Sofia mi ha "sbroccato". Mi ha detto: "lo so che sono cose già dette e ripetute, ma nun je la faccio più e lo devo dire lo stesso".
E così la accontento ben volentieri, tanto più che ci segnala come per il PUD€, qualunque sia il frangente politico che "incidentalmente" si viene a creare, "tutto fa brodo": solo che la gallina in pentola siamo noi...
Dai giornali sembra emergere una costante e reiterata confusione, in questi giorni ulteriormente alimentata dalla bufera che si è abbattuta sul PDL con la fissazione dell’udienza del 30 luglio nel processo Berlusconi ma che, di fronte all’indubbia "abilità" del PUD€, si risolve in un espediente per distogliere l’attenzione dalle questioni concrete: il permanere del Paese in una situazione di di recessione e degli strumenti per salvarlo dalla morsa dell'euro.
In fondo, ogni tempesta politica è solo un altro modo per dare la colpa a qualcuno o qualcosa, di un malessere che ha le sue radici altrove.
E allora come non approfittare degli effetti di un “normale” iter giudiziario, che vede la fissazione di una udienza prima della prescrizione del reato, per rappresentare sul palcoscenico la sceneggiata della giustizia che non funziona, della magistratura corrotta?
Una sceneggiatura esattamente simmetrica e contraria a quella che voleva i politici "corrotti" quando hanno approvato leggi ad personam, tra cui...l'abbreviazione della prescrizione. Insomma l’origine di tutti i nostri mali è la CORRUZIONE in tutte le sue forme, quella che si accanisce nei confronti del politico potente(sì lo so, a rigore logico non c'entra, ma alla fine tutti i salmi finiscono in gloria), quella che non risolve il conflitto di interesse (qua potrebbe esserci entrata un pò di più...), quella che determina l’aumento della spesa pubblica e così via...
Il tutto alimentato da informazioni mediatiche battenti e dati statistici (le classifiche Transparency International ci vedono al 72 posto nel 2012, il rapporto OCSE, l’allarme della Corte dei Conti secondo cui la corruzione impedisce l’entrata di investitori stranieri) che non a caso fanno aumentare la percezione del problema, che esso sia concreto (almeno nei numeri che vengono pubblicati) oppure no.
E così la accontento ben volentieri, tanto più che ci segnala come per il PUD€, qualunque sia il frangente politico che "incidentalmente" si viene a creare, "tutto fa brodo": solo che la gallina in pentola siamo noi...
Dai giornali sembra emergere una costante e reiterata confusione, in questi giorni ulteriormente alimentata dalla bufera che si è abbattuta sul PDL con la fissazione dell’udienza del 30 luglio nel processo Berlusconi ma che, di fronte all’indubbia "abilità" del PUD€, si risolve in un espediente per distogliere l’attenzione dalle questioni concrete: il permanere del Paese in una situazione di di recessione e degli strumenti per salvarlo dalla morsa dell'euro.
In fondo, ogni tempesta politica è solo un altro modo per dare la colpa a qualcuno o qualcosa, di un malessere che ha le sue radici altrove.
E allora come non approfittare degli effetti di un “normale” iter giudiziario, che vede la fissazione di una udienza prima della prescrizione del reato, per rappresentare sul palcoscenico la sceneggiata della giustizia che non funziona, della magistratura corrotta?
Una sceneggiatura esattamente simmetrica e contraria a quella che voleva i politici "corrotti" quando hanno approvato leggi ad personam, tra cui...l'abbreviazione della prescrizione. Insomma l’origine di tutti i nostri mali è la CORRUZIONE in tutte le sue forme, quella che si accanisce nei confronti del politico potente(sì lo so, a rigore logico non c'entra, ma alla fine tutti i salmi finiscono in gloria), quella che non risolve il conflitto di interesse (qua potrebbe esserci entrata un pò di più...), quella che determina l’aumento della spesa pubblica e così via...
Il tutto alimentato da informazioni mediatiche battenti e dati statistici (le classifiche Transparency International ci vedono al 72 posto nel 2012, il rapporto OCSE, l’allarme della Corte dei Conti secondo cui la corruzione impedisce l’entrata di investitori stranieri) che non a caso fanno aumentare la percezione del problema, che esso sia concreto (almeno nei numeri che vengono pubblicati) oppure no.
E al di fuori dei battibecchi tra comari, e dichiarazioni di guerra a difesa di poveri perseguitati politici, di quale guerra si fa patrocinatore il PUD€ ogni giorno oltre alla indispensabile, improrogabile, essenziale "lotta alla corruzione" (i cui effetti benefici non è che proprio si stiano manifestando)?
La solita: i tagli alla spesa pubblica..."perché così si diminuisce il debito pubblico, si aumenta il PIL e si riesce a rilanciare l’economia e la crescita!".
La solita: i tagli alla spesa pubblica..."perché così si diminuisce il debito pubblico, si aumenta il PIL e si riesce a rilanciare l’economia e la crescita!".
Niente di più insensato, e a dircelo è stato proprio il declassamento di Standard & Poor's.
Letta lo prende quasi come un fatto personale, e insieme al Ministero del Tesoro sostiene che la scelta di S&P di abbassare il rating della Repubblica Italiana è una scelta "superata dai fatti" (intendendo cioè le manovre da ultimo fatte dal Governo). Ed invece S&P dei fatti di cui parlano Letta/Saccomanni hanno tenuto conto e come. Sono proprio quei fatti che hanno fatto ritenere a S&P che l'economia italiana si contrarrà quest'anno dell'1,9%, che il debito sarà al 129% alla fine del 2013 e che il "downgrade" dell'Italia è legato all'"ulteriore peggioramento delle prospettive economiche", tanto che c'è almeno una chance su tre che il rating possa essere ridotto ancora nel 2013 o nel 2014. "Nel 2013 gli obiettivi di bilancio in Italia sono potenzialmente a rischio per il differente approccio nella coalizione di governo" per coprire un disavanzo "frutto della sospensione dell'Imu e del possibile ritardo del pianificato aumento dell'Iva" (lo afferma Standard & Poor's).
Pare evidente, quindi, contrariamente a quanto sostiene Saccomanni che in pratica S&P ha tenuto conto dei "fatti", ma non ha trascurato (cosa che fa costantemente il PUD€) che quei fatti sarebbero rilevanti solo se ci fossero prospettive di crescita economica ed i flussi di cassa conseguenti consentissero all'Italia di stare in piedi ed invece così non è. O almeno così ritiene Standard & Poors che attraverso un'analisi indiretta della solidità dello Stato, in realtà si preoccupa solo di comprendere se l'Italia è in grado di pagare i suoi debiti.
L’agenzia di rating è perfettamente consapevole che la capacità dell’Italia di far fronte ai propri debiti non è affatto assicurata dalle politiche di austerità imposte nel paese, ma anzi ne è messa a rischio da queste.
Perché in fondo S&P, a differenza del governo italiano, con i numeri ci sa fare e sa che il PIL non è una entità astratta, ma è un dato numerico complesso, un misuratore dell’economia, la cui risultante dipende dal modo in cui si influisce sui fattori che lo compongono. E allora:
1) se si tiene bene a mente la relazione keynesiana secondo cui il PIL è il reddito nazionale percepito dalle famiglie e dalle imprese in un determinato paese ed equivale a Y = C + I + G + (X-M) dove (C) è la spesa per consumi finali, (I) le spese per investimento (G) le spese del governo e (X-M) le esportazioni nette (esportazioni totali meno importazioni totali);
2) se si considera che tutte le componenti del PIL sono spese che, laddove non effettuate non potranno che determinare una contrazione del PIL (diminuiscono i redditi, diminuisce la produzione delle imprese che vedono aumentare le scorte, diminuisce l’occupazione);
3) se si considera, infine, che certamente non è possibile incidere sul settore famiglie (fortemente indebitate, tassate, prese dall’incertezza e quindi con tendenza al risparmio "difensivo-assicurativo" per bisogni che temono di non poter più fronteggiare col reddito), né su quello delle imprese (l’incertezza dei mercati e il calo dei consumi non fa propendere per nuovi investimenti) e neppure si può sperare nella domanda estera (ammesso che il livello dell'euro lo consentisse, gli Stati Uniti sono in lenta ripresa, molti paesi emergenti stanno rallentando la loro crescita, e la maggior parte dei paesi dell’Eurozona sono in piena recessione o stagnazione). Parrebbe evidente che occorrerebbe puntare (bestemmia!) sulla spesa del Governo, non certo tagliandola come si sta invece facendo.
Insomma l’agenzia di rating è perfettamente consapevole che i tagli alla spesa pubblica produrranno una contrazione del PIL e non certo un aumento come sostengono i nostri politici: anche se si accompagnassero a, molto ipotetici, sgravi fiscali. E se pure fosse percorribile anche questa strada (quella, cioè, dei tagli alla spesa pubblica, che determinerebbe maggiore efficienza, appunto diminuzione delle tasse, sperato aumento dei redditi), resta il fatto che coi numeri il nostro Governo non ci sa proprio fare e nell’ostinato atteggiamento di continuare ad ignorare il moltiplicatore fiscale (che misura l’intensità con cui il reddito o prodotto interno lordo di un paese reagisce alla politica fiscale), sul conto si ritrova sempre il segno meno.
Quindi, tanto per tornare ad un discorso molte volte già fatto, la crescita del PIL è un fatto economico più che politico; ma certamente è "politica" la linea di austerità dell’eurozona, che impedisce di effettuare la spesa pubblica anticiclica (compresi i famosi investimenti "infrastrutturali", in una misura che non sia la ridicola spesa "restituita" dal bilancio UE...in acrobatico e misero "cofinanziamento"), aumenta le tasse ed impone il pareggio di bilancio. Che tutto ciò, di certo, non porti alla crescita del PIL, ma alla recessione, è qualcosa che, ormai, sfugge soltanto ai media e ai politici italiani.
Le politiche fiscali restrittive, deprimendo l’attività economica e generando disoccupazione, abbattono ancor più le entrate fiscali (legate al minore reddito prodotto). L’austerity aggrava cioè la situazione, anziché risolverla. Un effetto perverso che sarebbe facilmente risolvibile sulla base della teoria keynesiana. Se il moltiplicatore è maggiore di 1 (come sostengono i keynesiani), per risolvere il problema del debito bisognerebbe fare esattamente il contrario delle politiche di austerità: bisognerebbe cioè ridurre le tasse e aumentare la spesa pubblica,perché la crescita multipla del reddito che ne deriverebbe genererebbe poi il gettito fiscale aggiuntivo necessario a risanare le finanze pubbliche.
Ma siccome ci devono convincere a tutti i costi che il debito pubblico è brutto e cattivo, le informazioni mediatiche continuano a riflettere questa impostazione, mettendo in evidenza, - senza neanche più curarsi dei risultati ottenuti finora, che danno torto a linee di intervento ormai al limite del ridicolo-, tutto ciò che può avallare questa tesi.
Oppure tentano, come in questi giorni, di distrarci verso qualcos’altro: non vedete come addirittura l'albero storto dell'austerità sia sempre più proposto come una via di salvezza, resa semmai impraticabile da una crisi politico-mediatico-giudiziaria, di cui si arrivaerà a sperare che, una volta superatala, non ci sarebbe più nessuno ostacolo alle "indispensabili riforme"?
Addirittura, tirando un sospiro di sollievo, i cittadini bombardati dai media, potrebbero salutare con favore QUALSIASI COSA VERRA' ADOTTATA una volta che i media potranno annunciare la fine della "grave instabilità politica" che ci impedisce di fare" per RISANARE...ANCORA!?
Ed invece, quello che le agenzie di rating hanno ben chiaro è che l’Italia non ha esattamente un problema di debito, ma ha un problema di "debito su PIL", in cui quello che non va è...il PIL. Qualunque creditore infatti non si preoccuperebbe di quanto gli deve il debitore se il reddito di questo fosse alto, ma si preoccuperebbe solo se il reddito fosse incapiente rispetto al debito.
Nel caso di uno Stato, il reddito (e quindi il PIL) è proprio quello che permette di misurarne la capacità di ripagare il debito (anche attraverso la la sua capacità di tassare).
La scarsissima espansione del nostro PIL nell’ultimo decennio - tasso di crescita medio negativo- non fa sorgere il dubbio che l’alto rapporto debito PIL (per l'Ocse, che comunque è un altro "genius loci" che nega ostinatamente il moltipicatore, l'Italia avra' nel 2013 un rapporto deficit/pil al 3% che scendera' al 2,3% nel 2014; al contrario il rapporto debito/pil salira' dal 131,7% del 2013 al 134,3% nel 2014) sia dovuto non tanto alla crescita del debito quanto alla scarsissima crescita del PIL che a sua volta diminuisce il gettito fiscale e rende il rapporto tra Pil e debito sempre più insostenibile? No, non lo fa sorgere.
E' sempre più PUD€, proteiforme, nel rigenerarsi in ogni situazione, e onnipossente, nel riproporre la sua ortodossia della autodistruzione
Oppure tentano, come in questi giorni, di distrarci verso qualcos’altro: non vedete come addirittura l'albero storto dell'austerità sia sempre più proposto come una via di salvezza, resa semmai impraticabile da una crisi politico-mediatico-giudiziaria, di cui si arrivaerà a sperare che, una volta superatala, non ci sarebbe più nessuno ostacolo alle "indispensabili riforme"?
Addirittura, tirando un sospiro di sollievo, i cittadini bombardati dai media, potrebbero salutare con favore QUALSIASI COSA VERRA' ADOTTATA una volta che i media potranno annunciare la fine della "grave instabilità politica" che ci impedisce di fare" per RISANARE...ANCORA!?
Ed invece, quello che le agenzie di rating hanno ben chiaro è che l’Italia non ha esattamente un problema di debito, ma ha un problema di "debito su PIL", in cui quello che non va è...il PIL. Qualunque creditore infatti non si preoccuperebbe di quanto gli deve il debitore se il reddito di questo fosse alto, ma si preoccuperebbe solo se il reddito fosse incapiente rispetto al debito.
Nel caso di uno Stato, il reddito (e quindi il PIL) è proprio quello che permette di misurarne la capacità di ripagare il debito (anche attraverso la la sua capacità di tassare).
La scarsissima espansione del nostro PIL nell’ultimo decennio - tasso di crescita medio negativo- non fa sorgere il dubbio che l’alto rapporto debito PIL (per l'Ocse, che comunque è un altro "genius loci" che nega ostinatamente il moltipicatore, l'Italia avra' nel 2013 un rapporto deficit/pil al 3% che scendera' al 2,3% nel 2014; al contrario il rapporto debito/pil salira' dal 131,7% del 2013 al 134,3% nel 2014) sia dovuto non tanto alla crescita del debito quanto alla scarsissima crescita del PIL che a sua volta diminuisce il gettito fiscale e rende il rapporto tra Pil e debito sempre più insostenibile? No, non lo fa sorgere.
E' sempre più PUD€, proteiforme, nel rigenerarsi in ogni situazione, e onnipossente, nel riproporre la sua ortodossia della autodistruzione