
Probabilmente non servirà a smuovere la coscienze alterate dei propugnatori del "sogno"€uropeo. Probabilmente non riuscirà ad evitare che, quando si parla di UE e euro (che nell'immaginario politico-mediatico attuale sono tutt'uno, senza che sia consentita alcuna possibile precisazione o riflessione), si continui a straparlare di "cessioni" di sovranità.
Tuttavia, almeno per i lettori di questo blog, ho scelto di riportarvi un intervento tratto dai lavori dell'Assemblea Costituente che testimonia cosa si volesse inequivocabilmente affermare e disciplinare con l'art.11 della Costituzione.
Si tratta dell'intervento dell'on.Ruini, presidente della Commissione per la Costituzione e successivamente del Comitato di redazione.
Un intervento quindi altamente significativo e dotato di forza autenticatrice dell'intenzione condivisa del Costituente, pur non esaurendo l'intera gamma delle riflessioni che furono svolte nel formulare e votare l'art.11.
In quella sede, quest'ultimo coincideva originariamente con l'art.4, che invece sarebbe divenuto la sedes materiae del diritto al lavoro, legando misteriosamente tale numerazione a ciò che l'Unione Europea avrebbe, nella sua realtà storica attuale, comunque negato: e intendiamo sia il legame che vedremo scolpito tra limitazioni della sovranità e perseguimento della pace in condizioni di "eguaglianza e reciprocità", sia la dignità del diritto al lavoro come impegno programmatico indeclinabile, anzi prioritario su ogni altro, del plesso governo-parlamento prefigurato in Costituzione.
Presidente della Commissione per la Costituzione. Debbo far notare come anche qui aleggia nell'Aula su tutti noi un'ispirazione comune, un'esigenza da tutti sentita di condannare la guerra e di tendere ad una organizzazione internazionale.
Questo è il punto comune. Le altre diventano piuttosto questioni di formulazione tecnica. Ho discusso amichevolmente con l'onorevole Zagari, alla ricerca non di un compromesso, ma di un'espressione migliore e più completa. Speravo di esservi riuscito; ma se è difficile mettersi d'accordo, per esprimere un sentimento comune, a 75 membri della Commissione, immaginate come è più difficile mettere d'accordo 550 persone. È quasi impossibile improvvisare definizioni tecniche precise, ed esatte, in un dibattito che pur rivela tanta competenza e tanto appassionamento.
Dirò le ragioni per cui la Commissione stamani ha ritenuto di accogliere alcuni degli emendamenti presentati e di fonderli nel suo testo; che era in origine: «L'Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli e consente...». Risuonava qui come un grido di rivolta e di condanna del modo in cui si era intesa la guerra nel fosco periodo dal quale siamo usciti: come guerra sciagurata di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli. Ecco il sentimento che ci ha animati. Ma è giusta l'osservazione fatta anche dall'onorevole Nitti che però sembra esagerato e grottesco parlare, nelle nostre condizioni, di guerra di conquista. È meglio trovare un'altra espressione.
Si tratta anzitutto di scegliere fra alcuni verbi: rinunzia, ripudia, condanna, che si affacciano nei vari emendamenti. La Commissione, ha ritenuto che, mentre«condanna» ha un valore etico più che politico-giuridico, e «rinunzia» presuppone, in certo modo, la rinunzia ad un bene, ad un diritto, il diritto della guerra (che vogliamo appunto contestare), la parola «ripudia», se può apparire per alcuni richiami non pienamente felice, ha un significato intermedio, ha un accento energico ed implica così la condanna come la rinuncia alla guerra.
Dopo i verbi, veniamo ai sostantivi. Si è, in alcuni emendamenti, negata la guerra, come strumento di politica nazionale e di risoluzione delle controversie internazionali. Sono formule corrette, a cui ricorrono documenti ed atti internazionali, come il patto Kellogg, che, ahimè, dovrebbe essere ancora in vigore!
Non ci dobbiamo comunque dimenticare che la Costituzione si rivolge direttamente al popolo: e deve essere capita. Parlare di «politica nazionale» non avrebbe un senso chiaro e determinato. Da accettare invece, perché definitiva, la negazione della guerra «come risoluzione delle controversie internazionali».
Potrebbe bastare; ma si è posto uno scrupolo: se non sia opportuno richiamare anche quel termine di negazione della guerra «come strumento di offesa alla libertà altrui» che ha una ragion d'essere, una accentuazione speciale che può restare a sé di fronte agli altri mezzi di risoluzione delle controversie internazionali. Ecco perché la Commissione propone: «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e di risoluzione delle controversie internazionali».
Veniamo alla seconda parte.
Accettiamo, invece di «reciprocità» e «uguaglianza», l'espressione «in condizione di parità con gli altri Stati».
Non avremmo nessuna difficoltà ad accogliere la proposta Zagari: «favorisce la creazione e lo sviluppo di organizzazioni internazionali». Ma qualcuno ha chiesto: di quali organizzazioni internazionali si tratta?
Non si può prescindere dalla indicazione dello scopo. Vi possono essere organizzazioni internazionali contrarie alla giustizia ed alla pace. L'onorevole Zagari ha ragione nel sottolineare che non basta limitare la sovranità nazionale; occorre promuovere, favorire l'ordinamento comune a cui aspira la nuova internazionale dei popoli.
Ma l'attività positiva diretta a tale scopo è certamente implicita anche nella nostra formulazione: che dovrebbe essere (e non è facile qui su due piedi) tutta rimaneggiata, col rischio di perdere l'equilibrio faticosamente raggiunto di un bell'articolo.
La questione sollevata dall'onorevole Bastianetto, perché si accenni all'unità europea, non è stata esaminata dalla Commissione. Però, raccogliendo alcune impressioni, ho compreso che non potrebbe avere l'unanimità dei voti.
L'aspirazione alla unità europea è un principio italianissimo; pensatori italiani hanno messo in luce che l'Europa è per noi una seconda Patria. È parso però che, anche in questo momento storico, un ordinamento internazionale può e deve andare anche oltre i confini d'Europa. Limitarsi a tali confini non è opportuno di fronte ad altri continenti, come l'America, che desiderano di partecipare all'organizzazione internazionale.
Credo che, se noi vogliamo raggiungere la concordia, possiamo fermarci al testo della Commissione, che, mentre non esclude la formazione di più stretti rapporti nell'ambito europeo, non ne fa un limite ed apre tutte le vie ad organizzare la pace e la giustizia fra tutti i popoli."
Dal discorso, corredato dalla "consueta" enfasi del neretto, emergono alcuni dati essenziali che ci guidano a comprendere la legittimità costituzionale dell'adesione a qualunque organizzazione internazionale:
a) che la questione della unione o federazione europea, contrariamente a quanto si lamenta oggi, senza indagare correttamente su quello che i Costituenti espressamente vollero, fu considerata e scartata. Altri interventi furono fatti nel senso di inserire esplicitamente l'Europa come riferimento dell'art.11, ma, con esplicite argomentazioni e votazioni, fu stabilito di non inserirla. Vi ho linkato a titolo di esempio alcuni di queste discussioni emendative non approvate;
b) la questione delle (mere) limitazioni di sovranità era esclusivamente ed essenzialmente connessa alla promozione della pace e della giustizia tra i popoli, tanto che ci si pose il problema di evitare che potesse connettersi, la (mera) limitazione della sovranità, ad organizzazioni internazionali che non avessero come "scopo" caratterizzante tale giustificazione pacifista.
E certamente l'Unione economica e, ancor più, monetaria europea, - priva di ogni riferimento al perseguimento della pace e della giustizia tra le Nazioni, e giuridicamente cresciuta e stratificata come insieme di regole caratterizzate dall'instaurazione di un libero mercato fortemente competitivo che privilegia la stabilità dei prezzi e la piena occupazione ad essa connessa, cioè unicamente in quanto compatibile con tale stabilità, instaurando la competizione mercantilista tra gli Stati coinvolti,- non ha nulla a che vedere con un'organizzazione che svolge la promozione della pace sia all'interno dei partecipanti sia, collettivamente, verso l'esterno (come si constata tragicamente dalle vicende attuali dell'Est europeo);
c) che la "cessione"anzicchè la (mera) limitazione della sovranità fosse quanto si voleva escludere, viene confermato dal legame funzionale indissolubile con lo scopo della pace: fuori da esso, neppure la "limitazione" della sovranità ha ingresso nella sfera di liceità costituzionale.
E dunque, l'Unione europea è in sè, con i suoi ingombranti, e non ignorabili, caratteri essenziali, un'organizzazione cui sarebbe stato lecito aderire se e solo se non avesse comportato alcuna compressione della sovranità democratica nazionale, neppure una limitazione, figuriamoci una costituzionalmente inammissbile cessione. La limitazione è solo ripetiamo (non basta mai) giustificabile con lo scopo dell'azione di promozione della pace, intesa come cooperazione che esclude la guerra, ogni forma di ostilità permanente (che è il viatico per la guerra) e l'ingiustizia;
E dunque, l'Unione europea è in sè, con i suoi ingombranti, e non ignorabili, caratteri essenziali, un'organizzazione cui sarebbe stato lecito aderire se e solo se non avesse comportato alcuna compressione della sovranità democratica nazionale, neppure una limitazione, figuriamoci una costituzionalmente inammissbile cessione. La limitazione è solo ripetiamo (non basta mai) giustificabile con lo scopo dell'azione di promozione della pace, intesa come cooperazione che esclude la guerra, ogni forma di ostilità permanente (che è il viatico per la guerra) e l'ingiustizia;
d) a ciò va aggiunto che, anche nel caso in cui questo scopo, -poi riconosciuto storicamente e giuridicamente solo nelle Nazioni Unite- entrasse in gioco come caratterizzazione esclusiva giustificatrice, esso avrebbe giustificato la limitazione "funzionale"(cioè soggetta al principio rebus sic stantibus, valida quindi solo nella misura e per il tempo in cui l'organizzazione cui si aderisse perseguisse effettivamente la pace) soltanto a CONDIZIONI DI PARITA' con gli altri Stati;
e) questa formula è il riassunto delle condizioni, in precedenza proposte all'interno dell'art.11, della reciprocità (tipica del diritto internazionale) e della eguaglianza: condizioni certamente non rispettate allorchè, com'è noto, si impose con il Trattato di Maastricht, il criterio di convergenza del debito pubblico e del connesso indebitamento (deficit), considerando che, come ben sapevano i negoziatori italiani, il costo del debito pubblico italiano, agli inizi degli anni '90, era oltre il triplo di quello sostenuto dai principali partner del trattato, cioè Francia e Germania, che già allora e poi costantemente non superava il 3% del rispettivo PIL (v.qui fig.3, pag.18), ponendo così a carico dell'Italia un obbligo limitativo della sovranità non solo, in sè, completamente estraneo al perseguimento della pace, - la quale non costituì in alcun modo un problema presupposto e giustificativo dell'ordinamento monetario e fiscale di Maastricht-, ma manifestamente e clamorosamente disparitario nonchè lesivo del perseguimento degli obblighi programmatici costituzionali relativi ai fondamentali;
f) da allora, infatti, mentre la "pace" nelle relazioni internazionali è passata per tutt'altra via che non la Unione europea (ad attestarlo ci sono la partecipazione italiana e, comunque degli stati europei, a tutte le numerose guerre che hanno avuto come teatro i balcani e il medio-oriente, tutte connesse all'iniziativa Nato e, talora, delle Nazioni Unite), la pace interna all'Europa degli stessi stati-membri dell'Unione, non ha fatto alcun progresso, essendo invece fortemente peggiorate le relazioni di stima e cooperazione, ormai praticamente inesistenti, essendo piuttosto tali rapporti caratterizzati dalla forzatura di regole (proprie di tale organizzazione limitatrice della sovranità) improntate alla competizione commericiale reciproca ed alla imposizione di politiche fiscali ed economiche interne, operate nell'interesse degli Stati-membri creditori, che hanno dato luogo a sprezzanti rapporti gerarchizzati che sono l'esatto contrario della pace e della giustizia fra le Nazioni.
Questa la pace e la giustizia tra le Nazioni dell'eurozona. Come si può collegare questo alla volontà espressa nella nostra Carta Costituzionale?
Semplicemente non si può.

