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LA COMPRENSIONE CHE NON C'E': SINISTRA/DESTRA E LA COSTITUZIONE CONGELATA (KU)

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18. KU - L’emendamento delle cose guaste

1. Nel dibattito seguito ai post su "Feltri e la grecizzazione dell'Italia" nonchè sui "diritti di libertà inghiottiti dalla doppia verità" sono emerse due questioni fondamentali che attengono allo stesso rapporto tra l'orientamento politico espresso dal popolo italiano nel corso della Storia repubblicana - e in fondo anche "prima" -, e la connessione del comune sentire di tale popolo con la sostanza democratica della Costituzione.
I due interrogativi presuppongono sia di identificare il senso della distinzione tra "destra" e sinistra" in termini storici e attuali (dato che proprio l'attualità pare mettere in crisi tale distinzione, secondo una diffusa, quanto confusa e non univoca, opinione), sia di comprendere quale sia il grado di aderenza dell'ordine sociale in cui, nel secondo dopoguerra, si sono trovati a vivere gli italiani, rispetto al modello costituzionale
E tale "aderenza", a sua volta, determina una identità di cittadinanza che, molto probabilmente, prescinde dall'autodefinizione politico-partitica che gli italiani stessi si attribuiscono.

2. Il punto di partenza è questo mio commento in risposta a un intervento di Matteo:
"Recentemente mi hanno proprio domandato quali differenti programmi (o "ideologie"...) avrebbero potuto connotare l'attuazione della Costituzione, in termini di "parti" politiche contrapposte (ma all'interno del quadro costituzionale).

In realtà, una prima risposta sta nelle diverse intensità di utilizzo dei vari strumenti di politica economica previsti nella Costituzione (appunto) "economica": non è però sicuro che la correzione dei cicli economici sia così "multipla" e discrezionale, una volta che, nelle linee keynesiane, si sia intrapresa una cornice che attui e preservi la piena impiegazione. Ma aggiungerei (in questa sede) ciò dipende anche dal quadro "istituzionale" che, nello sviluppo della congiuntura economica, si è realizzato rispetto al momento in cui una certa misura di politica economica debba essere adottata (es; più o meno intensa attuazione dell'art.43 Cost. relativo alla proprietà pubblica industriale, o dell'art.47 Cost., relativo agli interventi legislativi di promozione del "risparmio diffuso").
Infatti, l'output gap - e quindi la potenziale deriva della sottoccupazione - sono per definizione derivanti dalla liberalizzazione-internazionalizzazione dell'economia: quando ti trovi a correggere squilibri economici di questo genere, trovandoti con un rilevante "balance of payment constraint", vuol dire che hai già deragliato da politiche keynesiane.
E, ancor peggio, che avrai normalmente già apportato modifiche istituzionali che impediscono gli strumenti di intervento keynesiano. Come sappiamo questa funzione (de)istituzionale è stata svolta dai trattati.

Ergo: un equilibrio keynesiano (tentato) è una scelta economicamente e politicamente molto forte, con una discrezionalità tecnica alquanto delimitata.

L'unico limite è che, politicamente, come evidenzia Galbraith, è facile applicare politiche economiche keynesiane espansive, ma molto più difficile farle in funzione anticiclica di "raffreddamento". E da lì, da questo trend (anti)inflattivo che si sono insinuati i revanchismi neo-liberisti
..."

3. Di questa risposta sono ancora convinto, nonostante la giusta obiezione di Bazaar che la famosa stagflazione, susseguente alla duplice crisi petrolifera degli anni '70, sia una situazione contingente peculiare fatta assurgere, opportunamente, a modello di spiegazione delle crisi economiche in chiave anti-keynesiana (e anche antidemocrazia costituzionale):
"Il disgelo costituzionale avviene infatti solo quando "Confidustria" viene "messa all'angolo": fosse stato per quel gruppo sociale la "segnaletica" l'avrebbe messa in modo tale da far finire sessanta milioni di Italiani in uno sterrato nel deserto o in una palude. Come poi sul finire dei '70 ha proprio fatto...

Einaudi e i suoi han fatto la figura dei cinici fessi tutta la Costituente ma, subito dopo, ci siamo trovati il nostro Hayek italiano alla BdI e come Presidente della Repubblica.

Poi, diciamocelo: quella dello shock petrolifero è stata una delle solite ciniche e sociopatiche pagliacciate... altro che politica anticiclica per raffreddare l'economia... Si è, guarda a caso, creata ad arte la situazione pochi anni prima paventata da una delle figure più eminenti della Mont Pelerin: ovvero inflazione e recessione insieme. Non c'era da raffreddare un bel niente, se non solo la finanza angloamericana che, tirato il pacco con la convertibiltà in oro, si è assicurata comunque il signoraggio della Fed che, invece di convertire i dollari in oro giallo, ha cominciato "a convertirli in oro nero".

Infatti gli "einaudiani" se ne sono usciti con "l'austerità"... con il supporto della sinistra ormai in massa coartata.

Capire ora cosa siano sostanzialmente "destra e sinistra", cosa implichi difendere la rendita da oligopolio o il reddito da lavoro, potrebbe essere lievemente importante: proprio perché è da quasi trentacinque anni che abbiamo abbandonato progressivamente la strada "asfaltata" della Costituzione. Parlare ora di destra e sinistra non è più una questione "cosmetica"...
"

4. Dunque, affermare che la stagflazione sia stata la "prova" della erroneità del modello keynesiano di equilibrio, infatti, è una diagnosi affrettata, quanto di successo, che ha prodotto danni, democratici e alla crescita mondiale, enormi e oggi sempre più evidenti: tuttavia, rimane il fatto che le politiche keynesiane non funzionano solo in senso espansivo, proprio perchè prevedono esse stesse che, in condizione di piena occupazione il moltiplicatore della spesa pubblica si riduca e, cosa ancora più importante, si traduca in domanda di beni esteri più che proporzionale alla crescita. 
Però, come evidenzia Galbraith, questa fase anticilica di raffreddamento ha un forte "political constraint", laddove sia affidato alle stesse forze di governo che abbiano in precedenza raccolto il consenso legato alla fase espansiva e che, dunque, dovrebbero assumere misure "impopolari". 

5. D'altra parte, il paradosso è che se non fosse affidata, tale difficile gestione del "raffreddamento" (sottointendiamo inflazionistico in condizione, tendenziale, di piena occupazione), a quelle medesime forze di governo, la gestione stessa sarebbe, giocoforza, operata da chi avversa da sempre, (e per scelta identitaria che considera di "vita o di morte"), le teorie keynesiane; quindi, tale gestione "avversa" diventerebbe la tanto attesa occasione per smontare tutto intero il paradigma, incentrato sull'intervento dello Stato a correzione delle crisi economiche ricorrenti, provocate dalla intrinseca dannosità speculativo-finanziaria delle forze del "mitico" mercato. 
In tale evenienza (molto concreta ed attuale) l'ordine sociale sarebbe di nuovo e, come constatiamo oggi, per sempre vincolato allo "stato di necessità"(determinato dal superiore ordine dei mercati"da ripristinare all'interno delle loro pretese "leggi naturali") che governa la logica del (neo)liberismo, sacrificandosi illimitatamente la democrazia e il benessere diffuso.
Che è quanto oggi si sta puntualmente verificando.

6. Questo dunque ci riporta a un problema di democrazia "economica" che, appunto come evidenzia Bazaar, è di democrazia tout-court; il che equivale a dire che o la democrazia è legata allo Stato sociale (ovvero all'equilibrio keynesiano) o "semplicemente non è", come disse esattamente Mortati parlando della Costituzione. 
Lo stesso Bazaar conferma questa interpretazione, a mio parere;  in un successivo intervento, dove il discorso introduce direttamente a cosa significhi, in concreto, essere di "destra" o di "sinistra" in una democrazia contemporanea (imperante il liberismo della "scienza (economica) dell'800", per usare le parole di Ruini in Assemplea Costituente in risposta a Einaudi, l'istanza democratica è molto più semplificata: e questo ci torna utile per spiegare la situazione di oggi, come abbiamo appena visto), Bazaar precisa:

"...la particolarità di una democrazia moderna, che, per essere tale "nella sostanza" - come faceva notare Mortati - necessitava un ordinamento lavoristico con una forte Stato sociale. Ovvero, si fondava l'intero ordinamento, con convergenza di tutte le forze politiche, sulla Sinistra economica: sinistra economica che propugna la necessità della giustizia sociale affinché la democrazia possa essere chiamata tale.

I liberali - ovvero la destra economica - oltre alla "giustizia commutativa" storicamente non chiedono altro: anzi.
Quindi, la domanda che sorge spontanea consiste in: « ma se tutti convergono sui caposaldi storici "socialisti", che legittimità e che spazio hanno nel panorama costituzionale le "istanze liberali"» (in democrazia "compiuta", beninteso, ndr.)?

Risposta: tendenzialmente nessuna.

I liberali alla Einaudi avrebbero dovuto difendere gli interessi di classe in una dialettica che avrebbe dovuto escludere la radicalità sostanziale della ideologia storica, risultata definitivamente screditata dalla crisi del '29 e dalla seconda guerra mondiale: avrebbero dato un eventuale contributo nel "come" raggiungere gli obiettivi
Non più "quali" obiettivi.

Infatti, a differenza degli stati liberali "classici" come USA e UK, che avevano adottato le politiche keynesiane nel trentennio d'oro senza "obblighi costituzionali", smantellando tutto lo stato sociale in breve tempo e senza troppi problemi (Reagan e Thatcher), per l'Europa il vecchio ordine (a vertice USA) ha tenuto "un piede nella porta" con la Germania ordoliberista, e, tramite i trattati di libero scambio dipinti di rosso da Spinelli, Rossi e utili geni del caso, tramite il "vincolo esterno", ovvero il "balance of payment constraint", ovvero tramite SME ed euro, la classe dominante internazionale, con il capitale internazionale "vassallo" e per definizione collaborazionista, si sono avviati a "ricordarci la durezza del vivere".
Perché la democrazia è tale se, e solo se, esiste lo Stato sociale con le sue protezioni. (v. Mortati).

Il fatto che nonostante la scelta unanime verso il keynesismo Einaudi potesse godere di tali "riconoscimenti", potrebbe essere proprio considerata come il segnale della scelta EXTRA-istituzionale di un determinato gruppo sociale di influenzare la politica nazionale al di fuori della legalità costituzionale. Obiettivo poi effettivamente perseguito a livello "tecnico" a fine anni '70.

Arturo ha recentemento riportato a riguardo il discorso a Londra di Agnelli prima dell'entrata nello SME: dovevamo abituarci ad avere "più disoccupazione"... con buona pace dell'art.1 cost. e seguenti.
Ma il "livello tecnico"è proprio quello che ha permesso di far percepire solo le conseguenze all'intellighenzia "democratica", che ne ha potuto descrivere le derive politiche e culturali - magari in modo "illuminante" - senza, però, saper distinguerne le cause e promuovere delle soluzioni a contrasto.

Contrasto che, infatti, non c'è stato. Testimone la colossale sconfitta di classe che rappresenta lo sbriciolamento delle democrazie occidentali.

Quindi, ripeto, dire che "gli Italiani sono di destra", che sono "fascisti", disquisire sulla psicologia dell'appartenenza fine a se stessa, e tante altre analisi di ordine più pseudo-antropologico o pseudo-sociologico, come generalmente vuole la vulgata che va dal bar dello sport all'intellettuale "di area" passando per gli utili Feltri, è il tipico segnale dell'assoluta inconsistenza di capacità di analisi e, in ultimo, di indirizzo politico di chi ha un'etica più o meno "democratica
".

7. In sostanza, il segno di una democrazia compiuta (e non revocabile, in modo assolutamente discrezionale, secondo il capriccio dello "stato di necessità" imposto dai mercati) è il costituzionalismo.
Vale a dire:
a) l'esistenza della Costituzione rigida - cioè al di sopra della "politica" - dei rapporti di forza sociali comunque raggiunti, come evidenziò Calamandrei- espressa nelle leggi del Parlamento);
b) della costituzionalizzazione del sistema di garanzia della gerarchia delle fonti, - al cui vertice sia sempre la stessa Costituzione nei suoi enunciati inderogabili;
c) del principio di eguaglianza sostanziale legato alla enunciazione del principio supremo di tutela del lavoro, come sistema centrale di risoluzione democratica del conflitto sociale.

6. Ora, anche solo aggiungendo tutti gli spunti fornitici da Arturo (e da Matteo), se volessimo commentare e sviluppare funditus (come ho improvvidamente preannunciato e chiedo venia), trattare la questione della possibilità di essere di sinistra o di destra all'interno del vincolo democratico-costituzionale, esigerebbe scrivere un libro. O, anche più volumi.
Mi limito a fare due cose: 
- mi riprometto di incorporare in questo post le eventuali sintesi e osservazioni significative che saranno fatte nei commenti (procedimento cui già Arturo ha dato spunto produttivamente in passato);
- produco una (succinta) sintesi del problema che tiene conto, per quanto possibile, dei commenti già svolti nei due post citati.

7. La sintesi (che è anche un punto di partenza nel senso sopra precisato), è grosso modo questa.
Gli italiani sono di destra (nel senso di "prevalentemente")?
La risposta potrebbe essere positiva se, e solo se, si  faccia questa ricognizione, - sbagliando, come ben ha evidenziato Bazaar- avendo mancato preliminarmente di studiare le scienze sociali e volendo fare "politologia" avulsa: cioè che reinterpreti il dato storico alla luce di un'ostinato trascurare i dati e la comprensione economica e istituzionale nelle sue dinamiche "reali" (alla Montanelli, per citare il più recente esempio qui emerso).
Ma una volta impostato il discorso nei suoi termini "obiettivi"- nel senso dell'accuratezza delle fonti utilizzabili e dell'intera considerazione metodologica dei fatti-, la risposta deve essere: prevalentemente no.
Se gli italiani votano "a destra", o, il che è la stessa cosa trasposta ai tempi odierni, per "soluzioni di destra", lo fanno perchè l'opinione di massaè formata non sulla sostanza, ma sulla vulgata pseudo-scientifica, e cioè "politologica" e "mediatica", di tale contrapposizione destra-sinistra; e questo fenomeno di "manipolazione" va, come detto più sopra, rapportato alla prevalente considerazione economica della: 
a) (ir)realizzazione della eguaglianza sostanziale; 
b) (indebolita) garanzia della tutela del lavoro nel senso della piena occupazione in senso proprio. 

8. Nei commenti ai post da cui prende spunto il "dibattito", ho menzionato che, se agli italiani fosse chiesto di essere-agire come se appartenessero veramente alla destra (sempre nel senso economico realmente rilevante) e, quindi, di rinunciare alla pensione pubblica, alla sanità pubblica e all'accesso, mediante il risparmio diffuso, alla casa di abitazione, risponderebbero prevalentemente in senso negativo con il proprio voto.

E' pur vero che la maggioranza degli italiani non pare in grado di connettere questi aspetti qualificanti della propria condizione, - indubbiamente delle conquiste "sociali", ergo "di sinistra"in termini economici, - al mercato del lavoro e alla sua struttura legislativa (cioè politica); che è comunque"ordinamentale" in senso proprio, perchè caratterizza l'intero ordinamento sociale mediante la principale normativa giuridica prevista dalla Costituzione; e lo caratterizza comunque, anche quando la tutela del lavoro non sia prevista nella Costituzione e permanga, come negli USA o in UK, l'indiscriminata discrezionalità dei forti di comprimere per via legislativa ogni forma di tutela.

Perchè non siano, gli italiani, in maggioranza, in grado di farlo, in fondo è il tema di questo blog e abbiamo visto vari "perchè" connessi: 
- perchè la cultura non è (intenzionalmente) diffusa come vorrebbe il principio di eguaglianza sostanziale (art.3, comma 2, Cost.);
- perchè l'internazionalismo della pace non fa percepire, (ai più, occupati a prendersela con lo Stato tasssatore, dimenticando che è un non-Stato-passacarte), le "condizionalità" sovranazionalicome strumenti intenzionali e programmatici per smontare il caposaldo del mercato del lavoro democratico, mediante la sottrazione dei diritti sociali (e viceversa, in un processo circolare innescato sempre dallo "stato di necessità" della legge dei mercati).

9. A questo punto, vorrei quotare Arturo che, in altri termini, mediante una citazione, (di Bin), propone indirettamente lo stesso interrogativo sulla rinuncia ai fondamentali beni della vita cui gli italiani non darebbero risposta (elettorale) positiva:
"In epoca liberale si poteva tranquillamente scrivere, come faceva Bagehot[29], che “le classi lavoratrici non contribuiscono quasi per niente alla formazione dell’opinione pubblica”, per cui i lavoratori “sono esclusi dalla rappresentanza ed anche da ciò che è rappresentato”; perciò - Bryce aggiungeva – l’opinione pubblica “è un contrappeso alla strapotenza del numero… Alle urne un voto vale l’altro, l’ignorante e l’irriflessivo contando come il ben informato ed il saggio. Invece nella formazione dell’opinione pubblica, dicono la loro parola cultura e pensiero”[30]"

Pensate forse che se i cittadini italiani - che, anarcoidamente e inconsapevolmente (rispetto agli effetti dell'euro e dei suoi vincoli fiscali), ritengono che essere di destra implichi invocare meno tasse e il taglio della spesa pubblica-,comprendessero che,per chi veramente stabilisce quelle tasse e quei tagli, essi stessi sono visti come la neo-classe lavoratrice che "non contribuisce quasi per niente alla formazione dell'opinione pubblica", (che è invece fissata in strategie concepite da circoli molto, ma molto ristretti), e si rendessero conto del perchè il loro voto non conti nulla, sarebbero ancora disposti a supportare le forze che rappresentano chi di loro ha questa considerazione?

10. Ergo gli italiani, se votano "a destra", o per soluzioni "di destra" (credendo di votare "a sinistra"), lo fanno perchè sono ingannati e ridotti a una condizione di disprezzo verso la loro intelligenza, mortificata prima di tutto, dalla rinuncia ad attuare la Costituzione sulla eguaglianza sostanziale. 
Esattamente, cioè, come evidenzia Rawls, parlando della redistribuzione ex ante, che è la forma di eguaglianza sostanziale più difficile ma anche più utile e "strutturale" da realizzare per avere una democrazia (che consenta, parificando la posizioni di partenza ad handicap, di sprigionare tutte le risorse del sub-strato umano della società). 
E questo, considerato che, invece, la redistribuzioneex post, cioè la progressività di sistema dell'imposizione fiscale, risulta agevolmente ribaltabile in funzione di interessi nettamente contrari alla eguaglianza sostanziale, come ci insegna la Storia dell'asservimento finanziario privato degli Stati, oggi perseguito mediante le Banche centrali indipendenti: che, poi se fosse culturalmente dinamico il dibattito politico diviene il perno della rivendicazione democratica e, economicamente, della sinistra sostanzialmente maggioritaria.
Insomma, ridotto in soldoni, il problema degli italiani è quello di tutti i popoli che vivono sotto il tallone di ferro, più o meno abilmente mascherato, della restaurazione liberista contraria alle Costituzioni democratiche (qualcuno mi citerà JP Morgan? Diamolo per acquisito): un problema di controllo mediatico e di impossibilità, in assenza di condizioni istituzionali di rappresentatività, di partecipare realmente, avendo preliminarmente avuto la possibilità di dotarsi degli strumenti culturali, alla vita politica che li riguarda.
Dunque, un problema di democrazia economica che non lascia, a nessun popolo, altra alternativa che quella di comprendere che si può essere di "destra" (dentro la democrazia), solo "non" essendo liberisti-a-propria insaputa (cioè senza saper come ciò colpisca i propri stessi interessi maggioritari); ovviamente questa precondizione vale sempre che non si appartenga alla ristrettissima cerchia di quelli che si avvantaggiano veramente della "restaurazione" liberista e della sospensione sine die  dei principi fondamentali della Costituzione.

11. Per questo, come qui emerge, in termini che sono "quasi" utopici, nello stato mediatico delle cose (cioè programmaticamente oligarchico), avevamo indicato, proprio come cura all'astensionismo, - che divenendo il primo "partito" dovrebbe di per sè far pensare che la questione di destra e sinistra non possa proprio più essere proposta nei termini tradizionali, ma che si ponga solo un problema di democrazia (economica)-, questa sequenza:
"In sintesi, il cittadino dovrebbe pensare di non votare per chiunque non ponga la questione della inaccettabilità democratica della banca centrale indipendente, da cui deriva la conseguente inaccettabilità di tutti i corollari che, affermatisi a livello europeo, costituiscono il vincolo esterno.
E' sufficiente notare come, questa opzione di autotutela democratica del cittadino, non implica l'adesione a questa o quella ideologia che (sempre ingannevolmente) si arrogano il ruolo di soluzioni alla crisi (il caso Syriza è evidente, in tal senso): la lotta per la riconquista della sovranità popolare che passa per l'abrogazione del paradigma della banca centrale indipendente, attiene a una pre-condizione minima e coessenziale della democrazia in senso sostanziale, e può prestarsi alla unificazione ed alla confluenza di una pluralità di "visioni del mondo" all'interno della stessa democrazia.
Nella condizione di emergenza democratica attuale, in effetti, la battaglia per la ri-democratizzazione delle istituzioni bancarie e creditizie sarebbe il vero "distinguo" di un nuovo partito di massa, capace di dar voce agli interessi effettivi della maggioranza dei cittadini."



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