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LA GRANDE ASSENTE. E LA "PIANIFICAZIONE" DELLA SCARSITA' DI RISORS€.

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Nessuna delle principali forze politiche in competizione pare essere culturalmente in grado di richiamarsi ad essa, in termini che anche solo vagamente assomiglino al modello di democrazia e di economia pluriclasse che essa ha disegnato: anzi, abbiamo l'interpretazione autentica di come questa democrazia "necessaria" (in assenza della quale la democrazia semplicemente "non è", come aveva avvertito Mortati) - anche se in qualche modo riaffermata dall'esito del referendum - sia invisa e inaccettabile per i leaders più rappresentativi che guidano le maggior coalizioni formatesi in vista delle prossime elezioni:

Ed è una non-novità rigorosamente pluri-partisan e accomunata dall'idea che comunque il valore cardine della Costituzione sia, in base a fantasiose accettazioni del fatto compiuto, quello della "governabilità" in rapporto alla "scarsità di risorse".
La questione della legalità costituzionale, in questa campagna elettorale, si sposa, paradossalmente, con la ricorrenza dei suoi 70 anni di vita e di vitalità (oggi più che mai):
Sia ben chiaro: il paradosso di questi 70 anni sarà, per tutti i cittadini italiani che abbiano ancora la cultura e la sensibilità per farlo, l'esigenza di doversi accingere, proprio adesso, aduna strenua difesa finale - della democrazia sostanziale, della democrazia necessitata del lavoro-, in contrapposizione con astratte "commemorazioni" che, ignorandone ostentamente il vero significato, moltiplicheranno le pressioni per un suo superamento, riprendendo il cammino delle devastanti proposte intese a distruggerne il senso più profondo. 
Il paradosso, dunque, nascerà dal fatto che, adottandosi una tattica comunicativa che tenderà, questa volta, a presentare la disattivazione della Costituzione entro una facciata nominalistica di fede nei suoi valori,  (valori che ci si sta già preoccupando di rivisitare e "adattare"), si troverà il modo cosmetico per celebrare in sordina "le esequie frettolose di una Costituzione ancora viva" e, consentitemi di dirlo, che più che mai "lotta insieme a noi".
3. In questo quadro di segnali allarmanti, ci pare giusto ricordare, ancora una volta, in cosa avrebbe (!) dovuto consistere questa legalità costituzionale nel campo delle politiche economiche, di bilancio e, naturalmente, industriali, che pure, con ogni evidenza, sono al centro delle dispute programmatiche del gioco elettorale. Ma tutte orgogliosamente portate a ignorare il dettato costituzionale in base ad ideologie autorefenziali in cui il discorso sulla Costituzione assume un sempre più preoccupante sapore di rimozione definitiva o di richiamo asistematico e strumentale.
Lo facciamo, di ricordare, ricorrendo ai chiarimenti ben documentati che ci forniscono questi commenti di Francesco Maimone:

3.1. Il “comunismosocialismobrutto”… anch’esso su Marte, ovviamente. E si finisce per delegittimare l’art. 41, comma III, Cost. (non a caso fatto oggetto di attacchi violenti. Persino proposte di legge costituzionali per eliminare l’inciso “fini sociali”). Ed allora meglio sentire i nostri Costituenti:

Cosa vuol dire questa pianificazione? Si devono fare delle ferrovie o delle strade? Si deve sviluppare l'industria cinematografica o l'industria turistica? L'industria della siderurgia o della tessitura? Quale di queste industrie, di queste attività economiche deve avere la precedenza? 
Questa è la pianificazione che deve fare lo Stato: È LO STATO CHE HA LA VISIONE GENERALE DEL PAESE, NON LA PUÒ AVERE IL SINGOLO INDIVIDUO, PERCHÉ OGNUNO VEDE IL PROPRIO EGOISMO E NON VEDE L'INTERESSE DELLA COLLETTIVITÀ. Se voi domandate agli industriali tessili, essi vi diranno che l'industria più importante è quella tessile; ma se vi rivolgete ai siderurgici, vi diranno che è la siderurgia.

Ma è lo Stato che deve avere la nozione esatta di quello che conviene alla collettività, cioè allo Stato; e deve quindi chiarificare quella che è la sua attività, il suo concorso ed il suo incoraggiamento per sviluppare una industria piuttosto che un'altra. Dovremo sviluppare per esempio le industrie dei beni di produzione o le industrie dei beni di consumo? È un problema che deve essere esaminato dallo Stato, non dai singoli individui. Ecco perché l'economia liberale individualistica va verso la morte. Ha ragione l'onorevole Corbino quando dice che l'economia liberale non c'è.

Non c'è più perché è fallita, ed è fallita perché ha provocato una serie di guerre che hanno ridotto l'economia mondiale nelle condizioni in cui si trova.  
Ora VOGLIAMO LASCIARE QUESTE FORME DI PIANIFICAZIONE AL CAPITALISTA MONOPOLISTA? 
Il capitalista ha la sua pianificazione. Se domandate alla Montecatini, essa ha la sua pianificazione. Ma dobbiamo lasciare nelle mani dei privati, di elementi incontrollati, al capitalista monopolista la pianificazione in modo che essa sia diretta verso soluzioni di difesa dei loro particolari interessi, o deve invece intervenire lo Stato per chiarificare, per indirizzare questa pianificazione verso un risultato rivolto all'interesse dello Stato? Questa è la domanda che ci dobbiamo fare... [L. D’ARAGONA, Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 9 maggio 1947].

3.2. Ed ancora:
… Mi si consenta di dire che il fatto che la nostra Costituzione consacri il principio che il regno beato del beatissimo e totalitario laisser faire è finito per sempre, mi sembra non soltanto costituzionalmente legittimo ed esatto, ma anche praticamente opportuno.
…voglio formalmente precisare che l'inserzione dell'accenno ai piani nel nostro emendamento non ha mai avuto e non avrà mai lo scopo di volere porre all'Assemblea una perentoria alternativa fra sistema liberale e socialista, fra iniziativa economica privata e coercizione burocratica di Stato, fra capitalismo nella sua forma pura e pianificazione integrale. La portata del nostro emendamento ha un valore che supera questa alternativa…: esso invece vuol soltanto portare il tema sopra un piano di praticità, di realtà, di attualità e di attuabilità.
… nessuna alternativa è posta all'Assemblea tra libertà economica e vincolismo esasperato di Stato; ma soltanto disciplina di quegli interventi od interventismi di Stato che oggi campeggiano in tutti i paesi

ASSUMERE QUINDI, ONOREVOLI COLLEGHI, IL SOCIALISMO COME LO SPAURACCHIO, o come un voluto sottinteso, contro o a favore della pianificazione, è inesatto. Ci può essere molta pianificazione e poco socialismo, come può darsi molto socialismo e poca pianificazione. Tutto consiste nel saper distinguere i fini cui si tende, ed i mezzi che sono stati proposti come necessari a raggiungere lo scopo.

È SUL PIANO DEI FINI (che nel socialismo sono fini etici) e dei mezzi posti alla base di ogni pianificazione, che si può stabilire un parallelo tra socialismo e pianificazione
Senza questo aspetto fondamentale, si ha soltanto un metodo, onorevoli colleghi, ed è precisamente un metodo che abbiamo voluto fissare …. Un metodo che balza dalla stessa impostazione del problema fondamentale, che è uguale in tutti gli ambienti giuridici sociali, e cioè in tutte le parti del mondo odierno, e che si enuncia in questi termini: distribuire un complesso limitato di risorse tra i vari possibili impieghi, in modo che i bisogni degli individui siano soddisfatti nel miglior modo possibile.

Sono i fatti, sono le esigenze nazionali ed internazionali, sono i bisogni, le privazioni, le sofferenze degli uomini e delle comunità organizzate, che hanno imposto questo metodo. Non è qui la sede per esaminare se tutto questo sia frutto della guerra o di quel tracollo della economia liberale di cui, con la sua riconosciuta e simpatica onestà scientifica, parlava l'onorevole Corbino, o forse di entrambi insieme. Certo è, onorevole Corbino, che IL TRACOLLO DELL'ECONOMIA LIBERALE SOVRASTA COME UN'OMBRA QUESTI NOSTRI DIBATTITI SUL TITOLO TERZO. Può darsi che sulle rovine di questo tracollo già cominci a spuntare la nuova economia di domani, e non sarà un male se sarà la pianificazione a tenerla a battesimo…
” [G. ARATA, Assemblea Costituente, seduta antimeridiana del 13 maggio 1947].

Se i fini vengono stabiliti a vantaggio delle oligarchie capitalistiche, si chiama libertà.
Se i fini (art. 3, comma II, Cost.) vengono posti a vantaggio dell’interesse collettivo (cioè del Popolo sovrano, art. 1 Cost.), riemerge lo “spauracchio” del totalitarismo. La narrazione liberista.

3.3. “L’economia di piano non funziona” – parlo dell’Italia - semplicemente perché in realtà una vera programmazione economica globale (l’art. 41, comma III, parla di “programmi”, termine che sostituì poi quello di “piano”, nel senso sopra inteso dai Costituenti) non è mai avvenuta:
… Dopo gli anni della ricostruzione, caratterizzati dal declino delle ipotesi di programmazione globale e dal predominio delle concezioni liberiste, gli anni della legislatura degasperiana (1948-1953) sono segnati dalla costruzione di una serie di “programmazioni di settore” ispirate ad obiettivi riformisti. E’ una fase nella quale il tratto dominante può essere riconosciuto al “decreto”; sono i meccanismi della rappresentanza politica e del governo ad assumere il peso prevalente nel processo di acquisizione del consenso e nel processo di assunzione delle decisioni.

Il mantenimento dell’asse portante del sistema politico attorno al binomio decreto-mercato negli anni del “centrismo debole” (1954-1962), accantonata ancora una volta la strada della programmazione globale (piano del lavoro della CGIL, e “schema Vanoni”) è ottenuto attraverso una estensione dell’intervento pubblico mediante programmi di settore, attraverso un certo grado di “GERARCHIZZAZIONE” NEI RAPPORTI FRA SISTEMA POLITICO E ORGANIZZAZIONE DEGLI INTERESSI (il legame corre fra partito di maggioranza relativa, Confindustria, Confcommercio etc) attraverso l’accantonamento definitivo dell’attuazione costituzionale degli artt. 39 e 40 e quello (provvisorio) dell’attuazione dell’ordinamento regionale.
La forza trainante del mercato nella fase del miracolo economico (1958-1962) garantisce, a prezzo di nuovi “squilibri” territoriali e settoriali, il compromesso “decreto-mercato…
” [M. CARABBA, in Enciclopedia del diritto, voce Programmazione economica, XXXVI, 1987, 1127-1128].

3.4. Non riporto nemmeno i commenti di Lelio Basso sull’affossamento del Piano o Schema “Vanoni”, il primo tentativo di programmazione economica (globale) seria nel nostro Paese (ah, il Quarto partito!). 
Si recuperò un pò il tempo perduto negli anni del primo centro-sinistra (1963-1972); ma negli anni ’70, complice anche la crisi (che la Robinson annoverava già nella lotta di classe), l’inflazione-brutta (dovuta agli acquisiti diritti dei lavoratori conseguenti alle lotte) ed il piano delle élites internazionali (quello Werner incluso), annegarono sul nascere ogni ulteriore velleità. Tutta storia narrata in modo certosino su questi schermi.

Quanto detto trova puntuale analisi in un libro di L. Barca-G. Minghetti del 1976, dal titolo “L’italia delle Banche”, dove si critica proprio l’indirizzo di politica economica dei 15 anni precedenti (ed in particolare, la mancanza di programmazione ex art. 41, comma III, associata alla politica monetaria. Non è un caso che Mortati individui nella norma citata il pilastro strumentale della “Costituzione economica”) che ha permesso il dominio del capitalismo finanziario. A danno delle stesse imprese che, evidentemente, avevano altri programmi.

Chissà se un giorno riusciremo a vedere una programmazione economica globale attuata secondo Costituzione. Anche solo per capire l'effetto che fa...

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