


Deutsche Bank gets off with $2.5 billion fine and no jail time for largest criminal fraud in history
1. La questione Deutschebankè sotto i riflettori in un articolo su "Il Foglio", dove viene accostata, in chiave di scontro geopolitico tra USA e Germania a quella concomitante con Volkswagen nonchè alla, tante volte e inutilmente, sottolineata questione del super-surplus estero dei tedeschi unita alla neo-Ostpolitik, tanto temuta dagli USA -nell'ambito della dottrina Brezinsky- e che parrebbe essere stata, più o meno, stoppata dalla vicenda dell'Ucraina: ma in modo non definitivo e non cristallino.
2. Ben prima dello "scoppio" della questione ucraina, si era ipotizzato questo quadro problematico (era il febbraio 2013), proprio legato all'ambiguità USA nello stigmatizzare, (solo a parole, almeno fin'ora..), l'eccesso di surplus tedesco e il relativo mercantilismo a tutto campo (verso l'est specialmente):
Insomma, non sarà per la salvezza del lavoro e del welfare che accadrà (la fine dell'UEM, ndr.), ma per l'effetto di una recessione-stagnazione propagata a livello mondiale proprio nel tentativo di aggiustare l'euro secondo le di ESSI teorie "macroeconomiche" (in tal caso saremmo a posto, ma il periodo di sviluppo sarà "lungo" un paio d'anni...almeno; e c'è sempre di mezzo il TTIP, adde)".
E ciò in quanto:
"...pare che gli Usa abbiano una fissa di politica internazionale "pura" sulla stabilità - forse perchè sanno cose che noi non consideriamo sugli sviluppi prossimi in medio oriente (adde: ma Putin le ha capite benissimo): non cogliendo che proprio dalla stabilità che invocano (v.link al Sole24h) discende invece quella "continuità" delle politiche europee che cozzano frontalmente con i loro interessi. Almeno quelli enunciati, (adde: molto in teoria, s'è poi visto) nel discorso sullo Stato dell'Unione e già analizzati da Flavio nella "litera ad Obamam".
Per ora, potrebbe spiegarsi il tutto (cioè questa ambiguità, "detto non detto") come una priorità non assoluta al "changeover" delle politiche fiscali UE rispetto ad una potenzialità critica mediorientale che richiederebbe, nel breve periodo, un'Europa non distratta dall'euro-break."
Per ora, potrebbe spiegarsi il tutto (cioè questa ambiguità, "detto non detto") come una priorità non assoluta al "changeover" delle politiche fiscali UE rispetto ad una potenzialità critica mediorientale che richiederebbe, nel breve periodo, un'Europa non distratta dall'euro-break."
Per chi fosse interessato alle prospettive realistiche di tutto ciò, nel nostro immediato futuro (entro i pochi prossimi mesi):
"Per questo, in soldoni, monti(bersani) non possono a lungo continuare a prendere in giro gli USA assecondandoli nel loro errore e, al tempo stesso, essere gli alleati migliori della merkel (o dei piddini tedeschi,tanto non cambia nulla, anzi), in politiche che portano alla recessione strutturale UEM e alla concentrazione del potere di mercato inGermania, che diventerebbe un player globale incontrollabile (specie verso i Russi), una volta che si fosse assicurata la sua "zona economica esclusiva"...con l'avallo degli stessi USA!
Ma quando gli USA la smetteranno di credere ai "consulenti politico-economici" attuali e cominceranno a vedere le cose in base ai dati (per loro controproducenti) che la realtà sta accumulando?"
Ma quando gli USA la smetteranno di credere ai "consulenti politico-economici" attuali e cominceranno a vedere le cose in base ai dati (per loro controproducenti) che la realtà sta accumulando?"
3. Dell'articolo di Libero, sui temi così messi in campo, cito qualche passaggio che, peraltro, dimostra una certa genericità, non proprio lineare nell'inquadrare la situazione:
"Galeotto fu il dieselgate, ma la storia d’amore e d’interesse tra Stati Uniti e Germania era in crisi da tempo. Volkswagen, Deutsche Bank, Gazprom, le divergenze sul trattato transatlantico di libero scambio e quelle su Putin, l’Ucraina, la Nato, la Siria, lo spionaggio incrociato, i profughi e gli immigrati, la sterzata verso Erdogan. Il cahier de doléance è spesso e si riempie di pagine ogni giorno che passa. “Americani e tedeschi sono ancora i migliori amici?”, si chiede la Bbc: la domanda è retorica con risposta negativa. Michael Wertz del Center for American Progress, un pensatoio liberal, teme che gli Stati Uniti stiano perdendo la Germania. Del resto, secondo i sondaggi, solo un terzo dei tedeschi pensa che gli Usa meritino ancora fiducia......Negli ultimi cinque anni, mentre il Dax, l’indice di borsa tedesco, raddoppiava, la Deutsche Bank lasciava sul campo quasi metà del suo valore. E anche il confronto con l’indice bancario della Ue è impietoso, dato che è in progresso del 13 per cento, per non parlare dello Stoxx 600 (che stima i principali 600 titoli europei) salito del 57 per cento. Un vero colpo basso arriva dai pesantissimi oneri dei contenziosi legali in cui la banca è incappata, il più grave dei quali nei confronti dello stato di New York, che ha messo sotto accusa alti dirigenti per aver manipolato il Libor (il tasso di riferimento dei mutui). La multa è costata due miliardi e mezzo di dollari, ma l’insieme dei risarcimenti dal 2011 ammonta a 7,8 miliardi (in Italia la banca tedesca è indagata per i derivati del Monte dei Paschi di Siena).E sui mercati corre voce che la Deutsche Bank possa diventare la nuova Lehman, deprimendo ancor più il valore del titolo. Se davvero deflagrasse, non crollerebbe solo Berlino.
C’è, poi, il braccio di ferro macroeconomico. L’amministrazione Obama batte ossessivamente sullo stesso tasto: la Germania che ha il bilancio pubblico in ordine (onore al merito) e una bilancia dei pagamenti con un attivo doppio rispetto a quello cinese, deve spendere ed espandere per sostenere l’economia europea e mondiale. Ogni riunione del G7 e del G20 da sette anni a questa parte, si conclude con un comunicato solenne che invita ad allentare i freni fiscali. La cancelleria tedesca ha sempre fatto orecchie da mercante......Presa in contropiede nell’area geopolitica più importante per la sua sicurezza e per la sua egemonia, l’onda d’urto dei rifugiati ha spinto Frau Merkel ad Ankara dove ha promesso a Recep Erdogan il sostegno per l’ingresso della Turchia nell’Unione europea, pur di avere un aiuto ad arginare la marea migratoria. Una posizione che incontra l’aperta ostilità della Gran Bretagna e della Francia e lascia perplessi anche gli Stati Uniti, originariamente favorevoli all’europeizzazione della Turchia, ma preoccupati dall’autoritarismo di Erdogan e dai suoi giri di valzer (compresi quelli moscoviti).“E’ il momento sbagliato per fare queste aperture”, ha scritto David Gardner sul Financial Times, soprattutto se “presi dal panico”..."
4. Questa ulteriore valutazione è peraltro interessante:
"Il no a interventi in medio oriente e in nord Africa è la testimonianza di quanto lontana sia Berlino dal Mediterraneo, ben più di Bonn che negli anni della Guerra fredda si rendeva conto che un cambiamento degli equilibri strategici nella sponda sud sarebbe stato determinante anche per la Germania ovest. Quel che accade oggi in Grecia o in Italia, in Spagna o in Portogallo vale soprattutto per gli effetti sull’area euro. Mai si è sentito un discorso sull’importanza strategica di Roma e di Atene come baluardi contro le mire espansionistiche dell’islamismo radicale, il nuovo Califfato o “l’imperialismo musulmano”. E questo aumenta i sospetti americani che i tedeschi stiano diventando, ancora una volta, un problema per la stabilità internazionale e rafforza la pressione affinché abbandonino velleità terzoforziste o illusioni da congresso di Vienna e ritornino nell’alveo atlantico."...Con l’unificazione, il Westbund, il legame con l’occidente che aveva segnato la politica della Germania ovest dopo la Seconda guerra mondiale, si è allentato. Al ministero degli Esteri c’è un esponente della Spd, Frank-Walter Steinmeier, a lungo considerato filo russo, inclinazione che appare anche dalle intercettazioni della National Security Agency. Del resto, perché mai gli americani avrebbero dispiegato una tale rete di spionaggio nei confronti della classe politica tedesca se l’avessero considerata leale fino in fondo? Proprio la linea di Steinmeier aveva suscitato forti perplessità quando nell’aprile 2014 aveva pubblicato su Foreign Affairs un articolo intitolato “La nuova Ostpolitik della Germania”....Questa politica estera ha un braccio mercantile che arriva fino al Pacifico. In questi anni la Germania è diventata un paese trainato sempre più dalle vendite di prodotti sui mercati internazionali. Il peso delle esportazioni rispetto al prodotto interno lordo è passato dal 33 al 48 per cento del pil e la riposta tedesca alla crisi del 2008 non ha che rafforzato la tendenza. Il rapporto con l’estremo oriente si basa sulla potenza della macchina bancario-industriale: Volkswagen, Daimler, Siemens, Deutsche Bank sono i quattro cavalieri che guidano un vasto esercito di imprese medio-grandi, il cosiddetto Mittelstand. I frequenti viaggi a Pechino di Angela Merkel, accompagnata dai big dell’industria e della finanza, hanno consolidato il rapporto che si nutre anche di una ricaduta politica e strategica perché a partire dal 2008 la Cina coltiva sempre più il progetto di un rafforzamento dell’Unione europea come potenza concorrenziale agli Stati Uniti, nuova variante dell’Europa dall’Atlantico agli Urali che piaceva a Charles de Gaulle."
Ci fermiamo qui nelle lunghe citazioni dall'articolo in questione.
4. Per rammentare delle riflessioni già svolte su questo stesso tema, sintetizzo richiamando l'introduzione a un poderoso post di Flavio intitolato:
LO SCENARIO BANCARIO (FRATTALICO) INTERNAZIONALE, LA FED E L'"AMICIZIA" DELLA GERMANIA: LA MORAL "HAZARDED" GEOPOLITICA
Il post è del 21 giugno 2013 e vale veramente la pena di rileggerselo, per la copiosa serie di dati che vengono offerti, ben prima della "congiuntura" attuale, sulla situazione Bundesbank/relazioni USA-Germania federale.
Questa dunque l'introduzione al post stesso, il cui quadro va assommato con quello delineato, - sull'inesauribile fronte €uro-(demo)cratico (in continuo deterioramento, non circoscritto a tali paesi soltanto) delle emergenze di Polonia e Portogallo, nel post appena precedente:
"...Probabilmente non è che la cronaca delle avvisaglie della crisi USA-Germania che si svilupperà nei prossimi mesi.
Lo "spirito" di questa congiuntura internazionale, senz'altro "eccezionale", che stiamo vivendo può essere già racchiuso, come chiave di lettura del post, in queste parole di Bibow (più sotto linkato):
“From a global perspective, not only is Euroland shamelessly freeloading on external growth to offset suffocation of domestic demand through mindless area-wide austerity (see Figure 19), but adding insult to injury, Euroland is also hijacking the IMF as global sponsor in backstopping the EFSF/ESM (European Stability Mechanism) “firewall” for its purely homemade internal crisis.
German mercantilism had given rise to regional imbalances and global tensions in the pre-EMU past.
The euro has multiplied Germany’s weight—and the gravity of German policy views—in the global economy. Effectively, Germany, the world champion of moral hazard talk, is holding the world community hostage to a “too big to fail” global risk “made in Germany” today: arising as the potentially lethal mix of a dysfunctional monetary union paired with the economic consequences of Germany’s denial of her euro trilemma. It is one thing that, by freeloading on external growth, Euroland is reneging on its commitments to the G-20 process of global rebalancing. It is quite another for Euroland to create the world’s foremost threat to stability by self-inflicted folly and to not even be ashamed of “marshalling support from countries that are either more fiscally challenged or a lot poorer than the eurozone itself” to bail it out (Bibow 2012b).”.
Persino La Repubblica inizia ad accorgersene (registrando il tutto con una algida equidistanza, senza capire i risvolti potenzialmente favorevoli alla nostra dignità di democrazia, una volta, almeno formalmente indipendente di gestire i propri interessi sociali ed economici; anche se c'è chi ancora crede che la Nato sia un problema di sovranità limitata, sempre di analoga "fonte" internazionalista, più urgente del fiscal compact o dell'ESM, ancora ignorando il significato del pareggio di bilancio imposto "esogenamente" nella nostra Costituzione). E così commentava la visita di Obama a Berlino:
"Il clima resta amichevole, ma la freddezza lo rende sempre più irriconoscibile, ogni anno che passa. Quando ieri il capo della Casa Bianca ha affermato che «per l'eurozona non c'è una soluzione unica», ha trovato in Merkel orecchie fredde, quasi ostili: quel giardino di casa è tedesco, non americano. Il pretesto per la loro svolta a 180 gradi, i leader tedeschi lo usano sfacciati: l'America comunque guarda più verso l'Asia, affermano.
È con la Cina che Volkswagen, Siemens, i responsabili di Istruzione e ricerca scientifica firmano le intese più importanti a raffica. La conclusione del settimanale di Amburgo (Sueddeutsche Zeitung, ndr.) non lascia dubbi: «I tempi in cui Usa e Germania si sentivano legati da una comunità di destino e sorpassavano piccoli disaccordi appartengono ormai al passato»."
Qualche mese fa, nell'ambito di questa analisi, avevamo ricordato:
"...la Germania ha radicalmente riconsiderato il proprio posizionamento strategico, avvicinandosi ai nuovi centri di gravità del pianeta – i BRICS– che stanno trasferendo l’asse della crescita mondiale dall’Atlantico all’Oceano Indiano e al Pacifico, aprendo prospettive nuove e profondamente rivoluzionarie per l’intero continente europeo. Qualora la Germania si cimentasse seriamente nel tentativo di trainare l’Europa sul solco tracciato da Berlino, potrebbe ipoteticamente prendere forma uno dei pericoli contro cui Zbigniew Brzezinski ha ostinatamente messo in guardia gli Stati Uniti. «Per dirla in una terminologia che richiama l’età più brutale degli antichi imperi – scrive Brzezinski – , i tre grandi imperativi della geostrategia imperiale statunitense sono impedire la collusione e mantenere la dipendenza della sicurezza tra i vassalli, tenere i tributari deboli e protetti, e impedire ai barbari di unirsi». Una “unione dei barbari” che potrebbe comportare significative “discontinuità” negli scenari futuri."
Ora, in questo quadro molto attuale, che si proietta anche sullo scenario cooperativo con i partners europei che gli USA vorrebbero mantenere rispetto alla crisi in Medio-oriente, (dove rischia fortemente di acuirsi una riedizione della contrapposizione con la Russia), le mosse geopolitiche della Germania si sommano ad un atteggiamento conflittuale del suo sistema bancario con le autorità finanziarie USA.
La cosa è aggravata dal fatto che, dell'istituto principale protagonista di questa frizione ormai esasperata, cioè la "solita" Deutschebank, lo Stato federale è ormai un azionista non di secondo piano (nell'ambito di una sostanziale compartecipazione su Deutsche-Postbank, operazione che ha dato vita all'acquisizione statale della partecipazione). Così come, anche a seguito del noto salvataggio di Hypo Real Estate, lo Stato tedesco è il crescente azionista di sistema dell'intero sistema bancario (v. Commerzbank, KFW, equivalente alla nostra Cassa Depositi e Prestiti, e centinaia di altri istituti bancari di livello locale).
La conflittualità, ormai chiaramente intrecciata, tra USA-Germania-membri UEM (specie PIGS) non è estranea a questo ruolo dello Stato federale, interessato alla copertura delle relative "colossali" magagne di bilancio, e conferma come il terreno finanziario sia quello dove oggi si esplicano i conflitti tra "aree economiche", pur sempre nazionali, anche se dissimulate, nel caso dell'UEM, sotto le vesti dell'ipocrita sogno internazionalista europeo.
Le "torsioni" geopolitiche tedesche sono quindi l'altra faccia della medaglia dello scontro bancario mondiale: la Germania "esporta" l'instabilità finanziaria mediante una condotta bancaria spregiudicata e spesso poco accorta, ma finchè si rimane in UEM, la fa pagare ai partners commerciali, su cui esercita ormai una ferrea "presa" (col "tallone"), ma poi negli USA il discorso cambia e si assomma alla strategia del Drang Nach Ost commercial-finanziaria."
...
Un fatto: la Francia sarebbe già uscita dall'euro se non avesse una classe di governo che "crede" nelle teorie neoclassiche, in virtù di un'embricazione anche personale col mondo bancario. Quindi lo switch-out deve ricevere una spinta decisiva di carattere politico: e questa possono dargliela solo gli USA (se, finalmente, ammettessero che l'UEM NON COINCIDE CON "US-E IN ITINERE").