
Questo post di Bazaar è disseminato di notizie, analisi e intuizioni. In un crescendo che culmina nella "requisitoria" finale, ci spiega la genesi stessa del concetto di vincolo esterno: non è una "cosa" italiana, only,è una categoria dello "spirito", puro ed incorrotto, della elite mercatista che, "disinteressatamente", cerca di emendare noi zotici dalla corruttibilità ed incapacità morale di cui siamo per definizione portatori.
Insomma, il vincolo esterno, intessuto di tecnocrazia "etica" che predica duro lavoro e più mercato per tutti, non ha nulla a che vedere con vili interessi materiali: è filantropiCa manifestazione di una trascendente spinta delle elites a far "progredire" la società.
Noterete che il "core" di questa visione, fin dal suo manifestarsi, è bipartisan: cioè si afferma al di là delle contrapposizioni formali che appaiono caratterizzare l'offerta partitico-elettorale. Perchè sono accomunate da questo "grande disegno" (di una "grande società"), che, al di là di piccole differenze sui diritti cosmetici, attesta la sottostante permanenza di GRANDI INTESE.
Queste ultime possono essere dissimulate, in un'apparente contesa partitica sui diritti cosmetici (cito: tema “dell'immigrazione” ci impone di notare come quest'ultimo sia noto leitmotiv che sposta l'attenzione dell'elettorato dalla lotta tra classi per l'influenza politica - v. Kalecky - a quelle tra sottoclassi, che non ha reale impatto politico e funziona bensì da manipolatore del dissenso), oppure apertamente dichiarate.
Proprio come oggi: in Italia e in €uropa.Top Worldwide Think Tanks e l'ideologia bipartisan alla base del processo di mondializzazione.
(I) Introduzione
«La libertà non consiste nell'avere un buon padrone, ma nel non averne affatto»
Think tank: ma che sono? Ma quanti sono? Da dove arrivano? Che impatto hanno sull'opinione pubblica, sulle istituzioni e sul processo di rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini?
Un think tank, o serbatoio del pensiero, nato dal nome degli uffici dove gli strateghi discutevano i piani in tempo di guerra, consiste in unistituto di ricerca volto alla produzione di analisi strategiche di profilo politico, finalizzate alla consulenza a favore di istituzioni pubbliche o private.
“Profilo politico” inteso in senso ampio, dove le ricerche sono mediamente volte a realizzare studi impattanti le scienze sociali: dalle tecnologie, alle questioni militari, dalla cultura, all'economia.
Già, l'economia.
Oikonomia, οἰκονομία...
Questi istituti possono essere sostenuti da governi, lobby o imprese, oppure si autofinanziano tramite le attività consulenziali e i lavori di ricerca. L'importante tradizione angloamericana vuole, almeno in USA e Canada, tali organizzazioni di ricerca considerate no-profit e, quindi, agevolate fiscalmente.
(II) Storia ed origini
Come antenati prototipi dei think tank, che hanno cominciato a diffondersi intorno alla seconda guerra mondiale,vengono considerati, ad esempio, l'Institute for Defence and Security Studies (RUSI), fondato nel 1831 a Londra e, sempre in Gran Bretagna la nota Fabian Society:mentre negli USA, nel 1910, nasce la Carnegie Endowmentfor International Peace, chiaramente fondata da un filantropo, Andrew Carnegie, per «accelerare l'abolizione della guerra internazionale, la più ripugnante macchia sulla nostra civiltà».[1]Ma dai: il fil rouge pare sempre quello[2].
Chiaramente, da buon filantropo e pacifista, binomio aggettivale simbolo della neo-aristocrazia apolide[3],dichiarava di aver come maestro Herbert Spencer[4], «the single most famous European intellectual in the closing decades of the nineteenth century»[5].
Ma non mettiamo troppa carne al fuoco.
È nel corso del 1980 che inizia una una vera e propria proliferazione di think tank in tutto il mondo, in concomitanza con il fenomeno della globalizzazione, che potremmo definire come fase del mondialismo neoliberalefilosoficamente e sociopoliticamente ispirata alla Grande Società di von Hayek: ovvero, con la fine della Guerra Fredda e l'emergere di problemi transnazionali. Infatti, due terzi di tutti i think tank che esistono oggi sono stati istituiti dopo il 1970, e più della metà sono stati istituiti a partire dal 1980[6].
Istituti di ricerca che inizialmente si trovavano localizzati quasi esclusivamente in America del nord, Gran Bretagna ed Europa dell'est, con la globalization il processo mitotico colonizza Africa, Europa orientale, Asia centrale e Sudest asiatico, dove ci sarebbe stato “uno sforzo concertato da parte della comunità internazionale per sostenere la creazione di organizzazioni di ricerca di politica pubblica indipendenti”...(da che?...). Una recente indagine effettuata dai think tank Foreign Policy Research Institute e Civil Societies Program sottolinea l'importanza di questo sforzo e documenta il fatto che la maggior parte dei think tank in queste regioni sono stati istituiti nel corso degli ultimi 10 anni. Attualmente ci sono più di 4.500 di queste istituzioni in tutto il mondo.
La maggior parte dei think tankpiù affermati, con la motivazione di essere stati creati durante la guerra fredda, si concentrano su questioni internazionali, studi di sicurezza e politica estera.
(III) Istituti di ricerca d'oltreoceano: “de destra” e “de sinistra”.
Esemplificativi possono essere due recenti think tank, come il Center for American Progress, indiscutibilmente “progressista” come si evince dal nome, e la Heritage Foundation, indiscutibilmente “conservatore”, sempre per lapalissianetà nominale.
(Gli spin doctor devono aver ben presente che “l'abito fa il monaco” come la cravatta fa il gentleman: la forma è sostanza e la sostanza è forma: sì certo, a sfogliare i rispettivi siti, uno è tipicamente “socialismo-liberal”, tutto diritti cosmetici, ecologia e distintivo, mentre nell'altro c'è solo il distintivo, probabilmente redatto da Clint Eastwood e John Wayne)
Mentre nel think tank repubblicano, come si legge dalle prime frasi dell'about, non ci sono dubbi sulla politica economica promossa: «mission is to formulate and promote conservative public policies based on the principles of free enterprise, limited government, individual freedom, traditional American values, and a strong national defense»: notare il neoliberismo dichiarato e l'antisocialismo direttamente richiamato dalla “strong national defence”; cioè, gli USA che sono considerati dagli analisti di fatto “inattaccabili” da nemici esterni, date la semplice geografia e l'incredibile potenza militare, dovrebbero avere i cittadini “terrorizzati” da eventuali aggressori quando verosimilmente la mancanza di stato sociale e la disuguaglianzacagionano una decina di migliaia di lutti l'anno per violenza tra concittadini. Come da manuale neocon.
Estimated Global Gini Indices, 1820-2002[7]
Year Gini
182043.0
185053.2
187056.0
191361.0
192961.6
195064.0
196063.5
198065.7
200270.7
Source: Milanovic (2009)
Abbastanza esplicativa l'esplosione della disuguaglianza quando gli amici reagan-thatcheriani iniziano con T.I.N.A., it's time to globalization (notare la tabella 11, pag. 25, con attenzione agli USA).
La prima osservazione è che a quanto pare questi think tank“indipendenti” (...da che?) si son diffusi al pari delle disuguaglianze sociali.
Ma torniamo a noi: quale contrapposto ideale ci riserverà un fondamentale consultant del “primo partito progressista” d'occidente?
Il Center for American Progress,nella sua mission, si dichiara come: «[...]un istituto educativo apartitico [ndt.: sarebbe interessante chiarire il senso di “apartitico” per un'organizzazione “progressista” quando esiste uno, e un solo, partito “progressista”] e indipendente [ndt.: da che?] dedicato a migliorare la vita degli americani attraverso idee e azioni progressiste. Come progressisti, crediamo che l'America sia una terra di opportunità illimitate, dove le persone possono migliorare se stesse, i loro figli, le loro famiglie e le loro comunità attraverso l'educazione, il duro lavoro [ndt: perché, per un partito progressista, il lavoro deve essere e quindi – rimanere, se c'è - “duro”?], e la libertà di salire la scala della mobilità economico-sociale. [ndt: chiaramente godi di “mobilità” se, e solo se, ce la fai a vincere la sfida darwiniana – tramite il “duro” lavoro? - ; se non ce la fai sei benissimo libero di scivolare per terra e azzopparti per la vita: insomma, gli ammortizzatori sociali, limitando la libertà di caduta verso il basso, “non paiono una priorità per i progressisti che ci richiedono consulenze”]
Crediamo che un governo aperto ed efficace possa propugnare il bene comune sopra agli interessi particolari [ndt.: tipo gli interessi delle lobby?], sfruttare la forza della nostra diversità, e garantire i diritti e la sicurezza della sua gente [ndt: tema della sicurezza sempre ricorrente anche in the “left side”]. E crediamo che la nostra nazione debba essere sempre un faro di speranza e di forza per il resto del mondo [ndt: notare l'uso di “speranza”, “hope” in combinazione con “forza”, “strenght”: “il sogno americano” è messo in relazione al ruolo economico/militare nel globo]. I progressisti sono abbastanza idealisti da credere che il cambiamento sia possibile e sufficientemente praticabile per realizzarlo [ndt: chiaramente il progresso comporta cambiamento, deduzione tautologica: le proposizioni precedenti però, che non sembrano rilevare particolari tratti social-progressisti, vengono ricondotti al frame “de sinistra”, portando a quella logica programmatica che ispirò Tomasi da Lampedusa].
Sulla base dei risultati conseguiti da pionieri progressisti, come Teddy Roosevelt e Martin Luther King, il nostro lavoro affronta le sfide del 21 ° secolo, quali l'energia, la sicurezza nazionale [ndt: il solito tema dell'americano terrorizzato dal nemico esterno], la crescita economica e di opportunità, l'immigrazione, l'istruzione e la sanità. Sviluppiamo nuove idee politiche, critichiamo la politica che deriva da valori conservatori [ndt.: ovvio, l'antitesi di “conservatorismo” è “progressismo”: si “certifica” il frame, creando tesi e antitesi che, nell'immaginario pubblico, dovrebbe portare ad una qualche sintesi democratica e ad un nuovo “ottimo paretiano”], spingiamo i media a coprire le questioni che veramente importano [ndt.: sospetta antifrasi, a pensar male...], e modellare il dibattito nazionale. Fondata nel 2003 da John Podesta [ndt.: ovviamente potente lobbista di Chicago] per fornire una leadership a lungo termine e il sostegno al movimento progressista, il CAP è diretto da Neera Tanden e ha sede a Washington, DC [ndt.: dove ci stanno le “pubbliche hall” più famose al mondo]».
Insomma, si potrebbe già ipotizzare che,poiché non esiste nessun conflitto distributivo e, di conseguenza, nessun conflitto sociale, gli unici “conflitti” sono quelli causati da aggressioni dall'esterno: d'altronde, gli USA sono «faro di speranza e di forza per il resto del mondo».
(Mentre il tema della “sanità” può apparire a primo acchito un tema prettamente socialista, l'altrettanta evidenza data al tema “dell'immigrazione” ci impone di notare come quest'ultimo sia noto leitmotiv che sposta l'attenzione dell'elettorato dalla lotta tra classi per l'influenza politica - v. Kalecky - a quelle tra sottoclassi, che non ha reale impatto politico e funziona bensì da manipolatore del dissenso - v. Orwell, “I due minuti di odio” -, cioè puntella il sistema di gatekeeping)
La contrapposizione che si può quindi evincere, sembra proprio essere quella che abbiamo da vent'anni in Italia: diversa sensibilità sui diritti cosmetici, sui temi ecologici e su “lateralizzazioni” nominali.
(IV) Sintesi e tentativo di ermeneutica dei principali tratti ideologici
Da due dei più importanti think tank che forniscono supporto agli spin doctor delle sinistre e delle destre delle nazioni occidentali, si apprende che la prima e più importante grande democrazia moderna(ovvero, la cui “sovranità” dovrebbe appartenere a tutti i cittadini, indipendentemente da classe sociale, lingua, razza o religione), promuove un ordinesociale per cui “essere indipendenti” significa proporre “tecnicamente” (la techné, πρᾶξις, è “strumentale” alla prassi politica, πρᾶξις)[8]soluzioni che non siano “condizionate dai partiti politici democraticamente eletti” (nonpartisan) e siano indipendenti dalle istituzioni democratiche.
(Supercazzola ermeneutica: se ne deduce una visione per cui l'ethos, ἦθος, è un aspetto immanente della condizione sociale, esterno al locus dell'arbitrio umano, in quanto l'uomo è ontologicamente corruttibile e la società - somma di identici, non relazionati e inanimati individui che, essendo appunto disonesti e corrotti, sono inabili ad avere relazioni affettive ed effettive - è intrinsecamente anch'essa corrotta e incapace di darsi – democraticamente – un ordine: quindi l'entropia, la naturale tendenza al disordine - ovvero la condizione umana di “morte” - è l'unica etica che genera la “pace eterna”: il disordine diventa ordine. Il regno di Thanatos.
Libero il mercato di agire secondo le proprie leggi supreme, svincolandosi quindi dal nostro Art. 41 Cost., un “novus ordo seclorum” nascerà dal disordine.
«Requiem aeternam dona ei domine et lux perpetua thermodynamicae secundo principio luceat»
«Amen»
In questa inversione causativa rispetto al comune sentire, il “mercato” è un'entità ontologica, incorruttibile indipendentemente dagli attori/agenti stessi che la compongono, dotata di leggi “naturali” – di tipo spenceriano/darwiniano – che in un'ottica evolutiva espunge, sterilizzando, l'infezione della dimensione umana: l'uomo stesso).
Mumble, mumble[9]...
Il bene della società è affidato, quindi, alle scelte dipendenti dalle lobby private: perché si sa, è il libero mercato che fa le migliori scelte per l'individuo: individuo che per antropologia o, meglio, per genoma, ha necessità di essere guidato e governato da una élite spirituale, nobile e pura, selezionata dalle leggi incorruttibili di oikonomia.
(A questa considerazione potrebbe essere interessante sottolineare il tema ricorrente della contrapposizione tra purezza e corruzione[10], strettamente correlato a nevrosi e a disturbi della personalità[11] che hanno la peculiarità dell'egosintonia e dell'adattamento alloplastico: insomma, si potrebbe individuare l'eziologia di un virulento focolaio di sociopatia politica)[12].
Tutto ciò pare essere primario valore della società, almeno stando alle mission dei più grandi think tank degli unici due partiti politici del paese più influente al mondo...
p.s. una buona riflessione ed autocritica, per chi si propone come democratico e pluralista così come da Valori costituzionali, è provare a collocarsi come ivi suggerito.
(V) Addendum
Come ci fa notare il mitico poggiopoggioliniin I’AM A HUMANIST AGAINST THE POST-DEMOCRACY, un esoterico Schaeuble afferma che per l'eurozona “il vero problema è l'essere umano”: quod erat demonstrandum.
Schaeuble candidamente esterna il tratto caratteristico dell'ideologia anti-socialista - e quindi anti-umana - che il problema non è la disumanità della techné al servizio di una distopica civiltà inumana: il problema è, appunto – come per inversione di causazione segnalata nella “supercazzola ermeneutica” - dell'Uomo stesso che, ontologicamente incapace di “fare la cosa giusta” posto di fronte al libero arbitrio (ovvero la possibilità di risolvere secondo coscienza una crisi, κρίσις)[13]– deve essere tecnicamente vincolato in un ordine che risponde a regole etiche “esterne”, “imparziali” e “supreme” in quanto individuate da una élite dello spirito, ad esse congeniale. Unica élite illuminata degna di occupare le parti alte dell'uomo post-democratico, quelle del logos: le ignominiose “parti basse” possono essere tranquillamente occupate dagli zotici, buoni solo di lavorare duramente e di riprodursi. Ovviamente se sono fortunati.
La nevrosi dell'Uomo.
[1] Edmund Jan Osmanczyk and Anthony Mango, Encyclopedia of the United Nations and International Agreements. London: Routledge, 2004
[2] «Se non fai le “riforme strutturali” si scatenano – o scateniamo, vedi tu... - una guerra sanguinosa; e ricorda: in battaglia tendono a morire quasi esclusivamente i “lavoratori”... pardon, i disoccupati...»
[3] http://orizzonte48.blogspot.it/2014/05/la-grande-societa-pan-europeismo-per-la.html
[4] http://orizzonte48.blogspot.it/2014/04/la-sofferenza-dei-pochi-che-decide-la.html
[5] Thomas Eriksen and FinnNielsen, A history of anthropology (2001) p. 37
[6] http://www.fpri.org
[7] http://www.unicef.org/socialpolicy/files/Global_Inequality.pdf
[8] WARNING: questa banale parentesi, è fondamentale per sottolineare che chi «mente sulla techné, anche semplicemente marginalizzandone l'importanza, mente implicitamente rispetto agli ideali che professa di perseguire.
[9] Diego e Velo di Maya, se ci siete intervenite... e fermatemi... :-)
[10] http://www.ascoltopsicologico.it/site/articolo.asp?id_area=27&id_rubrica=88&id_articolo=485
[11] https://it.wikipedia.org/wiki/Disturbo_antisociale_di_personalit%C3%A0
[12] In vulgaris:«poiché il malato non si riconosce tale, e tende ad avere un “locus of control esterno” - cioè“è sempre colpa degli altri” - pretende di alleviare le proprie sofferenze cambiando il mondo esterno, ovvero cambiando “gli altri”».
[13] Vincolare un uomo e costringerlo “a fare la cosa giusta“ tramite la sofferenza psico-fisica come quella “sociale” generata da una crisi economica, è puro distillato di ciò che G. Orwell descriveva come l'essenza del potere: la facoltà di infliggere dolore a terzi. (Con buona pace di Aldous Huxley che sosteneva fosse sufficiente “l'ipnosi delle masse”...)