghi e il dolore di Caffè per i giovani precari

Alla Sapienza il presidente della Bce, allievo del professore scomparso 25 anni fa, ricorda le battaglie del relatore della sua tesi. Ma ne prende anche le distanze ricordando le debolezze del paradigma keynesiano, che “sminuisce il ruolo della moneta ed esclude l’ipotesi del default”.

 "Beh, il professor Tarantelli sa molto bene che il monetarismo non è l'indirizzo di pensiero che io condivido, per il semplice fatto che anche laddove ha raggiunto il risultato di provocare un certo rientro dell'inflazione, non bisogna illudersi: questo è stato ottenuto a prezzo di gravissimi costi sociali, che sono stati rilevati dalla stampa di tali paesi. A parte la circostanza che le ncessità di provvedere in qualche modo alle esigenze minime di vita hanno poi contribuito - è il caso dell'Inghilterra ma anche degli Stati Uniti- ad aggravare il disavanzo del bilancio.
Il fatto è che si è creata una categoria di cittadini che vivono nelle forme di sussistenza - scriveva "The Economist" (!)- come gli indiani nelle riserve, come cittadini di seconda categoria.

Quindi non credo che questa possa corrispondere a degli ideali sociali, né dal punto di vista tecnico...a nessuna validità empirica che il conseguimento e il rallentamento del ritmo dell'inflazione di per sé porti a modificare le condizioni sociali che, anzi possono essere anche ulteriormente aggravate anziché attenuate.
...Quanto al neo-keynesianesimo, in questa nuova interpretazione come nuova politica dei redditi, vorrei ricordare una frase scherzosa di un economista americano che si è molto interessato dei problemi del lavoro e dell'occupazione, Okun; il quale ha avuto occasione di dire che se mettiamo in una gabbia un leone e una pecora è necessario tendere in riserva una buona scorta di pecore.
E dunque - è sempre Okun che lo dice - se una società si avvale di una politica dei redditi se ne deve possedere una buona scorta.
(Federico Caffè, "Intervista di Ezio Tarantelli a Federico Caffè", per "Il Mondo dell'economia" nell'ambito del programma radiofonico realizzato da Carlo Toti, 16 giugno 1984, nella raccolta "Federico Caffè- La dignità del lavoro", pag.353 ss.)."

Cioè avevamo cercato di riassumere ciò che Draghi ritiene che gli uomini debbano credere e ciò per cui si debbano affannare. Ne ribadiamo le conclusioni (rinviando al post per le premesse teoriche monetariste e neo-keynesiane ravvisabili nelle esternazioni di Draghi):
"- Draghi prende atto, a quanto pare, della prolungata caduta e mancata ripresa degli investimenti in UEM, nonostante i tassi ufficiali ai minimi storici, e che dunque la curva IS si sta rivelando, diffusamente, piuttosto rigidina;
Sapir allegato 2 
- nell'ottica predominante delle aspettative razionali (che guidino o meno gli "esiti" della curva di Phillips), continua ad attribuire questa rigidità alla insufficiente flessibilità salariale verso il basso nei paesi "debitori" (per la Germania, obiettivamente, l'andamento salariale rispetto alla produttività non consente analogo rimprovero, anzi, semmai, un auspicio nella direzione opposta, cui avrebbe di recente aderito anche Weidman; v.sotto); 

- al contempo, sicuramente senza temerla eccessivamente (adde: anche se ora si sta lentamente accorgendo che la cosa sta un po' prendendo la mano), deve cercare di fronteggiare una prospettiva di deflazione: cioè il calo dei prezzi, come nell'ipotesi di Patinkin (e di certi economisti mainstream italiani) viene visto come una cosa generalmente positiva, ma purchè poi ne segua la fiducia degli investitori, ostacolata invece dalle eccessive pretese salariali e dal livello della spesa pubblica. 

- Solo che, appunto, in attesa che effettivamente sia rimosso l'ostacolo della rigidità salariale, e dunque in presenza di curva degli investimenti IS rigida (l'abusato "cavallo non beve"), è consapevole che la politica monetaria da lui concepita da ultimo (un QE inclusivo di acquisto di titoli pubbliici e privati, fuori tempo massimo), rischia di risultare scarsamente efficace. Per questo, parlava infatti, a Jackson Hole; di "investimenti pubblici", nell'ambito di una ovvia politica sul lato dell'offerta, che renderebbe lecito un qualche allentamento delle politiche del pareggio di bilancio;- il che riporta in auge, a doppio titolo

 - cioè sia la condizione neoclassica di accettabilità delle teorie keynesiane espansive costituita dalla rigidità della curva IS, sia per l'insufficienza dell'effetto saldi reali rispetto alla (ancora) eccessiva rigidità salariale verso il basso di paesi come la Francia e soprattutto l'Italia

l'esigenza di una, ancorchè transitoria, mitigazione del consolidamento fiscale;- in sostanza, con una certa fantasia nel perpetuare le aspettative razionali di cui è propugnatore, vuole rompere il circolo vizioso per cui il non verificato "spiazzamento" determinato dalla rigidità della curva IS, che vanificherebbe la stessa riduzione della spesa pubblica (già in atto in termini assoluti e considerati arretramento e diminuzione del PIL) si accoppia alla caduta dei consumi e degli scambi intraUEM, determinando l'effetto collaterale della deflazione;

- notare che, implicito in questo discorso, è che la crisi non sia da domanda ma strutturale: cioè Draghi legge la situazione come sostanzialmente svincolata dall'andamento del PIL (UEM o di singole nazioni), considerato un problema  "aggiustabile" nell'ambito della ristrutturazione da sempre auspicata. 
Cioè, con la sola lente dell'obiettivo di preservare la moneta unica, in quanto strumento che "vincola", cioè rende ineludibile rimuovere gli ostacoli al pieno ripristino del mercato del lavoro(-merce) che viene considerato essenziale per il funzionamento dell'effetto saldi reali, ovvero dello stesso spiazzamento espansivo verso gli investimenti privati.

- Insomma, la chiave di tutto, come sempre è il mercato del lavoro, la cui flessibilizzazione, viene presumibilmente vista come la precondizione per la praticabilità e l'efficacia delle stesse politiche di taglio della spesa pubblica: finchè la prima non viene pienamente realizzata, le seconde rischiano di provocare un problema di deflazione e di non poter sbloccare la rigidità della curva degli investimenti."

3. Sulle dichiarazioni-esternazioni di Draghi di ieri e sulle reazioni, attuali e future, di borse e aspettative economiche (reali), si sono già manifestati un profluvio di commenti. 
Maurizio Gustinicchi, su scenarieconomici, ce ne dà una lettura con un taglio interessante:  

A mia volta, forte dei commenti USA, tratti del New York Times, vorrei fare un paio di sottolineature. A mio parere non "di dettaglio".
Il fatto è che, come sottolinea Maurizio, Draghi aveva "dichiarato" alla fine di un anno di QE un'inflazione sperata all'1% e si ritrova invece in questa situazione (dopo un ripido declino da qualche decimale di timida reflazione):

http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/user5/imageroot/Eurozone%20inflation%20Feb.jpg

3. E dunque, inventa il TLTRO "con omaggio" della premiata ditta BCE (secondo il NYT che parla di tostapane in regalo): 
"...le banche restituiranno (ndr: nell'ambito del neo-TLTRO)  meno di quanto ricevuto alla fine del prestito di quattro anni. Le banche saranno ammesse a tale linea solo se presteranno (tale denaro) ai consumatori e alle imprese.. E ci sono altre condizioni. Il denaro non potrà essere usato per i mutui ipotecari ad esempio."

Insomma, Draghi ragiona e agisce "come se" l'inflazione fosse già risalita, cioè intende spingere in tal senso, e. dunque, i tassi reali di credito, non adeguati dal lato della BCE a tale ipotesi (mantenuta nell'arco di quattro anni), diventano (ancor più) ampiamente positivi per il settore bancario
Mi spiego: a queste condizioni di rifornimento del denaro da intermediare, nella funzione di banca commerciale, qualsiasi tasso praticato a famiglie e imprese, per credito effettivamente erogato, diviene un'occasione di amplificare il profitto di intermediazione.

4. Ma anche se il Target non fosse rispettato, e cioè il credito non fosse erogato, intanto, fino al periodo di revoca della linea privilegiata di liquidità aggiuntiva BCE, le banche possono segnare un attivo discretuccio, alleviando i bilanci, anche rimanendo ferme
Alla peggio, alla scadenza del periodo di "verifica" (un paio d'anni sul totale di quattro) del rispetto del target, si avrà la restituzione anticipata del debito TLTRO (nel precedente caso, abbiamo visto: "il TLTRO, sulla violazione del previsto bench mark incrementale di prestiti ai privati, si limita a sanzionare con la restituzione dopo due anni anzicchè i quattro ordinari. Sicchè, in pratica, più che "targeted" all'economia reale, è un...LTRO biennale di tentata sopravvivenza dell'euro")
Draghi naturalmente si è affrettato a smentire che ciò potesse essere volto allo scopo di favorire i profitti bancari. Ma il risultato pratico non cambia (se il meccanismo attuale non prevederà altro che la restituzione secca dopo due anni su quattro: ma, al massimo, in caso contrario,potrebbe essere applicato l'attuale tasso ordinario di operazioni di finanziamento bancario: cioè zero, anzichè - 0,4 targeted).

5. Questa è una misura sul lato dell'offerta: sia sul piano bancario, cioè dei costi di rifornimento della liquidità da parte del sistema creditizio, sia sul lato dello "sperato" minor costo delle aperture di credito per crediti alle imprese e al consumo, ove fossero poi concessi (tranne che per i mutui ipotecari, come abbiamo visto, cioè per le case delle famiglie, che si vorrebbe tener fuori, probabilmente per evitare bolle immobiliari e ulteriori insolvenze per i mutui in corso, che diverrebbero più onerosi e, potenzialmente, da ricontrattare a favore dei mutuatari).

6. Ovviamente, il cavallo non berrà o berrà molto meno del previsto: infatti, Draghi si assicura che le politiche di bilancio siano improntate al consueto rafforzamento delle riforme strutturali. Cioè alla ulteriore deflazione salariale e al taglio della spesa pubblica, con il (consueto) connesso calo della domanda: la deflazione, funzionerebbe, nella sua visione, (per implicito non enunciato), come uno stimolo positivo per gli investimenti, secondo l'ipotesi dell'effetto saldi reali, nel mentre la flessibilità massima del lavoro dovrebbe condurre alla piena occupazione (che fa funzionare tale ipotesi nell'assunto neo-liberista, comunque denominato).
La limitazione delle politiche di spesa pubblica, sul lato del welfare (riforme strutturali complementari a quelle del lavoro), infatti, unita al mercato del lavoro auspicato, dovrebbe condurre alla "piena occupazione" e ridestare gli animal spirits degli investitori, che col calo dei prezzi dovrebbero scorgere maggiori disponibilità al consumo delle famiglie, e maggiori proprie convenienze a impiegare la liquidità intrappolata, dato il presunto recupero della alta elasticità degli investimenti ai tassi di interesse, che è il presupposto di tutto il "meccanismo di trasmissione monetaria" ipotizzato.

7. Non sarà così: a tacere dell'altra mezza dozzina di misure adottate da Draghi - tra cui l'estensione del QE all'acquisto dei bond privati delle impresenon bancarie, laddove avvantaggiate, sul piano dei rating di ammissibilità, saranno essenzialmente grandi imporese francesi e tedesche e molto limitatamente quelle italiane.
La domanda non tira perchè come sappiamo i meccanismi di trasmissione non trasmettono,quando si sia di fronte all'insistenza nell'equilibrio della sotto-occupazione.

8. Che poi sarebbe una crisi da domanda, su cui le politiche monerariste, sposate al falso buonismo delle politiche dei redditi neo-keynesiane, coronate dalla spinta alla introduzione della contrattazione aziendale (ne riparleremo perché lo stesso Caffè ce ne parla in modo ladipario e ineludibile), nulla possono. Ma proprio nulla.

Draghi può prendere le distanze quanto vuole (da Caffè), ma dalla deflazione generata dalla inguaribile debolezza della domanda in costanza di politiche monetarie (non trasmissibili) e di una infinita austerità espansiva, non si esce.
Le "pecore" continueranno a essere dilaniate: e non basterà la "riserva" ulteriore di immigrati ("migranti"è un politically correct per ipocriti, che rifiutano di vedere come la mattanza del lavoro non abbia più confini).
Semplicemente aveva ragione Caffè.




L'EURO E L'IRRISOLVIBILE DEFLAZIONE: I SACCENTI E IL METODO DELL'AGGRESSIONE POLEMICA NELLA PROFEZIA DI CAFFE'

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1. Niente. Deflazione, insolvenze diffuse delle famiglie, fallimenti seriali di imprese e deindustrializzazione non contano nulla.
Quello che conta è mantenere la moneta unica.


(ringraziamo Fabio Dragoni per la "selezione").

L'euro, lo diciamo in altre parole rispetto a quelle che abbiamo tante volte detto, è una scelta politica volta a eradicare definitivamente la possibilità di redistribuzione del potere sociale al di fuori dell'oligarchia.
L'euro è infatti il presupposto e il fine ultimo (in un processo circolare inavvertito dalle masse anestetizzate dai media) che conferisce lalegittimazione per poter adottare misure come quelle cui fanno riferimento le dichiarazioni sopra riportate.
In assenza del vincolo dell'euro, la necessità di quanto preannunciato da Nannicini non avrebbe nè la priorità assoluta nè l'intensità che gli viene, variamente ma costantemente attribuita, da quando l'Italia ha intrapreso il cammino della convergenza dettata da Maastricht, aderendo poi alla moneta unica.

2. Accettiamo pure quello che non appare affatto così scontato, cioè che l'Italia debba essere una economia fortemente "aperta", in modo massimizzato rispetto all'area UE, e in modo negoziato "in crescendo", in base alla intensificata apertura prevista da altri trattati rispetto al resto del mondo.
Il free-trade non è infatti una condizione "naturale" delle comunità sociali che, non ne subirebbero, ove possano saggiamente autogovernarsi, la potenziale spinta all'asservimento politico, e spesso militare, di chi prevale in questo free-trade; quello che esso determina è una competizione che si instaura INEVITABILMENTE tra comunità sociali politicamente autonome
Per "autonome", intendiamo sia territorialmente e organizzativamente distinte fra loro, sia caratterizzate, in base alla loro identità linguistica e culturale, dall'aspirazione al benessere collettivo; aspirazione, a sua volta, basata su un alto e spontaneo grado solidarietà interna al gruppo complessivo. Una solidarietà che, come ben sapevano i fondatori del federalismo europeo, è, in base all'esperienza millennaria della Storia umana, assente tra comunità politiche diverse.

3. Dunque se il trade internazionale è un fenomeno storicamente naturale per l'umanità (pure sulle piroghe del paleolitico, passando per i fenici e per i Danaos dona ferentes), è il "free" che non funziona: cioè la formalizzazione mediante un trattato (spesso imposto con la guerra) del fatto giuridico che non ci si possa in alcun modo difendere dai problemi di aggressione socio-politica derivanti dalla supremazia commerciale raggiunta da un altro gruppo. Per il benessere della comunità.

Quel "free", dunque, non è mai la libertà del gruppo sociale che - chissà come e perchè- è finito nella maglie dell'altrui trade, ma è, immancabilmente, una "free-competition" industriale e poi commerciale che impegna i sistemi sociali apertisi reciprocamente ad uno sforzo collettivo contrastante gli interessi dell'altro gruppo, sforzo del tutto omogeneo a quello espresso durante la guerra. 
Pure il conflitto armato, come tutti dovrebbero sapere, è essenzialmente vinto attraverso uno sforzo industriale: sia per produrre le armi, sia per supportare e finanziare l'azione bellica dei propri, tesa ad eliminare e ad uccidere abbastanza soldati e cittadini "nemici" da indurli alla resa, cioè alla sottomissione.
L'apertura delle economie al free-trade - lo abbiamo tante volte detto, come pure Bazaar- è dunque un vincolo (da trattato) allo scontro permanente.
Nella guerra vera e propria muoiono i lavoratori delle classi economiche subalterne divenuti soldati. 
Nello scontro industrial-commerciale fra "economie aperte", sono sempre i lavoratori a subire le perdite; sia con la disoccupazione, cioè con la miseria, sia con la costrizione all'emigrazione, sia col subire la propaganda dell'oligarchia del proprio regime che, comunque, riduce il loro benessere e la rappresentatività generale dello Stato, come pure le loro aspettative di vita e persino di riprodursi, mettendo su famiglia in condizioni di dignità e sopravvivenza.

4. Ma riprecisato questo, l'Italia non era, fino all'irrompere del "vincolo esterno", un paese così "debole" da essere destinato a soccombere in ogni scontro industriale e commerciale con altri sistemi-paese(come si dice oggi, in tecno-pop, per dissimulare la conflittualità inesorabile che deriva dalla "apertura delle economie"...per trattato free-trade, cioè un trattato free-fighting one-against-each-other, che è poi esattamente l'opposto di quello che ammette l'art.11 Cost., come saprà ormai chiunque abbia letto "La Costituzione nella palude"...o anche solo abbia veramente seguito questo blog).

Per porlo in condizioni di debolezza, cioè per far sì che la situazione divenisse tanto sfavorevole, per il popolo italiano, - e tanto favorevole per l'elite capitalista (nazionale e sovranazionale: in ciò naturalmente solidali) che vede sempre con favore questa situazione (per i motivi che vedremo, ben indicati da Kalecky e Caffè), si è dovuto inventare il vincolo esterno: al suo meglio, l'euro. Che ha epigraficamente gli effetti che segnala più sopra la frase di Padoan.

5. Dunque, per Costituzione, questo non si sarebbe potuto fare: in realtà, governanti che intendano fare gli interessi del proprio popolo e mantenerne il consenso, non avrebbero avuto nemmeno bisogno del precetto inderogabile di una Costituzione (rigida) per concepire, con la logica della democrazia sostanziale, di non intraprendere una strada del genere.
Governanti saggi, coscienti che l'opposta logica della massimizzazione del potere di pochi sull'intera società che dovrebbero governare non porta mai al benessere collettivo e alla stabilità sociale, dovrebbero tendere piuttosto al pieno impiego e propugnare, di fronte alla inevitabilità dei problemi di bilancia dei pagamenti determinati dal fenomeno "naturale" dello scambio internazionale, la condizione del "pieno impiego".
Ma è qui che, dove la logica democratica non avrebbe consentito spazi di manovra (sorretti dal consenso), subentra la scelta politica di forzare le cose col trattato free-trade e di indebolire ogni capacità di resistenza democratica (cioè del lavoro) attraverso il cambio fisso-moneta unica.

6. Ce lo disse (anzi, lo profetizzò analizzando il pensiero economico in trasformazione degenerativa), in sostanza, Federico Caffè, ricostruendo la visione politica di Keynes e le problematiche non molto dissimili su cui pone attenzione Kalecky (in uno scritto del 1942-43 a noi ben noto):
L'analisi storico-economica di Caffè ("Introduzione all'economica della piena occupazione", in "La dignità del lavoro", pag.336 ss.), ve la riporto per punti essenziali, incorporandovi direttamente le interessantissime note:

"Nell'indagine sui tre modi mediante i quali raggiungere il pieno impiego (ndr: tre modi che sono null'altro che i controlli cui fa riferimento l'art.41 Cost. e che furono indicati da Lord Keynes, Lord Beveridge e da Kalecky con alcune differenze di visione politica: controlli sul commercio con l'estero, controlli sui prezzi, controlli sulla localizzazione delle industrie), Kalecky si mantiene su linee keynesiane sia nel presupporre un'economia chiusa (ipotesi da lui criticata nella recensione della "Teoria Generale"), sia nell'evitare espliciti accenni a quelle preoccupazioni per il mantenimento di condizioni di pieno impiego, a motivo della forte ostilità degli "uomini d'affari", che egli aveva analizzato in uno scritto del 1943: scritto attualmente considerato come individuazione iniziale della natura politica delle fluttuazioni cicliche.
...La caratteristica e (se si vuole) il limite del pensiero di ispirazione keynesiana (ndr: nella presunta, secondo Caffè, contrapposizione di Kalecky, e in generale) è il costante, irrinunciabile impegno a riformare il sistema capitalistico, non a eliminarlo. In questo senso, gli ostacoli di natura politica sono tra i tanti da superare con perseveranza e acume, ricercando progetti adatti e accorgimenti opportuni.
Nel delineare "gli aspetti politici del pieno impiego" si possono dire cose acute e presaghe, come quelle esposte da Kalecky in tale scritto: oppure si può scadere in ovvie banalità.

Nota al testo di Caffè: "Alternanze di spinta e freno, tra l'agire in forma drastica troppo tardi e/o in modo disordinato, concentrando l'attenzione nella cura di uno specifico male economico che abbia già raggiunto proporzioni serie e intollerabili (per esempio uno squilibrio della bilancia dei pagamenti in uneconomia aperta), sono una conseguenza diretta dell'aver fatto troppo poco ed essersi mossi lentamente in precedenza
Questo non deriva soltanto dalla ben nota difficoltà nel diagnosticare e adottare una misura adatta ai precetti keynesiani, ma è in gran parte dettato da considerazioni politiche (e spesso elettorali). Per esempio, con il basare la propria piattaforma sul crescente malessere popolare motivato dalla spirale prezzi-salari, un partito di opposizione può essere eletto per moderare il processo inflazionistico in atto. Il nuovo governo assume allora misure deflazionistiche. Allorché gli effetti di questa politica di rendono evidenti con l'aumento della disoccupazione, si accresce lo scontento generale; si delinea il pericolo di essere sconfitti nelle future elezioni e interviene una brusca sterzata nella politica economica (ndr: oggi questa autocorrezione è solo una questione di forma ma non di sostanza, e ai nostri giorni ciò è particolarmente evidente, sia in termini di effettiva reflazione che di tasso di occupazione correttamente calcolato. Ma questo è appunto il paradosso dell'euro, basato su contraffazioni propagandistiche e doppie verità, all'interno di una salda stabilità di politiche economiche neo-liberiste)."

7. Prosegue, il testo "principale":
"Ma quello che va in ogni caso precisato è che nè in Keynes, né nei keynesiani rimasti più strettamente aderenti al suo pensiero (!...siamo nel 1979!), il mantenimento di condizioni di pieno impiego è stato considerato un compito privo di ostacoli e di difficoltà.
Autorevolmente Lord Kahn ha portato di recente la testimonianza di alcune lettere di Keynes, del 1943 e del 1944, da cui traspaiono evidenti la sua preoccupazione per le conseguenze del pieno impiego e, al tempo stesso, il suo convincimento del carattere politico, anziché economico, di tale problema.
Nota: R.Kahn "Some Aspects of the Devolpment of Keynes's Thought", in "Journal of Economic Literature", n.2, 1978, p.557. In una lettera del 1943, Keynes scriveva a Benjamin Graham: 
"Il compito di mantenere ragionevolmente stabili i salari di efficienza (sono certo che tenderanno a salire nonostante i nostri sforzi) costituisce un problema politico, anziché economico"...."Non ho dubbi che sorgerà un serio problema circa il modo in cui i salari debbano essere contenuti quando saremo in presenza di combinazione di negoziazioni collettive e di pieno impiego. Ma non sono sicuro che il tipo di analisi da voi proposto possa arecare molta luce su questo che è essenzialmente un problema politico".

8. Raccordandoci al tema del post - cioè alla istituzionalizzazione del controllo del mercato del lavoro come missione politica da raggiungere mediante l'imperativo della "economia aperta" e del free-trade e l'imposizione di una moneta a cambio fisso e, anche, "unica" a gruppi politico-territoriali posti inevitabilmente in competizione tra loro, in nome dei presunti benefici del federalismo tra questi Stati-, riportiamo questo significativo passaggio del commento di Caffè:

"Non è privo di significato che possibilità di controlli durevoli sui movimenti di capitali fossero previste dagli accordi di Bretton Woods e che, proprio di recente (ndr: cioè nel 1977, alle soglie della contro-rivoluzione restauratrice monetarista e, in connessione, dell'ideazione del vincolo esterno con lo SME; anticipatore dell'euro), gli uffici legali del Fondo monetario internazionale abbiano creduto di dover ribadire la validità giuridica di un principio completamente disatteso nella prassi operativa dell'istituzione (Ndr: alla faccia delle lamentele di Hayek che si stava allora godendo il Nobel in piena fase di restaurazione ma non desisteva dall'atteggiamento vittimistico, suggerito alle oligarchie finanziarie e industriali, in nome di un passato...che non si era mai attuato nella forma da essi lamentata).
Nulla di più estraneo alla logica della "programmazione e ingegnosità" cui una politica di ispirazione keynesiana non avrebbe mai dovuto rinunciare, che l'ingigantirsi, privo di freni e di remore, del mercato delle eurovalute; della libertà di azione lasciata alle più sfrenate speculazioni di Borsa...; della stessa intensificazione dei traffici internazionali, quando essi non riflettano una più efficiente soddisfazione di bisogni basilari, ma si risolvano in un artificioso travaso reciproco di prodotti resi indispensabili dalle tendenze imitative tipiche delle situazioni di concorrenza oligopolistica.

Nota, particolarmente eloquente ed attuale in riferimento ai nostri giorni:
"Keynes, considerando come presupposto di un "capitalismo intelligente" l'allargamento delle funzioni e degli scopi dello Stato, includeva tra le decisioni più importanti della politica pubblica quelle riguardanti "ciò che dovrà essere prodotto nel Paese e ciò che dovrà essere ottenuto in cambio dall'estero". 
Nel lamentare la scomparsa delle "secolari tradizioni legate all'agricoltura" nello stigmatizzare "la nostra capacità di chiudere la porta in faccia al soile e alle stelle, perché non pagano dividendo", egli sempbra quasi anticipare il lamento per la "scomparsa delle lucciole" che in poeta muoverà molti anni dopo.
Ma non erano estranee a Keynes né una visione singolarmente anticipatrice, nè una capacità di espressione che andava ben oltre il tecnicismo economico. 
Del resto anche D.H. Robertson, uno dei più saggi economisti di ogni tempo, contrappone alla stabilità  dello "scambio di ghiaccio contro carbone tra Nordlandia e Infernia" le "oscillazioni confuse" di "scambi soggetti a particolareggiate modificazioni tecniche"(cfr; "Saggi di teoria monetaria", Firenze, 1956, pp.237 e ss.). 
Coloro che non siano esaltatori acritici dello sviluppo degli scambi internazionali, per motivi da collegare appunto alla loro composizione o alle conseguenze interne...formano di frequente oggetto di addebiti saccenti
In quanto questi addebiti rivelano, in coloro che li manifestano, un'insufficiente conoscenza della storia del pensiero economico,...non può sorprendere che gli addebiti stessi si traducano in forme di aggressione polemica di pretenziosa arroganza".

E abbiamo così il quadro preciso non solo di cause e finalità delle politiche imposte dall'euro, ma anche del clima politico e culturale che la sua ideazione avrebbe inevitabilmente apportato.
Basta accendere la televisione o aprire un giornalone....

EMMANUEL TODD: L'IMMAGINARIA GENESI MITOLOGICA DEL FEDERALISMO EUROPEO (Ventotene e i costituzionalisti)

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https://candidonews.files.wordpress.com/2011/03/costituzione1.jpg?w=900&h=375

1. Leggiamo un'interessante intervista allo storico francese Emmanuel Todd, curiosamente pubblicata sul "La Stampa": un'intervista sui cui contenuti, qualsiasi lettore abituale di questo blog, potrebbe, in linea di massima, prevalentemente concordare. 
Diciamo che Bazaar e Arturo, nell'illustrare gli effetti immancabili della struttura politico-economica indotta dal federalismo (cioè un assetto sociale oligarchico), sono obiettivamente andati più in profondità.
E non è una stranezza.

2. La stranezza è che "La Stampa" dia spazio a un'analisi del genere. 
Ma qualche spiegazione, coerente con la direzione costante del nostro mainstream, c'è:
a) la voce è francese e in un sistema politico-strutturale, e quindi mediatico culturale, come quello italiano, - che, come diceva Caffè (p.2), è "disposto a seguire programmaticamente il ricatto dell'appello allo straniero"-, la pubblicazione dell'intervista è obiettivamente inseribile nell'ovvio contesto "ad un francese (c'est plus facile) è consentito"
Voci italiane che esprimano, anche meglio, concetti e analisi analoghe non hanno finora potuto comunque ricevere lo stesso spazio: ce lo dicono i fatti, con cui "è inutile polemizzare". Precisiamo, a onor del vero: non hanno spazio, a meno che queste analisi "autoctone" non concludano, l'esposizione della loro visione critica, con la formula "e dunque ci vuole più "vera" (?) €uropa" o analoghe: cioè una visione che, comunque, salvi la mitologia della genesi pacificatrice e democratica dell'€uropa;

b) e per l'appunto, la risposta alla prima domanda posta a Todd (quella che inciderà suggestivamente di più sul lettore) è comunque idonea a salvare "capra e cavoli",cioè a mantenere il giudizio di non imputabilità a titolo di colpa o di dolo, alla nostra classe dirigente, della scelta di "entrare in €uropa"

3. Una "non imputabilità" di tale scelta, sempre mantenibile a condizione di continuare a ignorare le voci di avvertimento, sulla deriva del federalismo europizzante, che provenivano da molte parti, almeno prima dello SME, e riassumibili, emblematicamente, sempre nelle parole di Caffè, oggi attualissime-issime:  
"Ma che il fastidio del tutto esplicito per le soluzioni non elitarie e l’artificiosa attribuzione della qualifica di “populismo a ogni aspirazione di avanzamento sociale avvengano con la tacita acquiescenza delle forze politicamente progressiste è ciò che rende particolarmente amaro il periodo che viviamo"...

"La soddisfazione manifestata per l’adesione governativa allo Sme potrà essere una benemerenza padronale. Ma, se è consentito utilizzare la trasmissione orale per lasciar traccia in futuro di una frase memorabile detta in tale occasione in sede molto qualificata, può anche obiettarsi – come qualcuno ha affermato – che siamo entrati nello Sme con la stessa incoscienza con la quale a suo tempo dichiarammo guerra agli Stati Uniti d’America. E sarebbe bene, a questo riguardo, non confondere le temporanee illusioni con la dura realtà che questo vincolo comporta".

4. Infatti, Todd, posto di fronte all'interrogativo se ci troviamo di fronte alla"fine del sogno di Spinelli" - che, come si continua a ignorare in Italia, tutto questo sogno non era, per i lavoratori e le classi subalterne autoctone, data la forte influenza dell'internazionalismo dei mercati esercitata da Einaudi -, risponde
«L’Europa è qualcosa di molto diverso dall’idea originaria di comunità di Paesi liberi e uguali. Oggi ci sono paesi più uguali di altri e la soluzione è debole per tutti. Siamo di fronte a un sistema gerarchico con la Germania alla guida, la Francia a fare il servitore e gli altri d’accordo o zitti: non si discute»

A Todd suggeriremmo, con una certa hybris dettata dalla fatica ad aver sceverato il problema dopo aver raccolto le fonti dirette teorizzanti il "federalismo" europeo, dalle sue origini negli anni '40 del secolo scorso, la lettura de "La Costituzione nella palude"; là dove, la ricostruzione storica dell'ideologia e della visione economica dei fondatori del federalismo europeo, risulta in una straordinaria coerenza e omogeneità con le posizioni degli euro-tecnocrati odierni, estesa fino ai minimi dettagli della gestione (deflattivo-salariale) della moneta unica e  persino della Unione bancaria.

5. Condividere la questione della sovranità, una volta che questo "recupero" si proietti sul piano delle politiche economiche che conseguono alle sovranità democratiche costituzionalizzate, - quelle che, rammentiamo a Zagrelbesky, si conformano nella sostanza alle finalità indeclinabili di "pace e giustizia fra le Nazioni", nelle necessarie "condizioni di parità" -, comporta di dover abbandonare tutte le illusioni con cui la propaganda oligarchica ha connotato il liberoscambio e il "governo internazionale dei mercati"(dei mercati: lo teorizzano, da sempre, ESSI stessi, federalisti europei, e lo scrivono nella norma fondamentale del Trattato, l'art.3, par.3, senza alcun equivoco).

E dopo aver abbandonato questa inesatta ricostruzione della "genesi", diviene decisamente più attendibile rammentare ciò che è ovvio e che Caffè (vedremo tra poco non a caso nuovamente richiamato), aveva ricordato come fulcro della compatibilità tra economia capitalista e democrazia (sostanziale, cioè pluriclasse):
"Keynes, considerando come presupposto di un "capitalismo intelligente" l'allargamento delle funzioni e degli scopi dello Stato, includeva tra le decisioni più importanti della politica pubblica quelle riguardanti "ciò che dovrà essere prodotto nel Paese e ciò che dovrà essere ottenuto in cambio dall'estero".  
Il che, anche per un giurista, profano di economia internazionale, dovrebbe manifestamente risultare antitetico al liberoscambismo e al "governo sovranazionale dei mercati", propugnato dal Manifesto di Ventotene.

6. Ora, a questo proposito, poiché i più illustri costituzionalisti fanno un po' di confusione nell'intendere il senso e la funzione di quello che definiscono, esclusivamente in un'accezione negativa, come "protezionismo", vorremmo ancora rammentare:
"...l'equivoco in cui incorre Wolf (ndr: e, nel presente discorso, non solo lui, ma tutta la cultura che denuncia l'oligarchia ma non prende atto delle conseguenze politico-economiche di ciò), quantomeno nella sua frettolosa etichettatura negativa del "protezionismo" imputato a Trump, sta nella differenza di esiti e finalità cui può rispondere il protezionismo stesso:
 a) Il protezionismo adottato da Potenze imperialiste è l'altra faccia del liberoscambismo, perché ne costituisce l'evoluzione conservativa delle posizioni dominanti raggiunte e, al tempo stesso, di utile strumento anche in senso contrario alla contenibilità di tali posizioni da parte di altri competitor statuali.

b) Il protezionimsmo adottato da ordinamenti nazionali in via di sviluppo e non dominanti sui mercati internazionalizzati è invece un ragionevole strumento di crescita del c.d."infant capitalism", come spiegato da Chang ne "I Bad Samaritans" con riguardo a casi non certamente guerrafondai quali la Corea o, oggi, in UE, la "fascista" Ungheria.
7. Sul piano costituzionale, come ben illustrava Meuccio Ruini, ciò ha delle inequivoche conseguenze che risultano agli atti della Costituente, proprio nel dibattito sull'art.11 Cost. e che hanno poi avuto una qualche (timida) eco e reiminiscenza anche nel costituzionalismo successivo italiano, :
1) "Accettiamo, invece di «reciprocità» e «uguaglianza», l'espressione «in condizione di parità con gli altri Stati». 
Non avremmo nessuna difficoltà ad accogliere la proposta Zagari: «favorisce la creazione e lo sviluppo di organizzazioni internazionali». Ma qualcuno ha chiesto: di quali organizzazioni internazionali si tratta? 
Non si può prescindere dalla indicazione dello scopo. Vi possono essere organizzazioni internazionali contrarie alla giustizia ed alla pace. L'onorevole Zagari ha ragione nel sottolineare che non basta limitare la sovranità nazionale; occorre promuovere, favorire l'ordinamento comune a cui aspira la nuova internazionale dei popoli..." (Meuccio Ruini a pag.268 de "La Costituzione nella palude");
2) "La prospettiva costituzionale richiede di essere recuperata anche là dove, di fatto, al di là del formale ossequio alla dottrina dei controlimiti, la si è sterilizzata: nella prospettiva della integrazione sovranazionale.
Non tutti i cammelli europei possono passare per la cruna dell'art.11 della Costituzione, il cui significato essenziale è che il posto dell'Italia in Europa (e comunque in tutte le istituzioni create da accordi internazionali) deve deciderlo l'Italia, perché quale che sia la prospettiva che si assume è nella Costituzione (nelle singole Costituzioni degli Stati membri) che giace la legittimazione delle istituzioni sovranazionali, non viceversa (Massimo Luciani, "La Costituzione nella palude", pagg. 131-132: inutile dire che questa affermazione consequenziale al dettato costituzionale è in urto irriducibile col Manifesto di Ventotene e col sogno di Spinelli).
3) "quando il potere è saldamente in mano alle potenti lobbies degli affari e della finanza, dei circoli mediatici e della manipolazione delle informazioni, i giuristi si abbandonano al cosmopolitismo umanitario e si arruolano nel "grande partito" delle buone intenzioni e delle buone maniere: magari fornendo una inconsapevole legittimazione al mantenimento dello stato di cose esistenti" (Pietro Barcellona, in "La Costituzione nella palude", pag.108).

8. Abbiamo più volte citato Ruini e Caffè (e Keynes), collegandone le rispettiva analisi e le autorevoli prese di posizione - almeno di questa autorevolezza occorrerà dare atto, da parte degli assolutori della scelta europeista, (in base all'immaginaria idea "genetica" di federazione europea)- per una serie di fatti, di rilevanza storica e istituzionale, che sarebbe bene conoscere.
Caffè e Ruini sono uniti da un profondo sodalizio nella loro visione istituzionale ed economica, che, - come possiamo constatare anche dalle posizioni assunte dal secondo nello "scontro" con Einaudi sulla terza via (ordoliberista e europeista) che Einaudi tentò di inserire in Costituzione (cfr. pagg. 99-101 de "La Costituzione nella palude")-, assume un coerente riferimento a Keynes e a Beveridge che fu consapevolmente trasferito nella nostra Costituzione "economica" per realizzarne il carattere fondamentale "lavoristico" (arrt. 1 e 4 Cost.).

8.1. Ruini fu nominato Ministro per la ricostruzione nel 1945 (nel governo Parri: poco prima era stato nominato Presidente del Consiglio di Stato, a "riparazione" della sua estromissione dall'Istituto dovuta alla sua opposizione al fascismo...) e scelse come segretario particolare e capo di gabinetto il giovane Caffè, proveniente dal servizio studi della Banca d'Italia (dove si occupava proprio di finanza e scambi internazionali...).
Quando Ruini viene eletto deputato nell'Assemblea Costituente, nel 1946 (appunto: il 2 giugno), fu subito nominato Presidente della Commissione dei 75, a cui è nella sostanza dovuto il lavoro di messa a punto del modello economico-sociale recepito dalla nostra Costituzione. 
Negli stessi anni, Caffè era a sua volta nominato consulente presso il Ministero apposito "per la Costituente"; e, non a caso, Caffè, con un ruolo di supporto istituzionale alla stessa Commissione dei 75 la cui importanza non può sfuggire, proseguì a dare il suo contributo  come componente della sotto-commissione "moneta e commercio con l'estero" della Commissione economica della Costituente
E certamente svolgere un ruolo di expertise in tali materie, dato anche il profondo rapporto con Ruini, non fu estraneo alla formulazione della Costituzione economica e dello stesso art.11 Cost.

8.2. In pratica, a differenza dei rationalia (einaudiani) del Manifesto di Ventotene, l'art.11 Cost. incorpora, in coerenza con la sua proiezione nel modello economico della Costituzione, la visione dei commerci internazionali e della moneta propri dell'economia keynesiana. 
Cosa di cui registriamo ampia traccia nello studio dello stesso Caffè "un riesame dell'opera svolta dalla Commissione economica per la Costituente", pubblicato nel ventennale dell'adozione della Costituzione e ritrovabile alla pagg.293 e ss. de "La dignità del lavoro", raccolta di scritti di Caffè qui citata numerose volte. 

9. Concludiamo riportando, da una monografia dedicata al Caffè "costituente", delle sue parole che ricalcano, anche qui non a caso, quanto espresso da un celebre discorso "sulla Costituzione" dello stesso Calamandrei, riassunto alle pagg.62-63 de "La Costituzione nella palude" (condiviso, ovviamente, da Ruini).
"[Caffè] esortava i responsabili della politica economica a ricordare che "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini"...mentre "oggi ci si trastulla nominalisticamente nella ricerca di un nuovo modello di sviluppo e si continua a ignorare che esso, nelle ispirazioni ideali, è racchiuso nella Costituzione;nelle sue condizioni tecniche è illustrato nell'insieme degli studi della Commissione economica per la Costituente (1978)...".
Con il che, sul piano dell'autenticazione diretta della volontà dei Costituenti e dei contenuti di questa volontà (suprema e democratica) il cerchio si chiude.
Salvo ulteriore (ma ben spiegabile) oblio, che continua e scendere sulle menti della classe politica, culturale e mediatica, di questa disastrata Italia...

OGGI, ALLE 16.45, A MILANO: "BANCHE A RISCHIO?" ITALIA A RISCHIO

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Oggi pomeriggio parteciperò al convegno la cui locandina è sopra riprodotta.
Spero di poter vedere e incontrare i lettori del blog, quantomeno quelli che dimorano nell'area della "Grand Milan"...

Per il mio intervento ho preparato una lunga "relazione" che riprende e allarga i temi trattati su questo blog sull'argomento della compatibilità costituzionale delle disciplina del risparmio complessivamente derivante dal diritto europeo; a cominciare dall'adozione della moneta unica, e dei limiti al deficit pubblico, per finire al meccanismo di risoluzione delle insolvenze bancarie ed a quello di assicurazione dei depositi.
Probabilmente non ci sarà il tempo per esporre l'intera gamma dei delicati e gravi aspetti di illegittimità costituzionale in questa materia. Ma proverò ad illustrare almeno le conclusioni principali dello studio.

Sono anche interessato a sentire le analisi degli altri relatori, per capire quanta coscienza del problema si stia diffondendo in Italia: almeno per capire se si stia ampliando la consapevolezza del fatto che, su questa traiettoria monetaria, di politica fiscale e di assetto bancario, ci stanno "radendo al suolo".

Come piccola chicca vi riproduco una "citazione di presentazione" relativa alla teoria di Hayek - divenuta pratica istituzionale €uropea- della denazionalizzazione della moneta, citazione che ho inserito fra le note del paper. 
Come abbiamo visto in un precedente post, trasposto in "Euro e (o?) democrazia costituzionale" Hayek aveva dedicato all'argomento un apposito libro, così presentato nell'edizione italiana:
“La denazionalizzazione della moneta”,  nella traduzione italiana, ETAS, 2001. L’idea-guida esposta dal libro viene così sintetizzata:
Un 'opera che rivela la sua attualità proprio nel momento in cui l'Europa si accinge a introdurre la moneta unica.
L'originalità di quest'opera è data dalla proposta di Hayek: "togliere allo Stato il monopolio della moneta e sostituirlo con una competizione fra banche private che forniscono moneta esattamente come qualsiasi altra impresa fornitrice di beni o servizi. La sua proposta va quindi ben al di là di quanto avevano visto quasi tutti i Paesi occidentali sino alla fine dell'Ottocento, quando vi erano diversi istituti di emissione, perchè tali istituti stampavano comunque banconote denominate nella valuta nazionale, mentre Hayek propone di dissolvere completamente il concetto di banca centrale di emissione."


IL MITO DELLA PRODUTTIVITA' E DELL'INNOVAZIONE (FLESSIBILITA' COL LAVORO DEI CASSINTEGRATI)

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In attesa che Quarantotto torni da Milano, dove ha potuto dare il suo contributo in tema di compatibilità costituzionale delle disciplina del risparmio derivante dal diritto europeo, pubblico un breve aggiornamento (per quel che emerge dalle notizie più recenti) sui grandiosi effetti del job act sul mondo del lavoro. 
Solo per rinfrescare la memoria agli illusi.
Sofia

1. Il Jobs Act non funziona. 
Il taglio degli sgravi garantiti lo scorso anno produce un segno negativo nei nuovi contratti a tempo indeterminato, con un saldo al ribasso.
Le assunzioni (attivate da datori di lavoro privati) a gennaio 2016 sono risultate 407.000, con un calo di 120.000 unità (-23%) sul gennaio 2015 e 94.000 unità (-18%) sul gennaio 2014.
Il rallentamento ha coinvolto soprattutto i contratti a tempo indeterminato (-70.000, pari a 39%, sul gennaio 2015 e -50.000, pari a -32%, sul gennaio 2014). C'è stata anche una diminuzione, anche se meno sensibile, dei contratti a tempo determinato (-15% sul gennaio 2015 e -14% sul gennaio 2014).
Mentre sono praticamente stabili le assunzioni con contratto di apprendistato. 
Nel primo mese dell'anno le assunzioni stabili sono state molto inferiori rispetto al gennaio 2015 quando partirono le decontribuzioni per chi assumeva. 

2. Lo dice l'Osservatorio INPS parlando dei contratti a tempo indeterminato, al netto delle trasformazioni, mentre nello stesso tempo si registra un aumento dell'utilizzo dei buoni lavoro. Nel gennaio 2016 risultano venduti 9,2 milioni di voucher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio, del valore nominale di 10 euro, con un incremento medio nazionale, rispetto al gennaio 2015 pari al + 36%).
E ovviamente questi dati (da cui è facile evincere come i nuovi assunti altro non sono che precari a tempo indeterminato) ben poco conto tengono degli effetti derivanti dall’art. 18 e dei licenziamenti sommari dei“vecchi” assunti, troppo “costosi” e troppo “tutelati”.

3. Ma Renzi difende imperterrito il suo operato e Padoan dice che il nostro jobs act ce lo invidiano pure in Cina.
In attesa di esportare il Jobs Act in Cina, ci ha pensato il ministro Poletti a spiegare meglio come stanno le cose.
Finiti gli incentivi, con il Pil fermo allo zero virgola e una crescita inferiore a quella del previsto, si possono fare tutti gli sgravi del mondo ma l'occupazione non riparte.
I numeri dell'Inps certificano proprio che i dati sull'occupazione sbandierati erano strettamente legati a sgravi temporanei e dunque tutt'altro che strutturali.
Ma lungi dall’imparare la lezione, con la legge di stabilità 2016 è stato introdotta una nuova forma di incentivo rivolta alle assunzioni a tempo indeterminato e alle trasformazioni di rapporti a termine di lavoratori che, nei sei mesi precedenti, non hanno avuto rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
La misura dell'agevolazione prevede l'abbattimento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (esclusi i premi INAIL) in misura pari al 40% (entro il limite annuo di 3.250 euro) per un biennio.
A dimostrazione, quindi, che l’esperimento jobs act, non è servito a nulla, se non a contribuire, ancora una volta, alla riduzione dei salari (ed infatti si registra una riduzione per le assunzioni a tempo indeterminato delle retribuzioni intermedie -tra 1.250 e 2.000 euro-, mentre un lieve incremento si verifica per quelle superiori a 2.000 euro).

4. A completare l’opera, la legge di stabilità 2016  modifica anche l’Art.26 della legge sui lavori socialmente utili consentendo l’utilizzo diretto dei lavoratori titolari di strumenti di sostegno al reddito (“Allo scopo di permettere il mantenimento e lo sviluppo delle competenze acquisite, i lavoratori che fruiscono di strumenti di sostegno del reddito in costanza di rapporto di lavoro nonché i lavoratori sottoposti a procedure di mobilità possono essere chiamati a svolgere attività a fini di pubblica utilità a beneficio della comunità territoriale di appartenenza, sotto la direzione e il coordinamento di amministrazioni pubbliche…”).
Anche questo, ovviamente, è un espediente per abbassare i salari allo stesso livello degli assegni di sostegno, per eliminare la cassa integrazione e, nello stesso tempo, di risolvere problemi legati alle procedure di mobilità.
Sei in cassa integrazione? Benissimo, con lo stesso livello di reddito ti metto a fare lo spazzino e se non accetti perdi la cassa integrazione e qualunque forma di sostegno al reddito.
Scuole, parchi e spiagge, pulizia delle strade, attraverso l'interessamento di Aster, e impieghi all'interno del Tribunale. Questi i lavori che sono stati pensati per i cassa integrati.
Compresi i lavoratori dell’ILVA. Ma è appena fallito il tavolo tecnico FIOM per i lavori di pubblica utilità per i dipendenti Ilva che dovrebbero partecipare ai progetti redatti dal Comune e dalla Regione sul territorio. 
Non solo perché i lavoratori interessati saranno poco meno di seicento, sul totale aggiornato di 1610 siderurgici, ma anche perché si tratta di misure di sostegno alla continuità occupazionale ma non certo reddituale, vista l’impossibilità di prevedere per i lavoratori Ilva una paga oraria superiore a quella dei dipendenti comunali.

5. Che pure il sole24ore confermi questo costante processo di deflazione salariale, pare significativo; che lo faccia pure Fabio Sdogati (ordinario di economia internazionale al Politecnico di Milano), pure: ridurre i salari ha un effetto e l'equazione tra tagli ai costi e produttività non lo convince, soprattutto quando passa per una scure più netta sulle retribuzioni: 
«Mi sembra la stessa interpretazione di quanti hanno chiesto deflazione salariale in Grecia perché il costo del lavoro avrebbe fatto aumentare le esportazioni e la produzione. Salvo dimenticare che in Grecia non esiste la manifattura – dice al Sole 24 Ore -. In una situazione in cui la domanda interna non tira e il reddito pro capite è molto minore dei livelli pre-crisi, ridurre i salari ha un effetto catastrofico». 
Ma l'alleggerimento nei costi del lavoro, in generale, non può essere inteso come un segnale incoraggiante? 
«Non è vero che le aziende beneficiano della deflazione salariale perché la produttività è determinata dagli investimenti e dalle innovazioni. La Germania ha un costo del lavoro pari a 31,4 euro l'ora, l'Italia del 28, Cipro di 15. Chi sta meglio? La produttività permette di pagare bene».
Purtroppo, però, pure Sdogati conclude male un discorso almeno in parte iniziato bene, perché in maniera contraddittoria, pur ammettendo che si sono voluti appiattire gli stipendi tanto che non vi sono più differenze considerevoli tra stipendi di lavoratori di diversi paesi, suggerisce di approfittare della fuga dei cervelli (“l'afflusso di professionisti stranieri può darci un'occasione importante, se le barriere non lo impediranno”). 
In fondo perché perdere un’occasione per abbassare ancora di più i salari assumendo lavoratori di paesi con retribuzioni più basse delle nostre?

ADDENDUM: ecco i primi effetti applicativi del Job acts che danno un reale riscontro strutturale delle sue finalità (le assunzioni-trasformazioni di posti già esistenti, non "devono" creare nuovi posti di lavoro effettivi, altrimenti non può funzionare: quindi, via libera ai "vouchers" dilaganti mentre i contratti a tempo indeterminato sono risolubili a piacimento, specie non appena finiscano gli sgravi contributivi):


Almeno lui la deflazione non la smentisce, contrariamente a quanto fa Scacciavillani secondo cui la deflazione salariale tedesca e le riforme Hartz sono tutta una balla, e coloro che dicono il contrario sono solo ciarlatani.

PADOAN E LA SPESA PUBBLICA: I TECNICONI-ESPERTOLOGI IN FUORIGIOCO (ma la grancassa non se ne accorge)

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http://www.infodata.ilsole24ore.com/wp-content/uploads/sites/82/2016/02/debit-pubblico.jpg
Come premessa guardate questo grafico e tenetelo a memoria ogni volta che un espertone ci viene a raccontare, a reti unificate, che il problema italiano è il debito pubblico.


1. Anche se la notizia è passata senza che le fosse dato un particolare risalto, - considerando che le TV a reti unificate continuano a spiegarci che il male dell'Italia è l'enorme spesa pubblica, chiamando puntualmente espertologi, sedicenti economisti, a spiegarcelo- una specie di clamoroso "contrordine"è arrivato.
Venerdì 18 marzo, tornando da Milano, mi imbatto, su vari quotidiani, in un "annuncio a sorpresa" di Padoan; "La Repubblica" gli decida un trafiletto, ma su "Il Messaggero", (pag.13), c'è un vero e proprio articolo con tanto di commento.
Padoan, mentre starebbe per essere approvata la "flessibilità" di bilancio per il 2016, si arma di dati, che sono sempre stati disponibili, per dare "una risposta alla lettera con la quale l'Unione europea ha messo sotto osservazione l'Italia, sottolineando, tra i punti a sfavore, proprio i risultati poco brillanti della spending review".

2. Di questo argomento, in realtà abbiamo parlato, da anni, in lungo e in largo: citando Haveelmo, il moltiplicatore, l'incidenza della spesa pubblica corrente sul PIL; la causazione effettiva, per via di interessi cumulati conseguenti a divorzio e "vincolo esterno", dell'innalzamento del rapporto debito pubblico su PIL, e via dicendo.
Ma è estremamente interessante vedere le argomentazioni e i dati richiamati da Padoan a sostegno della propria risposta.
Anzitutto: "Sui tagli alla spesa l'Italia non ha fatto poco, ma tanto. Anzi troppo. Al punto che oggi potrebbe non essere più possibile effettuare nuove profonde sforbiciate al bilancio dello Stato".
I dati forniti dal Ministero dell'economia sono eloquenti: "tra il 2009 e il 2014, secondo le tabelle del Tesoro, l'Italia ha contenuto l'incremento della spesa primaria corrente all'1,4%, l'aumento più basso tra tutte le economie del mondo
In Germania e in Francia, nello stesso periodo, la spesa è salita del 12%, con una media nell'Unione europea del 9%.
Tra il 2014 e il 2016, come evidenzia un'altra tabella, i risparmi, grazie alla revisione della spesa, sono stati di 25 miliardi di euro".



3. E si tratta di aumenti nominali, cioè che se fossero depurati dall'inflazione segnalerebbero, per l'Italia, una contrazione della spesa in termini reali. Una contrazione che ci pone in controtendenza, VIRTUOSA (secondo la logica europoide-tecno-pop), rispetto a tutta l'eurozona:

 http://www.genitoritosti.it/wp-content/uploads/2015/02/perri-realfonzo.jpg
 http://1.bp.blogspot.com/-jNtRqaSTkwY/UeUwm_-dN5I/AAAAAAAAAOc/petb1-r2wEw/s1600/sp-reale.png

Ma, in modo tristemente scontato, politici ed espertologi hanno fatto riferimento alla spesa pubblica in ammontare assoluto, per dare una cifra di millemila miliardi di sprechi sottintesi, o, al massimo, si rifanno, i più tecniconi, al rapporto spesa su PIL: dimenticando che, proprio perchè è un rapporto, l'ammontare assoluto (che, se costante, segnala una contrazione in termini reali, cioè al netto dell'inflazione) cresce, se considerato in percentuale sul PIL, se il PIL stesso si contrae o rimane largamente stagnante, appunto com'è accaduto tra il 2009 e il 2015.

4. Ma anche i più tecniconi-espertologi dimenticano questo fatto, che implica una serie di deduzioni aritmetiche evidentemente troppo complesse, e, soprattutto, dimenticano il dato comparato della spesa pubblica primaria con gli altri paesi membri dell'UE-UEM, laddove la crescita (tranne che per la Grecia) è stata superiore a quella italiana: e proprio perchè il deficit, cioè la spesa pubblica, sono stati superiori rispetto all'Italia.
Il che, tra l'altro spiega il "miracolo spagnolo", in una realtà fiscale che non si sogna neppure, DOPO LA CRISI DEL 2007, aggiustamenti dei conti come quelli intrapresi in Italia, come attesta la enorme differenza tra saldi primari che vedete sotto riportata (eccedenza delle entrate-pressione fiscale sulla spesa primaria, al netto dell'onere degli interessi). 
Notare che la tabella sottostante, per i maggiori paesi dell'eurozona, quindi anche per la Spagna, ci riporta il solo deficit primario (cioè, tranne che per Italia e Germania, non un avanzo corrente ma un disavanzo), per cui per quantificare il deficit effettivo di bilancio bisogna assommare il rispettivo onere degli interessi sul debito pubblico
Il debito pubblico, come vedete più sotto in base alla tabella del FMI, in Spagna è praticamente triplicato dopo la crisi, e non promette nulla di buono per il futuro...nonostante le smanie di Salvati di imporre, solo agli italiani, una restituzione forzosa del debito, che distruggerebbe la nostra economia con una deindustrializzazione da bombardamento su Dresda:


http://it.actualitix.com/grafico/esp/spagna-debito-pubblico-per-cento-del-pil.png

5. Insomma, il fiscal compact, secondo la Commissione UE, è un canovaccio da applicare solo all'Italia.
O alla Grecia. 
Spedendo inevitabili lettere, memorandum e moniti, accigliati e sussiegosi, da parte di personaggi assolutamente improbabili che, però, si aspettano di essere presi sul serio dai nostri media; e ci riescono
E va considerato che, mi piace rammentarlo, nel nostro universo mediatico, i fatti sono un optional e, come diceva Caffè, il "ricatto dell'appello allo straniero"è il metodo di governo italiano instauratori non appena è stata emanata la Costituzione del '48; per vanificarla e colpevolizzarci.
Da notare che questa classifica della spesa pubblica pro-capite si riferisce al 2013, avendo nel frattempo, ad es; la Spagna, avuto tutto il tempo per aumentare la propria spesa pro-capite in forza di altri due anni di deficit, come vedrete subito sotto, e per una media di 2 punti di PIL all'anno di variazione incrementale rispetto all'Italia. 
Ovviamente ciò non vuol dire che tale spesa sia stata "sociale", in Spagna, trattandosi di sgravi sul costo del lavoro e misure di aiuti alle imprese, cioè politiche supply side che servono per attirare "investitori esteri" (in sostanza perseguendosi il "modello Irlanda" di crescita fondata sull'aumento del debito privato...fino a nuova crisi da bolla finanziaria in qualche parte del mondo globalizzato):


http://www.infodata.ilsole24ore.com/wp-content/uploads/sites/82/2015/02/20150226-Bilanci-Eu.png


http://www.magdicristianoallam.it/public/Immagini/Senza%20titolo6.png

6. Poichè i dati che vi ho fornito, e ve ne risparmio altri, sono di fonte AMECO (cioè banca dati della Commissione UE) o FMI, questi dovrebbero essere ben noti alla stessa Commissione, quando si accinge a esternare i suoi solenni rimproveri contro l'Italia.
Allora sorge spontanea la domanda: come le scrivono le "lettere"? Sentendo prima un astrologo o basandosi sui luoghi comuni standardizzati sull'Italia, "per sentito dire" di corruzione-cricche-sprechi, che vengono inventati in Italia o ivi ridiffusi con entusiasmo dalle "classifiche" delle ONG finanziate da Soros?

Ma forse questa non è la domanda più importante. 
Il punto sono i nostri governanti che, durante questi anni, hanno compattamente alimentato l'eco mediatica del taglio della spesa pubblica per poter tagliare le tasse. E che ancora non ci rinunciano del tutto.
Il cambio di paradigma, peraltro, cioè la resistenza "improvvisa" alla spending review "selvaggia" - che, come evidenzia persino la Corte dei conti, ha portato a un tale abbassamento del livello di funzioni e servizi publici da non poter essere ulteriormente sostenibile-, pare una necessità disperata.
Il fatto è che, seguendo i desiderata dell'UEM, in primis dell'impostazione continuamente richiamata da Draghi, le riforme strutturali, cioè la svalutazione interna salariale (quella che non basta a Salvati perché ne vuole molta di più), le abbiamo intraprese.  
Con un piccolo particolare che possiamo vedere descritto qui, come immediato effetto del Jobs Act (e siamo solo agli inizi del "processo" di aggiustamento innescato):

7. Cosa vuol dire? 
Significa che la base contributiva della maggior componente del gettito fiscale dello Stato, cioè le ritenute alla fonte sul lavoro dipendente, tenderà INESORABILMENTE a ridursi; e con ciò le entrate dovrebbero diminuire. 
Se a questo effetto di medio-lungo periodo, determinato dalle riforme strutturali considerate più importanti, si aggiungesse anche un ulteriore taglio della spesa pubblica, ciò vorrebbe dire qualcosa di socialmente pauroso.
Oltre che sancire un'enorme difficoltà a far quadrare i conti e specialmente, a realizzare un avanzo primario di bilancio nella misura voluta dall'€uropa per rispettare il fiscal compact.
Di fatto, questa tendenza delle retribuzioni - non solo, si noti, cadono i compensi orari, ma anche il numero di ore lavorate, essendo in costante diffusione il part-time involontario e i famosi vouchers- porta al simultaneo scenario di una netta mancata ripresa dei consumi; o, in alternativa, alla crescita esponenziale di credito al consumo, ma di quello che diviene diffusamente sub-prime, cioè non restituibile, innnescandosi sulla "crisi bancaria" indotta dall'omonimo "Unione" in odore continuo di bail-in.

8. Infatti, in questa situazione, il trend dei "conti in ordine" dovrebbe essere quello amato da Boeri, cioè ulteriore taglio delle prestazioni pensionistiche, e accelerazione della disattivazione del servizio sanitario pubblico universale, tagliato nei trasferimenti alle Regioni in maniera costante e tanto più rilevante, in termini reali, quanto più la popolazione anziana accresce il suo peso demografico percentuale.
Per compensare le minori entrate e "avere i conti a posto" (per l'€uropa), secondo il trend del mercato del lavoro che si sta consolidando, dunque, occorrebbe intensificare la tassazione, cioè inasprire e non attenuare le aliquote sul lavoro; oppure, tagliare drasticamente la spesa pubblica in sanità, pensioni, servizi sociali e infrastrutturali sul territorio e via dicendo.
Torme di pensionati/e sotto il livello minimo di sussistenza, (e private della pensione di reversibilità, com'è ormai inevitabile), sarebbero senza prestazioni curative decenti e gratuite, mentre i disoccupati - cioè, i potenziali licenziabili senza remore, inclusi i contratti a tempo indeterminato una volta finito l'effetto degli sgravi contributivi-, e i precari e i part-time involontari, non sarebbero certo in grado di pagare i premi delle assicurazioni private sanitarie e previdenziali (a tacer d'altro).

Vi pare una situazione senza via d'uscita? Padoan, probabilmente, se ne rende conto benissimo. 
La Commissione UE, di certo dispone dei dati per comprenderlo. 
Ma nessuno pare demordere da questa tendenza: dire che bisogna rallentare e rimodulare la spending review, orientandola su sprechi e "riforme strutturali" della p.a., non cambia di molto questo futuro orwelliano in cui siamo proiettati: al massimo lo ritarda o lo attenua leggermente.
Eppure una via d'uscita molto semplice, almeno sul piano della comprensione economica, esiste...


ESERCITAZIONI DI ECONOMIA MONETARIA: VON HAYEK E I BIT-COIN PER FESSI

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http://image.slidesharecdn.com/2-crescitabatteristud-120423124715-phpapp01/95/2crescita-batteri-stud-16-728.jpg?cb=1335185308

Questo post di Bazaar non si limita a indicare come una moneta "senza Stato, né legge", nè intermediazione bancaria, né banche centrali, assomigli a uno schema Ponzi (frazionato su un numero indefinito di partecipanti che vi concorrono): ci dice pure il "perché" si abbia interesse a diffondere uno strumento del genere. La "quantità" di bitcoin matematicamente emettibili  è sempre un dato insito nel sistema e a un certo punto il suo valore può crollare, perché ce ne sono troppi e qualcuno si è illuso che la sua stabilità (o, in una prima fase, crescita) di valore fosse magicamente ottenibile con la mera adesione allo schema.
L'interesse è dunque abbastanza evidente: ricreare un gold standard senza l'oro, cioè intrinsecamente ancor più deflazionista
La crisi di liquidità è innescata in automatico; è strutturalmente insita nel sistema, e l'economia  legata a tale "moneta", inevitabilmente, rallenta paurosamente
Rammentiamo che sottostanno ad essa delle transazioni, cioè la moneta si acquisisce mediante il conferimento di un valore - cioè moneta in altra valuta, prestazioni personali e di merci- e che i relativi pagamenti devono comunque essere eseguiti e, al momento della indispensabile "correzione quantitativa" i "sistemisti" dell'ultima ora, vedranno in pratica svalutata la propria controprestazione in modo repentino e distruttivo. 
E con tale inevitabile correzione, all'interno di un similie sistema, transazioni, investimenti e soprattutto, occupazione (la realtà sottostante dei controvalori immessi nel sistema), crollano.
Ma non c'è neppure uno Stato con cui potersela prendere per politiche deflazioniste che risolvono il conflitto di classe a danno della gente comune. Non c'è alcuna reazione politica organizzabile: il meravigliso mondo di von Hayek (o di Elysium) dilaga senza più alcun anticorpo nell'organismo sociale.

"E voi che siete i paladini del bit coin, e siete certi che non sia uno schema di Ponzi, dite sinceramente, perché lo comprate? Perche vi aspettate che aumenti di valore, suppongo. 
Ovvero esattamente come in uno schema di Ponzi in cui si spera sempre che la catena, lo schema continui e tu guadagni sull'aumento di prezzo di quelli che vengono dopo di te... solo che ad un certo punto c'è sempre il solito problema: nessuno vuole più comprarlo, il mercato si satura e gli ultimi malcapitati iniziano a vendere.  E così il prezzo crolla. 
Vi ricorda qualcosa? A me ricorda tanto una delle ultime tre grandi bolle dell'ultimo anno. Solo che siccome il bit coin non è palesemente basato su una truffa come l'originario schema di Ponzi, mantiene sempre quel minimo di affidabilità che permette agli avventori più spregiudicati o ingenui di entraredi nuovo, fino alla nuova bolla.
In questa prospettiva le chiacchiere dal sapore molto "no global" antisistema sulla nuova moneta "libera e decentralizzata", sarebbero l'equivalente delle chiacchiere da imbonitore con l'unico scopo di far entrare nuova gente nello schema. 
E non si tratta di truffati, perché anche in uno schema di Ponzi ci sono quelli che si arricchiscono, anche se entrati a metá. Per questo semplice motivo io ho deciso di investire, perché spero di essere uno di quelli che entrano ed escono in attivo quando sono ancora in tempo. Ma non è detto che sia così. La bolla potrebbe continuare ad espandersi per mesi o per decenni o esplodere domani."
Ma ben si tratta di un esperimento, di una prova generale: di cui, come vedremo nel post (e come abbiamo visto), anche l'euro fa parte. 
La progressione inarrestabile verso la moneta privata senza Stato(brutto), e la deflazione come condizione strutturale dell'economia globalizzata e del capitalismo anarchico. L'acme dell'assetto oligarchico e della devastazione sociale...

Esercitazioni” di economia monetaria...  Friedrich August von Hayek e i Bitcoin per fessi.

«Inoltre obbligò tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza, calcoli il numero della bestia, perché è un numero d'uomo; e il suo numero è seicentosessantasei»
Apocalisse 13:16-18
Come approfondimento riguardo alle riflessioni sull'istituzione monetaria,  si propone come caso di studio una particolare tipologia di moneta alternativa che occupa da anni le colonne dei giornali, fornendo una visibilità le cui conseguenze non sono così scontate e – soprattutto – non necessariamente auspicate da chi abbia interiorizzato il valore della democrazia: la democrazia fondata sull'impegno dello Stato-nazione ad emancipare le classi oppresse tramite la tutela del lavoro.
  
1 – Il caso di studio: non c'è niente di più oscuro di ciò che ci è familiare.

«I peggiori malfattori sono coloro che non ricordano, semplicemente perché non hanno mai pensato e – senza ricordi – niente e nessuno può trattenerli dal fare ciò che fanno. […] pensare a cose passate significa muoversi nella dimensione della profondità, mettere radici e acquisire stabilità, in modo tale da non essere travolti da quanto accade – dallo Zeitgest, dalla Storia, o semplicemente dalla tentazione. Il peggior male non è dunque il male radicale, ma è un male senza radici.» Hannah Arendt, “Alcune questioni di filosofia morale”, ET Saggi, pagg.54-55
Ci sono due attività che gran parte della popolazione occidentale svolge quotidianamente: pagare un qualsiasi bene di consumo, ed usare un calcolatore elettronico; [] immancabilmente ci si ritroverà a confrontarsi con torme di economisti monetari E amministratori di sistemi operativi. 

Insomma, esiste un forte rischio di assistere ad un trionfo di espertologia (al quadrato).

Prima di affrontare i possibili scenari strutturali a cui possono essere propedeutici certi fenomeni del costume e della tecnologia finanziaria, ci concentreremo su questo “caso di studio” perché porta  a riflessioni, tanto di carattere strutturale, quanto sovrastrutturale; ad iniziare dal fatto che ci troviamo di fronte ad un interessante fenomeno di modernismo[1], di cui si possono scorgere tanto determinate spinte (contro)rivoluzionarie caratterizzanti il neomalthusianesimodi Gaia”,quanto di quello che contraddistingue i  "visionari" di distopie alla Bertrand Russell.

Sia appassionati di tecnologia digitale, sia commentatori di fatti economici– direttamente o indirettamente – promuovono curiosità sul progetto, che – stando con i suoi creatori – è riassumibile in: “liberarsi dalle banche cattive tramite le crittomoneteinventate degli hacker buoni”.

Bene: si proverà invece ad argomentare come la via della schiavitù[2]ci stia conducendo alla destinazione finale.

Che cosa sia di per sé il Bitcoin non interessa più di tanto: viene definito una “crittovaluta”; ovvero si usa quell'arma potente che è la crittografia - nata per tutelare integrità, confidenzialità  e disponibilità delle informazioni e delle comunicazioni – per produrre in modo decentralizzato“base monetaria” con una funzione che dipende da variabili esogene come lo stato della tecnologia (la potenza di calcolo di un processore commerciale, o il numero di nodi dedicati al calcolo parallelo, ad esempio) o endogene, come la difficoltà  implicita presente in un algoritmo nel risolvere problemi di calcolo complessi.

L'informazione da tutelare, in questo caso, consiste nel sistema di transazioni economiche che debbono essere registrate in una base di dati distribuita tramite protocolli che permettono di ridondare le informazioni su un numero indefinito di nodi (i nodi sono formati dai diversi calcolatori con i relativi programmi che compongono la rete Bitcoin).
Questa base dati è un libro mastro digitale in cui sono registrate le transazioni, e in cui il bitcoin viene usato come unità di conto

Chi consuma energia elettrica (!) per risolvere questi problemi complessi – la cui soluzione consiste in in un blocco di chiavi crittografiche che possono essere raffigurate come i “numeri seriali” delle “monete coniate” – viene remunerato con un compenso pari ad una frazione dell'unità di conto.

Si avrà quindi una simpatica “base monetaria” che si espanderà “asintoticamente” verso un limite prefissato che verrà raggiunto[3]entro una certa data (che, a differenza degli asintoti senza “virgolette”, non è “infinito”, ma è “tra circa centotrent'anni”). Cioè, il numero totale di unità di conto è limitato e determinabile in base ad una funzione che ha in ascisse il tempo e in ordinate la “quantità di moneta[4].
A quel punto il simpatico sistema continuerà a deflazionaread libitum.

(Fare un bel respiro, e provare a continuar la lettura...)
Per poter gestire la contabilità, i moduli non si dovranno preoccupare di gestire molte cifre dopo la virgola, ma di quanti decimali gestire prima (per un limite di otto).  
Una moneta che deflaziona per natura.

(Quando lo hanno riferito a Krugman, gli è venuto uno s'ciopone[5]...)
Si può pensare, “bè, cosa vuoi che capiscano dei geek di economia e finanza...”.

La questione, però, è che chi ha trovato la soluzione matematica– in coincidenza con l'esplodere della crisi finanziaria – per risolvere svariati problema di natura tecnica e teorica, è anonimo,[6]e si hanno elementi per desumere che non fosse un hacker(ad iniziare dal fatto che pare sia difficile trovare un hacker che usi prodotti Microsoft...).

Inoltre, coloro che hanno iniziato da almeno metà anni novanta a studiare un sistema per creare crittovalute pare proprio fossero stati i Servizi statunitensi.
«Recentemente [2013, ndr] un report dell'NSA emerso [1996, ndr], ‘prevede’ una moneta critto-elettronica molto simile al Bitcoin. Così simile, che, conoscendo il loro principale obiettivo, il problema sorge nel comprendere se questo report è una previsione, o un progetto.»[7]

Questa storia per cui tutte le “previsioni” distopiche paiono avverarsi  è, quantomeno, un must della letteratura scientifica e divulgativa di chi appartiene alla classe che “prende le decisioni che contano”.
Magari, si può pensare, ci si trova di fronte ad un subdolo tentativo di creare un false flag da parte della totalitaristica intrusività dello spionaggio anglo-americano per bloccare un progetto di emancipazione, o, viceversa, si è di fronte ad una certa abilità in tecniche d'anonimato da parte dell'autore del paper.

D'altronde, gli scopi enunciati appaiono così nobili, così cool. O no?
Vediamo.

2 - Se la monetaè un'istituzione, che struttura sociale sottende la diffusione delle crittovalute?
«Una versione puramente peer-to-peerdi denaro elettronico permetterebbe di inviare pagamenti tramite Internet direttamente da una parte all'altra senza passare attraverso un istituto finanziario», cit. dall'abstract del paper per implementare il sistema di pagamenti in crittovalute.

«Il problema principale con la moneta convenzionale è tutta la fiducia che è necessaria per farla funzionare. La banca centrale deve essere credibileper non indebolire la moneta, ma la storia delle valute fiatè piena di incrinature di questa fiducia. Le banche devono essere affidabili per tenere il nostro denaro e trasferirlo elettronicamente, ma queste lo prestano a ondate di bolle di credito con appena una frazione come riserva. Dobbiamo fidarci di loro per la nostra privacy, fidarci di loro affinché ladri di identità non vengano lasciati prosciugare i nostri conti. I loro enormi costi di struttura rendono impossibili i micropagamenti», dalla presentazione del paper.

Sul manuale del software del 2011, possiamo leggere: « [...] Il Bitcoin è una valuta digitale peer-to-peer. Peer-to-peer (P2P) significa che non c'è autorità centrale ad emettere nuova moneta o a tracciare le transazioni. Invece, queste operazioni sono gestite collettivamente dai nodi della rete.  Vantaggi:
- i Bitcoin  possono essere spediti facilmente tramite Internet, senza la necessità di affidarsi all'intermediario.  Le transazioni sono progettate per essere irreversibili. Stai al sicuro dall'instabilità causata dalla “riserva frazionaria” e dalle banche centrali. L'inflazione limitata causata dall'offerta di moneta del sistema Bitcoin, è distribuita imparzialmente (dalla potenza della CPU) tramite la rete, non monopolizzata dalle banche».

Insomma, possiamo ragionevolmente identificare che la teoria economica dietro agli obiettivi dichiarati coincida con quella descritta dal celebre documentario entrato negli annali della produzione multimediale cospirazionista,Zeitgeist[8]: un bel miscuglio tra teoria quantitativa della moneta e allarmismo sul funzionamento di un'economia a moneta creditizia come nella tradizione della scuola austriaca di von Hayek, Rothbard e von Mises, a cui il creatore della crittovaluta espressamente si rifà.

E noi sappiamo che, storicamente, dove c'è "complottismo"[9]c'è complotto[10], e l'obiettivo politico della letteratura pseudoscientifica pare essere sistematicamente l'opposto di quello che certi valorosi eroi cognitivi propongono come soluzione a favore degli interessi generali.

Innanzitutto – come già dal 2011 fece notare Paul Krugmanil sistema Bitcoinè il ritorno del gold standardcontro cui Keynes si battè strenuamente.

«In effetti, il Bitcoin ha ricreato nel suo mondo privato il gold standard, in cui l'erogazione di moneta è fissa invece che soggetta ad essere incrementata dallo stamparne altra.
Quello che noi vogliamo da un sistema monetario non è che le persone si arricchiscano tenendo la moneta; noi vogliamo che faciliti le transazioni e renda ricca l'intera economia. E non è assolutamente ciò che sta accadendo con i Bitcoin [...] L'economia dei Bitcoin ha subìto materialmente una forte deflazione. E, a causa di questo, ci sono incentivi a trattenere la moneta invece di spenderla. [...]
Così nella misura in cui l'esperimento non ci dice nulla sui regimi monetari, rinforza le ragioni contro qualsiasi cosa come un nuovo gold standard - perché mostra, appunto, quanto sia vulnerabile un sistema di questo tipo all'accumulare moneta, alla deflazione e alla depressione»

(Si presti attenzione al collegamento tra modernismo e reazione, imponendo la conservazione dell'ingiustizia socialetramite scienza e tecnologia)

In pratica, quello che Keynes chiamava «relitto barbaro», viene riproposto restaurato, aggiornato alla “sovrastruttura 2.0”, e spacciato come soluzione ad ogni male finanziario.

Se l'idea keynesianamenteassurda di dover estrarre oro per poter emettere moneta aveva almeno come contropartita l'accumulo di un metallo prezioso dotato di valore intrinseco, l'energia spesa per produrre bitcoinnon permette nemmeno alla crittovaluta di essere in alcun modo una stabile “riserva di valore”.

Un blocco di bitcoinnon è altro che un lingotto virtuale: infatti, la produzione di bitcoinviene chiamata mining, ovvero “estrazione”.

Abbiamo quindi un numerario che non è stabile riserva di valore e che, come mezzo di pagamento, viene tendenzialmente trattenuto perché alimenta l'aspettativa di crescere di valore con il tempo.

Bene: ma cosa dà valore a queste monete?
La struttura di diffusione è quella simile ad un marketing piramidale ma, stando con la World Bank, non avremmo a che fare con uno schema Ponzi[11]: per forza, dice, questo non è truffaldinamente “deliberato”, ovvero i Charles Ponzi sono tanti inconsapevoli e sono stati tutti i pionieri che hanno costruito e promosso il sistema, accumulando la moneta a costi irrisori rispetto a quando, magari, è stata venduta anni dopo: e gli ultimi arrivati?



Notare che i Bitcoinsono stati promossi prima della crisi bancaria di Cipro, con  questo effetto: una bella impennata prima di crollare rovinosamente.

Ma dopo Cipro, in quale altro Paese è stata promossa la valuta?

In Grecia....

E da chi?

Dal mitico Yanis Varoufakis!

(In Italia pare invece che il genitore “uno” potrà pagare gli alimenti al genitore “due” tramite crittovalute grazie a SEL...)

Ma non è finita: la World Bankè stata allertata da ricercatori della Boston University dei pericoli derivanti da questo prodotto di reazione modernista; in particolare evidenziano che (v. punto 10): il bitcoin è un attacco allo Stato sovrano, «minando il legame tra moneta e sovranità», creando gravissime situazioni di instabilità finanziaria.
Soprattutto, «chi ha creato l'algoritmo, il protocollo, e chi gestisce il libro mastro ed estrae le monete virtuali, diventerebbe il nuovo banchiere centrale, controllando una base monetaria. Un immenso potere e responsabilità».

Ovviamente, di queste crittomonete, ci sono già diversi progettiin concorrenza...
« [Come per la moneta unica...] dalla proposta di Hayek [di]: "togliere allo Stato il monopolio della moneta e sostituirlo con una competizione fra banche private che forniscono moneta esattamente come qualsiasi altra impresa fornitrice di beni o servizi. La sua proposta va quindi ben al di là di quanto avevano visto quasi tutti i Paesi occidentali sino alla fine dell'Ottocento, quando vi erano diversi istituti di emissione, perchè tali istituti stampavano comunque banconote denominate nella valuta nazionale, mentre Hayek propone di dissolvere completamente il concetto di banca centrale di emissione.», introduzione a F.A.Hayek, La denazionalizzazione della moneta”, nella traduzione italiana, ETAS, 2001


3 – Conclusioni
Alcune delle colonne portanti della struttura su cui pare si voglia edificare la nuova organizzazione sociale dell'ecumene globale, pare facciano capolino.
È interessante focalizzarsi sul processo.

Dialetticamente il coasè gravido di un nuovo ordine: magari all'anarchia finanziaria e monetaria verrà proposta come auspicata soluzione stabilizzatrice, chessò...  una moneta unica mondiale[12]?

Chiaramente, poiché pare che nei piani alti della City e di Wall Street (e dell'NSA...) studino con gran impegno Marx ed Hegel (essendo, nell'opinione dello scrivente, gran parte della letteratura liberale apparentemente inutile ed inservibile), il sistema sembra essere sempre lo stesso: la dialettica.
Possiamo schematizzarlo come segue:

a) la struttura, in ottica conflittualista, viene gestita marxianamente con la dialettica hegeliana;

1 – si sceglie una sintesi-obiettivo: “la conquista del mondo” (no, perché il livello è questo..)

2 – si sceglie una antitesi e la si chiama orwellianamente tesi: “lo Stato-nazione brutto porta alla guerra”, “le banche centrali sono lo strumento dei Rothschild con cui fanno er signoraggio e impongono la peggiore delle imposte, l'inflazione!, stampando i biglietti co' er torchio

3 – si promuove una tesi e la si inietta mainstream in modo capillare e bipartisan, chiamandola orwellianamente antitesi: “Il federalismo kantiano porta cosmopolita pace e fa felici grandi e piccini”, “la democrazia direttadei Bitcoin ci fa tutti più anarcolibertari[13]

b) la sovrastruttura, in ottica funzionalista – ovvero statica e conservatrice –  viene gestita con la tecnica alchemica della “complementarità degli opposti”:

1 – la sintesiè per definizione nulla – ovvero non esiste –  cioè si produce stabilità politica nell'accezione di sedazione del conflitto tra classi;

2 –  non esiste contrapposizione dialettica su questioni sostanziali, ovvero strutturali (relative ai rapporti di produzione) – ma solo su questioni formali, ovvero il cui esito – facilmente manipolabile tramite i mezzi di comunicazione di massa –  incide esclusivamente sui fenomeni del costume e sulle sovrastrutture;

3 – l'energia “potenzialmente costruttiva” che proviene dall'aggressività sociale, ed utile nella lotta per l'emancipazione che coincide con la lotta per la difesa sovrana delle istituzioni democratiche, viene scaricata in forma di sterile livore in conflitti sub-sezionali: “giustizialisti vs garantisti”, “berlusconiani vs anti-berlusconiani”, “liberali per i diritti civili vs bacchetton-conservatori”, “terzomondisti vs xenofobi”, e via cosmetizzandoil conflitto distributivo.

L'alimentare i conflitti sub-sezionali – come nella migliore tradizione federalista e liberale– produce quella politica del divide et impera necessaria a disgregare la coesione sociale, destrutturando l'identità nazionale e, in definitiva, la coscienza di classe. Ovvero il sotto-sistema (b) è un sistema di gatekeeping per la realizzazione del  sotto-sistema (a): questo non è altro che il processo di riforme strutturali volte alla pacificazione cartaginesedel conflitto tra classi con l'obiettivo di vittoria sempiterna di una classe sulle altre: la fine della Storia.

(Mi ribello usando i bitcoin, 'cause I wanna be Anarchy!)



[1]      Cfr. con la citazione della Arendtall'inizio del paragrafo.
[2]      “The road to serfdom”, F.A. Hayek, 1943, dedicato dall'austriaco controrivoluzionario «ai socialisti di tutti i partiti».
[3]      Il limite massimo, nel caso del Bitcoin, sarà 21 milioni.
[4]      Si nota che in realtà la quantità di moneta in circolazione – risolto l'ultimo problema matematico – non sarà descrivibile da una retta parallela all'asse temporale, ma da una curva che tenderà a zero con t che tenderà ad infinito: se viene persa una moneta, (ovvero, “non hai fatto il backup del file che custodisce le tue preziose chiavi crittografiche, e ti si guasta il disco del pc di casa”), queste monete saranno definitivamente perse e non spendibili.
[5]      I non padani possono chiedere lumi lessicali al Poggio.
[6]      Il famoso pseudonimo è Satoshi Nakamoto, e, curiosa coincidenza o meno, ha una vicina assonanza con Tatsuaki Okamoto, ricercatore  nel campo della crittografia e coautore del report dell'NSA. 
[7]      Come antefatto, dobbiamo tenere a mente che le istituzioni finanziariesono sempre state consapevoli del fatto che la deregolamentazione della finanza derivata fosse una scelta politica lievemente “rischiosa”.
[8]      Dopo averlo visto non ho dormito per diverse notti; un effetto peggiore sul mio stato onirico lo ha ottenuto solo “Alien”, ma ero fanciullo...
[9]      Il fatto che esistano le “teorie della cospirazione” - a maggior ragione se sono realistiche - non significa che queste siano funzionali a livello cognitivo: sono in qualsiasi caso utili a confondere intellettualmente e – soprattutto – emotivamente chi ricercaliberamente.
[10]    Ovvero convergenza di interessi oligopolistici: «People of the same trade seldom meet together, even for merriment and diversion, but the conversation ends in a conspiracy against the public, or in some contrivance to raise prices»; cioè «Persone che operano nel medesimo mercato raramente si incontrano –  anche solo per divertirsi e far festa – senza che la conversazione finisca in una cospirazione contro la collettività, o in qualche espediente per alzare i prezzi». Adam Smith, il padre dei liberisti, è notoriamente anche il padre dei complottisti: infatti, procede: «It is impossible indeed to prevent such meetings, by any law which either could be executed, or would be consistent with liberty and justice»; ovvero «È infatti impossibile evitare questo tipo di incontri per mezzo di atti aventi forza di legge che possano essere conformi ai principi di libertà e giustizia».  Insomma, il problema con i complotti - secondo il grande economista e filosofo morale – è che non ci possono non essere e non si possono evitare.
         
[11]    Si noti che gli austriaci non vanno mai e poi mai d'accordo l'uno con l'altro... che le basi epistemologiche siano lievemente “ballerine”?
[12]    Otto anni dopo, nel 2012: «La mia visione è semplice – dice Mundell – abbiamo bisogno di una valuta globale, o di quanto più vicino ci possa essere a una valuta globale. L'euro è un pilastro di questo nuovo ordine monetario insieme al dollaro e allo yuan. Oggi l'economia globale poggia ancora su un ordine monetario che fa punto di riferimento sul dollaro. Ma è chiaro che è un sistema che riflette il passato, oggi siamo in un equilibrio economico molto diverso con un peso specifico dell'America sull'economia globale già molto ridimensionato».  
Mundell dunque vede delle ragioni strutturali e politiche che vanno al di là dell'Europa per la sopravvivenza dell'euro. Ma lo stesso vale per l'Europa: «La scelta di creare l'euro fu una scelta politica. Non fu l'evoluzione naturale di un fenomeno economico. E le ragioni politiche e storiche prevalgono. L'Europa ha costruito il suo futuro sull'euro. Ci sono litigi e differenze per come ci si posizionerà guardando in avanti. Ma mi colpisce la miopia dei mercati, o di coloro che parlano di caduta dell'euro: qui non stiamo parlando di numeri o di statistiche, stiamo parlando di una visione politica [il Fogno al cubo, ndr]. Chi scommette contro l'euro lo fa a suo rischio e pericolo»
[13]    Video da guardare assolutamente per capire in che mani siamo. Sponsorizza Vivienne Westwood.

QUALCOSA E' CAMBIATO: ESSI SONO TORNATI E IL TERRORISMO...NELLA NOTTE DELLE DEMOCRAZIE

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https://uniticontrounsistemamalato.files.wordpress.com/2015/01/g-orwell.jpg?w=520&h=326

1. ...E quindi la guerra agli Stati nazionali sovrani deve essere incessante e condotta con ogni mezzo



2. Ripubblico, opportunamente montate, le informazioni e analisi complessive, provenienti da diversi post, sulla correlazione tra insorgere del terrorismo, - cioè circa le sue cause che, se rimosse, consentono di combatterlo realmente-, e Stato sociale "pluriclasse", cioè quello che si fonda sulla sovranità in senso moderno e democratico, e che, dunque, pone al centro dei propri valori la tutela dei diritti sociali il cui epicentro è il diritto al lavoro (inteso come politiche economiche di pieno impiego). 
Avvertenza: i links inseriti, consentono di estendere i dati in modo da avere un quadro completo degli elementi culturali, economici e ideologici rilevanti per la comprensione.





3. Questo vale sul fronte delle evidenti cause del terrorismo quando si trova a colpire Stati de-sovranizzati in nome della "costruzione €uropea" e, quindi, in nome di politiche ordoliberiste che ne limitano a tal punto la capacità d'azione, che si produce un'orda (multi-etnica) di disperati in cerca di dignità identitaria: un fenomeno prevedibile e meccanicistico, tanto da essere praticamente un costo programmatico, comunque considerato tollerabile, se non "necessitato", dalle teorie liberiste: un costo dovuto al combinato tra mercato del lavoro-merce, deflazione salariale realizzata mediante massiccia immigrazione e limitazione del deficit pubblico, da una parte, e conseguente assetto oligarchico con eliminazione strutturale della mobilità sociale:

"...gli immigrati in Occidente, scacciati dalla loro terra per gli effetti di impoverimento permanente determinato dalle ex e post colonizzazioni, imposte dagli spietati "mercati". 
Siano essi di prima o di seconda generazione, questi immigrati non soffrono "soltanto" della mancata integrazione determinata da omissione o fallimento di presunte politiche sociali e culturali (ovviamente cosmetiche), quanto della IMPOSSIBILITA' strutturale di un'integrazione che deriva da impostazioni di politica economica rigide e insensate, incentrante sull'idea della deflazione, della competitività e della connessa riduzione dello Stato sociale.

Tutti insieme, immigrati e strati crescenti della stessa popolazione autoctona dei paesi occidentali, soffrono di impoverimento e della arrogante imposizione della "durezza" del vivere da parte di una governance che vive nel più sfacciato privilegio della rendita economica (anche in Italia). 
  Gli immigrati, specie della seconda generazione, finiscono per sbattere contro il muro della FINE DELLA MOBILITA' SOCIALE IMPOSTA DAL PARADIGMA NEOLIBERISTA:  quando si accorgono di essere destinati a un irredimibile destino di lavoratori-merce, che si aggiunge, in sovraccarico, alla continua tensione razziale e culturale con gli strati più poveri della popolazione del paese "ospitante", sono nella condizione "ideale" per abbracciare l'Islam integralista.    
L'adesione a ideologie radicali islamiche restituisce loro dignità, identità e una risposta alle frustrazioni della tensione con gli "impoveriti" del paese ospitante.Questa tensione è tanto più acuìta quanto più questi ultimi, gli "autoctoni", sono essi stessi assorbiti nella voragine del lavoro-merce. Come esito di tale processo ormai ultraventennale, gli immigrati sono posti, pur essendo (teoricamente) in condizioni materiali diverse da quelle dei disperati concittadini (o ex tali) delle terre di orgine, nella stessa attitudine di rabbia e disperazione dei diseredati dei paesi più impoveriti del mondo.

Lo scatenarsi, anche nella forma del fanatismo religioso terroristico, di sub-conflitti "sezionali", tra credenze teologiche, stili di vita, pregiudizi razziali e etnici, sono solo il sottoprodotto di società globalizzate votate a destrutturare gli Stati democratici pluriclasse dell'Occidente (ex illuminista?): questi sono, o erano, gli Stati aventi come obiettivo sia la mobilità e la giustizia sociali "interne", in Occidente (dove si era affermato questo tipo di democrazia), sia quello di autolimitarsi dall'intraprendere azioni che stabilizzassero tali ingiustizie  nel c.d. Terzo Mondo."

4. Questo vale sul versante dell'onda di emigrazione dal medio-oriente e dall'Africa e per le sue evidenti implicazioni con il manifestarsi, attuale e futuro, del terrorismo stesso. 
Aggiungo delle traduzioni dei passaggi non in lingua italiana, vista anche la richiesta di lumi pervenutami su twitter a seguito di questa mia intervista:

"Ma "l’eau tiède de George W. Bush" (traducibile in "scoperta dell'acqua calda), l'idea dello scontro di civiltà, come l'ha definita Alain Chouet, ex capo dei servizi segreti francesi (non un borghese radical-chic, credo), ha il fascino della semplicità, nonostante "les résultats désastreux de cette politique aux États-Unis."

Quanto all'aspetto culturale, credo potrebbero tutti riconoscere che "Tout le monde peut nourrir des pensées mauvaises, horribles ou dégoûtantes. Mais elles restent de simples fantasmesà moins que l’on ne trouve un moyen de les manifester concrètement dans le monde qui nous entoure.

Ainsi, pour comprendre comment l’idéologie qui anime l’État islamique a réussi à rassembler les ressources matérielles nécessaires pour conquérir un espace plus grand que le Royaume-Uni, nous devons inspecter de plus près son contexte matériel." (qui la fonte, con una ricostruzione, per noi abbastanza risaputa ma sempre utile, di queste fonti materiali). Traduzione: "Chiunque può nutrire pensieri malvagi, orribili e disgustosi. Ma questi restano dei semplici fantasmi a meno che trovino un mezzo di manifestarsi in concreto nel mondo che ci circonda. Così, per comprendere come l'ideologia che anima lo Stato islamico sia riuscita a raccogliere le risorse materiali necessarie per conquistare un territorio più vasto del Regno Unito, dobbiamo indagare più da vicino il suo contesto materiale".

Troppo prosaico? 
Vabbeh, ci metto allora anche un riferimento più concettuale: Radical, Religious, and Violent (Cambridge-London, The MIT Press, 2009,) di Eli Berman, uno dei testi di analisi economica del fondamentalismo islamico (e non solo islamico) più importanti apparsi negli ultimi anni. 
Che ci dice Berman? 
Che l'ideologia ha un ruolo mai sufficiente a rendere pericolosi gruppi radicali, ma occorre sempre un radicamento sociale, analizzato usando il modello del club, reso possibile dalla fornitura di servizi sociali in un contesto di Stato assente ed elevata disoccupazione. 
Ma guarda tu! 
Esempi di strategie di contrasto efficaci? Per dire (pag. 191):

"As we saw in the case of Egypt, President Nasser provided a crude but positive example of this constructive approach to preemptive counterinsurgency in the 1950s. 
He nationalized the schools, clinics, and other social service institutions of the Muslim Brotherhood, effectively shutting down their organizational base for two decades." Traduzione: "Come si è constatato nel caso dell'Egitto, il Presidente Nasser fornì, negli anni '50, un crudo ma positivo esempio di questo approccio costruttivo all'eversione. Egli nazionalizzò scuole, ospedali, a altre istituzioni sociali dei Fratelli Musulmano, sopprimendo con efficacia la loro base organizzativa per due decenni"

Ma il nasserismo è oggi un lontano ricordo: le "riforme" che l'Egitto - e non solo l'Egitto, ovviamente- ha implementato negli ultimi 15 anni hanno significato massicce privatizzazioni e un attacco, per quantità e qualità, a ciò che restava del settore publico, in quanto, come dice la solita Banca Mondiale (citata da Hanieh),

"reduc[e] government employment and the wage bill [through measures such as] lowering remuneration for new entrants, adjusting the pay scale to strengthen the link between compensation and productivity, and focusing on nonwage benefits that distort labor decisions, such as generous pension systems and family allowances that add to the lure of employment in the public sector".
Traduzione: "ridurre l'impiego pubblico e il costo relativo del lavoro [attraverso misure come] l'abbassamento della retribuzione di entrata, l'aggiustamento della dinamica salariale per rafforzare il legame tra compensi e produttività, e "focalizzarsi" sui benefici non retributivi che distorcono la scelta dell'occupazione, come sistemi pensionistici generosi e benefici sul carico familiare, tali da aumentare l'appetibilità dell'impiego nel pubblico settore
Morale: se lo Stato non è mai la soluzione, ma sempre il problema e il divieto di ingerenza un lontano ricordo, ISIS et similia ce li teniamo.
"
5. Sull'importanza, (sempre più dimenticata in tempi di governo mondialista e di spinta alla de-sovranizzazione degli Stati-brutti),  del principio di diritto internazionale di "non ingerenza", rinvio alla lettura o ri-lettura del post sotto indicato (è "lunghetto", ma consente di comprendere come il diritto internazionale non è sempre stato come quello che oggi viene dato per scontato. Diciamo che qualcosa è cambiato: ESSI sono tornati):

"L'ECO" DELLA (NON)GUERRA CON L'ISLAM E IL PRINCIPIO DI NON INGERENZA. GOVERNANCE ECONOMICA GLOBALE VS. DEMOCRAZIA (sostanziale)






LO SCONTRO TRA CIVILTA' COME ARMA POP DI ATOMIZZAZIONE DI MASSA (DANCE, MENTI ELEMENTARI!)

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Questo post di Bazaar è complesso e non lo nascondiamo: ma la sua complessità deriva dalla necessità di ricostruire ciò che è stato devastato. 
E devastato per un fine collettivo preciso. 
E devastato tanto a lungo e tanto in dettaglio che "ricostruire"è un compito gravoso. Forse, ormai, persino vano: abbiamo ancora le risorse culturali "accessibili" per evitare di scivolare oltre il "punto di non ritorno" (ne parlavamo tre anni fa...)?

Consideriamo una risposta positiva come un augurio di Buona Pasqua. Per tutti...

Introduzione- Imperialismo globale, menti elementari e fallacia fallaciana.

«I work for a Government I despise for ends I think criminal»
«Lavoro per un Governo che disprezzo per finalità che ritengo criminali»
John Maynard Keynes, a proposito del governo britannico, in una lettera  a Duncan Grant del 15 dicembre 1917
Ricordiamo come – stando con Braudel– le correnti della Storia fluiscano a velocità diverse: ed invece, ci troviamo a constatare come la comune esperienza porti a credere che «geografia, civiltà, razza e struttura sociale» siano un dato di fatto. Oggetti immutabili, come le leggi stesse che li governano.

I motivi sono principalmente due: il primo – come sconsolati dovettero prendere atto Marx ed Engels– è che l'ignoranza della storia è diffusissima[1] anche in gran parte delle classi più istruite; il secondo, invece, lo aveva ben chiaro Adolf Hitler: i dominati con «un cervello illuminato da alcune nozioni di storia, giungerebbe a concepire alcune idee politiche, e questo non andrebbe mai a nostro  vantaggio»[2].

Cioè, i dominanti, per il proprio piacere– nell'accezione orwelliana di ebbrezza del potere– opprimono masse sterminate di persone umane con una serie di strategie più o meno raffinate con cui gestire e coniugare il più ampio divario possibile nella distribuzione di benessere-potere tra classi, e il più ampio divario numerico possibile tra componenti delle classi stesse.

Ovvero, stando con Adam Smith:  «Tutto per noi stessi, e niente per gli altri, sembra, in ogni epoca del mondo, essere stata la vile massima dei dominatori del genere umano».


1 – Socrate, la manipolazione emotiva e il branco: “lo spillo di Zinoviev” nell'incrinare il delicato equilibrio tra ragione ed emozioni.

 «La differenza sostanziale tra emozione e ragione è che l’emozione porta all’azione, la ragione a trarre conclusioni», Donald Calne
1.1. La scienza e la tecnica possono permettere – come propongono A.Huxleyo B.Russell – di incrementare ulteriormente questi divari, limitati storicamente dalla resistenza dei dominati ad accettare ulteriore sofferenza e dolore senza ribellarsi.
Hitler, che altro non è che un ottimo archetipodi “dominatore” – nonostante la storiografia non faccia altro che evidenziare i suoi forti tratti psicotici piuttosto che quelli di legittimatorappresentante di interessi particolari di classe– riflette questo modus cogitandi delle classi dominanti: l'ignoranza– ovvero la creazione massiva di menti elementari– è naturale obiettivo di chi si trova in posizione egemonica.

L'ignoranza più terribile– così come la schiavitù più terribile “è di colui che crededi essere libero”[3]è quella di coloro che “sanno di sapere”: una più o meno ampia erudizione priva di una naturale struttura logica e valoriale[4], può essere il più grande strumento anti-cognitivo riservato alla classi subalterne più istruite.

1.2. La destrutturazione logica e valoriale delle classi dominateè semplicemente ottenibile tramite il marketing emozionale, ossia quell'evoluzione della manipolazione freudiana delle debolezze inconsce, o dello sfruttamento delle reazioni pavloviane, insistendo particolarmente sulle dinamiche di gruppo come, ad esempio, quelle più irrazionali legate al senso di appartenenza.
I mezzi di comunicazione di massa sono – nella loro naturale struttura del tipo “pochissimi che producono contenuti, una grande maggioranza che li consuma” –lo strumento tramite il quale quel minimo di istruzione dei dominativiene sterilizzata, e l'opinione pubblica” viene spinta ad identificarsicon quella “privata”: ovvero, il “pensiero-obiettivo” della classe dominante viene iniettato dai media nella coscienza della comunità sociale dominata.   
Gli interessi confliggenti delle diverse classi vengono rimossi dalla coscienza stessa degli oppressi.

(Nota:la cultura non si consuma: la si vive)

1.3. Quindi possiamo assumere come archetipo[5]per analizzare il pensiero della classe dominante quello espresso da Hitlerche, prima di essere stato figura carismatica esponenzialedell'ideologia nazista, è stato figura paradigmatica in quanto esponentedi interessi materiali di classe: quelli – appunto –  della classe dominante

Poiché Hitler rappresentava, ma non apparteneva, né alla classe nobiliare né a quella capitalista, con la sua immagine poteva tendenzialmente manipolare più facilmente le classi subalterne, trasformando i sentimenti revanscisti di classe in aggressività imperialista, trasformando l'identità  nazionale in identità razziale: il revanscismo e il patriottismo si trasformavano dialetticamente in un feroce imperialismo, portato alle sue estreme conseguenza per mezzo delle sovrastruttureideologiche edificate intorno all'eugenetica.

Le classi subalterne – tramite l'ingegneria sociale goebbelsiana– erano soggette ad unacollettiva identificazione con l'aggressore, ovvero con la classe dominante, di cui finirono per abbracciare in toto l'etica [Nota: moralecome Super-Io “ingegnerizzato”].

1.4. Questo è il meccanismo che sta alla base tanto del consumismo quanto del razzismo.

È comune a tutta l'esperienza coloniale; da una parte deresponsabilizza le classi dominanti, che identificano a loro volta se stesse [contro-transfert] con l'imbruttimento morale dei dominati: «vedete che voi al posto nostro fareste la stessa cosa?»; dall'altra permette di far accettare il “codice Manu" in versione occidentale”, per cui al sangue-razza è attribuito valore immutabile,che giustifica l'ipostatizzazione dell'ingiustizia sociale assurta a fondamento ordinamentale costituito: tanto a livello nazionale, quanto a livello internazionale.


2 – Imperialismo angloamericano e nazifascismo: dall'identica struttura alle similitudini sovrastrutturali.

2.1. Come nella tradizione angloamericana e liberale, Hitler grazie alla narrazione terroristica sulla “sicurezza nazionale” – propaganda che: «la sicurezza dell'Europa non sarà assicurata se non quando avremo ricacciato l'Asia dietro agli Urali»[6], mentre – come è ovvio – cerca nel Lebensraum un'area coloniale in cui imporretrattati di libero scambio: «Lo spazio russo è la nostra India. Come gli inglesi, noi domineremo questo impero con un pugno di uomini»[7].

Il Grossraumè strutturalmente niente altro che una grande area in cui è possibile imporre “liberamente” accordi commerciali: questo è, di converso, il significato di “libero” che può essere assegnato al significante “free” di free trade. [Nota:mercatolibero” di espropriare]

Infatti, seguendo la logica liberoscambista e ricardiana dei vantaggi comparati, Hitler calcola che: «La Romania farebbe bene a rinunciare nei limiti del possibile ad avere un'industria propria. A questo modo dirigerebbe le sue ricchezze del suo suolo e, specialmente il grano, verso il mercato tedesco. In cambio riceverebbe da noi i prodotti manifatturati di cui ha bisogno. La Bessarabia è un vero granaio. Così scomparirebbe quel proletariato romeno che è contaminato dal bolscevismo»[8].

(Prestiamo attenzione al fatto che “bolscevismo” è una sineddoche per intendere “socialismo”, ossia coscienza politica e di classe che si fonda sulla dignità del lavoro: di converso, si nota che sarebbe accorto per il lavoratore e per il produttore del nostro tempo, evitare di chiamare “socialista” o “comunista” la sinistra politica liberale, liberoscambista o – stessa cosa –  “federalista”) 

2.2. Infatti, sempre sulla falsa riga della politica liberale angloamericana, Hitleresprime il genere di sovrastrutture atte al dominio imperialista [9]
«Per dominare i popoli che abbiamo sottomesso nei territori a est del Reich, dovremo di conseguenza rispondere nella misura del possibile ai desideri di libertà individuale che essi potranno manifestare, privarli dunque di qualsiasi organizzazione di Stato e mantenerli così a un livello culturale il più basso possibile

Ovvero: se sarà possibile, ai popoli sottomessi  sarà concesso qualsiasi tipo di “diritto civile”,  in quanto diritto individuale ad effetto anestetizzante per il disagio sociale (cfr. “diritti cosmetici”); ma l'ignoranza deve essere il più possibile dilagante in modo che – poiché i diritti sociali sono strettamente connessi ai diritti politici– si potrà contare su comunità sociali atomizzate e incapaci di organizzarsi politicamente per avanzare pretese di carattere economico e sociale.

Il Führer– ben informato sul paradigma liberoscambistadell'imperialismo anglosassone – prosegue
«Bisogna partire dal concetto che questi popoli non hanno dovere che servirci sul piano economico. Il nostro sforzo deve dunque consistere nel trarre dai territori che essi occupano tutto quanto se ne può trarre. Per impegnarli a consegnarci i loro prodotti agricoli, a lavorare nelle nostre miniere e nelle nostre fabbriche d’armi, li adescheremo aprendo un po’ dappertutto spacci di vendita nei quali potranno procurarsi i prodotti manifatturati dei quali abbisognano».

2.3. Questo, come è stato ampiamente trattato, è la semplice conseguenza di ciò che accade naturalmente alla periferia di un Paese che viene costrettoad entrare in un'area di libero scambio.

Paragrafo 2.4:«Alla polarizzazione della ricchezza tra classi, si affiancherà la polarizzazione di potere politico, economico e militare, tra centro e periferia; la tecnologia fornisce un alto valore aggiunto alla produzione e un vantaggio militare, e le aree che vedono il proprio tessuto industriale irreversibilmente compromesso dovranno esportare tendenzialmente materie prime, nel caso non ne fossero in possesso, dovranno esportare il fattore lavoro: ovvero favorire l'emigrazione

Sull'emigrazioneci torniamo nel paragrafo conclusivo.

2.4. Ricordiamoci inoltre che l'euro– ovvero la “moneta unica europea” – era già stata progettata dalla Germania nazista. L'inquietante piano Funk.

Infatti, Adolf Hitler prosegue nella versione austriaca dell'anarco-libertarismo, che ricorda tanto l'americano ultra-liberista Rothbard
«Se vogliamo preoccuparci del benessere individuale di ognuno, non otterremo alcun risultato imponendo loro un’organizzazione sul modello della nostra amministrazione[cfr. «lo Stato brutto e cattivo che limita la “libertà personale”», “The road to serfdom”, ndr]. In tal modo non faremmo che attirarci il loro odio. 
Infatti, quanto più gli uomini sono primitivi, tanto più avvertono come una costrizione insopportabile qualsiasi limitazione della loro libertà personale
Dal nostro punto di vista, l’altro difetto di una tale organizzazione sarebbe di fonderli in un blocco unico[cfr. «Stato-nazione brutto, nazionalismo brutto, ecc», ndr], di dar loro una forza di cui si servirebbero contro di noi [ma pensa un po', chi lo avrebbe mai detto..., ndr].
In fatto di organizzazione amministrativa, il massimo che si possa loro concedere è un’amministrazione comunale[cfr. con «evviva il federalismo, partiamo dal basso, dai comuni a cinque stelle, ecc.», ndr], e unicamente nella misura in cui ciò è necessario al mantenimento di un determinato potenziale di lavoro, ossia il potenziale indispensabile ad assicurare i bisogni elementari dell’individuo[quest'ultima definizione corrisponde all'equilibrio malthusiano, e ci si ritornerà in altra occasione, ndr].

2.5. Insomma, Hitler insiste sull'ovvietà per cui l'individualismo metodologicosu cui è fondato tutto[10]il liberalismo, non è altro che una narrativa funzionale al controllo sociale: l'atomizzazione della società non permette coscienza di classe, ovvero coscienza politica.

Se a livello sovrastrutturale“l'individualismo metodologico” e il liberalismo sono fondamentali, come ampiamente dimostrato dall'imperialismo anglosassone, la struttura liberoscambistadeve veder elevate istituzioni di tipo federale e macroregionale; infatti insiste:

«Ma, nel creare tali comunità di villaggi, dovremo procedere in modo che delle comunità vicine non possano fondersi tra loro. Per esempio, avremo cura di evitare che una chiesa unica serva un ampio territorio. Insomma il nostro interesse sarebbe che ogni villaggio avesse la propria setta, che coltivasse la propria nozione di Dio. E se, come gli indiani e i negri, alcuni avessero a celebrare culti magici, non ci dispiacerebbe affatto. Dobbiamo moltiplicare, nello spazio russo, tutte le cause di divisione».

2.6. Divide et impera: seguendo per filo e per segno le orme della tradizione liberale e federalista angloamericana.
«Solo ai nostricommissarispetterà di sorvegliare e dirigere l’economia dei paesi conquistati– e ciò che ho detto deve applicarsi a tuttele forme di organizzazione. E, soprattutto, che non si veda spuntare la ferula dei nostri pedagoghi, con la loro mania di educare i popoli inferiori e la loro mistica della scuola obbligatoria! Tutto quanto i russi, gli ucraini, i kirghisi potessero imparare a scuola (non fosse altro che a leggere e scrivere) finirebbe per volgersi contro di noi. Un cervello illuminato da alcune nozioni di storia giungerebbe a concepire alcune idee politiche, e questo non andrebbe mai a nostro vantaggio.»

Insomma, i federalisti europeifinanziati lautamente dall'imperialismo globale a trazione USA– seguono il medesimo modello strutturale della Germania nazista: e, come abbiamo intuito, non è un caso. Il nazismo non aveva fatto altro che portare alle sue estreme conseguenze il modello imperialista  britannico.

2.7. Il totalitarismo liberale del progetto dispotico europeista, è cognitivamente anestetizzato dalla propaganda hollywoodiana,  dalle tetre morbosità stile Isola Desnuda,al modello Flash Dance; quest'ultimo già teorizzato dal Füher
«Meglio installare un altoparlante in ogni villaggio: dare alcune notizie alla popolazione, e soprattutto distrarla[...ma guarda un po' come è evoluta la politologia negli ultimi settant'anni..., ndr]. A che servirebbe darle la possibilità di acquisire cognizione nel campo della politica, dell’economia? [Già, tanto vale avere “comici” e “spaghetti-liberisti” diversamente laureati, ndr]La radio non dovrà impicciarsi di offrire ai popoli sottomessiconversazioni sul loro passato storico[Meglio del sano autorazzismo!, ndr]. No, musica, e ancora musica! La musica leggera provoca l’euforia del lavoro. Forniamo a quella gente l’occasione di ballare molto, e ce ne sarà riconoscente. Da noi, l’esperimento è stato fatto al tempo della Repubblica di Weimar: è dimostrativo […]»

Magari qualcheduno si sarà chiesto come mai la musica “pop” debba essere “leggera”: Adolf Hitler lo aveva ben chiaro.

(Mi raccomando: dopo il lavoro tutti davanti alla televisione a vedere la partita, il sabato sera tutti in discoteca....)

Ma, apparentemente, il Führer si era applicato con più costanza allo studio della storia rispetto ai campioni dell'imperialismo liberoscambista dei giorni nostri, dato che avverte:



3 – Conclusioni: la fallacia fallaciana.


«La mancanza cronica di cibo ed acqua, la mancanza d'igiene e di assistenza medica, la trascuratezza nei mezzi di comunicazione, la povertà delle misure educative, l’onnipresente spirito di depressione che vidi di persona, prevalente nei nostri villaggi dopo oltre un secolo di dominio britannico, mi fa perdere ogni illusione sulla loro benevolenza», Radindranath Tagore
«Se la storia del governo britannico dell’India fosse condensata in un singolo fatto, questo sarebbe che in India non vi fu alcun aumento di reddito procapite dal 1757 al 1947»Mike Davis, Late Victorian Holocausts: El Nino Famines and the Making of the Third World, London, Verso Books, 2001.
«Churchill, spiegando perché difendesse l’accumulo di cibo in Gran Bretagna, mentre milioni di persone morivano di fame in Bengala, disse al suo segretario privato che “gli hindu sono una razza sudicia, protetta grazie alla sua continua riproduzione dal destino che merita”»Madhusree Mukerjee, “Churchill’s Secret War”: The British Empire and the Ravaging of India during World War II, New York: Basic Books»[11]


«Se tenete in mano un'arma e mi dite, “Scegli chi è peggio tra i musulmani e i messicani”, avrei un attimo di esitazione. Quindi sceglierei i musulmani, perché hanno rotto i coglioni», Oriana Fallaci
 «Ci sono cose che se potessero essere capite, non andrebbero spiegate», “I Legge della Termodidattica”
3.1. L'argomento è serio. Ora: basterebbe rimandare al punto (b) del paragrafo(3)delle conclusioni di questo post per capire che, sul tema dell'imperialismo e dell'immigrazione, dalla contrapposizione della sinistra (?)[12]liberale alla Sabina Guzzanti e della destra (?)[13]liberale all'Oriana Fallaci, non può che sintetizzarsi un'inana contrapposizione utile solo a proteggere la traiettoria neo-[appunto]-liberaleseguita da decenni e le riforme strutturali che questa comporta.

Va da sé che, essendo tale dialettica espressione di due prodotti nati da sovrastruttureliberali, quindi vuoti di contenuti culturali strutturalmente diversi, l'unico motivo per cui esistono gruppi sociali che spendono energie a favore di un gruppo e dell'altro, va ricercato nel senso di appartenenza e nelle diverse dinamiche pavloviane sfruttate dalla propaganda e dal marketing emozionale: questi sono gruppi che si complementano
Cioè, poiché il senso di appartenenza nasce in primis per contrapposizione, un gruppo necessita – per essere legittimato – dell'esistenza dell'altro.

Questa dinamica è – per definizione – inutile agli interessi materiali delle classi subalterne.

3.2. Sulla (più o meno) moderna sinistra liberale ha speso fiumi di inchiostro virtuale Alberto Bagnai (v. alla voce "Piddino"): sulla destra liberale, in cui si può annoverare anche l'amatissima, dallo scrivente, Ida Magli, non è purtroppo possibile trarre conclusioni politicamente troppo dissimili da quelle emerse dalle analisi di quel contenitore culturale che è la sinistra liberale, che, come tutto  il paniere di ideologie a disposizione altro non sono è che un prodotto di consumo[14]: cultura-merce.

Dopo il breve stralcio di analisi materialistica della storia, quantomeno nel senso di analisi economica istituzionalista di un periodo storico, dovrebbe essere lampante –  se già dapprima non fosse stato autoevidente – che appassionati giornalisti alla Oriana Fallaci, o grandissimi esponenti della cultura come la raffinatissima antropologa Ida Magli, hanno promosso politicamenteanalisi pop.

Non era il loro mestiere: in particolare non era quello di Oriana Fallaci: la storia della civiltà analizzata con qualche forma di approccio etnico, ha perso – se mai l'ha avuto – qualsiasi presupposto epistemico da almeno due secoli: nella sua variante pseudoscientifica di teoria delle razze,  è stato meramente usato a scopo ideologico, per la grande controrivoluzione neoliberale che getta le sue radici nell'ultimo quarto dell'Ottocento[15].

3.3. Certo è che gli epifenomeni possono essere dettagliatamente descritti da un preparatissimo antropologo: ed è vero che questi epifenomeni vengono rimossi o attivamente negati dalla sinistra liberale, generalmente impregnata di un “terzomondismo” senza senso che non è altro che una forma di razzismo rovesciato: ma il fatto che già gli antichi fossero consapevoli di quanto fossero gravemente «ridicoli» i politicanti dei regimi democratici nel trattare gli stranieri come se fossero cittadini, e che questa sia un debolezza strutturale degli ordini liberali tanto da essere sfruttata come vulnerabilità tramite strumenti di guerra alternativa (cfr.: Armi di migrazione di massa: deportazione, coercizione e politica estera, Kelly M. Greenhill), dovrebbe rendere chiaro quanto sia stato sostanzialmente inutile il contributo su questi temi della Magli e totalmente inano intellettualmente quello della Fallaci.

La controrivoluzione neoliberale, vinta la battaglia con l'URSS, ha avuto la repentina necessità di sostituire  la sovrastruttura ideologicaanticomunista con quella dello “Scontro tra civiltà” suggerito da Samuel Huntington e promosso dallo stratega mondialista Zbigniew Brzezinski.

3.4. Così come lascia interdetti, ad un quarto di secolo dalla caduta del socialismo reale, appellare con “comunisti” formazioni politiche che vantano programmi antisociali e liberisti ben più estremi della destra politica post-comunista, non si può non rimanere sbigottiti di fronte a chi – a cospetto del massacro odierno, con tutta la letteratura scientifica e le ammissioni di responsabilità politica che sostengono tesi esattamente opposterilancia i pensieri islamofobici di Oriana Fallaci.

Se esiste un neologismo creato dalla propaganda semiofaga liberale che abbia un senso, è proprio “islamofobia”: ovviamente il problema non è tanto se la Fallaciet similia abbiano liberamente in simpatia o meno una certa religione o una certa etnia, o che la ritengano di per sé minacciosa: è un loro sacrosanto diritto.  
Islamofobiaè un ottimo sostantivo per chiamare quella politicaterrorista usata per il divide et impera, tanto volta all'oppressione delle classi subalterne, quanto finalizzata ad obiettivi imperialistie mondialisti.

Il terrorismo non consiste nell'atto stragista di emarginati sociali creati dall'esclusività socialeteorizzata dal liberalismo stesso. A meno di volersi privare di qualsiasi seria capacità di identificare i meccanismi causa-effetto che agiscono nel concreto tempo della Storia (risalendo la concatenazione degli effetti e senza fermarsi alla prima "concausa-causata" della serie causale; cioè troncando emotivamente il nesso prima dell'esaurirsi di una normale indagine razionale...).

Il terrorismo consiste in una ben nota e teorizzata politica imperialista e di classe che si chiama strategia della tensione.

Bisogna spiegarlo agli Italiani?

E chi potrebbero mai essere questi “strateghi”?

Forse i reietti della segmentazione sociale imposta dalle politiche liberiste e federaliste?

3.5. Ovviamente no: chi ha le basi minime per comprendere i fondamenti delle scienze socialiè perfettamente consapevole che le responsabilità politiche (cioè la "cause" prime, derivanti da decisioni supreme di indirizzo sociale e economico, imposte a tutti coloro che sottostanno alle regole affermate dall'effettiva classe dominante) vanno ricercate in primis nella dialetticadi strutture complesse di rapporti di forza che cercanodi coordinarsi (per quello storico scopo nobile così ben espresso da Adamo Smithnella citazione iniziale).
E questi rapporti di forza si sintetizzano nella struttura sociale e nei rapporti di produzione che si modificano nel tempo.

Questo non significa prendere in simpatia chi è qui per sostituirti (e magari insegnargli il lavoro, come sa bene chi è rimasto disoccupato a causa della globalizzazione e delle conseguenti delocalizzazioni); questo non significa non usare tutti i mezzi machiavellanamenteleciti per difendere la propria sovranità.

3.6. Il punto è che i deliri sconclusionati di chi colpevolmente si è prestato a propagandare un'ideologia degna di essere erede dell'antisemitismo nazista come quella dello “Scontro tra civiltà”, sono funzionali alla sconfitta irreversibile, che si  manifesta allo stesso modo di un genocidio portato a compimento.

E chi attenterebbe alla nostra sovranità? Chi predica la cessione delle sovranità democratiche come in guerra? Il profeta dell'Islam nel Corano?

3.7. Chi lo scrive nero su bianco – ma, si sa, la lettura porta via tempo alla musica leggera e alla discoteca – sono von Hayek e i filantropi sociopatici che hanno finanziato la Mont Pelerin Society e il Movimento Federalista Europeo.

Che, guarda un po', appartiene alla stessa classeche ha anche manifestamente le mani sporche di sangue per le vicende che riguardano l'ISIS.

Aizzare i conflitti sub-sezionali tra cristiani (non credenti) e musulmani (non praticanti) è la stessa pratica imbecille che fare a botte tra fascisti (tali perché si lavavano e portavano i capelli corti) e comunisti (con il papà che lavorava in banca): divide et impera.

3.8. Questo è il senso ultimo dei deliri visionari del fondatore di Paneuropa.



 (Chiaramente il post è per definizione inutile alle menti elementari e ai «grulli», data la kantiana “I legge della termodidattica”)

 «Per Giove, preferisco andare fuori strada con Platone, piuttosto che condividere opinioni veritiere con questa gente»,Cicerone

«Dalla nolontà o incapacità di scegliere i propri esempi e la propria compagnia, così come dalla nolontà o incapacità di relazionarsi agli altri tramite il giudizio, scaturiscono i veri skandala, le vere pietre d'inciampo che gli uomini non possono rimuovere perché non sono create da motivi umani o umanamente comprensibili. Lì si nasconde l'orrore e al tempo stesso la banalità del male»
Hannah Arendt, le conclusioni moralidi una vita di profonde e sofferte riflessioni.



[1]      L'ignoranza peggiore – come sappiamo noi Italiani, degni custodi della cultura greca – è quella di “sapere di sapere la Storia”.
[2]      “Conversazioni segrete”, Napoli 1954, citazioni selezionate da M.Pasquinelli.
[3]      «Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo», Johann Wolfang von Goethe
[4]      «Il difetto di Giudizio è propriamente quello che si chiama grulleria, difetto a cui non c'è modo di arrecare rimedio. Una testa ottusa o limitata […] si può ben armare mediante l'insegnamento fino a farne magari un dotto. Ma poiché in tal caso di solito avviene che si sia sempre in difetto di Giudizio, non è punto raro il caso di uomini assai dotti, i quali nell'uso della loro scienza lascino spesso scorgere quel tal difetto, che non si lascia mai correggere» Kant, “Critica alla ragion pura,” cit. in Arendt, “Alcune questioni di filosofia morale”, ET Saggi, pag.103.
[5]      Si fa notare che Hitlerrappresenta la classe dominantepoiché è stato un rappresentante politico di un regime che ha tutelato a livello strutturale un sistema ben determinato di rapporti di produzione, favorendo particolari interessi di classe; macontestualmente, alimentando falsa coscienza nazionalistica e razziale, è stato anche una figura esponenziale di una sovrastruttura demagogica e populista: populismo rinvenibile già dal significante “socialismo” di nazional-socialismo(alias, nazismo). [O nel significante “sociale”, in economia sociale di mercato, alias ordoliberismo...]: infatti il Führerconstatava sussiegoso che: «...l'ultimo degli apprendisti, il più modesto dei carrettieri tedeschi, è più vicino a me che non il più importante dei lord inglesi», Ibid, pag. 155-156
[6]      Ibid., pag.44
[7]      Ibid., pag.37
[8]      Ibid., pag.16
[9]      Ibid., pp. 450-453.
[10]     La curiosa contraddizione di Keynes(e del liberalismo sociale in genere)  per cui viene mostrata una predisposizione etica ad una maggiore giustizia sociale ma un totale rigetto della prospettiva del conflitto tipica del socialismo, può essere ricercata nella profonda influenza esercitata della filosofia morale anglosassone, quella di esponenti quali Adam Smith eWilliam Paleys; questi non concepivano come un concetto ontologico di ordine “superiore” quello di società rispetto a quello di individuo, esclusivo soggetto ad essere dotato di “umanità”.   
[11]     Cit. da Ramtanu Maitra.
[12]     Nel senso di politicamente correttoal limite della querela.
[13]     Nel senso di politicamente scorrettonei limiti di un effettivo impegno civile.
[14]     Infatti Marx mai si sarebbe sognato di chiamare con il sostantivo “ideologia” (Ideenkleid) gli strumenti culturali e cognitivi messi a disposizione dai suoi studi, magari con l'intenzione di appellare “sistema di idee” ciò che è di fatto un insieme multidisciplinaredi dottrine scientifiche: l'ideologia, nella concezione materialistica del divenire storico,  è falsa coscienza. (Dottrine scientifiche che sono state tutte riprese da scienziati sociali e filosofi che hanno avuto quasi due secoli di sviluppo... a partire dall'analisi economica!)
[15]     Ci sono una serie di motivi che sarebbe interessante approfondire per cui intorno al 1870 circa si può collocare l'inizio vero e proprio di un conflitto di classe cosciente, e su scala globale.
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