Mi pare sempre più evidente che ormai l'andamento della crisi sia puramente inerziale. E, per lo stesso motivo, le sue stesse conseguenze si manifestano in modo meccanicistico.
Un moto uniformemente accelerato che non muterà a meno che non intervenga una forza-vettore "esterna", in senso divaricato e con effetti tanto più imprevedibili quanto più tale moto avrà sviluppato la sua crescente forza cinetica.
Facciamo un esempio; parlando con un esponente di una parte politica che non esclude una posizione anti-euro, mi sono imbattuto nella simultanea pervicace idea che tagliando la spesa pubblica, presunta per la maggior parte come "improduttiva" (l'esempio fatto era quello dei 30.000 -?- forestali calabresi), si potevano tagliare le tasse e rilanciare l'economia.
Al che obietto che:
a) tagliare le tasse si può fare anche senza tagliare la spesa pubblica, basta avere la piena sovranità, monetaria e fiscale, conforme a Costituzione;
b) il taglio della spesa pubblica, per effetto del suo moltiplicatore (pressocchè doppio di quello dei tagli dell'imposizione tributaria) è più recessivo e non viene compensato dalla simultanea ed equivalente riduzione fiscale;
c) che tale misura in fase di recessione (e stagnazione) è pro-ciclica e rallenta soltanto il calo (o la stasi sostanziale) della domanda aggregata, pur essendo prevedibile espressione di una facile "illusione finanziaria"
A quel punto, mi viene sciorinato, in modo anche non del tutto pertinente al discorso, una serie di concetti in progressione: a) la svalutazione competititiva è pericolosa, ma non per l'inflazione (che il mio interlocutore ammette non essere ora un problema), quanto perchè disincentiva investimenti e innovazione b) la riduzione della spesa pubblica è comunque sempre positiva perchè conduce all'effetto del crowding-out, cioè allo spiazzamento dalle risorse pubbliche improduttive a quelle private allocate in modo molto più efficiente.
Non ho fatto in tempo a spiegargli a fondo, anche perchè non ne avevo il tempo, che senza domanda interna, cioè "pubblica" (che è la spesa deprecata) e consumi (allorchè occupazione e livelli salariali diminuiscono, per la carenza di sostegno pubblico indotto dal rigore fiscale sul lato della spesa) e senza flessibilità del cambio, cioè senza domanda estera, la propensione agli investimenti diviene necessariamente molto bassa, ammesso che si crei un risparmio che non si concentri nel solo settore finanziario.
Gli ho accennato frettolosamente che questi sono effetti fisiologici, se la crisi da domanda sopravviene inevitabilmente - in tutto il mondo e a causa della connessa iperfinanziarizzazione dell'economia-, dopo un periodo di stagnazione dovuto proprio all'universale applicazione di queste politiche, oppure a una crescita sostenuta da consumi alimentati dall'indebitamento privato col settore finanziario; quadro "ideologico" (di cui il mio interlocutore non pareva avere chiari i confini) che arriva inevitabilmente a determinare, da un lato l'ostinazione nelle supply side - a cui si può ascrivere lo sgravio fiscale in pareggio di bilancio-, dall'altro la vanificazione delle stesse grazie alla "trappola della liquidità" connessa alla fase deflattiva così innescata.
Questa storiellina ci mostra l'inerzialità della crisi italiana: anche un "albore" di ravvedimento sull'euro si innesca su un "ambiente" concettuale, in tema di economia, che è ormai cristallizzato, radicato, insestricabilmente legato alla stessa psicologia degli individui. Anche se esperti, o anche politicamente impegnati in buona fede.
Di conseguenza anche i forconi sono un effetto inevitabile. Neanche loro sanno esattamente denunziare questi meccanismi, però li subiscono, ne denunciano i danni e...non troveranno risposte (se non quelle che si procureranno da soli, divenendo magari un partito politico). Di sicuro non troveranno risposte politiche nell'immediato. Non per opera della "offerta" politica che possono incontrare oggi, in qualsiasi formazione, gruppo o aspirante tale.
E quindi la "rabbia" non potrà altro che sfogarsi nelle piazze. Inascoltata da una classe politica, di governo e non, sorda alla comprensione esatta di tutto quanto sta accadendo, chiusa alla capacità di prevedere gli effetti non solo di ciò stanno ancora facendo, ma anche di quello che hanno in programma come "GRANDE SOLUZIONE".
Allo stato, con qualche piccola variazione, delimitata dalla ellittica comprensione del fatto che "l'euro non va bene", manca la coscienza che se l'euro è in effetti una potente sintesi di un'ideologia economica che ha deciso di impadronirsi dello Stato per destrutturarne la funzione di "intervento", questa medesima ideologia "mainstream"è insufficiente, disastrosamente inadeguata IN OGNI SUA PARTE, E, PER DI PIU', ORMAI "IN ROTTA" IN TUTTO IL MONDO C.D. AVANZATO.
Ma, nello stesso giorno, per dirvela tutta, ho avuto modo di chiacchierare con dei "carbonari" del partito liberista (il partito, non i miei interlocutori) che afferma di voler tutelare il lavoro; questi interlocutori, invece, avevano dei ben fondati dubbi sulla compatibilità dell'€uroliberismo con lo Spirito della Costituzione. E in essa ancora credevano con autentica e profonda convinzione. E che non avevano fatto la scissione "paralogica" tra euro (brutto perchè anti-nazionale) e supply side-Stato minimo (belli perchè rilanciano l'economia). Solo che i miei interlocutori erano delle mosche bianche del tutto isolate.
Mentre quelli della predetta "scissione paralogica" erano abbastanza compatti nel loro insieme di gruppo.
Forse i primi potrebbero diventare delle voci ascoltate dai loro consorti politici (di cui ammettevano la "prevalente" ignoranza sostanziale economico-costituzionale dei problemi).
E i secondi potrebbero riflettere sul fallimento della macroeconomia neo-classica...in tutto il mondo.
Magari cominciando a comprendere ciò che sta succedendo in Giappone, senza i filtri dei media financially-driven controllati dai sostenitori dello "small government gold-standard constrained laissez faire capitalism". Magari, visto che l'argomento gli piaceva molto.
La domanda allora è: l'Italia, in definitiva, ha sufficienti risorse culturali e potenzialità politico-sociali per reagire?
La risposta non può essere confortante, rebus sic stantibus.
Quel che è certo è che il moto uniformemente accelerato porta dritti al crash finale e che l'euro è clinicamente morto. E che gli "spaghetti-€urofili" sono solo degli inconsapevoli (neanche tutti) distruttori della residua idea di un'Europa dei popoli...