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LA COSTITUZIONE E IL "PUNTO DI NON RITORNO": EURO E PAREGGIO DI BILANCIO COME VINCOLI RADICALMENTE INCOSTITUZIONALI

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Vincenzo Caianielloè stato uno dei più grandi giuristi della parte finale del secolo scorso. Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, fu poi giudice e presidente della Corte costituzionale, fino a essere nominato ministro di Giustizia nel governo Dini. Questo suo scritto del 2001, mostra la sua consapevolezza della clamorosa difettosità della costruzione europea.
In particolare anticipa, ragionando in modo lineare su principi di teoria generale del diritto costituzionale, le enormi problematiche cui avrebbe portato una UE basata solo sulla moneta unica, forzata nei fatti senza alcun ancoraggio ad un governo federale, sul piano della tutela dei diritti fondamentali.
Posto solo sul piano logico-giuridico del concetto di sovranità correttamente inteso, il dubbio che lui manifesta nel 2001, pur avulso dalla conoscenza economica di come avrebbe dovuto funzionare un'area valutaria ottimale, si pone in parallelo con l'analisi compiuta nel 1992 da Wynne Godley sulla insosteniblità di un'OCA-moneta unica basata sulla sola BCE e priva di governo federale dotato di bilancio, che potesse effettuare gli indispensabili trasferimenti verso le aree con divergenti indicatori di crescita economica.
Se Caianiello avesse potuto assistere ai successivi sviluppi dell'integrazione europea fondata sulla sola sovranità monetaria "anomala", avrebbe senz'altro segnalato quel vizio di illegittimità costituzionale generale di una politica monetaria e fiscale che non ha un "titolare sovrano" riconoscibile nemmeno in termini giuridici e, quindi, democratici, ma che pretende di imporsi sulle Costituzioni e sui diritti fondamentali, da esse sanciti come obiettivi di tutela irrinuciabili.

Del lavoro di Caianiello riportiamo e commentiamo i brani più importanti:  
Può certo apparire una contraddizione in termini la Sovranità- termine con il quale, per dirla con Bodin, si esprime l'idea di Potere supremo- con la possibilità che essa possa essere scavalcata dall'esterno da organismi capaci di vincolare con immediatezza i cittadini degli Stati europei, ma, per cercare di capire il fenomeno, dobbiamo chiederci se ed in qual modo possa parlarsi di Sovranità con riferimento all'Unione europea, punto sul quale ferve il dibattito sia tra gli internazionalisti che tra i costituzionalisti, i cultori della dottrina dello Stato, gli stessi filosofi del diritto.
Ma qualora dovesse escludersi che alla rinuncia di porzioni della propria Sovranità da parte dei singoli Stati dell'Unione corrisponda, qualitativamente e quantitativamente, una pari "aggregazione" di Sovranità in capo all'Unione rimarrebbe pur sempre da chiedersi se mancando essa sia appropriato parlare di Costituzione europea con lo stesso significato e la stessa forza di cui ne parliamo quando la riferiamo agli Stati nazionali, dato che almeno nel mondo occidentale, in base all'esperienza storica del costituzionalismo moderno, siamo abituati ad associare il concetto di Costituzione a quello di Sovranità ed entrambi i concetti all'idea di Stato.
Già questo passaggio conferma ciò che si è espresso in questo post, dove si è ribadito, alla luce dello stesso Trattato di Lisbona come esso non potesse qualificarsi in modo diverso da un comune trattato relativo ad un'organizzazione internazionale. Un'organizzazione internazionale avente fini specifici relativi alla gestione di aspetti prettamente economici, cioè monetari e fiscali, della permanente sovranità degli Stati.
Cioè le limitazioni di sovranità, nel senso indicato da Cainiello, sono solo circoscritte e funzionali a certi obiettivi, senza che questi possano mai prevalere su quelli sanciti dalle Costituzioni, cioè sull'essenza della sovranità in senso proprio che rimarrebbe intatta e sempre riespandibile in caso di "incompatibilità" con gli obiettivi di tali trattati internazionali.

Come tutti sanno negli Stati nazionali la Sovranità, secondo la teoria istituzionistica degli ordinamenti, fin dal momento genetico è autoreferente ed appartiene perciò a titolo originario allo Stato per cui il Potere costituente è già esso stesso diritto, legittimandosi da sé come momento autorganizzativo che dà vita alla Costituzione del corpo sociale nel quale si esprime. L'atto costitutivo delle Comunità economiche prima, della Comunità europea poi, ed infine dell'Unione europea non è originario nel senso anzidetto, ma derivato dalla Sovranità degli Stati che vi hanno dato vita per cui "la loro origine e unicamente pattizia, non già sociale come invece quella delle comunità storiche"(R. Monaco).
Questa chiara definizione di Sovranità originaria e "derivata" conferma senza ombra di equivoco quanto qui sostenuto. Il che ci conforta, perchè la nostra esposizione del problema è stata operata indipendentemente dalla conoscenza dello scritto di questo massimo esperto della materia costituzionale.

Di conseguenza, muovendo dall'osservazione che sulla base dell'esperienza storica moderna le Costituzioni in senso forte sono il prodotto di un Potere costituente autoreferente, a partire dalla Gloriosa Rivoluzione inglese del 1688, alla Costituzione americana del 1786, alla Rivoluzione francese del 1789 ed agli eventi che seguirono a quest'ultima, tutte vicende che costituiscono il laboratorio del costituzionalismo liberale, lascia perplessi l'idea che una Costituzione intesa come espressione di Potere costituente possa provenire da una fonte pattizia intercorsa fra Stati sovrani, e che quindi sia frutto di un Potere giuridico costituito.
Se la fonte è pattizia la volontà manifestata dagli autori del Patto essi potrebbero sempre revocarla e questa sola eventualità non attribuisce alla Costituzione che nasce in quel modo la stessa forza che hanno le Costituzioni politiche che sono il prodotto di un Potere costituente originario ed autoreferente.
Sul piano della teoria generale costituzionale, è palese come la cessione di sovranità all'UE sia solo presunta, giuridicamente inconfigurabile, e quindi reversibile per definizione. Come abbiamo affermato qui, confermando con puntuali disposizioni del diritto generale dei trattati, cioè della Convenzione di Vienna, tale pacifica conclusione.

Siamo consapevoli che una posizione del genere potrebbe essere accusata di seguire la logica di Don Ferrante per negare l'evidenza e sostenere, che essa, non essendo né forma né materia, non può esistere anche se nella realtà dovesse imporsi con la forza e l'effettività che hanno connotato fino ad oggi le Costituzioni degli Stati sovrani, assolvendo al loro stesso ruolo e primo fra tutti a quello della tutela dei diritti umani. Quello che conta è che il lungo parlare di una Costituzione europea possa contribuire ad accelerare il processo verso il traguardo di uno Stato federale con poteri tali da garantire i diritti inviolabili del cittadino europeo, o se invece ci sia il rischio di pervenire ad un traguardo puramente apparente, il che darebbe ragione agli scettici i quali pensano che al massimo la Costituzione europea potrà avere un significato simbolico, mentre dal punto di vista della effettività in realtà sarà una Carta senza diritti.
Sì: quello che paventava Caianiello è esattamente ciò che è avvenuto.
La "pretesa" Costituzione UE non ha neppure tentato di raggiungere alcuna "effettività" (cioè azione concreta di tale estensione e reiterazione da affermarsi come diritto "vivente") nel campo della tutela dei diritti umani.
Anzi, richiamando tali diritti come mera clausola di stile, lo stesso Trattato sull'Unione europea, si affretta a precisare che il riconoscimento dei diritti e delle libertà, sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, sia l'adesione dell'Unione stessa alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, "non estendono e non modificano in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati" (art.6, par.1 e 2).
Particolarmente ambiguo è il par.3 dell'art.6 in cui si dice che "i diritti fondamentali garantiti" dalla predetta Convenzione, e "dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali".
Cioè non in quanto "principi fondamentali", ma solo come norme integrative residuali, e quindi subordinate, che verrebbero in rilievo solo in caso di lacune delle fonti europee, cioè direttive e regolamenti.
La Corte di Giustizia europea ha, invece, costantemente visto queste fonti europee come complete, inoppugnabili e integrabili all'interno del solo diritto (economico-finanziario) europeo.
E cioè, ignorando a piè pari ogni preoccupazione sui diritti fondamentali, sempre nell'ambito dei principi fondamentali dei Trattati, aventi natura prettamente economico-fiscale: cioè la stabilità dei prezzi, la stabilità finanziaria (cioè la garanzia dei creditori finanziari), e la forte competizione sul mercato.
Insieme di principi che disegna un concetto di "piena occupazione", in senso neo-classico, come livello di occupazione "naturale" a ciascun momento di equilibrio generale tra domanda e offerta: il che significa che qualsiasi livello di disoccupazione è piena occupazione purchè siano perseguiti stabilità dei prezzi, stabilità finanziaria e forte competizione.
In tale visione, pertanto, esplicitamente, in base alle clausole "fondamentali"  contenute nell'art. 3 del Trattato sull'Unione europea, l'occupazione e la tutela del lavoro, e ogni altro diritto sociale, sono obiettivi subordinati, eventuali e recessivi di fronte ai valori supremi dell'Unione.
Ciò che configura, alla luce della innegabile interpretazione che è stata assunta univocamente da tutte le istituzioni UE-UEM, la radicale incompatibilità dei trattati con la sovranità delle Costituzioni, cioè un contrasto ormai evidente, insanabile e ostentamente acuito

L'interrogativo di fondo è dunque di sapere se si potrà parlare di una Costituzione europea vera e propria solo quando sia espressione di una organizzazione politica caratterizzata da qualcosa di molto simile a quella che relativamente agli Stati nazionali siamo abituati a considerare la Sovranità, oppure se potremo considerare tale anche una Carta di diritti che sia espressione di una entità politica di fonte pattizia e quindi non originaria, bensì derivata dall'incontro di Sovranità che continuano a risiedere altrove, la quale possa servire da volano per la nascita di uno Stato federale caratterizzato da una Sovranità propria, che abbia come punto di riferimento il Popolo ed il cittadino europeo.
Anche questo quesito, nella brutalità delle politiche delle istituzioni UE-UEM, ha avuto risposta negativa: nessuno Stato federale ha visto la sua nascita e, anzi, la Germania e i suoi paesi satelliti, considerano tale prospettiva come impraticabile, non volendo in alcun modo sottoporsi ai costi di "solidarietà fiscale" che ciò comporterebbe. Il che ci chiarisce, senza ombra di dubbio, che le Costituzioni rimangono costantemente violate di fronte ad ogni forma di esercizio della politica monetaria e fiscale facente capo alle istituzioni UE-UEM, che negano radicalmente la perseguibilità dei diritti e dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzioni.

In proposito ci sembra utile il paragone con la vicenda della moneta unica, l'Euro, muovendo dalla considerazione che fino ad un certo punto si era creduto che quello di battere moneta fosse espressione della Sovranità, anche se intesa con significati diversi a seconda delle varie epoche storiche, ma intesa nella sostanza come Potere supremo di una organizzazione politica su di un territorio. Se fossimo rimasti ancorati a questa concezione non avremmo avuto (ancora ?) la moneta unica ed il processo di integrazione europea avrebbe certamente segnato ancor più il passo.
La vicenda si è sviluppata invece in modo diverso, come tutti sappiamo, perché si è dato corso all' unificazione della moneta europea senza essere certi che essa potesse avere la stessa forza e la stessa credibilità che è stata propria delle monete nazionali.
La debolezza dell'euro manifestatasi in questi primi anni di vita rispetto alla divisa americana e la sua incapacità a fungere nel mercato internazionale da mezzo di scambio alternativo al dollaro, secondo molti dipende proprio dal fatto di non avere alle spalle uno Stato Sovrano che ne garantisca la credibilità, ma si è parimenti convinti che l'istituzione dell'euro abbia comunque segnato un punto di non ritorno, rendendo quanto meno irreversibile il processo di unificazione, nonché ad innescare un circolo virtuoso, nella consapevolezza che l'unica strada per uscire dal guado è quella di andare avanti. Sarebbe difatti disastroso, non solo per i Paesi che dovessero ritirarsi dalla moneta unica ma per l'intero sistema monetario del mondo occidentale, tornare alle monete nazionali, una volta che l'economia europea e mondiale si è già assestata intorno al sistema monetario unico. Questo punto di non ritorno rende irreversibile il processo di integrazione ed avvicina la meta di uno Stato federale avente caratteristiche analoghe a quella Sovranità che finora è stato patrimonio esclusivo degli Stati nazionali.
Qui traspare la consapevolezza del salto nel buio dell'euro, ma dovendosi risalire al 2001, non era ancora chiaro, specialmente ai giuristi, come tale difetto genetico di fondamento della sovranità, avrebbe interferito irresistibilmente sui diritti fondamentali e sulla operatività stessa delle Costituzioni.
Il "punto di non ritorno", impersonalmente riportato da Caianiello, cioè come registrazione di una opinione comune dei propugnatori dell'euro, a ben vedere, non è più tale se si fosse chiarito ai giuristi da parte degli economisti, le ricadute della moneta unica sui diritti fondamentali: cioè come questa, coi suoi vincoli di cambio, con la permanenza degli effetti dei tassi di cambio reale e con gli assurdi vincoli di indebitamento e di ammontare del debito, avrebbe significato disattivazione e riduzione a meramente eventuali dei compiti costituzionali statali di intervento a sostegno della società, nel perseguimento dei diritti fondamentali (lavoro, salute, istruzione, servizi pubblici).

Trasponendo le stesse considerazioni al tema dei diritti umani- che trovano espressione puntuale nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea solennemente proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 - sappiamo che in questa occasione ci si è fermati ad una tappa meramente enunciativa, rinviando al 2004 la decisione se sul se essa debba assumere il valore di Costituzione. Insomma, per i diritti fondamentali non si è avuta (ancora?) la forza di fare quello che si è fatto per la moneta unica , forse nel timore che il darle il valore di Costituzione avrebbe significato fin da ora un' implicita affermazione di Sovranità che ci avrebbe condotto a pochi passi dalla nascita di uno Stato federale: e di questo non tutti i Governi europei sono (ancora ?) convinti.
Il futuro dirà se questa battuta di arresto in omaggio alla Sovranità degli Stati nazionali possa definitivamente far ritenere chiusa la partita, mentre sarebbe stato meglio dar vita subito, sia pur con una fonte pattizia, ad una Costituzione vera e propria avente come funzione essenziale la tutela dei diritti fondamentali di tutti i cittadini dell'Unione, in vista dell'ingresso in essa di quei Paesi solo da poco restituiti alla democrazia ed alla libertà.
Nel 2004, però, non si è proceduto a nessuna attribuzione di valore cogente al perseguimento dei diritti umani da parte dell'Unione, come abbiamo visto in base al chiarissimo enunciato riduttivo e pilatesco dell'art.6 TUE.
La sovranità degli Stati, nella stessa logica ineccepibile di Caianiello, permane, ma le istituzioni UE-UEM la calpestano in base a puri rapporti di forza economica, sancita nella formula "fiducia degli investitori esteri", (derivante dall'applicazione radicale della dottrina della BCE indipendente e unica istituzione UEM realmente operativa): anzi, vicende come quella portoghese, dimostrano come questa permanente sovranità sia addirittura avversata e calpestata senza mezzi termini da parte di organismi privi di qualunque legittimazione a farlo.
E l'inserimento del "pareggio di bilancio" in Costituzione da parte dell'Italia (e di altri, ma non della Germania!), ne è una conferma eversiva.
Si tratta della pratica e inavvertita disattivazione di gran parte della rimanente Sovranità costituzionale dello Stato, in base ad una fonte spuria, costituzionalmente illegittima e persino giuridicamente inefficace e incompatibile con gli stessi superiori trattati UE a cui si richiama contraddittoriamente.
E se ne stanno accorgendo in molti, anche in Italia: l'ex presidente della Corte dei Conti, Manin Carabba, ha proprio in questi giorni affermato ""Considero abnorme e inaccettabile che il principio del pareggio di bilancio debba prevalere su ogni diritto dei cittadini costituzionalmente garantito e sostengo l’esigenza di creare uno ‘statuto del welfare’ che stabilisca diritti e doveri per i cittadini e per i soggetti pubblici".

A seguire le limpide osservazioni anticipatrici di Caianiello, non ci sarebbe bisogno di alcun "Statuto" che ribadisca ciò che nella Costituzione sovrana è già chiaramente affermato: basta espungere il pareggio di bilancio come norma di revisione costituzionale contraria ai principi immutabili della Repubblica ai sensi degli artt. 139 e 11 Cost.

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