


1. Nell'accingervi a leggere questo post, mi pare opportuno segnalare l'ultimo post odierno su goofynomics, che risulta ricco di chiarimenti sulle diverse formule e gradi dei sistemi di apertura dell'economia o, in termini complementari, di integrazione dell'economia tra paesi diversi: l'apertura delle economie, infatti, esige sempre una regolazione giuridica che tenda a coordinare gli effetti "innovativi" che scaturiscono, - detto in termini brutalmente semplici, ma così riassunti dallo stesso Caffè-, dall'arrivo di merci e capitali esteri in una misura e intensità che alterano i precedenti equilibri socio-economici interniriguardo a "ciò che dovrà essere prodotto nel Paese e a ciò che dovrà essere ottenuto in cambio dall'estero" (qui, p.8). Aspetto che, secondo Keynes, sarebbe poi la decisione politica suprema che giustifica il ruolo dello Stato e la sua titolarità delle politiche economiche e fiscali: una decisione che, idealmente, Caffè riporta (pp.8-9) alle formule, normative sia chiaro, della Costituzione economica e che, "tecnicamente" egli ravvisa negli studi preparatori della stessa effettuati dalla Commissione economica per la Costituzione, di cui Caffè era componente.
2. Una piccola aggiunta a questo necessario chiarimento, ci dà lo spunto per un utile (spero) riassunto del discorso complessivamente svolto da questo blog (insomma i links non sono da sorvolare a cuor leggero...).
Il discorso svolto da Alberto, infatti, ci porta a sottolineare che, quando parliamo di integrazione economica, si tratta, in linea di tendenza, di sistemi (pretesamente) cooperativi che trovano, invariabilmente, la loro "istituzionalizzazione" in accordi di diritto internazionale: cioè in decisioni politiche del più alto livello e, come tali, teoricamente sottoposte al massimo grado di responsabilità non solo politica (cioè elettorale), ma anche giuridico-costituzionale: cioè in termini di rottura, resa permanente, della legalità costituzionale e di creazione di un assetto extra-ordinem (come ci conferma Luciani, eminente costituzionalista, in uno scritto post-Maastricht, arrivando alle nostre stesse conclusioni...del 2013).
Si tratta, quindi, della incombente responsabilità (costituzionale e persino penale) per la instaurazione di assetto non consentito dalle norme costituzionalisui limiti dei poteri negoziali degli organi di indirizzo politico: governo e parlamento.
Si tratta, quindi, della incombente responsabilità (costituzionale e persino penale) per la instaurazione di assetto non consentito dalle norme costituzionalisui limiti dei poteri negoziali degli organi di indirizzo politico: governo e parlamento.
Ne consegue che, come abbiamo già segnalato, "apertura" dell'economia e metodi di integrazione economica tra economie di Stati diversi, non "accadono" per forza naturale, delle cose ma seguono invariabilmente due percorsi: quello negoziale di diritto internazionale, ovvero quello della guerra di sottomissione di uno Stato colonizzatore in danno di un altro Stato (inteso come comunità sociale e territoriale avente delle sue precedenti connotazioni di autonomia e unità politiche).
Di questa seconda formula ci dà, da ultimo su questo blog, ampio conto il più recente post di Bazaar che, al tempo stesso, evidenzia come, specialmente nell'esperienza storica europea più recente, che va dall'espansione nazista germanizzatrice a quella dell'Unione europea, - egualmente germanizzatrice nei crudi fatti-, i risultati perseguiti coi i due diversi "sistemi", non divergano poi in modo rilevante.
3. Questa inquietante "non diversità" di risultati ultimi, come sottolinea anche il post di Alberto sopra citato, trova dei diversi e alternativi riflessi avversativi (anzi, estirpativi) di ciò che viene definito, in modo solo manicheista, "protezionismo" e che, invece, come abbiamo visto, non è sussumibile in un'unica funzione politico-economica, meno che mai riducibile alla esaltazione del nazionalismo e all'ostilità verso gli altri Stati: ma è lo stesso Caffè a segnalarci come Keynes avesse ben individuato il costo immancabile dell'apertura delle economie.
In altri termini, secondo Keynes, tale apertura e la regolazione tesa alla complementare "integrazione", pur potendo spaziare in una certa variabile intensità di effetti degradanti del tessuto economico e sociale del paese più debole che si "apre" e si "integra" (e il colonialismo che diviene intrinsecamente razzista ne è l'espressione al limite massimo), presenta un effetto negativo invariabile, che, a ben vedere, discende dalla stessa tendenza, presupposta, del capitalismo liberoscambista a fondarsi sulla ipocrisia della libera concorrenza senza "frontiere" (come appunto si vuole nel Manifesto di Ventotene).
Ma tale libera concorrenza, in realtà, null'altro è che, (proprio nel liberoscambismo così macroscopicamente incarnato dall'Unione politica e monetaria europea), l'esaltazione delle tendenze mercantiliste degli oligopoli dei paesi più forti economicamente. Senza dimenticare che, come evidenziano pure il post (e l'opera divulgativa) di Alberto, aggiungendo al liberoscambismo, all'Unione doganale e al mercato unico, l'unione monetaria, il paese più forte - e dunque inevitabilmente avvantaggiato dai trattati che tale moneta unica sanciscono- è quello che muove da una situazione di più bassa inflazione e prosegue ad accenturare questa situazione (cercando cioè il vantaggio competitivo dei c.d. tassi di cambio reale la cui decisiva rilevanza permane anche in una moneta unica, se non viene unificato politicamente, e in partenza, il bilancio e il governo fiscale dell'intera area monetaria).
4. Per tornare al costo, evidenziato da Caffè in una visione keynesiana rigorosa, della "integrazione economica" da trattato- specialmente multilaterale, come abbiamo evidenziato in questo post, essendo ben diversi gli impatti, e gli stessi presupposti di autonomia sovrana e di convenienza, dei trattati bilaterali-, esso contiene l'implicita critica all'ipocrisia della principale ipotesi di scuola liberista (marshalliana, si sarebbe detto nella sua epoca): quella della concorrenza perfetta.
Ma la sintesi profetica di Caffè contiene anche la prefigurazione del costo sociale ed economico inevitabile della "integrazione" e anche il preannunzio dell'impoverimento culturale, in ogni senso, dei paesi coinvolti.
Questo costo è infatti così tratteggiato:
"l'ingigantirsi, privo di freni e di remore...della stessa intensificazione dei traffici internazionali, quando essi non riflettano una più efficiente soddisfazione di bisogni basilari, ma si risolvano in un artificioso travaso reciproco di prodotti resi indispensabili dalle tendenze imitative tipiche delle situazioni di concorrenza oligopolistica."
Ora, come sappiamo, il fenomeno dello "artificioso travaso reciproco di prodotti" viene evidenziato pure da Rawls, nello stigmatizzare l'effetto inevitabile dell'Unione europea, (tra l'altro pur senza analizzare se il suo accoppiarsi con la moneta unica sacrificasse persino quella crescita "garantita" che, pure, Rawls considera un vantaggio di valore inferiore ai disagi sociali e culturali che comunque l'Unione avrebbe apportato!): il "consumismo senza senso".
Che è come dire il tecnicismo-pop al potere che diluisce ogni pallido ricordo della verità, cioè degli effetti reali che vengono programmati quando si intraprendono unioni economiche e monetarie, senza aver voluto considerare minimamente il benessere e la democrazia dei popoli che ne sono coinvolti.
5. Nel caso dell'Unione europea, basti dire che questa mancata considerazione programmatica del benessere e della democrazia è addirittura un principio fondante: cioè quella "economia sociale di mercato fortemente competitiva", principio chiave supremo dei trattati, che null'altro è che un'esasperata e anticooperativa competizione tra Stati, e sottostanti popoli.
Una competizione che riduce al valore "mercato"(conquista di quote, inevitabilmente in danno dell'economia-comunità sociale di un altro Stato, parte dello stesso trattato) l'essenza dell'Unione europea e priva di ogni legittimazione cooperativa la ragion d'essere del trattato.
Una competizione che riduce al valore "mercato"(conquista di quote, inevitabilmente in danno dell'economia-comunità sociale di un altro Stato, parte dello stesso trattato) l'essenza dell'Unione europea e priva di ogni legittimazione cooperativa la ragion d'essere del trattato.
Un trattato meno che mai funzionale alla "pace e alla giustizia tra le Nazioni", dato che, come abbiamo visto, l'integrazione fortemente competitiva fnisce per avere, all'interno della moneta unica, gli stessi effetti del mercantilismo imperialista e colonizzatore a vantaggio dei già forti e a svantaggio dei deboli, ancor più indeboliti.
Fino, possibilmente, alla schiavizzazione, come insegna il "modello" di risoluzione greco, adottato nell'eurozona per le crisi da squilibri commerciali e di indebitamento estero interne all'area monetaria divenuta mercantilista e colonizzatrice.
Un modello che non è solo la negazione del benessere e della democrazia dei popoli, ma anche un sistema intenzionale di creazione di "stati di eccezione" che trasferiscono irreversibilmente il potere dalla sovranità democratica, fondata sulla piena occupazione come orientamento costituzionale, all'ordine sovranazionale degli oligarchi del capitalismo finanziarizzato. Per trattato.
Questa è l'integrazione economica oggi realizzata in €uropa.
E, si badi bene, non ha proprio nulla a che fare con effetti inevitabili del progresso tecnologico sui modi della produzione e sull'assetto sociale che ne consegue: ha solo a che fare, come ci illustra il post sull'ordoliberismo sopra linkato, con la ben nota "rivincita" del vetero-capitalismo sulla emancipazione democratica del mondo del lavoro. In €uropa specialmente...
Ma questo versante del problema cercheremo di affrontarlo in un prossimo futuro.