
1. Esiste una tendenza "nuova" del potere costituito, - come viene ipotizzato in questo articolo del prof.Mangiameli?
Si può parlare di una nuova tipologia, - significativa dal punto di vista della dislocazione del potere decisionale ed istituzionale di vertice-, dei titolari delle più diverse funzioni pubbliche? (Peraltro funzioni sempre più "straodinarie", quindi non ascrivibili all'ordine delle competenze attribuite alla organizzazione legale-strutturale, cioè "ordinaria", dei pubblici poteri tipizzati nella Costituzione)?
2. Per riscontrare correttamente un'eventuale nuova modalità o composizione sociologica del "potere" - individuando una eventuale nuova "classe dirigente", neo-detentrice di ciò che va inteso, più propriamente, come potere pubblico di vertice (che sarebbe poi quello più direttamente attuativo della sovranità e, pertanto, superiorem non recognoscens anche - e non sfuggirà l'ironia della contraddizione attuale-, nelle relazioni internazionali)-, le varie pubbliche funzioni, ordinarie e pure straordinarie, andrebbero anzitutto distinte in "politiche" e amministrative, secondo la più tradizionale e generalissima classificazione delle funzioni pubbliche.
All'interno di questa tradizionale classificazione dualistica, che ascrive solo alle funzioni politiche il potere di determinazione degli obiettivi e quindi il momento (in apice) della determinazione dell'effettivo indirizzo politico, non basta, per distinguere la sfera della politica da quella dell'aministrazione, la elettività, pur quando sia prevista.
Infatti si deve rammentare che le elezioni comunali sono appunto dette "amministrative", dato che le "città", autonomie locali per eccellenza rilevanti a un livello storico e pregiuridico secondo lo stesso art.5 Cost., sono concepite, in Costituzione ma in generale negli ordinamenti "moderni", come sede di apparati pubblici volti essenzialmente alla erogazione dei servizi pubblici, a rilevanza economica prevalente ma anche di tipo più prettamente "sociale".
In questa ultima ipotesi, si tratta di erogare ai cittadini-utenti un'attività "utile"non esercitabile, in modo naturale (cioè sul mercato), in forma di impresa e quindi, quand'anche affidate alla forma di società di capitali, esistenti solo in quanto una norma pubblica preveda l'assunzione di un compito (di interesse collettivo) che, altrimenti, non sarebbe stato generato spontaneamente dal sistema del mercato (il quale, normalmente, ricerca, in varie forme, una "efficiente allocazione" dei fattori della produzione per ottenere una massimizzazione dei profitti, più o meno elevata quanto meno sia sviluppata la situazione, per lo più meramente teorica, di piena concorrenza).
3. I Comuni (enti), dunque, proprio per la loro vicinanza diretta alla popolazione insediata su un territorio urbanisticamente e culturalmente dotato di una certa omogenea unitarietà di interessi sociali, sono erogatori di servizi e utilità varie verso i cittadini e questo ne fa dei "gestori", nel quadro di leggi stabilite dallo Stato o dalle regioni, e di regolamenti attuativi e esecutivi, che, in via subordinata, vengono emanati dagli stessi Comuni.
Insomma, gli enti locali di base sono tipicamente"amministratori": non può stupire, dunque, che i "prefetti"divengano, in caso di crisi, i sostituti naturali degli "amministratori" elettivi, essendo gli stessi "amministratori" che, nel modo più classico, risultano esponenziali del potere esecutivo-governativo e della sua tradizionale funzione di vigilanza e "supplenza" rispetto agli enti locali.
Semmai, più "particolare"è la situazione in ragione della quale, per eventi di (ampio) interesse nazionale (es; l'Expo o il Giubileo), quand'anche precisamente localizzato in una determinata città, si ricorra a strutture straordinarie affidate a amministratori dotati di poteri speciali, in base a leggi speciali.
3. Che i gestori di tali interessi, di livello pur sempre esecutivo-amministrativo di leggi (per quanto speciali), costituiscano un nuovo "potere", è dunque un concetto relativo: cioè va rapportato alla estrazione professionale ed ai criteri di designazione di tali amministratori straordinari, nonchè alla bontà, nel merito politico, di pervenire con questa frequenza alla istituzione di strutture amministrative straordinarie.
Ma si tratta pur sempre di un potere amministrativo e non di indirizzo politico.
Capiamo, tuttavia, ciò che intende il prof.Mangiameli parlando di "nuovo potere": si tratta di una condizione di fatto più che giuridica, a cui non è affatto estranea la "interpretazione" mediatica di tali strutture e dei relativi titolari.
Questa interpretazione, infatti, fa rifluire sulle figure dei titolari la legittimazione della specialità del potere, della sua eccezionalità, della sua capacità "derogatoria".
Il ragionamento che inducono nell'opinione di massa i media tende dunque ad essere:
"se sono previste leggi eccezionali i personaggi a cui queste leggi affidano i relativi poteri "straordinari", devono essere pur essi "eccezionali" e fuori dal comune".
4. A ben vedere si tratta della stessa retorica che circondò l'ascesa di Monti.
L'omogeneità del messaggio induce a trasporre sul piano mediatico-sondaggistico, cioè della costruzione del personaggio "salvifico", tutti i titolari di funzioni pubbliche dettate dalla, sempre più frequente, dichiarazione dello "stato di eccezione": siano esse esecutive delle leggi dello Stato, siano esse di indirizzo politico, ma pur sempre, ormai - e lo sappiamo bene-, esecutive delle norme sovranazionali europee.
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5. Insomma, la "tenaglia", molto simile a quella impostaci dallo "stato di eccezione" (accuratamente e, peraltro, strutturalmente provocato) relativo alla immigrazione, si propone in questo modo: esiste un alveo intangibile di superiori interessi e "obiettivi", - non importa se dal punto di vista costituzionale siano politici o amministrativi-, che devono essere attuati senza indugio e, pertanto, dovranno essere realizzati al di là di qualsiasi preoccupazione circa la legalità costituzionale, con ciò ergendo chi li riveste di una super-legittimazione che bypassa l'elemento elettorale.
Il consenso si misura sulla narrazione mediatica della eccezionalità, di funzioni e titolari "straordinari", prefigurando un sondaggio permanente che favorisce il raggiungimento degli obiettivi PER COME DICHIARATO (il raggiungimento) DALLA SFERA MEDIATICA.
6. Questo schema appare del tutto dominante e, infatti, procede dalla massima carica politica di indirizzo, cioè, ormai da tre governi, il Presidente del Consiglio, fino ai livelli "minori", ma non meno visibili, dato che si tratta dell'erogazione di servizi e utilità di livello comunale, che rimangono certamente i più direttamente tangibili e verificabili dai cittadini-utenti.
La "tenaglia" ha, comunque, due alternative e convergenti legittimazioni del titolare "straordinario", prima nominato in modo totalmente discrezionale, e quindi avulso da qualsiasi predeterminazione costituzionale e legale di requisiti di merito, - che siano politico-elettorali o obiettivamente tecnici (art.97, comma 3, Cost: si tratta del principio del pubblico concorso)-, e poi rafforzato in modo inarrestabile dall'eccezionalismo certificato dal sondaggio mediatizzato:
a) la fede nell'ordine internazionale dei mercati quale concretizzato dalla stretta osservanza dei principi del diritto €uropeo (se si tratta di un politico in senso curriculare prevalente);
b) la valenza tecnocratica che rende il "nominato", extra ordinem costituzionale e legale, compartecipe della stessa legittimazione che, complessivamente, si arrogano le istituzioni europee (meglio ancora, quindi, se si tratta di un personaggio appartenente alla cerchia dei tecnocrati UE-UEM).
Si tratta, in questo secondo caso, esattamente della legittimazione, che intende esaurire la funzione degli inefficienti parlamenti, o di qualsiasi assemblea elettiva, reclamata da Barroso nel suo famoso "discorso" (emblematico della "cultura" della governance di tutti i titolari delle istituzioni europee).
7. Insomma, un processo discendente parte dalla Commissione Ue e arriva ai singoli comuni italiani e, per quanto i "governati" non lo percepiscano direttamente, finisce per omologare, - sulla tecnocrazia e/o sulla rigorosa osservanza dei criteri di governance imposti in dettaglio dall'€uropa-, ogni aspetto delle funzioni pubbliche nazionali, ogni livello di gestione dell'interesse, un tempo pubblico: l'interesse pubblico viene rimodellato sulla logica del mercato, della efficienza economica e, dunque, sulla suggestione delle famose "classifiche" di WB, OCSE e FMI, senza preoccuparsi troppo del processo elettorale e delle ragioni sostanziali, cioè la cura e massimizzazione della realizzazione dell'interesse pubblico, che giustificherebbero il consenso elettorale, per le cariche elettive, o la valutazione di buon amministratore per il titolare tecnico di funzioni gestionali.

8. D'altra parte, se tutto si basa su reiterate dichiarazioni dello Stato di eccezione, quindi di ciò che contraddistingue la titolarità della sovranità effettiva, salta il sistema delle fonti, cioè delle norme sulla normazione previste in Costituzione e la distinzione tra responsabilità politica, misurabile nell'osservanza delle norme inderogabili della Costituzione stessa, e responsabilità amministrativa, tende a perdere di rilevanza.
La democrazia appunto, si riduce al sondaggismo: il sondaggismo è controllo mediatico; il controllo mediatico è realizzazione del paradigma economico sovranazionale e non può curarsi dei dettagli legali, disponendo, ormai, sia della predeterminazione mediatica dei risultati e dei mezzi ad ogni fine, sia del potere illimitato di dichiarare lo stato di eccezione.
9. E non potrebbe essere altrimenti: ad esempio, fare "bene" il sindaco, cioè garantire un soddisfacente e crescente livello dei servizi (legalmente) ancorati al territorio, è un compito impossibile.
Lo è, impossibile, dal punto di vista finanziario pubblico, perchè la governance tecnocratica funzionale all'ordine sovranazionale dei mercati, così impone con le sue nuove regole super-costituzionali:
Chiunque fallirebbe nel mantenere una popolarità raggiunta nelle urne, a fronte del pareggio di bilancio e dei suoi effetti obbligatori realizzati, a dosi crescenti, con i patti di stabilità interni di stabilità finanziaria che comportano, inevitabilmente e programmaticamente, la riduzione e la soppressione de facto dei servizi più fondamentali resi sul territorio.

10. La sterilizzazione delle risorse, il loro taglio sistematico, sono un peso a cui nessun programma o promessa elettorali può reggere: il fine è la privatizzazione "globalizzata", nelle città globali; quelle dove la lotta di classe, o quantomeno la tutela dei più deboli e disagiati, sarebbe affidata alla solidarietà tra gli stessi diseredati, portati allo stremo, che si riunirebbero a livello globale per contrapporsi ai poteri economici sovranazionali. E non si sa come e perchè (la Sassen stessa si guarda bene dal fornire una spiegazione realistica alla sua ipotesi della globalizzazione "buona" e democratica), questi poteri economici globali sarebbero inclini a cedere ciò che, con tanto sforzo mediatico e tecnocratico, hanno implacabilmente conquistato.

11. Come dice Chomsky (a noi ben noto):

E in fondo, la fase transitoria dei "magistrati" (?) e dei prefetti "al potere", recede di gran lunga di fronte alla effettiva, e continuamente tentata, sostituzione dei politici di professione, pur largamente prevalenti nell'attuale governo (ma rammentiamo la legittimazione della €uro-ortodossia), con i molto ricercati - a livello bipartisan- candidati imprenditori o dirigenti d'impresa, meglio ancora se provenienti dalla finanza "internazionale" e bocconiani ...
La saga della €uro-governance tecnocratica e privatizzatrice prosegue: ormai, tutto è, questo potere, fuorchè "nuovo".