Perchè una moneta unica, cioè comune a più Stati caratterizzati da distinta sovranità per soggettività giuridica di diritto internazionale, possa condurre a una "economia" comune, non dovrebbero più aversi distinte bilance dei pagamenti. Cioè un current account balance ancora calcolato nella sua effettiva rilevanza economica, registrabile in tutti i suoi riflessi: andamento dei tassi di cambio reale, posizione debitoria su un "estero" che continua a includere i paesi aderenti alla stessa moneta unica, livelli di rendimento nella collocazione del rispettivo debito sovrano, differenti afflussi di liquidità da un paese all'altro e potere monetario che tenga conto delle esigenze che derivano da questo (ben preventivabile) fenomeno.
Questa, dopo qualche anno di dibattito innescato dalla c.d. euro-crisi, o crisi dei debiti sovrani europei, parrebbe quasi un'ovvietà.
Ma il problema di fondo rimane.
La irrilevanza economica della rispettiva bilancia dei pagamenti scaturirebbe dalla previsione, come meccanismo indispensabile e strutturato all'interno del trattato (di diritto internazionale) istitutivo della moneta comune, di trasferimenti automatici ai paesi con maggior squilibrio monetario e commerciale dai partner in "attivo" della stessa area valutaria.
Il che, com'è altrettanto noto, potrebbe essere gestito solo da un governo federale, cioè espressione di una unificazione che, arrivando al livello fiscale, cioè di bilancio pubblico altrettanto comune ai vari Stati, segnerebbe anche una unificazione politica e, in definitiva, una nuova soggettività (più che meramente cumulativa) di diritto internazionale.
Il che poi coincide(rebbe) con la nascita dell'Europa. Quella effettiva, non quella prefigurata dai banchieri come programmatica "shock economy" che costringesse a "ulteriori passi", essenzialmente a colpi di deflazione salariale. Seguendo pedissequamente la ricetta di Von Hayek.
Ebbene, se c'è una cosa chiara in questi frangenti storici europei, è che ciò non può essere realizzato.
Per il semplice fatto che il paese con la posizione estera attiva più importante - e commercialmente dominatore dell'area- non ha convenienza a farlo e utilizza una posizione politica di preminenza ormai sempre più forte, per impedire questa (molto teorica) soluzione: la Germania controlla "l'agenda" dell'eurozona e decide a suo piacimento i temi che possono o non possono essere presi in esame e in che termini. Con la sollecita e supina accettazione da parte delle istituzioni europee (forse con l'eccezione del commissario agli affari sociali Lazslo Andor).
Ma ci soccorre Draghi, che, formalmente addolorato del costo sociale della crisi, finisce poi, con una più realistica e sintomatica "eruzione" di verità, per considerare la recessione come un rischio prioritario, per un peculiare suo effetto: soltanto una volta che metta in pericolo l'amato sistema bancario (che ha imposto questa situazione e questa politica, di deleverage tutorio delle sue stesse posizioni creditizie):"The head of the European Central Bank says the region's persistent recession is weakening its banking system and is the most pressing risk it currently faces".
Questa potrebbe essere la paradossale "via di salvazione mediante le opere" in vista della fine dell'euro, cioè la ragione sostanziale della presa d'atto della sua insostenibilità.
Intanto i francesi continuano lo shopping in Italia, col caso Loro Piana. Pur versando in condizioni di offerta e di difficoltà di cambio forse peggiori delle nostre, hanno il vantaggio di non soffrire, misteriosamente, dello stesso "credit crunch". Il mistero (buffo) è svelato comprendendo la vistosa "eccezione" politica che i tedeschi, per ora, ancora concedono ai transalpini: basti rammentare i fiumi di liquidità, ben oltre il controllo della BCE che in Francia vengono creati con il sistema Euroclear-STEP, tutto controllato da Banque de France, senza molta interferenza della BCE.
Ma non basterà per salvare l'euro dal rischio bancario della recessione sventatamente provocata dalle politiche fiscali imposte di chi adesso ne paventa gli effetti. Ma basterà per creare la colonizzazione industriale di quel che resta dell'Italia.
Aveva ragione Minsky: l'intermediazione finanziaria e la sua logica speculativa di breve periodo altera la stessa funzionalità dell'industria e le sue prospettive di investimento basato sulla capitalizzazione di profitti che non possono razionalmente realizzarsi senza una domanda che non sia repressa dai decrescenti livelli salariali reali. La teoria di Von Hayek per cui la recessione è in realtà una cura per eliminare le distorsioni che si sono accumulate durante il boom e che le risorse sprecate in usi improduttivi finiscono invariabilmente per essere liberate e trasferite in settori in cui esiste una domanda reale e sostenibile, ignora la realtà bancario-finanziaria del capitalismo, una volta liberato dell'odiato controllo dello Stato-arbitro.
E di questo "principio di realtà" persino Draghi deve iniziare a rendere conto.
Questa, dopo qualche anno di dibattito innescato dalla c.d. euro-crisi, o crisi dei debiti sovrani europei, parrebbe quasi un'ovvietà.
Ma il problema di fondo rimane.
La irrilevanza economica della rispettiva bilancia dei pagamenti scaturirebbe dalla previsione, come meccanismo indispensabile e strutturato all'interno del trattato (di diritto internazionale) istitutivo della moneta comune, di trasferimenti automatici ai paesi con maggior squilibrio monetario e commerciale dai partner in "attivo" della stessa area valutaria.
Il che, com'è altrettanto noto, potrebbe essere gestito solo da un governo federale, cioè espressione di una unificazione che, arrivando al livello fiscale, cioè di bilancio pubblico altrettanto comune ai vari Stati, segnerebbe anche una unificazione politica e, in definitiva, una nuova soggettività (più che meramente cumulativa) di diritto internazionale.
Il che poi coincide(rebbe) con la nascita dell'Europa. Quella effettiva, non quella prefigurata dai banchieri come programmatica "shock economy" che costringesse a "ulteriori passi", essenzialmente a colpi di deflazione salariale. Seguendo pedissequamente la ricetta di Von Hayek.
Ebbene, se c'è una cosa chiara in questi frangenti storici europei, è che ciò non può essere realizzato.
Per il semplice fatto che il paese con la posizione estera attiva più importante - e commercialmente dominatore dell'area- non ha convenienza a farlo e utilizza una posizione politica di preminenza ormai sempre più forte, per impedire questa (molto teorica) soluzione: la Germania controlla "l'agenda" dell'eurozona e decide a suo piacimento i temi che possono o non possono essere presi in esame e in che termini. Con la sollecita e supina accettazione da parte delle istituzioni europee (forse con l'eccezione del commissario agli affari sociali Lazslo Andor).
Ma ci soccorre Draghi, che, formalmente addolorato del costo sociale della crisi, finisce poi, con una più realistica e sintomatica "eruzione" di verità, per considerare la recessione come un rischio prioritario, per un peculiare suo effetto: soltanto una volta che metta in pericolo l'amato sistema bancario (che ha imposto questa situazione e questa politica, di deleverage tutorio delle sue stesse posizioni creditizie):"The head of the European Central Bank says the region's persistent recession is weakening its banking system and is the most pressing risk it currently faces".
Questa potrebbe essere la paradossale "via di salvazione mediante le opere" in vista della fine dell'euro, cioè la ragione sostanziale della presa d'atto della sua insostenibilità.
Intanto i francesi continuano lo shopping in Italia, col caso Loro Piana. Pur versando in condizioni di offerta e di difficoltà di cambio forse peggiori delle nostre, hanno il vantaggio di non soffrire, misteriosamente, dello stesso "credit crunch". Il mistero (buffo) è svelato comprendendo la vistosa "eccezione" politica che i tedeschi, per ora, ancora concedono ai transalpini: basti rammentare i fiumi di liquidità, ben oltre il controllo della BCE che in Francia vengono creati con il sistema Euroclear-STEP, tutto controllato da Banque de France, senza molta interferenza della BCE.
Ma non basterà per salvare l'euro dal rischio bancario della recessione sventatamente provocata dalle politiche fiscali imposte di chi adesso ne paventa gli effetti. Ma basterà per creare la colonizzazione industriale di quel che resta dell'Italia.
Aveva ragione Minsky: l'intermediazione finanziaria e la sua logica speculativa di breve periodo altera la stessa funzionalità dell'industria e le sue prospettive di investimento basato sulla capitalizzazione di profitti che non possono razionalmente realizzarsi senza una domanda che non sia repressa dai decrescenti livelli salariali reali. La teoria di Von Hayek per cui la recessione è in realtà una cura per eliminare le distorsioni che si sono accumulate durante il boom e che le risorse sprecate in usi improduttivi finiscono invariabilmente per essere liberate e trasferite in settori in cui esiste una domanda reale e sostenibile, ignora la realtà bancario-finanziaria del capitalismo, una volta liberato dell'odiato controllo dello Stato-arbitro.
E di questo "principio di realtà" persino Draghi deve iniziare a rendere conto.