
1. Mentre si dipanano le ipotesi (mere) di trattative, possibili e impossibili, per la formazione di una maggioranza di governo in una situazione di terremoto elettorale (rispetto agli auspici dell'UE=mercati), conviene ribadire quale sia lo scenario entro cui inevitabilmente si troveranno a muoversi le forze politiche. Che ne siano consapevoli o no; che intendano dare all'Italia una diversa collocazione, nell'interesse nazionale democratico, o no.
2. Lo scenario, dovrebbe essere chiaro, è quello della globalizzazione per via di trattati e regole di diritto internazionale che mirano esplicitamente a denazionalizzare l'azione dei governi, destrutturando de-fi-ni-ti-va-men-te gli Stati da enti generali retti da Costituzioni democratiche, - che indicano gli interessi sociali comunitari (cioè nazionali) da perseguire come priorità inderogabili-, a sub-holding che perseguono esclusivamente gli interessi di elites capitalistico-finanziarie cosmopolite (qui, p.8).
Per avere un preciso quadro storico-economico e geo-istituzionale di questa situazione odierna facciamo riferimento a due post che chiariscono il punto. Ne consigliamo la rilettura consecutiva per poter tenere sempre bene a mente lo scenario e i limiti di azione imposti alla "politica" interna italiana:
3. E' interessante notare come il grado di "cogenza", cioè di affermazione mediante varie forme di enforcement, di questo schema sovranazionale di de-sovranizzazione degli Stati democratici, operi ormai come pilota automatico (rammentiamo: una locuzione escogitata da Milton Friedman e solo poi ripresa, a posteriori, da Draghi), raggiungendo il suo più avanzato perfezionamento entro il quadro della costrizione €uropea(sì proprio "costrizione", non "costruzione").
Va assolutamente rammentato in tal senso, che l'esistenza del "pilota automatico" non significa che le regole rimangano costanti nel tempo: al contrario, significa che PRIMA DI TUTTO, si è automatizzato un meccanismo normativo che può produrre costantemente nuove regole super-primarie (cioè che pretendono di elevarsi al di sopra delle Costituzioni), al di fuori di qualsiasi parvenza di emanazione rappresentativo-parlamentare (nazionale o pseudo-europea che sia), e ancor più, proprio per l'affermazione della soft law come fonte privilegiata (qui, pp.2-3), al di fuori di qualsiasi parvenza della Rule of Law correttamente intesa (che i trattati europei sono geneticamente volti a forzare in una incessante opera autocreativa di diritto e di desovranizzazione privatizzante).
Lo stesso Kelsen, non a caso, indicava l'essenza fenomenologica della Costituzione nello stabilire la norma sulla normazione (o fonte sulle fonti), cioè nell'attribuzione ad un soggetto predeterminato del potere-competenza a dettare le norme giuridicamente vincolanti e gerarchicamente superiori: il che definisce anche la titolarità effettiva della stessa sovranità.
4. Perciò, proprio mentre partiti e massime istituzioni italiane, sono alle prese con quello che dovrebbe essere il momento di maggior delicatezza nella determinazione democratica dell'indirizzo politico, entra in vigore l'Addendum della BCE sui nuovi criteri di svalutazione dei crediti deteriorati. Come avevamo puntualmente anticipato (alla faccia della presa in giro delle "consultazioni"), sulla scontata adozione di una disciplina che mettesse sulla griglia specialmente (se non solo) l'Ital-tacchino, le svalutazioni, e quindi le conseguenti esigenze di ricapitalizzazione, operano anche "anche su npl derivanti da crediti già erogati".
Certo, poi si gioca sulle tortuose definizioni e postille contenute nell'Addendum per limitare il previsto impatto patrimoniale; ma si tratta di pie illusioni, considerate sia le obbligate riclassificazioni come NPL dei vasti debiti preesistenti unlikely to pay, che le diffusissime rinegoziazioni "novative" di vecchi crediti in sofferenza, con centinaia di migliaia di debitori in difficoltà, che inevitabilmente allargheranno, entro pochi mesi, l'ambito della discrezionalità assoluta che la vigilanza BCE si è riservata.
E questo, specialmente, se il "lo vuole l'€uropa" porterà, in un crescendo di minacciati o reali "stati di eccezione", alle manovre schiacciasassi di "austerità espansiva" che l'€uropa ci vuole imporre al più presto per ridurre il debito pubblico (aumentandolo puntualmente in rapporto al PIL) e, quindi, alla "vivace" ripresa di insolvenze di imprese e famiglie determinate dal consolidamento fiscale e dall'inevitabile inasprirsi del credit crunch.
5. Le ragioni per cui questi abitini (o camicie di forza) su misura per l'Italia sono entusiasticamente confezionati dalle potenze dominanti del processo europeistico (con la fondamentale compartecipazione delle nostre elites del Quarto Partito), vanno fatte risalire alla intollerabile efficienza del nostro modello socio-economico costituzionale nel garantire, nel dopoguerra (pur con alterne vicende, tipiche di tutto il "trentennio d'oro"), la crescita e l'importanza della nostra economia.
5.1. Ci aveva in proposito rammentato Arturo (che traduco):
Lato economico: europeismo “antirestrizionista” = neoliberismo (Caffè, 1945).
Lato politico: scaricare la colpa del conflitto sulla comunità sotto attacco, perché resiste o potrebbe resistere, è un espediente vecchio quanto l’imperialismo: diciamo dal dialogo dei Meli e degli Ateniesi in poi.
In ogni caso, commentando lo scritto di Keynes riportato nel post, Skidelsky osserva ("Keynes. The Return of the Master", Penguin, Londra, 2010, s.p.) che l'idea che la ‘globalizzazione’ possa condurre alla guerra, e che la "national self-sufficiency" alla pace, costituitiva naturalmente un completo ribaltamento dell'insegnamento tradizionale”; tuttavia, aggiungendo la citazione di questo passo, conclude che “Keynes era a favore di un internazionalismo qualificato”.
Lato economico: europeismo “antirestrizionista” = neoliberismo (Caffè, 1945).
Lato politico: scaricare la colpa del conflitto sulla comunità sotto attacco, perché resiste o potrebbe resistere, è un espediente vecchio quanto l’imperialismo: diciamo dal dialogo dei Meli e degli Ateniesi in poi.
In ogni caso, commentando lo scritto di Keynes riportato nel post, Skidelsky osserva ("Keynes. The Return of the Master", Penguin, Londra, 2010, s.p.) che l'idea che la ‘globalizzazione’ possa condurre alla guerra, e che la "national self-sufficiency" alla pace, costituitiva naturalmente un completo ribaltamento dell'insegnamento tradizionale”; tuttavia, aggiungendo la citazione di questo passo, conclude che “Keynes era a favore di un internazionalismo qualificato”.
Dico, ove mai qualcuno avesse avuto il sospetto che si debba “scegliere” fra l'art. 4 Cost. (cioè diritto al lavoro inteso dai Costituenti come obbligo del perseguimento di politiche effettive di piena occupazione) e l'art.11 Cost. (cioè adesione italiana alle organizzazioni internazionali solo per promuovere la pace e la giustizia tra le Nazioni e in rigorose condizioni di parità con gli altri Stati).
5.2. Sicchè, risulta poi importante precisare:
Ma a leggersi, ad es;, "La nascita dell'economia europea" di Eichengreen, se ne ricava che la scelta tra l'art.4 e l'art.11, fu invece fatta ab initio: si intese (almeno nella visione del nostro) la piena occupazione esattamente come quello spettro di cui Caffè parla in via di prevenzione (inascoltato), e l'apertura delle economie come garanzia di pace, nel senso di superamento delle ragioni di diffidenza francese nei confronti della Germania e del Regno Unito nei confronti di...tutti (significativa l'imposizione USA della convertibilità delle riserve, da cui la mitigazione obbligata del Piano Marshall).
Al di là della reinterpretazione neo-classica del trentennio d'oro, - e noi sappiamo quanto il Quarto Partito pesasse, proprio in Italia- la verità che è l'art.4 sul "diritto al lavoro", fu inteso da subito in senso "enfatico" - come ci ha ricordato Francesco nell'analisi storica delle decisioni della Corte costituzionale-, e la cooperazione economica =pace, (soltanto) come apertura progressiva dei mercati.
Si può però dire che in Italia si verificò un'anomalia: l'industria pubblica funzionò molto meglio di quanto i modelli di crescita US-imported prevedessero e sviluppò competitività, ricerca e innovazione contro ogni di ESSI logica (qui, pp.4-5, cioè Caffè e De Cecco).
E, inoltre, consentì una ragionevole stabilizzazione salariale verso "l'alto", che faceva crescere domanda interna e investimenti dei privati "incubando" la vitalità produttiva delle PMI italiane (qui, v. Addendum).
Insomma, l'Italia, proprio l'Italia, era un'eccezione imperdonabile, perché dimostrava che, nonostante le interpretazioni di art.4 e art.11, la connessione di tali previsioni (ben chiara ai Costituenti) con il resto della Costituzione economica, operasse nel senso della crescita.
E non ci sarà mai più perdonato..."
Al di là della reinterpretazione neo-classica del trentennio d'oro, - e noi sappiamo quanto il Quarto Partito pesasse, proprio in Italia- la verità che è l'art.4 sul "diritto al lavoro", fu inteso da subito in senso "enfatico" - come ci ha ricordato Francesco nell'analisi storica delle decisioni della Corte costituzionale-, e la cooperazione economica =pace, (soltanto) come apertura progressiva dei mercati.
Si può però dire che in Italia si verificò un'anomalia: l'industria pubblica funzionò molto meglio di quanto i modelli di crescita US-imported prevedessero e sviluppò competitività, ricerca e innovazione contro ogni di ESSI logica (qui, pp.4-5, cioè Caffè e De Cecco).
E, inoltre, consentì una ragionevole stabilizzazione salariale verso "l'alto", che faceva crescere domanda interna e investimenti dei privati "incubando" la vitalità produttiva delle PMI italiane (qui, v. Addendum).
Insomma, l'Italia, proprio l'Italia, era un'eccezione imperdonabile, perché dimostrava che, nonostante le interpretazioni di art.4 e art.11, la connessione di tali previsioni (ben chiara ai Costituenti) con il resto della Costituzione economica, operasse nel senso della crescita.
E non ci sarà mai più perdonato..."
6. Questa situazione gravissima, direttamente discendente dal pilota automatico e dalla €-fonte sulle fonti che ha GIA' desovranizzato la Repubblica italiana fondata sul lavoro, incombe come una spada di Damocle, lasciata lì, con nonchalance, a costante memento sui partiti affaccendati in complesse trattative: ma sia chiaro, ci dice l'€uropa, lo sceriffo è sempre lo stesso. Qualunque cosa possiate concepire, "la guerra continua".
Le riforme strutturali, cioè la distruzione del welfare e della tutela del lavoro, proseguiranno perché non avete scelta.
E il vero problemaè che la schiacciante maggioranza delle forze politiche o non se ne vuole rendere conto, o, addirittura,è d'accordo. Peraltro d'accordo, in modo bipartisan (o multipartisan).