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1- LA DEMOCRAZIA SOVRANA, LA CONDIZIONALITA', IL VINCOLO ESTERNO E IL "VINCOLONE" (TTIP).

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1. La domanda che dà titolo al post è consequenziale a quanto emerso dal corso dei precedenti post sulla questione riassumibile in "gli italiani sono di destra o di sinistra?" ebbene, la risposta emersa è necessariamente articolata:
a) sono culturalmente "di sinistra": in senso sostanziale, cioè economico-costituzionale, considerate obiettivamente le politiche che gradiscono sentirsi promettere, o che, quantomeno, NON vogliono sentirsi (com)promettere, per dare il loro voto. 
In sostanza, le politiche "sociali" in Italia sono interiorizzate nella opinione pubblica in un profondo codice di aspettative fatte proprie dal senso comune, più che da "valori" coscienti (come vedremo al punto b). E questo caratterizza come "sociale" la politica cui si rivolge (in partenza) il popolo italiano, salvo il continuo aggiustamento elettorale da parte della "opinione pubblica" dominante (leggi: sistema di controllo culturale e mediatico che passa per pubblica istruzione, giornali, TV e, naturalmente, "accademia"), che converte l'aspirazione sociale in qualcosa di politicamente contraddittorio;
b) elettoralmente tendenti al moderato (cosa che, peraltro, non è una peculiarità solo italiana, ma propria di tutti i paesi avanzati del blocco "occidentale"): cioè coltivano il centro per ottenere comunque quanto di sostanzialmente "di sinistra" vorrebbero, ma in quantità che ritengono anzitutto accettabili per la propria categoria: cioè prediligono "ottenere" ma tramite una serie alternata di leggi di categoria (cioè un vasto mosaico, spesso contingente, di legislazione speciale di settore), che diluiscono e differenziano nel tempo l'effetto sociale ampliativo, rispetto a quello di sistema (costituzionale) esteso alla generalità;
c) infine, governativamente, quindi al netto dell'esito del processo elettorale, quando si giunge alla fase di determinazione dell'effettivo indirizzo politico, gli italiani finiscono per divenire "tendenti"- o, più esattamente, "disposti a subire"-, a destra: sempre in senso economico e considerata la sovranità limitata, di cui abbiamo subìto prima la condizionalità geo-politica seguente alla seconda guerra mondiale, e poi il "vincolo esterno"; non appena la geo-politica dei blocchi" (leggi l'assetto di Yalta), perde il suo carattere globale (per il decadimento della pressione esercitata dal paradigma imperiale sovietico).

2. La conferma di questo schema, storico-empirico (che, inutile dirlo) non aspira altro che a una sintesi fenomenologica, l'abbiamo avuta, ancora una volta, dal prezioso ritrovamento storico-politico di Arturo:
"Visto che s’è menzionato De Gasperi, parto col suo celebre discorso del maggio ’47, quando annunciò la crisi del governo di unità nazionale: il discorso del “quarto partito” (in Graziani, Lo sviluppo dell’economia italiana, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, pag. 40):
i voti non sono tutto (...). Non sono i nostri milioni di elettori che possono fornire allo Stato i miliardi e la potenza economica necessaria a dominare la situazione. Oltre ai nostri partiti, vi è in Italia un quarto partito, che può non avere molti elettori, ma che è capace di paralizzare e rendere vano ogni nostro sforzo, organizzando il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l'aumento dei prezzi e le campagne scandalistiche. L'esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l'Italia senza attrarre nella nuova formazione di governo (...) i rappresentanti di questo quarto partito
Prosegue Graziani (pag. 41): 
Tutti i ministeri economici vennero affidati a uomini di sicura fede liberista. Einaudi lasciò il governo della Banca d'Italia a Menichella e assunse la direzione del nuovo ministero del Bilancio: Del Vecchio, autorevole studioso di eguali tendenze liberiste, assunse il ministero del Tesoro; i ministeri delle Finanze e dell'Industria andarono rispettivamente a Pela e a Merzagora, ambedue legati agli ambienti della grande industria del Nord. A questo governo spettò di prendere nei mesi immediatamente successivi i provvedimenti di maggiore portata, e di realizzare la famosa svolta deflazionistica del 1947.” 

3. Circa la natura di quel momento storico, un tempo dibattutissimo, oggi quasi dimenticato, abbiamo evidenziato che la nostra condizione storica di potenza "perdente" nella seconda guerra mondiale, rendeva immediatamente problematica la realizzazione del programma costituzionale; sebbene, con Basso e quanto affermato dai Costituenti in sede assembleare, preferirei parlare di "effettività" della Costituzione.
Prosegue la citazione di Arturo:
"Veniamo al ’63. 
S’è accennato alla stretta estiva della Banca d’Italia, ma qui voglio spostare lo sguardo a qualche mese dopo: il primo governo di centro-sinistra con la partecipazione socialista si costituisce nel dicembre del 1963 e dura fino al giugno del '64
Un mese prima delle dimissioni del governo, il ministro del Tesoro Colombo invia una lettera-memorandum a Moro, "filtrata" sui giornali (Messaggero, 27 maggio 1964). 
Nel documento 
"il ministro presentava un quadro catastrofico della situazione economica italiana, parlava di "pericolo mortale" dell'economia e della democrazia italiana, chiedeva il blocco delle riforme sostenute dai socialisti (Statuto dei lavoratori, istituzione delle regioni, legislazione urbanistica) in quanto agenti di effetti negativi sulla competitività dell'economia italiana e disincentivanti degli investimenti; esprimeva in termini assolutamente netti l'alternativa: 
"O attuare la stabilizzazione col concorso dei sindacati o procedere energicamente senza il concorso dei sindacati alle misure necessarie per arrestare l'inflazione e difendere il potere d'acquisto della moneta". Occorreva scegliere senza indugio, perché lo imponeva la situazione interna e lo richiedevano i partners europei "che giudicano in maniera severissima la situazione italiana"." (F. De Felice, La questione della nazione repubblicana, Roma-Bari, Laterza, 1999, pag. 104)."

4. Questo secondo frangente storico merita un certo approfondimento.
Il "governativamente di destra" (cioè in controtendenza rispetto alla effettività costituzionale), è la cifra della "condizionalità" geopolitica di una paese che sorge da una sovranità limitata ma che non è riflessa nel testo costituzionale
Questo fenomeno peculiare, che fa dell'Italia repubblicana un'anomalia, lo avevamo evidenziato qui, comparando il "processo Costituente" italiano con quello, ben differente, che caratterizzò le altre potenze perdenti, cioè Germania e Giappone.
"Non altrettanto potè dirsi della Costituzione giapponese, che fu praticamente scritta da due ufficiali incaricati da Mac Arthur, che bypassarono l'elaborazione dei "saggi costituzionalisti", originariamente investiti del compito dal primo ministro pro-tempore giapponese; a emendamento della stesura USA, i giapponesi riuscirono solo a imporre l'introduzione di un sistema bicamerale (un paradosso che oggi in Italia è ignorato, coll'inconsistente iperconvinzione che il bicameralismo esista soltanto in Italia, cosa smentita tra l'altro dalla agevole lettura sia della Costituzione francese che di quella USA). 
...Analogamente, la Costituzione tedesca rispose a vicende ben più vincolanti, dettate dalla influenza delle potenze vincitrici
A guidarne la redazione, peraltro, fu l'ossessione di non ripetere la frammentazione partitica di Weimar assunta, in quel momento, come precondizione della degenerazione totalitaria nazista.
Questa idea risponde a una ricostruzione storica che, come ormai dovremmo sapere, non tiene conto affatto delle condizioni essenzialmente economiche, derivanti dalle "conseguenze della pace" imposta con la fine della prima guerra mondiale; furono queste "condizioni economiche" che resero vitale e preponderante il nazismo, (compresa, prima di tutto, la politica deflazionista intrapresa nella parte finale della Repubblica di Weimar).
L'enfasi sulla totale rimozione di tali cause dell'ascesa del nazismoè stata mantenuta fino ad oggi; e certamente rispondeva, in un connubio tra nuova classe dirigente tedesca e interessi delle potenze vincitrici, alla esclusiva esigenza di fissare un baluardo anticomunistae pro-capitalismo, inteso quest'ultimo come forma economica tout-court della democrazia.
Questo errore di prospettiva, forse giustificato dal contesto storico, ha avuto e ha tutt'ora pesanti ricadute sulla concezione della stessa democrazia all'interno della c.d. "costruzione europea"..."
5. Per tornare al 1963, dovremmo aggiungere che i suoi effetti politici furono (cioè la rapida crisi del primo governo di centro-sinistra) in parte transitori, ma non altrettanto la correzione che si impresse alle politiche economico-sociali: il centro-sinistra tornò a governare, negli anni seguenti, com'è ben noto, (e questo conferma la natura sociale, economicamente di sinistra, del "senso comune" italiano), ma a condizione che quel tanto di sinistra, in sde governativa, delimitasse la sua (geo-politicamente sgradita) aspirazione alla effettività della Costituzione.
Come prima indicazione di quel periodo, nel suo contesto di ambigua trasformazione politico-governativa, possiamo offrire questo dato sulla "quota salari".

http://www.noisaremotutto.org/wp-content/uploads/2014/03/imperialismo_globale_collanaa4.jpg

http://www.noisaremotutto.org/2014/03/05/verso-il-polo-imperialista-europeo-2/

6. Come prima osservazione, vediamo che nel 1960, tale quota era andata ai suoi massimi storici e rappresentava un dato di punta nel blocco occidentale (che solo il Giappone, in un'area geografica ben più problematica per il paradigma USA, superava: un'evoluzione che, abbiamo visto in vari post, è stata poi radicalmente mutata).
Quale che sia la natura del parziale scongelamento costituzionale, più o meno avvenuto dopo l'autunno "caldo" del 1969 (mentre cioè la guerra del Viet-nam si rivelava un colossale boomerang militare e, ancor più, politico, per le forze "restauratrici" USA, che si erano affacciate proprio nel fatidico 1963), esso non evitò il deteriorarsi al 1970 della stessa quota salari e nemmeno lo impedì sulla soglia del 1980, nonostante i più significativi effetti applicativi iniziali dello Statuto dei lavoratori.
La caduta vistosa, ovviamente, si attesta sucessivamente, cioè in fase di instaurazione del "vincolo esterno", al 1990 (SME ristretto "fumante") e, ancor più, al 2000, quando non aveva certo operato in tale direzione il recupero della flessibilità del cambio (transitoria), ma piuttosto l'applicazione dei criteri di convergenza imposti da Maastricht: e quindi, in essenza, emergenza fiscale continua e un radicale mutamento di impostazione sul mercato del lavoro.

7. Su questo punto, mi riallaccio naturalmente a Alberto Bagnai che ha dovuto fare una serie di precisazioni essenziali:


Questo l'andamento dei salari reali posteriore all'introduzione dello Statuto dei lavoratori:
http://www.forexinfo.it/IMG/png/grafico_salari_reali_italia.png
Come si può agevolmente dedurre, la conflittualità sul mercato del lavoro fu strenua, e portò a risultati alterni, ma prevalentemente positivi; ma solo fino al solito momento del vincolo esterno europeo, in forma di SME, potenziato decisivamente dal "divorzio" tesoro-bankitalia.

Sulle vicende che seguirono a quella fase di "shock" (sui primi anni '80) e che, però, portarono, in circa un decennio, a ritenere indispensabile una forma di "vincolo esterno"molto più stringente, - con la sostituzione traumatica della (intera) classe politica precedente che aveva gestito la prima fase senza riuscire a far coincidere calo dell'inflazione con abolizione della rigidità del mercato del lavoro-, si possono vedere i dettagli nel primo grafico tratto da Goofynomics. 
Il relativo al tasso di disoccupazione crebbe ma in misura insufficiente alla instaurazione della desiderata deflazione salariale (che pure vi fu), cioè nella misura ritenuta necessaria e "competitiva", (in effetti tra il 1980 e il 1990 la quota salari cedette "troppo poco", come si vede dalla prima tabella inserita).

8. Questo andamento - cioè insufficientemente deflattivo e tale da essere considerato deficitario dal punto di vista politico, una volta che si era deciso di spostare la sovranità dalle istituzioni repubblicane a quelle "sovranazionali"-, trova conferma (molto ad occhio, ma proprio per questo ben visibile), nell'andamento (compromissorio) della spesa pubblica su PIL:

http://2.bp.blogspot.com/-CudlxFOfMfk/U1ZRGCV8anI/AAAAAAAAM7Y/6Buuqi1Ay1I/s1600/spesa-pubblica-italia-storico.png
Si può notare che:
a) nella fase successiva alla seconda guerra mondiale la spesa pubblica (complessiva e non solo corrente), neppure recupera il livello dei tardi anni '30: anzi, in epoca immediatamente post-Costituzione approvata, e quindi per effetto della già citata "svolta" deflazionista del 1947, abbiamo un lieve calo rispetto a quegli stessi livelli, che si inizierà a recuperare solo alla fine degli anni '50. 
Questo particolare andamento (in definitiva proprio delle "politiche sociali" previste in Costituzione e richieste dall'elettorato) non è trascurabile: nonostante l'arrivo (contrastato) del centro-sinistra, e proprio come riflesso della sterzata deflazionista del 1963, tra il 1960 e il 1970, la spesa pubblica non sale in modo vistoso.
Infatti, la disoccupazione, nello stesso periodo (v.sopra) si stabilizza in modo alquanto costante almeno fino all'impennata conseguente alla recessione determinata dalla prima crisi petrolifera degli anni '70;

b) una più sostenuta crescita della spesa pubblica si verifica negli anni '70 come conseguenza di una alterna fortuna del PIL (è pur sempre in rapporto al PIL stesso e quello che ancor oggi si trascura è che essa tende a salire percentualmente, e non necessariamente in termini reali, se il PIL ha dei cedimenti...nominali) e, essenzialmente, dell'attivazione delle Regioni
L'effetto più sensibile sarà determinato dal cumulo dei decreti di ampliamento "delegato" delle funzioni regionali di cui al d.lgs n.616 del 1977 (che, come si disse, "ripoliticizzò" a livello locale ciò che, per in omaggio all'art.97 Cost, si era "spoliticizzato", nella gestione della pubblica amministrazione, a livello statale) e della riforma del SSN nazionale (1978-1980, normativamente), che irrigidì e ampliò la struttura politico-burocratica italiana senza apportare alcuna maggiore efficienza del servizio.

Spesa stato seventies.jpg

9. Si può stimare che l'effetto finanziario di tali riforme, - che portarono alla condivisione da parte dei partiti più forti a "certi" livelli locali, che tuttavia non erano e non erano stati veramente ammessi a gestire il livello governativo centrale, delle politiche di spesa pubblica e di gestione decentrata delle funzioni amministrative più rilevanti-, si situa proprio nei primi anni '80 e seguenti, quando fu compiuto il processo di decreti delegati di spostamento del personale (e dei fondi finanziari) alle regioni e agli enti locali delegati: tali effetti operativi della riforma proto-federalista,(in senso dilatante il regionalismo inteso in Costituzione), possono meglio spiegare questo andamento della spesa pubblica, pur in costanza del "vincolo SME+ divorzio".

10. Il risultato, com'è noto, fu l'esplosione della spesa pubblica per interessi: tutto sommato, anche in una visione coerente con SME e divorzio, un effetto che si sarebbe potuto, in una certa parte, risparmiare, se non si fosse deciso di associare, a livello di autonomie locali, il versante "di sinistra" alla gestione, divenuta decentrata, della spesa pubblica. 
Un effetto che, poco più tardi, con Maastricht, verrà considerato una colpa intollerabile per chi aveva promosso questo strisciante "compromesso storico". Tra l'altro, è evidente che, nella situazione attuale, in Italia, quello che si sta compiendo è proprio la marcia a ritroso su questo versante dell'organizzazione pubblica. E, obiettivamente, da parte delle stesse forze che, al tempo, se ne avvantaggiarono (elettoralmente e/o politicamente, in senso ampio).

Notare: le "sinistre", in quel periodo di inizio anni '80 erano elettoralmente preponderanti, in termini "formali" partitici, ma, come già evidenziato, iniziarono a gareggiare per la fedeltà al tema "europeista", e per abbracciare dunque i principi ordoliberisti: si veda qui il punto 6 e la irresistibile fascinazione culturale della sinistra per la "terza via", cioè per l'economia sociale di mercato (acriticamente assunta a vessillo senza, tutt'ora, mostrare di conoscerne il senso economico effettivo).

11. A questo punto, la mia digressione sullo spunto di Arturo è andata fin troppo lontano.
Complessivamente, però, possiamo trarne una lezione concludente: la trasformazione in "destra" (economica) governativa di qualsiasi forza di sinistra, in ItalIa, è il dato essenziale della sovranità limitata, sia essa geo-politica sia essa nella forma aggiornata del "vincolo esterno".
Costituzione o non Costituzione: il che ce la dice lunga su quanto interesse politico ci possa essere, tra tutte e proprio tutte le forze politiche, per difenderne qualche forma di effettività o di suo pallido recupero (nella sostanza, perchè, nella forma, di "distrazioni" su alchimie istituzionali, ne abbiamo fin troppe).

E non abbiamo ancora visto nulla: perchè, per chi segue questo blog, dovrebbe essere chiaro che il "vincolo esterno", in forma di TTIP, porterà il rilancio sovranazionale del liberoscambismo,diametralmente opposto al modello costituzionale, a livelli oggi inimaginabili.

Anzi, il più intenso vincolo esterno che oggi si vuole imporre, vale per tutta le UE, e ci fa capire quanto autoritaria e frettolosamente strumentale sia la spinta politica con cui si vuole arrivare al TTIP: questo, per effetto del trattato UE, si estenderà in un colpo solo a tutti gli Stati-aderenti, plasmandoli senza lasciare praticamente discrezionalità effettive nel differenziare i vari ordinamenti interni.
Questi ordinamenti saranno costretti, dalla minaccia delle rapide liberalizzazioni di ogni settore sociale pubblico, ad una omogeneità "militarizzata" - veramente in tutti i sensi- della struttura di ciascuno di tali Stati.
In fondo, rendersi conto in tempo di questo aspetto incombente è quasi l'unica pallida speranza che abbiamo di salvare qualche forma di democrazia. 
Oltre questo punto, anche per motivi istituzionali - legge elettorale, arretramento di ogni idea di filtro costituzionale sulle norme dei trattati internazionali, ecc.-, non si potrà più parlare di alcuna sinistra, in senso sociale ed economico, ma, ancor più, di alcuna democrazia costituzionale.
Questo dovrebbe molto preoccuparci: e preoccupare QUALUNQUE forza politica. Senza democrazia, rimarranno solo margravi e feudatari senza alcun ruolo che non sia agitarsi intorno a diritti cosmetici.




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