Diciamo subito che questo post è meglio comprensibile per chi si sia (almeno) letto il post sulla dottrina delle banche centrali indipendenti nonchè quello sul sindacato di costituzionalità delle leggi in materia finanziaria.
Sulla scorta di queste premesse ci accingiamo a commentare l'articolo in prima pagina del Financial Times odierno, intitolato "Fed keeps its foot on the QE pedal" ("La Fed continua a tenere il piede sul pedale del quantitative easing", cioè dell'immissione di liquidità nel sistema economico USA...e, come abbiamo visto, non solo USA).
L'articolo parte da questo enunciato, relativo al terzo "round" di QE, ma avverte che si registra un "leggero" cambiamento di linguaggio per sottolineare i suoi "costs and risks".
Cerchiamo di capire perchè (visto che il FT si guarda bene dal dirlo con chiarezza).
La prosecuzione degli acquisti di "assets" (tendenzialmente treasury bond) per 85 miliardi di dollari al mese, insieme col mantenimento di bassi tassi di interesse, è infatti funzionale alla caduta della disoccupazione dal 7,7% al 6,5%.
Noi abbiamo visto come, nella teoria keynesiana la "curva" IS, cioè quella di trasformazione del risparmio in investimento, con conseguente espansione della produzione e quindi dell'occupazione, sia assunta come essenzialmente rigida: cioè abbassandosi il tasso di interesse aumenta la domanda di moneta (curva LM tendenzialmente elastica) ma non necessariamente si ottiene un aumento di investimenti e occupazione.
Per sbloccare questo fenomeno Keynes suggeriva la soluzione dell'intervento pubblico.
La Fed è, si dice, tutt'ora variamente legata a teorie monetaristiche (per le quali l'offerta di moneta in eccesso è causa dell'inflazione e quest'ultima determina solo variazioni nominali degli indicatori del PIL, allontanando il riequilibrio naturale del sistema, compreso quello del livello di occupazione di equilibrio) o neo-macroeconomiche-classiche/neo-keynesiane (per cui ciò che traina la crescita reale è l'equilibrio determinato da aspettative di bassa o comunque invariata inflazione e, al più, si ammette, in presenza di calo dell'inflazione il c.d. "effetto saldi reali" che stimola gli investimenti in funzione di una maggior effettiva disponibilità di valore monetario).
Ma ora, col suo "leggero cambiamento di linguaggio", preannunzia di essere cosciente delle difficoltà di ottenere dei "progressi verso i suoi obiettivi economici" (cioè il predetto calo della disoccupazione) non a causa dell'inflazione, ma, (come "vagamente" riportato nell'articolo), proprio a causa della restrizione nella spesa pubblica!
Vediamo a cosa si riferisca la Fed e in che cornice previsionale.
Il suo Statement riassume "costs and benefits" della prosecuzione della politica monetaria espansiva: "il mercato del lavoro ha mostrato segni di miglioramento e il settore immobiliare si è ulteriormente rafforzato". Tanto che la Fed (per voce del suo Federal Open Market Commitee), "continua a vedere rischi in riduzione e abbandona", persino, "la precedente perplessità circa tensioni nel mercato finanziario globale, nonostante la situazione a Cipro".
Cioè la stima dell'impatto di tale crisi (regionale) pare riferita, implicitamente e con visibile diplomazia, a una questione politica "minore" tra UE (rectius Germania) e Russia. Quindi non attualmente preoccupante, dato che parrebbe ipotizzabile un chiarimento su cosa sia consentito fare e cosa no alla potenza occidentale europea egemone rispetto a quella europeo-orientale.
Quanto ai rischi, e qui viene il bello, il mancato accordo (c.d fiscal cliff) sul modo di realizzare il contenimento del deficit, tra Casa Bianca e Congresso, ha, com'è noto, impedito un programma di copertura del deficit con una rimodulazione della tassazione (a carico dei contribuenti più abbienti come avrebbe voluto Obama), portando a tagli nella spesa pubblica, indiscriminati e lineari: da ciò la Fed trae la valutazione di una "politica fiscale più restrittiva".
Trattato delle perdite dovute al calo del corso del dollaro innescate da tale "restrictive fiscal policy", in quanto influenti sui rendimenti dei bond, e ritenutele comunque "limitate", la Fed affronta poi la sua previsione di crescita 2013, tagliandola dal 2,7 al 2,6% (con una piccola riduzione anche per il 2014).
Ciononostante, la previsione sulla disoccupazione è positiva: essa "è caduta più velocemente del previsto. Ed infatti, si prevede un 7,4% alla fine del 2013, rispetto ad una originaria previsione al 7,6%" (Cioè in origine, si prevedeva che sarebbe bastata una inversione del trend negativo della disoccupazione, ancorchè segnato dalla sua pratica stabilità).
Ma perchè questo? Dobbiamo andare indietro alle politiche preannunziate e comunque varate da Obama nel 2012 (certamente anche in vista della rielezione).
In questo post di Flavio si era citato questo articolo, dove si diceva:
"American exports increased by $8.6 billion in December over the year-ago month, lifted by sales of industrial supplies, including a $1.2 billion rise from November in nonmonetary gold.
Reflecting the country’s current boom in oil and natural gas, petroleum exports rose by nearly $1 billion during the month to a record high.
A fall in petroleum purchases led overall imports to decline by $4.6 billion in December from the year-ago period. For the entire year, the country’s imports of crude oil fell to their lowest levels since 1997 in terms of volume.
Stocks prices on American exchanges rose as investors took note of the strong trade data, which included the United States figures as well as readings showing stronger exports and imports in China during January.
For all of 2012, the United States trade gap shrank by 3.5 percent, to $540.4 billion. Running trade deficits means the country loses dollars, which drags on the economy; rising exports reduce that effect."
Ebbene, al di là del boom di "oil and natural gas" (che certo non guasta), quello che colpisce è l'incremento delle "sales of industrial supplies", cioè il rafforzamento dei dati della bilancia commerciale, il cui deficit si contrae, grazie alla rinnovata fiducia degli investitori nel proprio sistema industriale.
Ciò conferma, come vedete, l'elementare principio che se si innalza la produzione industriale e il conseguente export, si riduce l'effetto di perdita di liquidità a favore dell'estero.
Ma come si è realizzata questa ripresa della produzione e dell'export?
In una certa misura, indubbiamente, influisce il clima determinato dal QE (anche nei suoi precedenti 2010-2012, di politica di espansione della liquidità) e quindi, principalmente, il non rafforzamento del dollaro sul mercato dei cambi valutari, nonostante appunto la crescente offerta di moneta.
Da notare, poi, che sull'attuale QE-Fed, quest'ultima, tralasciando ogni traccia di monetarismo militante (alla Friedman) ci dice che si attende "una piccola variazione delle previsioni inflattive, con una crescita dei prezzi che rimarrà al di sotto dell'obiettivo di lungo periodo del 2% per il 2013, 2014 e il 2015".
Ma, per dipanare il vero "scenario" che sta guidando le previsioni e le stesse azioni della Fed, dobbiamo invece prendere atto che dietro alla crescita di produzione industriale e occupazione c'è la spesa pubblica (aggiuntiva) e quindi il moltiplicatore fiscale.
Questa verità alquanto semplice, e molto Keynesiana, non è enunciata con chiarezza nell'articolo del FT: però certamente data come presupposto della sua analisi dalla stessa Fed.
Dunque, a monte di tutto, c'è stato l'intervento della spesa pubblica, il c.d stimolo fiscale, come avevamo visto qui (sempre grazie alla accurata ricostruzione di Flavio):
"Cifre invece a sei o nove zeri rappresentati dagli incentivi alle imprese, come quantifica il Sole24 ore...
Vale a dire: 80 miliardi di dollari ed “una rete di 1800 programmi gestiti da enti locali… mettendo a disposizione edifici, regalando servizi, pagando costi di qualificazione della manodopera e cancellando imposte locali” sono una delle “cause” del rimpatrio dall’estero delle aziende americane delocalizzate negli ultimi decenni. come illustra la seguente mappa, attirate da ben 18miliardi di tagli alle tasse sul reddito e 52 miliardi di riduzione delle tasse sulle vendite.
Numeri impressionanti: sgravi fiscali trentennali alla Nike in Oregon, 22milioni a Twitter da San Francisco, 1,77 miliardi da vari stati alla GM, 381 milioni la General Electric, 338 la Boeing, 200 milioni la Caterpillar."
Insomma, in conclusione anche nell'ex tempio della politica monetaria si comprende che quest'ultima non basta...e che tantomeno essa debba essere solo attenta alla variazione dell'offerta di moneta per prevenire l'inflazione, che come abbiamo visto rimane alquanto "fredda".
Piuttosto: la curva IS è veramente "rigida" come diceva Keynes e non c'è modo di attivare investimenti spontanei, e quindi trends di crescita industriale e occupazionale basandosi solo sulla politica monetaria "credibile" (cioè finalizzata solo a controllare l'inflazione e a lasciar agire le "aspettative razionali", come si crede ancor oggi a Bundesbank...che poi è la BCE...o viceversa).
Ovviamente, l'intervento pubblico nel rilancio dell'economia è spesa pubblica. E' occupazione. E' anche crescita delle esportazioni.
Certo la politica monetaria espansiva aiuta, abbassando i tassi di interesse, ma la stessa Fed sa come stanno veramente le cose.
E non è certo l'indipendenza della Banca centrale a venire in gioco.
Al contrario, è proprio la sua cooperazione col governo nel fare ciò che è esattamente e dogmaticamente avversato in Europa: emettere nuova liquidità per acquistare i titoli del debito pubblico corrispondenti al deficit aggiuntivo determinato dalla stessa spesa pubblica.
E' proprio questo che consente di avere positivi effetti sull'occupazione: non certo il riequilibrio "naturale" delle politiche monetarie restrittive "credibili" in funzione antiinflattiva.
Ma è sempre per questo che la Fed mostra un linguaggio prudenziale "nuovo" rispetto agli effetti del QE: è consapevole che sarà tanto più efficace quanto più esso potrà accompagnare una politica di spesa espansiva e non restrittiva.
Ma è sempre per questo che la Fed mostra un linguaggio prudenziale "nuovo" rispetto agli effetti del QE: è consapevole che sarà tanto più efficace quanto più esso potrà accompagnare una politica di spesa espansiva e non restrittiva.
I fatti, as always, danno ragione a Keynes.
Mentre invece Monti, Draghi e Weidmann hanno, contro le loro teorie, il peso dei risultati negativi: ostinatamente negativi.