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IL TIMING- 2

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1. Il post di ieri mi pare degno di uno sviluppo ulteriore perchè si pone come tappa-registrazione di una traiettoria già preannunziata ed elaborata in precedenza.
Lorenzo Carnimeo ci ha dato lo spunto, con una sua intelligente serie di osservazioni, diciamo "classiche" (non erronee, ma appunto legate ad uno schema di costituzionalismo che appare ormai, purtroppo, superato dagli eventi).
Questa è la puntualizzazione che ne è scaturita (e che, vedrete, era in fondo, del tutto anticipata dalle risultanze del ricco dibattito che seguì al post che riproduco di seguito): 
"...Sul piano pratico, lo sbilanciamento dell'attività normativa verso la sfera dell'esecutivo è un fatto inevitabile quando ci si trova di fronte allo scadimento del livello dei parlamentari, non più culturalmente e congnitivamente in grado di raccordare la scelta politica coi valori costituzionali: e come potrebbero, d'altra parte, esistendo (essi) politicamente all'interno di un discorso che prescinde dal programma costituzionale, ormai dimenticato ex imperio "mediatico" e finendo solo per riprodurre posizioni prefissate da quest'ultimo?

Il parlamentarismo costituzionale presupponeva una vivezza di valori e di possibilità di scelte coerenti, seppure alternative, che era l'essenza della sovranità intesa in senso "necessitato". di cui abbiamo parlato.

Ma detto questo, l'evidenziazione esplicita della shock economy assurta a ragion di Stato emergenziale, nella misura strettamente imposta da finalità €uropee, indica l'avvenuto compimento della istituzionalizzazione dell'ordoliberismo.
Ormai la democrazia come sistema di valori, rappresentativi e giustificativi del patto sociale di solidarietà volta al benessere generale, è definitivamente superata e le dinamiche decisionali si nutrono di ragioni e funzioni extracostituzionali, anzi extrasovrane.
Per cui lo svuotamento sostanziale delle prerogative parlamentari deriva da ciò, più che da una forzatura come quella dell'era fascista: non c'è la ragion d'essere stessa di un parlamento come sede "della volontà politica espressa dalle forze rappresentative del popolo". Quelle forze, per dinamiche che precedono ed assorbono la stessa sostanza della verifica elettorale, semplicemente non esistono più.
Siamo già oltre il fenomeno, che lamenti, di ricorrenza della distorsione fascista.
Siamo all'incontrollabilità-inammissibilità di ogni fenomeno politico-decisionale che non sia strettamente aderente alla volontà ordoliberista incarnata dalla governace europea e dai media che ne sono gli interpreti "neo-costituzionali" di fatto.
E ciò, ED E' QUESTO IL PUNTO SOLLEVATO DALLA MAIL, ormai TRAVOLGE L'ESECUTIVO NON MENO DEL LEGISLATIVO
."Vale a dire, l'intero plesso delle Istituzioni costituzionali responsabili dell'indirizzo politico.
2. Torniamo a questo "presente" espresso eloquentemente dai "considerato" del d.l sul finanziamento ai partiti (al di là del merito della questione), evoluzione della prepotente tendenza che avevamo evidenziato in questo post di sotto riprodotto per comodità (di un discorso pienamente espanso, che si allarga agli interessantissimi, ed ancora attuali, commenti):
Della "manovra dell'euro" sappiamo praticamente tutto. Sappiamo cioè come i suoi effetti economici corrispondano alla attuazione della nuova macroeconomia classica in una forma tanto estrema quanto lo può essere un "opus germanicum"; e tanto quanto aborrita era dai von Hayek-banchieri, in cerca di rivincite, l'idea dello Stato sociale.
Quello che non appare del tutto focalizzato, in mezzo alle discussioni attuali, che infatti continuano ad agitarsi su mistificanti teorie su "come" rilanciare la crescita (con varianti mainstream compromissorie, cioè attente contraddittoriamente all'occupazione), è l'effetto giuridico generale (cioè materialmente costituzionalizzatosi) ormai comunque prodotto.
Mi è balenata questa idea rileggendo le osservazioni di un attento lettore che mi ha scritto per avere suggerimenti su come fare una divulgazione dei problemi giuridico-costituzionali da accoppiare a quella relativa all'analisi economica.
Per facilitare il modo di trovare un punto di partenza e un metodo, credo che sia agevole partire da un qualcosa che in questa sede è stato già divulgato. Ma soffermandosi su un passaggio particolare.
In questo recente post, Calamandrei ci dice, in riferimento all'art.139 Cost (che espressamente esclude dalla revisione costituzionale la "forma repubblicana"):
"...se si è adottato questo sistema per le norme che riguardano la forma repubblicana, dichiarando queste norme immutabili, non credete che questo sistema si sarebbe dovuto adoperare a fortiori per quelle norme che consacrano i diritti di libertà?"
Insomma Calamandrei consigliava vivamente di includere la esplicita non rivedibilità dei diritti di libertà nella supernorma che contrassegnava la irreversibilità dell'assetto costituzionale.
E la vita che poi ebbe la Costituzione chiarì che tali diritti di libertà includevano anche il "principio lavorista", richiamato come cardine della stessa legittimazione democratica da Mortati.
Il principio della "equa retribuzione" di cui all'art.36 Cost. era infatti connesso alla possibilità, per il cittadino in quanto "lavoratore" - cioè il soggetto di diritto detentore primario della sovranità ai sensi dell'art.1 Cost.- di condurre "un'esistenza LIBERA E DIGNITOSA".
In altri termini, nella loro realtà "naturale", e senza bisogno di postulare "diritti di prestazione" verso lo Stato, i diritti di libertà (personale, domiciliare, di pensiero, di associazione e via dicendo) non possono neppure esistere senza il presupposto di un'esistenza libera in quanto legata alla dignità retributiva del lavoro: un disoccupato o un sotto-occupato precarizzato non si cura eccessivamente di difendere la libertà domiciliare non potendo avere neppure una vera abitazione, e nè si cura della libertà di pensiero, essendogli comunque del tutto preclusa dall'esclusione dalla effettiva vita pubblica del Paese, in mano a una oligarchia che detiene il 100% dell'informazione e dell'editoria, e che ha, in più, il potere di imporre lo smantellamento del sistema di istruzione pubblica, ridotto al lumicino da una logica che la riduce alla mera formazione di "consumatori" passivi.
La dignità retributiva e occupazionale sono esattamente ciò che il mainstream della flessibilità salariale, della mobilità e della negazione della stabilità, tendono a negare sistematicamente.
Fatta questa spiegazione di premessa, vediamo qual'è l'effetto giuridico che incide ormai sulle nostre vite.
Ricorriamo ancora alle citate parole di Calamandrei:
"Ma con questo articolo 131 (ora 139, ndr.) par che si introduca una terza categoria di leggi: quelle che non si potranno giuridicamente modificare nemmeno attraverso i metodi più complicati che la Costituzione stessa stabilisce per la revisione.
Dunque, la forma repubblicana non si potrà cambiare: è eterna, è immutabile. Che cosa vuol dire questa che può parere una ingenuità illuministica in urto colle incognite della storia futura? Vuol dire semplicemente questo: che, se domani l'Assemblea nazionale nella sua maggioranza, magari nella sua unanimità, abolisse la forma repubblicana, la Costituzione non sarebbe semplicemente modificata, ma sarebbe distrutta; si ritornerebbe, cioè, allo stato di fatto, allo stato meramente politico in cui le forze politiche sarebbero di nuovo in libertà senza avere più nessuna costrizione di carattere legalitario..."
Trasponendo ai diritti di libertà, e al suo prius logico di "lavoratore in grado di condurre un'esistenza libera e dignitosa" il ragionamento svolto da Calamandrei sulla "forma repubblicana", identifichiamo il drammatico "effetto giuridico" e la sua portata.
Il lascito di Maastricht-euro-Lisbonaè stato quello di aver prodotto non la semplice modificazione (comunque non consentita ex art.11 Cost. stessa), del patto fondamentale democratico, ma la sua stessa "distruzione" nel modo di intenderla e applicarla conformemente al suo Spirito fondativo.
Posto il "lavoro" nella condizione di fattore della produzione alla stregua di ogni altro (ma inferiore a quello del profitto finanziario), affermata la flessibilità incondizionata verso il basso del suo prezzo (la retribuzione),oggi siamo ritornati a quello "stato di fatto, meramente politico", in cui le forze politiche sono veramente "di nuovo in libertà, senza avere più nessuna costrizione di carattere legalitario".
Guardate a quello che è accaduto negli ultimi 20 anni.
Guardate alle ragioni, anche ostentate, per cui si sono votate leggi finanziarie, sul lavoro, sulle pensioni, e persino modifiche costituzionali come quella del Tit V; riflettete su come qualunque attore politico sia lontano persino dal linguaggio che mostri di tenere conto del vero contenuto incoercibile della Costituzione e, anzi, in modo generalizzato, e privo di qualsiasi giustificazione causa-effetto(cfr; ultima parte) basata su razionali analisi dei fatti,invochi proprio ulteriori cambiamenti della Costituzione.
Guardate, infine, al fatto incontestabile che la sentenza della Corte di giustizia europea, in seduta plenaria,del 27 novembre 2012, nella causa C-370/12, ha affermato, utilizzando una implacabile tecnica di non-motivazione che procede per reiterazione di parafrasi (in un crescendo di oscurità che fa impallidire qualsiasi burocratese" italiano), che l'ESM non amplifica i vincoli originari dei trattati e non mette in discussione la certezza del diritto.

Insomma la soglia dello "stato di fatto"è stata varcata senza colpo ferire e giustificata dalla "costruzione europea": d'ora in poi il consolidamento di tale stato di fatto può avvenire anche per via interna, senza l'ombrello UEM, proprio in assenza di qualunque consapevolezza e denunzia pubbliche del problema.
Il sindacato della Corte costituzionale ha potuto fermare questo "effetto"?
No, perchè il suo sindacato, come abbiamo visto in "Costituzionalità delle manovre finanziarie",  è stato compiuto in modo analitico, legge per legge, senza allargarsi al complessivo e coordinato disegno, i cui effetti economici intesi a riplasmare l'intera società, svincolandosi dai limiti posti dalla Costituzione, le sono così sfuggiti.
Non so se, nella mia prosa "involuta", sarò riuscito a spiegarmi e a farvi rendere conto dell'attualità di questa situazione.
Ma è reale, tremendamente reale; e lo "stato di fatto" paventato da Calamandrei avanza, sicchè la forza della pura politica, di qualunque formazione, già oggi si manifesta, e si manifesterà molto prevedibilmente, come "politica della forza"
E quindi contro l'arbitrio dei forti non c'è più un effettivo limite legalitario. Perchè sappiamo dove risieda la "forza"e come questa ci consenta di vivere...e di votare, solo in quanto consumatori, e semmai, contribuenti, espropriati ormai della possibilità di far valere i diritti che la Costituzione ci riconosceva. 

ADDENDUM (ORE 12.10): poichè dal tenore delle prime interessantissime osservazioni dei lettori emerge che occorre chiarire alcuni aspetti della genesi storica e politica "di fatto" che comunque hanno i mutamenti costituzionali (cui fa riferimento Calamadrei), inserisco nel corpo del post, le risposte fornite a Carlo P. e a Mauro Gosmin, opportunamente adattate e integrate:

Abbiamo varcato una soglia in funzione della quale le leggi che PROGRESSIVAMENTE stanno comprimendo quei diritti (incomprimibili) non vengono, nel loro complesso, ritenute incostituzionali (e prima ancora denunziate come tali).
Aggiungo: cosa però astrattamente ancora possibile, manifestando una naturale direzione del "diritto di resistenza" nella cornice costituzionale.
E ho evidenziato che le forze politiche, dimostrandosi all'oscuro di ciò, e anzi tendendo a rafforzare questo processo (che si condensa nella convinzione della inefficienza dello Stato e nella limitazione del suo intervento), proprio prescindendo dalla interpretazione gerarchica e sistematica dei valori costituzionali, danno luogo ad una nuova Costituzione di fatto, sostitutiva della precedente attraverso uno "stato libero della politica" stessa.
Se poi il GRADO di compromissione e di sottotutela dei diritti sia tale da autorizzare il diritto alla resistenza, dipende in effetti dal comune sentire di un popolo.
E' ovvio (o almeno lo dovrebbe essere) che in presenza di "effettività" del sistema elettorale questo diritto di resistenza può ancora passare per le sedi istituzionali rappresentative: ma se queste sedi (parlamentari) non...rappresentano il problema e neppure se lo pongono (per carenze culturali e per intenzionali rapporti di forza affermatisi nei modi spiegati), le cose andranno avanti fino al punto in cui:
- o la Costituzione sarà cambiata in base a forze pregiuridiche a lei estranee, ma poi formalizzate in un nuovo testo sostanzialmente incompatibile con quello del 1948 (e la vicenda Maastricht-UEM ne è già un primo indizio);
- oppure è il popolo che eserciterà direttamente il diritto di resistenza: che non è insurrezionale, attenzione, dato che la rivoluzione è, per definizione, negazione non ripristino del vigente ordine costituzionale.
Anzi su ciò, in buona sostanza, Moro e Dossetti chiarirono il punto in questi termini proprio a Togliatti (resoconto del 3 dicembre 1946), a cui il diritto di resistenza come garanzia ripristinatoria di QUESTA Costituzione, non interessava poi molto. E non a caso.
Spero che ora sia più chiaro. Se del caso, data la suggestione dell'argomento, ci ritornerò ulteriormente;
- in effetti è possibile che, senza traumi epocali, se non quelli economici distribuiti nei tempi della shock economy, si arrivi piuttosto all'affermarsi di una nuova costituzionein sostituzione di quella del 1948. Con l'apparente consenso della generalità delle forze politiche (e quindi dell'elettorato stesso). Consenso però "disinformato": quando gli effetti del nuovo "patto" saranno percepiti, probabilmente sarà troppo tardi.

Riporto infine quanto limpidamente espresso da Mortati, nell'opporsi all'inserimento in Costituzione (di una disposizione pur proposta originariamente da Dossetti)  nel suo intervento risultante dal resoconto della Assemblea Costituente del 5 dicembre 1947:
"Mi pare che in questa discussione si sia manifestata una certa confusione di idee in ordine al significato da dare alla disposizione in esame, in quanto da una parte si è interpretata questa nel senso di comprendere in essa la resistenza contro atti particolari dell'autorità esecutiva ed in questo senso si è espresso or ora l'onorevole Gullo. Ma a me sembra che, intesa in questo senso la portata dell'articolo, non ci sia bisogno di effettuarne il riconoscimento nella Costituzione. I precedenti già ricordati dall'onorevole Gullo hanno dimostrato come in passato sia stato possibile al diritto positivo sancire in determinati casi la legittimità del diritto di resistenza del cittadino contro gli atti dell'Autorità. Naturalmente l'ammissione di siffatto principio non può non essere coordinata con tutti gli altri principî, che regolano l'ordinamento dello Stato e anzitutto con quello della esecutorietà degli atti della pubblica autorità, principio al quale nessuno Stato potrebbe mai rinunciare.
Nell'ambito delle esigenze accennate è possibile alla legge ammettere in singoli casi il diritto di resistenza individuale; sicché una statuizione costituzionale in questo senso non ha ragion d'essere.
Ma vi è un altro significato, con cui può intendersi il diritto di resistenza, ed è quello con cui è stato inteso dal progetto, che parla di resistenza contro l'oppressione.
Con questo articolo si vuole individuare un caso particolare: quello, cioè, in cui i supremi poteri dello Stato opprimono la libertà, quando cioè siano eliminate, o non funzionino tutte le garanzie di carattere giuridico costituzionale. Noi abbiamo creato un insieme di garanzie atte a preservare dalla violazione dei diritti anche di fronte ai supremi organi dello Stato.
Ora quando si verifichi l'ipotesi che tutte queste garanzie siano esaurite e quando la stessa Corte costituzionale abbia convalidato — con la sua sentenza l'atto arbitrario della pubblica autorità, in questo caso il cittadino — secondo il significato della disposizione proposta — non deve acquietarsi alla violazione dei diritti supremi, garantiti dalla Costituzione come inviolabili, ma deve ribellarsi.
Intesa in questo senso la disposizione, ci si deve chiedere: è opportuno che essa sia inserita nella Costituzione?
Circa la sostanziale esattezza e, vorrei dire, la santità di questo principio, nessuno potrebbe sollevare delle obiezioni, e tanto meno noi cattolici, poiché è tradizionale nel pensiero cattolico l'ammissione del diritto naturale alla ribellione contro il tiranno. Ci sono scrittori cattolici che riconoscono la legittimità perfino della soppressione del tiranno. Quindi non è al principio che noi ci opponiamo, ma alla inserzione nella Costituzione di esso, e ciò perché a nostro avviso il principio stesso riveste carattere metagiuridico, e mancano, nel congegno costituzionale, i mezzi e le possibilità di accertare quando il cittadino eserciti una legittima ribellione al diritto e quando invece questa sia da ritenere illegittima.
Siamo condotti con questa disposizione sul terreno del fatto, e pertanto su un campo estraneo alla regolamentazione giuridica."
Abbiamo visto come poi Mortati abbia in parte rivisto questa posizione, riconoscendo il diritto di resistenza come "implicito" più che come "di fatto". Certamente su questa posizione dovette avere un peso la permanente prospettiva della Rivoluzione marxista, incombente fino a che si manifestò la c.d. "guerra fredda".
3. Mi auguro che abbiate avuto la pazienza di seguire il lungo discorso fino a questo punto.
La esplicitazione-ratifica, pretesamente aderente all'art.77 Cost., della circostanza che "da  ultimo,  sono emerse situazioni di  disagio  sociale  che  impongono  un  immediato segnale di austerita' del sistema politico", non è senza  conseguenze pratiche. 
Perchè questo enunciato, prima confinato alle dichiarazioni ed esternazioni della stampa e della stessa "politica", non aveva ancora trovato una collocazione normativa così compiuta e vincolante. 
Il quadro è questo: una crisi economica, in forma di recessione-stagnazione eccezionalmente prolungata, porta al disagio sociale, e su questo non ci sono dubbi; ma le ragioni della crisi sono da individuare nell'assetto monetario e istituzionale impresso dal vincolo €uropeo. Più precisamente nelle modalità "necessitate" (cioè espressive di una "necessità" divenuta urgenza svincolata da ogni legittimazione costituzionale), di correzione degli squilibri delle partite correnti provocate inevitabilmente da tale assetto monetario.
Mi pare essenziale, al riguardo, citare questo passaggio di Alberto Bagnainella lingua "prescelta":
Since its entry in the Eurozone France, like Italy, or Finland, or Spain, had experienced a steady worsening of its net external lending, and since 2005 it had become a current account deficit country (i.e., a net foreign capital importer). For that reason, France would have been forced to put into practice an austerity policy. Why? Because in the absence of the re-equilibrating mechanism provided by exchange rate flexibility, austerity is the only instrument a government has in order to reduce its external deficit. If the nominal exchange rate does not respond to external imbalances, you need to engineer some unemployment, in order to reduce wages, thereby fostering exports, and cutting imports (as a consequence of the fall in income). As simple as that.
 
Invece di porre in discussione la legittimità di tale assetto e delle modalità di correzione stessa - cosa che parrebbe del tutto ovvia, essendo implicita nel filtro obbligatorio ai sensi dell'art.11 Cost., relativamente ad ogni conseguenza applicativa di trattati di adesione a qualunque organizzazione internazionale- si accelera nella stessa direzione
Cioè si enunzia come "la grave situazione economica del Paese impone con urgenza l'adozione di misure che intervengano sulla  spesa  pubblica", (adesso non guardate al settore che ha dato luogo a questa specifica decretazione d'urgenza: ben altre seguiranno in tutte le forme), e, anzi, si rivendica la "coerenza con la linea di austerita' e di rigore della politica di bilancio adottata in  questi ultimi anni".
Ora è chiaro perchè non avrebbe più senso votare, rebus sic stantibus, al di là di qualsiasi disciplina elettorale?
a- la "austerità" viene offerta come linea unica di direzione della politica economico-fiscale in un modo che non solo non può essere mutato, ma soltanto, semmai, accelerato. La "coerenza" viene rivendicata come salvifica e ne viene ribaltato l'oggettivo segno causale rispetto alla crisi;
b- la questione stessa non soltanto non viene - e non verrà mai più - raccordata alla sua radice causale ma viene negata e scissa da ogni tentativo di connetterla alla questione "vincolo esterno" e, meno che mai, alla  compatibilità costituzionale di quest'ultimo;
c- la totalità delle forze politiche oggi in campo è fortemente concorde su questa linea, in particolare sull'enfasi catartica dell'estensione alla "politica" ed ai suoi costi della "austerità" come chiave decisiva per intensificarla nei confronti del resto dalla popolazione;
d- l'unico apparente dissenso verte sulla possibilità di intestarsi la legittimazione derivante da questa "catarsi", essendovi una rincorsa alla proposta ed alla reciproca recriminazione su quanto si sia capaci di realizzarla con implacabile coerenza, in forme costantemente alimentate dai media, che soffiano sul fuoco dei vari scostamenti da questa linea facendone sostanzialmente il criterio di graduazione di una virtù pubblica che graduerebbe la meritevolezza del consenso (sondaggistico e plebiscitario) attribuibile ad ogni possibile forza politica in campo.

4. A questo punto, poichè il cammino dei prossimi mesi appare tracciato in modo che non consente alcun equivoco previsionale, siamo al punto del "se" l'Italia ha sufficienti risorse culturali per uscire dalla crisi.
Se per "cultura", politicamente rilevante (dato che di questo stiamo parlando), intendiamo l'insieme dei mezzi espressivi mediatici ed accademici, nonchè le posizioni analiticamente (si fa per dire) rappresentate dalle forze associative (ad es; i sindacati o Confindustria), la risposta è oggi fortemente negativa.
Una sola cosa rompe questo quadro inesorabile: la sua notevole capacità autodistruttiva dello stesso consenso "manipolato" di cui si nutre, che fa sì che persino i media-burrattinai arrivino a gettare il sasso ed a nascondere la mano (dopo aver soffiato sul fuoco del pubblico impiego meritevole di ogni degradazione economico-sociale, si ritraggono al pensiero che le truppe cammellate pro-euro che vi si annidano possano avere un sussulto di autodifesa ragionata...), ed il confluire, rapido ed altrettanto implacabile, del collasso francese (qui naturalmente offerto in "versione" debitopubblico-welfare-brutti e causa di ogni male, facendo un involontario autogoal che non potrà che accentuare la visione alterata del lettore italiano, fino al cortocircuito finale). 
Basterà a scuotere, in tempo e dalle fondamenta, il trend del disastro italiano
Ecco questo è il problema del TIMING.


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